domenica 27 settembre 2009

Il Governo privatizza l’acqua. De Magistris: “E’ un bene pubblico, non del mercato”

Seminerà più sofferenza e vittime dei conflitti per il controllo del petrolio e del gas, perché la popolazione planetaria cresce e i cambiamenti climatici rendono l’acqua una risorsa preziosa e sempre meno disponibile. Così la guerra per l’oro blu rischia di diventare il prossimo terreno di scontro fra Nord e Sud del mondo, causa di migrazioni dei popoli, origine della discriminazione sociale anche nel mondo sviluppato tra chi potrà accedervi e chi ne resterà privo. Per questo è indispensabile respingere fin da oggi la lunga e pericolosa mano del mercato, il suo tentativo di controllare e speculare su un bene tanto prezioso quanto raro. Contrastare, quindi, ogni forma di privatizzazione dell’acqua, diffondendo il principio che l’acqua è un diritto e come tale va considerato un bene comune, da garantire a tutti e da tutti gestita. Una battaglia che coinvolge anche il nostro Paese, dove i tentativi di privatizzazione, che rispondono a livello locale al bisogno delle amministrazioni di fare cassa, devono essere respinti. Così come da respingere è l’azione del Governo, che in occasione del Cdm, lo scorso 9 settembre, ha varato le modifiche all’articolo 23 bis della Legge 133/2008 all’interno di un decreto legge per l’adempimento degli obblighi comunitari. Figlio dell’accordo tra il ministero degli Affari regionali e della semplificazione della legislatura, cioè di Fitto e Calderoli, con la benedizione ovviamente di Confindustria, queste modifiche riguardano l’affidamento dei servizi pubblici locali e stabiliscono che la gestione di questi stessi servizi veda protagoniste, attraverso bandi di gara, società miste, il cui socio privato deve possedere non meno del 40% ed essere socio industriale con compiti di gestione operativa. Tradotto in parole semplici: anche l’acqua è sottratta alla gestione pubblica e affidata al mercato, quindi possibile forziere di arricchimento e speculazione privata. Una scelta grave, compiuta nel silenzio mediatico e politico, coperta dal Governo attraverso l’abito mistificatorio del decreto legge, che aveva come unico fattore di urgenza quello di rendere subito l’acqua non più un bene di tutti ma patrimonio di pochi, funzionale al loro arricchimento. Di questa decisione il Governo deve rendere conto e per questo ho deciso di presentare al Parlamento europeo un’interrogazione sul tema. Nel 2006 proprio Bruxelles ha approvato una risoluzione che afferma che “l'acqua è un bene comune dell'umanità e come tale l'accesso costituisce un diritto fondamentale della persona umana”. Nel marzo 2007, sempre a Bruxelles, si è riunita l'Assemblea mondiale dei cittadini e degli eletti per l’acqua ed è stata approvata una lettera rivolta a tutti i capi di stato e di governo del mondo, a tutti i presidenti dei parlamenti nazionali e sovranazionali e ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per richiedere un impegno sul tema. La battaglia per l’acqua come bene pubblico e diritto universale, in Italia e in Europa ma anche nel resto del Pianeta, è uno dei tasselli essenziali per costruire “un altro mondo possibile”. Cominciando appunto dal nostro Paese, dove le forze politiche devono unirsi nella richiesta all’esecutivo di cancellare le modifiche alla legge 23 bis; dove le amministrazioni locali, in particolare i comuni, devono dichiarare l’acqua bene di tutti e privarla di rilevanza economica, scegliendo di affidarla alle aziende pubbliche ad esclusivo capitale pubblico, così come dovrebbe fare il Governo. In Commissione Ambiente della Camera, infine, è stata depositata una Legge di iniziativa popolare per una gestione pubblica dell’acqua che ha raccolto 400mila firme. Che fine ha fatto e perché continua a riposare dimenticata in Commissione, quando in Italia l’acqua scarseggia e in Sicilia è già oggetto di razionamento ma soprattutto di controllo mafioso? Sul tema l’Italia dei Valori ha presentato recentemente una mozione in Parlamento per chiedere al Governo di tutelare i diritti dei cittadini perché l’acqua sia rispettata come bene inalienabile e indisponibile, soprattutto da parte delle lobby e delle multinazionali, insomma del mercato. L’acqua è stata indicata nel settembre 2007 dall’Onu come un diritto umano, estensione del diritto alla vita. Non siamo quindi soli in questa battaglia: forum e associazioni non solo esistono ma lavorano già da tempo per riconsegnare l’accesso e il controllo idrico alla comunità. Forse il Wto o il Fondo monetario internazionale, forse Confindustria o la filosofia della deregulation selvaggia ci remano e remeranno contro, ma è una sfida che si può vincere. Anzi, si deve vincere.

Luigi De Magistris

(25 settembre 2009)

venerdì 25 settembre 2009

Quello che mi piace di Italia dei Valori e di Di Pietro è che quel dice è, quel che dice, fa. Di Pietro lo dice chiaramente: la sua è una forza politica liberal democratica, per l'economia di mercato, ma che tuteli i più deboli. Pensiero liberale classico. Che non condivido perché sono marxista, ma almeno so con chi ho a che fare, che tipo di alleanza. Che sulla laicità ci sono convergenze. Così come su politiche di welfare. Dialogo, convergenza e scontro politico, nel rispetto delle parti. Ma del PD cosa posso dire? Che razza di accozzaglia è? Con un Veltroni che ritiene Craxi un grande statista, con una generazione politica di diessini che ha gestito alcune amministrazioni con metodi clientelari se non mafiosi, vedi Bassolino? Con un D'Alema pappa e ciccia con il peggio della finanza attraverso Consorte? Con Profumo e Colaninno? Ma per carità! C'è bisogno di una politica chiara, coerente. Ma soprattutto pulita.

IDENTITA', AMBIGUITA'

E che finisca. Molti a sinistra non ne sentiranno la mancanza. Il problema è proprio questo: costruire un partito di centro-sinistra che veda la presenza della teocom Binetti, di un Rutelli centrista. So già in partenza che sulla questione della laicità dello stato sarà un litigio tutte le volte, così come sulla questione del lavoro. L'identità di un partito è importante, al di là delle vocazioni maggioritarie. Perché l'onnicomprensivismo che non sceglie nulla è letale. Altro che vocazione maggioritaria! Il miglior modo per perdere le elezioni con blob amorfo e privo di coerenza, con una linea politica ambigua. Ecco cos'è il PD, al di là di chi vincerà la segreteria. C'è una parte del popolo di sinistra, e non è poca, che ha il sacrosanto diritto di avere una forza politica che prosegua con i valori politici e ideologici di una sinistra moderna. In altri paesi questo problema non esiste. Guardate la coalizione di Zapatero. Con che faccia, con che diritto i Veltroni di turno parlano di voto utile? Non mi sembra che l'alternativa a Rifondazione, ai Verdi, al Pdci, persino ai diesse di ieri, sia quella di un partito di sinistra, di classe, ambientalista. Forse a tutti coloro che a sinistra non hanno aderito al PD, dovrebbe interessare un fronte ampio di forze, dovrebbe fare gioco forza uscire dalla litigiosità tra gruppetti "dirigenti". Se non lo faranno loro, c'è chi lo farà. I vuoti in politica si riempiono sempre, è inevitabile.

mercoledì 23 settembre 2009

PERCHE' SPARTACO



Poco a che vedere con il comunismo di sinistra, gli spartachisti. Molto con una scelta di irriducibilità intellettuale. Spartaco fu un ribelle che guidò alla lotta contro una Roma di schiavi, una moltitudine che anelava alla libertà. La mia è una ricerca di libertà dagli imbonitori mediatici, libertà dagli orpelli di un vissuto quotidiano alienato, percorrendo le strade della riflessione e della critica politica.

RIFORME O RIVOLUZIONE?


Oggi la questione è mal posta. In primo luogo tutti parlano di riforme. La riforma è diventato un luogo comune buono per tutte politiche. Anche la legge sui respingimenti è definita "riforma". E la rivoluzione ha una carica utopica che non pertiene più il luogo della politica. Come tema interno alla sinistra, alla sua politica e alla sua storia, riforme e rivoluzione rappresentavano le due opzioni che dividevano il movimento internazionale del socialismo, sin dall'Ottocento. E poi l'Internazionale comunista da quella socialista. Riformismo era diventato successivamente un campo del tutto interno ai sistemi capitalistici, all'interno delle democrazie rappresentative. In Italia, con il PCI, da Togliatti e dal dopoguerra in poi, si è sviluppato in varie visioni di sviluppo progressivo al socialismo. Una rivoluzione fatta di riforme progressive verso il socialismo. Il riformismo si è poi staticizzato in una supina accettazione di un punto di vista borghese dominante. Gli esiti del percorso progressivo del PCI sono sotto gli occhi di tutti.

Di contro, i rivoluzionari del dogma leninista, dal maoismo al trotzkismo, contrapponevano la rivoluzione alle riforme. Che fosse "culturale" cinese o "permanente" quartinternazionalista. La rivoluzione ha attraversato anche i gruppi e le organizzazione della sinistra rivoluzionaria delle due grandi ondate: '68 e anni '70. Con una progettualità incapace di fare politica seriamente, di costruire, proporre, contrapporre, in relazione dialettica con la realtà storica di quei periodi tragici e straordinari. Potere Operaio- Autop, Lotta Continua, ecc.

In questa nuova fase storica, la questione posta in questi termini, a mio modo di vedere, non ha più senso. Una politica di riforme forte, va a scalzare gli attuali assetti politici, economici e sociali. Sposta i rapporti di forza. E' quindi rivoluzionaria. Battere i poteri forti e aprire a una stagione di riforme politiche ed economiche, significa trasformare dei contropoteri che vivono nella società sulle contraddizioni del capitalismo, in poteri costituenti di una nuova società. In questo senso è rivoluzione. Ma in un contesto fortemente partecipativo, nell'ambito del nostro assetto democratico è riforma. Per troppo tempo la sinistra si è nascosta dietro concetti sterili, ossificati. Validi nel momento storico in cui furono teorizzati e praticati. Ma tutti da verificare poi. Nelle costituzioni, nelle carte che fondano le democrazie occidentali, dalla Rivoluzione Francese in poi, passando per il suffragio universale, esistono tutti gli elementi per costruire una società pluralista, democratica, ma al tempo stesso rivoluzionaria e socialista. Potrà sembrare la mia un'eresia. Ma pur dando tutto il valore che ricopre ancora oggi la Rivoluzione d'Ottobre, il primato di rivoluzione epocale va a quella francese. Anche da un punto di vista di classe. Rivoluzione di diritti, di libertà economiche e sociali, che possono essere viste da una pluralità di punti di vista. Forse è nell'assolutizzazione dell'Ottobre che vive nelle pieghe del movimento comunista il mostro del totalitarismo.

DEMOCRAZIA E...



Ragionamenti che tutti possono capire. Tutti possono capire come la seconda Repubblica sia nata nel sangue dei servitori dello Stato coraggiosi. Borsellino, Falcone. Quella parte di Stato che voleva sconfiggere le mafie, battere questa cancrena che sta invadendo come una lebbra ogni interstizio dela società.

È una questione economica, perché i profitti “puliti” si intrecciano a queli sporchi. È una questione culturale e morale, lo vediamo in questi giorni in cui il governo dà un colpo di spugna ai reati fiscali e penali di un’élite che se ne fotte dei problemi del paese, della crisi, la generazione dei senza dio, senza patria, che usa dio e la patria, per soddisfare appetiti sempre più grandi.

Ma di fatto, se vogliamo portare il ragionamento ai massimi sistemi, abbiamo una società capitalistica, della globalizzazione, un sistema di riprodurre raporti sociali ed economici sempre più iniquo, che distrugge le risorse del pianeta, che crea divari sempre più abissali tra ricche élite e classi sociali, (prsino quelle medie) in crisi. Abbiamo un capitalismo pseudo-democratico, su cui si innestano, anzi di più: al quale sono organici poteri criminali che guidano la finanza, la politica e i mezzi d’informazione (vedi l’era Bush per quanto riguarda gi USA).

Le collusioni di Berlusconi con la mafia, che hanno portato alla trattativa con essa, sono state alla base della nascita dell’attuale sistema politico. Sono parte integrante di un modo di gestire l’economia. Con un’imprenditoria colpevole di non aver saputo dare un impegno civile alla propria attività, una classe industriale di parassiti, pronti a ricevere prebende dallo stato, pronti a spostare le produzioni all’estero e scaricare i costi del degrado e della miseria di cui sono resonsabili, a tutta la collettività. E l’innovazione? E una politica industraile di sviluppo del Mezzogiorno? Di che interessi nazionali parla la Marcegaglia? Perché il gruppo dirigente del PD li sostiene, si fa partigiano d cordate discutibili nel mondo industriale e delle banche? Con quali criteri D’Alema discerne tra gli uni e gli altri? Sono le zone d’ombra di una politica spregiudicata, di quella dell’inciucio, di Rete 4 lasciata a Berlusconi (in cambio di cosa, Violante? Ce lo devi ancora dire...).

Per cui viviamo un paradosso: le contraddizioni tra capitale e lavoro (o non lavoro) sono sempre più forti, ma la questione fondamentale è la questione democratica. L’intellettualità che si ribella lo fa su questioni etiche. Travaglio ne è un esempio. Non è certo un uomo d sinistra, è un montanelliano convinto. Eppure l’onesta, chi mette al centro il bene comune del paese, oggi è il discrimine. Dal’altra parte ci sono le caste, c’è la faccia di bronzo dei governanti e de falsi oppositori che decidono di questioni fondamentali come la guerra. A La Russa non servono argomentazioni per giustificare il perdurare della presenza dell’esercito italiano in Afghanistan, a FARE LA GUERRA. A Ranieri del PD, di prima mattina su Rainews 24, serve solo dire che l’opinione generalizzata nel paese, contraria alla presenza in Afghanistan è semplicemente utile per orientare meglio la politica di intervento. Sottinteso c’è che questa opinione non incide sull’aristocrazia politica che non rappresenta nessuno e deve solo cogliere gli umori del paese per fare oi quello che gi pare. Ecco dove sta la questione democratica. Grande come un bubbone. È un modo di gestire il potere e di amministrare la res publica che ricorda sempre di più una dittatura, dove i cittadini diventano sudditi al di là della primarie di facciata.

Una forza politica di sinistra in Italia, che sia realmente tale, deve fare i conti con la questione democratica. Ma nessuna forza di sinistra o centrosinistra se ne rende conto. Neppure una sinistra radicale incapace di fare i conti con i propri limiti, che sopravvive in ceti politici che non rappresentano nulla e nessuno, non può cogliere la questione. Ha nel suo piccolo il germe della casta politica che decide in nome di ideali pur lodevoli, ma non corrispondente a un reale rapporto organico con i referenti sociali. Perchè questo rapporto può nascere solo dalle lotte sociali. La lotta politica che sia tale è autorganizzazione, è il prodotto storico, di congiuntura di un percorso di base. Ecco l’essenza di un lavoro di massa ben fatto, l’ontologia stessa della militanza politica che abbi,a la dignità e la funzione di essere tale.

Poi c’è la questione degli interessi materiali, sempre di parte, che si intende portare avanti. Gli ex-PCI hanno perso questa funzione storica e politica. Tralascio aspetti importanti come la laicità della res publica e di altre questioni politiche non certo irrilevanti. Disattese dal gruppo dirigente fin qui succedutosi nel PD e ragione degli strappi e delle diaspore a sinistra. È la questione fondamentale del SOCIALISMO. Chi sposta l’asse delle sue referenze all’ambito del capitale fnanziario, Passera, Bazoli, ecc. E di capitale, Colaninno, ecc., non ha più nulla a che fare con gli interessi materiali delle classi sociali economicamente subordinate a questo sistema.


Democrazia e socialismo sono inscindibili.


QUESTIONE DEMOCRATICA.

La prima vive nella lotta per affermare le libertà civili, di partecipazione alla vita politica, alla produzione di informazione da parte dei cittadini, di espressione delle idee, di riconoscimento e valorizzazione di ogni identità clturale, sessuale, religiosa. È pertinente alla difesa di un contesto comune, che definire Stato è riduttivo, un portato di valori e regole acquisite nato dalla Resistenza e che vive nella Costituzione. Pluralismo, sovranità del popolo attraverso il Parlamento. Quindi, la lotta al potere mediatico e al piano piduista che si sta affermando nel paese, espresso dall’attuale governo Berlusconi, complice la debolezza di pensiero e talvolta la collusione di una falsa opposizione, la lotta ai fondamenti stessi della seconda Repubblica, nata dalla mediazione tra poteri dello Stato deviati e mafie, rapresentano il fronte su cui raccogliere forze politiche e intellettuali (che già si stanno muovendo) non necessariamente di sinistra. È tattica leniniana pura nel rapporto con i “menscevichi”. Ci sono parti di società che sono altro da una visione cattolica del mondo, che vedono nella laicità delle istituzioni un valore insopprimibile, che vedono nei media la possibilità di avere un servizio per la gente basato su un pluralismo rappresentativo delle diverse sensibilità e paradigmi politici che vivono nella società. Che rimettono al centro il Parlamento sovrano. La Costituzione diventa costituzione materiale, vissuta e sostenuta nella lotta democratica per difendera la Costituzione stessa, che geneticamente ha tutto ciò che serve.


SOCIALISMO.

Il secondo, in particolare, oggi è portatore di un bene comune, risorse naturali, sociali, del lavoro e dell’attività umana più in generale che rendono attuale la questione marxiana di centralità di classe. Di fronte alla decandenza di un sistema globale sempre più preda di lobbies voraci (vedi le bolle speculative), dove la guerra e la rapina sono alla base della sua riproduzione, il socialismo come progetto forte, si carica di questioni non più rinviabili, legata al modo di produrre società, quindi anche all’ecosostenibilità di un modello economico e sociale. Questo ambito è pertinente alla ricostruzione di un progetto politico DI CLASSE forte nel paese e a una forza unitaria alternativa e di sinistra. Non significa dittatura del proletariato e lotta assoluta al capitalismo. Significa affermare una politica economica e sociale di governo che rappresenti l’egemonia di questi settori sociali in uno Stato e in una governace della res publica che tuteli di default il diritto a una vita dignitosa e al benessere collettivo. E questo si può fare solo se lo Stato riesce a controllare i gangli vitali dell’economia reale, le risorse. Una tutela di queste ultime. Solo se lo Stato sposta il baricentro della distribuzione della ricchezza sociale. Nè la destra, né il centro-sinistra si sono mai posti questo problema. Si sono mai posti da questo pnto di vista. Cartina di tornasole con un esempio concreto: entrambi accettano e sostengono l’assioma ignobile del “stiamo uscendo dalla crisi economica, nonostante i problemi di occupazione che avremo anche nel 2010”. No, non stiamo uscendo dalla crisi. Questa è una visione basata sugli indicatori di borsa. I parametri di una forza di sinistra sono: la crisi ci sarà finché ci sarà disoccupazione e miseria. Non è questione di lana caprina: la cosa fa un’enorme differenza. Distingue una visione pseudo-generalista (in realtà di classe capitalista...), da una dichiaratamente e giustamente di classe, quindi socialista.

È oggi che mangiamo, che respiriamo, che beviamo l’acqua, che amiamo. Non domani. È oggi che dobbiamo pensare ai nostri figli. Non domani. Un recupero crediti ha diritto di pignorare i debiti di chicchesia e i cittadini non hanno diritto di decidere sul bene comune come l’acqua, l’aria, non hanno diritto di pretendere in quanto cittadini di vivere in una società che gli garantisca un livello di vita accettabile? Socialismo si tratta di spostare la politica da un faslo e indistinto diritto generale, in realtà diritto capitalista, a un diritto veramente generale, perché garantisce un’esistenza dignitosa a tutti. Questo deve essere centrale nella politica della sinistra. E anche in questo caso nella Costituzione Repubblicana c’è tutto quello che serve.


IL BARATRO.


Storicamente, in ogni momento di crisi, ogni regime ha sempre fatto leva sul nazionalismo per distogliere l'attenzione dai veri problemi. E' patetico vedere in tv, a Ballarò, Fassino che risponde a Berlusconi sull'anti-italianità. Ormai centinaia di migliaia di persone sono alla canna del gas. Razzismo, nazionalismo, militarismo servono a spostare la questione.

martedì 22 settembre 2009

SINISTRA E RAPPRESENTANZA.


Il problema vero della sinistra è il perdurare di ceti politici che continuano a riciclarsi costantemente in partitini, coalizioni, accordi di cartello. Rifondazione è avvitata su se stessa, incapace di attrarre quei settori di società che intende rappresentare.

Sinistra e Libertà non andrà mai oltre una somma di politici di ceto, pur con tute le più buone intenzioni. Le ultime elezioni hanno confermato le politiche che hanno portato al governo le destre: una caduta di credibilità della nuova sinistra, persino nel suo elettorato naturale. È un problema di metodo, retaggio dell’antico rapporto partito/masse, nella variante “dittatura del partito”, antico male dei partiti comunisti e del PCI in fattispecie.

Solo che oggi al posto del partito, c’è il ceto. Dal problema di metodo discende il problema di merito. Un ceto politico residuale non ha alcun interesse a interrogarsi sulla storia della sinistra, per il semplice fatto che dovrebbe mettere in discussione se stesso in quanto tale. Con PD privo di identità forte (nato così), in balia di corporzioni e potentati economici e finanziari, culturalmente subalterno al pensiero debole e a pensiero unico globaista, con una galassia di partitini più o meno ortodossi che non contano nulla (rifondazione in primis) nello scenario politico e sociale, oggi c’è una parte di società che ha più rappresentanza. Ma peggio: che non può neppure rappresentare se stessa. Almeno in apparenza. Perché alla fine della fiera, di fronte a una stagione di conflittualità diffusa che la crisi economica presagisce, questa rappresentanza politica nascerà dalle lotte sociali stesse. Un convitato di pietra destinato a scombinare tutti i giochi. Se ne vedranno delle belle. Si vedrà che metodo e merito, soggettività politica e agenti sociali del conflitto sono del tutto complementari. Esattamente come il fine e il mezzo sono la stessa cosa. Al di là di tutte le realpolitik, oggi d’accatto, che si manifestano in un campo politico sempre più ristretto e supino all’agenda dei padroni del vapore.

lunedì 21 settembre 2009

SPETTACOLO RIBUTTANTE



























E' quello a cui abbiamo assistito oggi. Lo sciacallaggio sui sei militari italiani morti nell'attentato a Kabul. Si è espresso "il meglio" del nazionalismo bipartisan, quello a sei reti tv, quello che non ammette repliche. Come il programma di ieri sera su Rai Uno: tutti commentatori schierati. Nessun contradditorio. La parola ritiro, verboten. Nessun organo di informazione ha parlato della giornata per la Pace dell'ONU, che cadeva ieri. La percezione del comune cittadino sui fatti è che in quell'attentato sono  morti solo soldati italiani (strage di civili? E cos'è?), che  il nostro esercito è in missione di pace. Non sa che i nostri Tornado bombardano anche i civili, come tutte le altre truppe NATO. Spettacolo ributtante e magnifico esempio di pensiero unico all'opera. Artefici di questa macchina mediatica non sono solo PDL e cavaliere, ma l'intero ceto politico, centro-sinistra incluso. La realtà è che con questa presenza militare attiva, così come con le precedenti (attacco alla Jugoslavia, in primis), i governi che hanno deciso e proseguito questa pseudo operazione di pace, hanno violato l'articolo 11 della nostra Costituzione. La realtà è che la lotta al terrorismo è la foglia di fico di interessi geopolitici ben più materiali. Puzza di petrolio, di oppio, e contrasto alle potenze economiche che non rientrano nell'alleanza occidentale. L'alleanza combatte il terrorismo talebano, ma bombarda anche i civili. Dice di voler portare la democrazia, ma sostiene un trafficante e un uomo dei clan, un delinquente criminale come Karzai. Che non poteva che vincere le elezioni con una marea di brogli. L'alleanza non appoggia la nascita di forze democratiche in Afghanistan. E' solo preoccupata di non perdere sul terreno. Il ritornello a sostegno della presenza militare in Afghanistan? Il contrasto al terrorismo nei nostri paesi. Ma il terrorismo è per antonomasia qualcosa di sfuggente. E' ovunque e da nessuna parte. Bastano poche cellule di fanatici reclutati ovunque e finanziate con denaro di qualche emiro; e addestrate se non in Afghanistan, nello stesso Pakistan, o in Somalia, o in Sudan... La presenza occidentale nello sfortunato paese non serve a nulla. Lo stesso Obama sa che non c'è possibilità di vittoria e sta valutando come uscirne salvando diplomaticamente la faccia. E quando lo farà, i nostri codardissimi dirigenti PD usciranno dalla tana dell'inciucio e diventeranno "pacifisti". Si accoderanno solo allora. Adesso riflettono... Nel frattempo a nessuno frega nulla dei civili afghani trucidati come bestie. Valgono di più sei italianissimi militari di professione, ben diversi per scelta dai soldati di leva in Vietnam. Per carità, mi dispiace per la loro morte. Ma sono morti non per servire la patria, bensì un grumo di interessi ben più vili e terreni.

Futura umanità


FUTURA UMANITA' è il soggetto e lo scopo.  Sono le due parole più forti ne l'Internazionale: l'inno del movimento operaio e delle classi oppresse che ormai tocca tre secoli. Il soggetto: un'umanità che si fa portatrice di un cambiamento profondo, radicale del modo di produrre rapporti sociali, sul piano economico, biopolitico, ecosistemico. Forze sociali che possono e devono emergere in un'epoca di forte caduta di valori collettivi, di pensiero unico, di prevalenza degli egoismi più sordi e sordidi. Ed è lo scopo: l'essere umano, la sua felicità, il suo benessere sociale e interiore, fisico e psichico sono un tutt'uno. Un potenziale che ognuno di noi ha e che deve poter esprimere. Senza lasciare nulla al destino, al fatalismo, così come all'ignoranza dell'indifferenza, o al pessimismo d'un'esistenza senza prospettive.
Ecco, UMANITA' FUTURA sintetizza tutto questo. Come blog è un momento di riflessione su quanto sta accadendo in questo inizio secolo, nel mondo, nel nostro paese, nella nostra vita di tutti i giorni. Non pretendo lettori, non mi interessano le polemiche. Il mio blog è una testimonianza di una persona che vive come tutti, questa fase storica di crisi generale. Stiamo andando verso disastri ambientali e verso l'imbarbarimento dei rapporti sociali. Verso uno stato sempre meno di diritto per tutti e  sempre più espressione dittatoriale di una minoranza di mediocrati, di integralisti del profitto, di politicanti di professione, che celebrano la separatezza dalla politica, dalla polis nelle sue decisioni, della maggioranza della popolazione. Siamo sempre più sudditi e sempre meno cittadini.
Chi sono in realtà? Ha poca importanza. Basta solo dire che sono di sinistra, che ho attraversato esperienze di conflittualità politica e di militanza negli anni più pesanti sul finire del secolo scorso. E come spettatore attento nell'ultimo quindicennio.
Buona lettura.