sabato 31 ottobre 2009

STEFANO CUCCHI E IL VERGOGNOSO SCARICA BARILE.


La Russa dice che non compete al Ministero della Difesa perché i Carabinieri erano nella funzione di polizia giudiziaria e quindi la cosa è di competenza del Ministero degli Interni, ma garantisce (il fascista): il comportamento dei carabinieri è stato corretto. Alfano dice che la polizia penitenziaria svolge il suo lavoro con abnegazione e bla e bla e bla. Ma tutti questi signori devono rendere conto ai familiari di Stefano, del perché loro figlio, fratello, è entrato nelle strutture giudiziarie dello Stato in ottime condizioni di salute e ne è uscito morto, con evidenti segni di percosse e violenze. Neanche fossimo sotto una dittatura di stampo cileno. Vedo il padre, il signor Cucchi nell’intervista su beppegrillo.it e mi corre il pensiero a quelle centinaia, migliaia di genitori che sotto la dittatura argentina di Videla, hanno visto scomparire i loro figli. Gente normale, che potrebbe essere padre e madre degli aguzzini della Triple A. Padre e madre, sorella dei carabinieri e degli agenti carcerari stessi.

Qui non ci sono brigatisti, militanti di Al Qaeda. E neppure sindacalisti e studenti di sinistra che hanno avuto la sfortuna di pensarla così e di fare sindacato in un paese governato da fascisti. Qui ci sono ragazzi comuni con quantità minime di droga, padri e madri di famiglia, quelli che ti trovi di fianco a fare la spesa, che chiede un etto di prosciutto, quello di Parma.

Di fronte a una quantità così nutrita di episodi di violenza arbitraria, coperta e rimpallata tra organi dello Stato, si può dire che sia in atto un attacco generalizzato allo Stato di diritto stesso. In gioco ci sono le regole della civile convivenza, di fronte a bande che, coperte dallo spirito di corpo e dalla divisa, spadroneggiano come cazzo gli pare. 

Non è tutto perduto. Se gli onesti nelle forze di polizia, e sono tanti, si dissoceranno, denunceranno, parleranno, si esprimeranno. Se giornalisti coraggiosi, che non infangano il loro mestiere, che ricercano la verità, riprendereanno inmano il diritto di cronaca, di raccontare ai lettori. Se la società civile sarà capace di  mobilitarsi per dire basta. Per urlare che in un paese civile un cittadino sotto la potestà giudiziaria dello Stato, qualsiasi cosa abbia commesso, non può morire così. Non può morire senza una spiegazione. Non può morire pestato a sangue.

LA BENE... MERITA?


Un ragazzo entra in una caserma dei carabinieri. Ne esce pestato a sangue. Muore. Il suo nome è Stefano Cucchi, e poteva essere chiunque. Un cittadino, tuo figlio, tuo fratello, un amico, tu. Il fatto che fosse tossicodipendente, semmai dovrebbe aumentare le attenzioni, la cura, il sostegno delle forze preposte a tutelarci, verso un soggetto debole della società. Invece no. E come Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino e molti altri, ci sono cittadini che escono da carceri e caserme pestati a morte. Vicende che in paese civile non hanno alcuna giustificazione, anche se si trattasse dei peggiori delinquenti.
La verità è che esistono due Italie: una dei cittadini comuni e l'altra di personaggi con la divisa e  l'autorità, la cui parola vale di più di quella dei normali cittadini, ma non solo: che godono dell'omertà se non della compiacenza di tutta una filiera di pasciuti statali fino ai media, a quel sistema mediatico, ai giornalisti che già ben conosciamo per il loro servilismo. Quanto ha dovuto lottare la mamma di Federico per far emergere il caso di suo figlio, assassinato da criminali in divisa in una strada di Ferrara? Solo l'evidenza inconfutabile del fatto e la sua tenacia hanno portato all'opinione pubblica e in tribunale quella vicenda. Ma l'omertà e la copertura, lo spirito di corpo vincono sempre. E gli agenti di polizia che hanno ucciso Federico sono liberi e fanno il loro lavoro. Un poliziotto che invece di aiutare un ragazzo in stato confusionale lo pesta a morte è come un professore di lettere che non conosce Dante. Ma mentre il secondo, con un po' di buona fortuna delle sue classi, lo mandano a casa, il primo no. Spesso lo promuovono.
Anche il caso Marrazzo è molto eloquente. E svela una realtà che nessuno dei media ha voluto toccare. Tutt'al più si è parlato di poche mele marce. Gli addetti all'informazione (compreso Santoro con Anno Zero) non dicono ciò che i giornalisti e tutti quelli della "mala" e le prostitute sanno: che di fianco alla normale attività delle forze di polizia si è creata una zona d'ombra, un porto franco di atteggiamenti, che vanno dal disprezzo per certe categorie deboli, esercitato con arroganza e violenza, fino ai casi limite di un eccesso di violenze, consapevole dell'impunità. Ma c'è di peggio: associazioni a delinquere che traggono profitti illeciti e criminosi negli ambiti della delinquenza comune: droga, prostituzione e altro, come si è visto nel caso dei carabinieri che fanno irruzione nella casa del trans Natalie, dove grazie a una soffiata, sanno esserci il presidente della Regione Lazio. Un fatto che non ha il sapore di un caso temporaneo, ma di una ben collaudata pratica, volta al ricatto su personaggi influenti colti in flagranza.
In tutto questo è complice la retorica di media e politici sul carabiniere e sul poliziotto, che alimenta la fiducia cieca e fanatica che il cittadino deve avere verso queste istituzioni e verso lo Stato. La retorica non aggiunge nulla a chi in queste istituzioni si è battuto ed è caduto facendo il suo mestiere e lottando contro i poteri criminali, anzi l'eroe onesto viene usato dalla retorica a favore di servitori dello Stato "meno nobili". Perché la retorica rende difficile mettere in discussione fatti che coinvolgono uomini delle istituzioni, che sono cittadini comuni e non dei supermen, favorisce chi impedisce o inquina le inchieste o le informazioni alla stampa.
Questa situazione ha contribuito a far allargare il fenomeno della corruzione e alimentare uno spirito di corpo fascista e "giustiziere", razzista contro le fasce deboli che oggi è ben diffuso negli apparati dello Stato che dovrebbero difenderci. Le mele marce, si sa, creano altre mele marce.
Dovremmo essere tutti cittadini uguali davanti la Legge. C'è qualcuno che lo è di più e usa la Legge per fini personali e per fare del male agli altri. Quindi all'intera comunità. E, per questo, la sua presenza nelle forze di polizia (che paghiamo noi cittadini) è un insulto ai poliziotti e ai carabinieri che hanno dato la vita in servizio per rendere questo paese più sicuro e civile.
Questa dovrebbe essere la riflessione giusta da fare per la festa del 2 novembre.

domenica 25 ottobre 2009

UBU RE


Il presidente della Regione Lazio che va con i trans: questo è il livello della politica italiana oggi. Giochi sporchi, servizi segreti, foto compromettenti da Berlusconi a Vieri. E la prouderie del popolino è direttamente relativa alla redemption di consensi che l'uno o l'altro carrozzone politico o cordata possono ottenere. Tutto ovviamente deve essere al centro dei riflettori, r-i-g-o-r-o-s-a-m-e-n-t-e. Programmi politici? Grandi questioni ideologiche? Forze politiche di massa? Tutto nel cesso. La gestione Veltroni ha dato il colpo di grazia... a noi, per parafrasare l'ultima sua minchiata letteraria. Dall'altra parte il partito del padrone, il partito azienda, che scricchiola, tra colpi bassi carsici. Chi prenderà il posto del grande puttaniere?
Questa è la politica italiana oggi. Intanto però, la politica, quella vera, segna centomila lavoratori a Roma con i cobas e le rdb. E il PD non ne parla. Non gli interessa, non è dentro i riflettori del cavaliere o di Rai 3. La politica italiana oggi sono i panini del Tg1, la sfilata di morti, tutti rigorosamente in fila in base alla forza d'appartenenza nei servizi tg. Quattro parole che non vogliono dire nulla, con metafore per bambini deficienti e sorrisini compiaciuti come a segnalare al giornalista tappeto "questa è quella buona".
La politica del PD in particolare, è Ubu Re di Jarry, che prende il potere e uccide in modo insensato tutti i nobili e dignitari che lo avevano aiutato. Se posso usare una metafora anch'io. Un forza che da primo partito d'opposizione, consegnato dai padri (non mi interessa qui discutere della "bontà politica" di Togliatti) viene buttata nel cesso. Nel cesso. Viene prima presa in mano da personaggi spregiudicati come D'Alema, Fassino, Bersani e completamente svilita nei suoi ideali portanti. Ovviamente dopo un lungo tirocinio di fedeltà cieca al sistema di potere, sin dagli anni '70, e di attacco a ogni forma di opposizione.
Se guardiamo indietro il cammino indecente di questi signori, non poteva essere che così.

venerdì 23 ottobre 2009

SULLE ELEZIONI DEL SEGRETARIO DEL PD




Alla vigilia di queste elezioni del segretario PD, che poco o nulla sposteranno nello scenario politico italiano, è inevitabile fare alcune riflessioni. Se mi ci tirassero per le palle e fossi obbligato con un fucile puntato a fare una scelta, beh, voterei Marino. Bersani è uomo d'apparato e ha come compagni di viaggio personaggi come D'Alema e Bassolino (è notizia di ieri che il bell'Antonio è stato ancora inquisito dalla magistratura): un autentico campione delle liberalizzazioni. Franceschini non è da meno. Al di là della simpatia epidermica che può sprigionare, rappresenta la continuità del Veltronismo, quella "vocazione maggioritaria" che ha reso minoritaria la sinistra in Italia, che ha disperso un capitale politico, che ha segnato l'approdo della politica dell'ex-PCI ai salotti di Bruno Vespa. Marino se non altro, pur essendo un esimio esponente di quei ceti baronali che campano sul servizio sanitario nazionale, rappresenta un elemento di discontinuità con la nomenklatura di derivazione pci e dc. E' più attento alla sua sinistra in una futura politica di alleanze.
Ma al di là di tutto questo, non ci vuole molta analisi per vedere che le primarie sono una farsa, che tutto è già deciso nelle stanze giuste, che la base non conta nulla e che la scollimazione tra dirigenti infilati nella pubblica amministrazione e a Palazzo e società civile resta e resterà. Se poi vogliamo vedere l'aspetto metodologico, non penso che le primarie, anche funzionassero, siano un segno di democrazia. Rappresentano l'affermazione dell'agrippismo più becero. Io Menenio Agrippa tengo in considerazione la plebe... ma la politica la fanno i patrizi. Qui addirittura la cosa è della serie: vi ascoltiamo e poi facciamo quello che ci pare, variante meno fascista, ma non per questo meno "nobiliare" di "io so' io e voi nun siete un cazzo". Fingo dei mandati dal corpo elettorale, ma poi la politica "quella vera" la faccio io, servendomi di quadri intermedi zelanti. Anche la democrazia rappresentativa, elettorale, quella delle nostre democrazie occidentali diventa un vuoto simulacro liturgico di fronte a questa "politica", ossia senza partecipazione alla politica della gente, tradotto a sinistra: della classe. La rivoluzione democratica che il paese si attende, ha bisogno di ben altro. Ha bisogno di una massa critica organizzata che rompa tutti questi argini che vogliono separare il popolo dai luoghi deputati alle decisioni, dalle stanze del potere di partito. Da queste organizzazioni "leggere", che di massa non hanno più nulla e che hanno la precisa funzione di disattivare ogni azione politica che provenga "dal basso". Questo meccanismo lo avevamo già visto negli anni '70, con un PCI che di fronte all'acutizzarsi dello scontro sociale, preferì schierarsi con il potere democristiano, evitando ogni dialettica, ogni confronto politico con quella parte di sinistra e di società che poneva questioni non certo lontane da una visione di costruzione del socialismo e del comunismo. Lo storico inglese Anderson, ha ben delineato (cito un articolo di Ida Dominijanni sul Manifesto) la tara di fondo del PCI, sin da allora e ancor prima, risiedeva in "una prassi dominata dalla ricerca del consenso più che dall'esercizio del conflitto".
Democrazia di partito è un lavoro politico finalizzato a dare valenza politica a ogni istanza di lotta sociale che parta da un giusto punto vista politico, è favorire la partecipazione politica stabile e organica al partito stesso delle realtà critiche che si formano nella società. Gli attivisti di partito non devono essere capi bastone con le mani in pasta ovunque, ma autentici servitori dell'azione politica di massa, dell'autorganizzazione. Questo è il senso dell'avanguardia politica. Le primarie si esercitano nei contesti specifici dello scontro sociale e non hanno bisogno di contratti formali. Così come laddove il capitalismo distrugge e imputridisce le risorse e i mezzi stessi della sua riproduzione, deve affermarsi l'autogestione delle classi subalterne. Lo si è visto da sempre. Le forze partigiane durante la Resistenza avevano anche il compito, non certo secondario, di salvare le fabbriche, gli impianti industriali.
Altro che partecipazione alla politica di partito! Oggi, con un PD che è composto da veri e propri comitati d'affari locali, con le sue entrature negli apparati della burocrazia di Stato, nei consigli di amministrazione del potere finanziario, con la sua prassi di amministrare la res publica con pura logica di mercato, le primarie rappresentano una presa in giro per centinaia di migliaia di cittadini, donne, lavoratori, pensionati, giovani. Chi andrà a votare alle primarie, andrà semplicemente a scegliere quale segretario dovrà in primo luogo conciliare le ambizioni e gli appetiti degli uomini di apparato. Hanno bisogno dell'imprimatur nostro per fare loro quello che gli pare.
Le primarie del PD non sono il segno di una partecipazione popolare, sono solo una loro inutile caricatura.

lunedì 19 ottobre 2009

SINDACALISMO IMBECILLE E... POLTRONE!


Il servizio di Report, che ho visto ieri sera su RAI 3, svela i danni che alcuni industriali italiani e cinesi, hanno causato al comprensorio forlivese del divano, complici note case come Roche Bobois e Poltrone & Sofà. In pratica sfruttando il lavoro nero  di veri e propri schiavi cinesi, hanno messo in ginocchio decine di aziende contoterziste, in molti casi facendole chiudere. Un altro caso di concorrenza sleale che sfrutta le maniche larghe della nostra legislazione sul lavoro. Un servizio reso in termini di profitto ai soliti furbi, che hanno nomi e cognomi, marchi di lusso nel settore dei poltroniero. Per chi sfrutta i lavoratori con il lavoro nero, nei paesi civili, c'è la galera. In Italia no. Oltretutto e paradossalmente (ma in apparenza) la legge forcaiola sull'immigrazione, fatta dal governo Berlusconi, ha diminuito la sanzione, portandola da 2500 a 1500 Euro. Questo per capire di chi fa gli interessi questo governo: quelli del padronato più sordido e spregiudicato nello sfruttare i lavoratori, senza mettere in regola, senza copertura previdenziale, o al massimo pagando a part time (4 ore) giornate lavorative di 14 ore.
L'ingresso nel mercato del lavoro di manod'opera ridotta alla semischiavitù, quest'opera di schifosa concorrenza sleale, se da una parte è ciccia per gli speculatori che hanno show room nei principali centri storici delle nostre città, dall'altra ha messo a casa migliaia di lavoratori, ha colpito gli imprenditori onesti, con un grande rischio: di vedere cancellare dalla storia economico-sociale e culturale del territorio mestieri, saperi artigianali, abilità ed eccellenze di prodotto. Tutto questo è avvenuto nella completa omertà delle istituzioni e delle organizzazioni sindacali. Patronati che tenevano la contabilità di questi straordinari imprenditori cinesi (che con soli 20 addetti producevano divani per 80) sono stati zitti. CNA e soci potevano capire che c'era qualcosa che non quadrava. Invece no: e con il loro disinteresse hanno danneggiato i loro stessi iscritti. Per non parlare dei sindacati, approdati alla più surreale delle imbecillità, nel sostenere che colpire il lavoro nero dei cinesi significherebbe colpire i loro diritti di cittadinanza!... Invece di mobilitare i lavoratori con manifestazioni e picchettaggi davanti alle fabbriche della vergogna, che riportano indietro i diritti del lavoro di 250 anni, non hanno fatto un cazzo, trincerandosi di fronte a non si capisce bene quali diritti di cittadinanza: come se un cinese per diventare cittadino italiano, debba lavorare alle stesse condizioni (se non peggio) di un servo della gleba della Russia pre-Ottobre '17.
Questo è il sindacato oggi, CGIL, CISL o UIL che sia: tutto meno che una forza etica prima ancora che sociale, con il compito di muoversi con inchieste sul lavoro operaio, e di azione sindacale concertata se possibile con le istituzioni, per colpire il lavoro nero, le boite dello schiavismo familiare cinese o di qualsiasi etnia. Gli strumenti legali per costringere i padroni cinesi e i loro referenti italiani a rispettare i contratti nazionali e la normativa sul lavoro, ci sarebbero. Ma la triplice sindacale non se ne serve. In realtà, dietro a queste prese di posizione sindacali c'è la disabitudine a non fare il proprio mestiere. Ci si fa vedere solo quando gli operai salgono sui carriponte presi dalla disperazione. Peggio: c'è l'intenzione di non disturbare interessi che vanno fuori dal lecito. Se poi consideriamo che il fenomeno del lavoro nero e sottopagato, della "cinesizzazione" dei comprensori industriali ha invaso numerosi settori: dalle calzature all'abbigliamento, la responsabilità di questa ignavia sindacale diviene di enormi proporzioni. Un altro segnale di mancanza di una vera opposizione politica e sindacale nel nostro paese. Un altro regalino di D'Alema & C., e dei loro amici ex-democristi.

domenica 18 ottobre 2009

LIBERA CHIESA IN STATO OCCUPATO


Il caso della Binetti nelle votazioni per le legge contro l'omofobia, ha evidenziato nel PD quella che rappresenta sin dalla sua nascita una vera e propria tara politica: la mancanza di una scelta laica coerente. Fa strano che personaggi che vestono il cilicio e considerano malati gli omosessuali possano avere cittadinanza politica dentro una forza che si ritenga anche solo vagamente democratica. Sbattere fuori la Binetti dal partito potrebbe sembrare un atto di antidemocrazia. In realtà rappresenterebbe un atto di civiltà, un segnale forte e inequivoco per tutto il corpo elettorale: quel popolo di centro-sinistra che pone la laicità delle istituzioni come un caposaldo per uno stato realmente democratico e una società civile. E non ultimi, per tutti quei cattolici che sono cresciuti sul Vangelo, quello del porgi l'altra guancia, dei diritti umani, della fratellanza, del riconoscimento e condivisione del medesimo pane tra diversi. Non sono pochi e soprattutto non sono rappresentati da questa Chiesa che detta legge ovunque, che con questo governo più degli altri, tiene nell'arretratezza il paese sul piano della ricerca medico-scientifica e su quello dei diritti civili. Sembra di essere tornati al rapporto tra Chiesa e fascismo ai tempi di Mussolini. Alla Chiesa non interessano gli intrecci criminali di questa classe politica di regime con la mafia, la perversione di costume del premier Berlusconi. Interessa la pioggia di soldi per le scuole private, gli sgravi fiscali preferenziali, che rendono la Chiesa meno uguale di altri enti contribuenti. Su tutto questo il PD è molto ambiguo. Crede che attaccare la Chiesa quando questa condiziona la vita politica italiana, voglia dire alienarsi l'elettorato cattolico, che i cattolici siano tutti allineati sulle posizioni ratzingeriane. Crede che una politica laica porterebbe a perdere i voti dei "cittadini centristi e perbene". E si tiene pustole purulente e infette come la Binetti. Un'altra ragione per la quale oggi in Italia non esiste una vera opposizione al clericofascismo dominante. La questione della laicità dello stato e del suo portato di diritti civili, dalla questione delle coppie gay all'ora di religione, è un punto cardine per lo sviluppo della democrazia in Italia. Finché non si contrasterà con forza l'omofobia, finché su questo aspetto esisteranno ambiguità in chi si pone come forza d'opposizione maggioritaria, finché nel PD ci saranno personaggi più adatti ai secoli della santa inquisizione che a un partito moderno e laico, la politica del centro-sinistra sarà di subordine ideologico al pensiero dominante sostenuto dalle parti più reazionarie della società. Avrà ben poco da proporre e contribuirà a rendere meno liberi e con meno diritti milioni di cittadini.

domenica 11 ottobre 2009

GERMANIA UNITA' A SINISTRA


di Antonio Morandi

“Die Linke ist geboren”. È nata die Linke, la sinistra. Vedere l’annuncio scorrere sui grandi video nella metro di Berlino, alle dieci di sera, tra i titoli delle notizie importanti della giornata, fa un certo effetto. Come una potente lente, ingrandisce la dimensione dell’avvenimento e sembra dare l’idea dello scossone che il mondo politico tedesco riceve con questa notizia. 
A metà giugno, in un efficientissimo palazzo dei congressi del centro città, in due giorni avvengono fatti straordinari: vengono sciolti la WASG (Wahl Alternative Soziale Gerechtigheit), la formazione “voto alternativo per la giustizia sociale” nata 3 anni fa come movimento della sinistra socialdemocratica e socialista, l’ala del lavoro, quella con leader Oskar Lafontaine, in rotta con l’allora cancelliere Schroeder. 
E viene sciolto il PDS - die Linke (Partei des Democratischen Sozialismus): il PDS presente dal 1989 in Parlamento e la die Linke, l’aggregazione formatasi due anni fa. 
Lo stesso giorno, in due sale differenti, ma simultaneamente, l’addio a queste esperienze ormai superate. 
Il giorno dopo, in un grande salone, riempito all’inverosimile da parecchie centinaia di giovani, vecchi, donne, lavoratori, la nascita del nuovo partito Die Linke
Dopo due anni di trattative, di incontri e a coronamento di un percorso di conferenze programmatiche, la svolta. I postcomunisti della PDS dell’est, guidati da Lothar Bisky e dall’istrionico Gregor Gysi e gli ex socialdemocratici di Lafontaine si uniscono in un solo partito. 
“Un avvenimento eccezionale in un Paese che ha sempre avuto una grande stabilità, un fenomeno storico” ci dice Harald Werner, portavoce e storico esponente del PDS. “Da oggi lavoriamo uniti sulle priorità che il nostro programma ha precisato: lotta alla precarietà, questione salariale, ovvero salario minimo, pensioni”. 
Axel Troost, eletto ora nella direzione del nuovo partito Die Linke, ha una lunga esperienza sindacale e viene dalla WASG. Tanto per essere concreto ci consegna alcuni dati che fotografano la realtà tedesca, proprio partendo dalla precarietà del lavoro e da una disoccupazione di massa. Le ultime rilevazioni parlano di dati che non migliorano e attestano tra i 5 ed i 6 milioni i disoccupati, ossia un tasso del 10%, con caratteristiche di disoccupazione lunga per le donne ultra quarantacinquenni e per gli uomini con più di 50 anni. Ma anche dati che indicano un allargamento delle occupazioni con basso reddito, se è vero che più di tre milioni e mezzo di persone nella repubblica federale lavorano a tempo pieno e sono sottopagati e che negli ultimi anni si è registrato un abbassamento dei salari reali. 
Per quanto riguarda gli occupati prosegue il fenomeno della “deregolamentazione del salario”: ovvero della lunga casistica delle Aziende che escono volontariamente dalle loro associazioni di categoria imprenditoriali e quindi non si sentono più vincolate al mantenimento degli accordi sindacali stipulati. Parte da qui la richiesta pressante dell’introduzione del salario minimo legale, uno dei punti focali della battaglia della sinistra tedesca, norme che blocchino gli escamotage delle imprese che già sono favorite dalla politica della Grosse Koalition tendente all’alleggerimento dei loro costi sociali. In altre parole in un panorama dove per mantenere livelli anche minimi di stato sociale, i dipendenti devono pagare di più e affidarsi alle assicurazioni private. 
Ulla Lotzer, che siede nel Buntestag, eletta nel Nordrhein-Werstfalen e vive a Colonia, è responsabile del settore sviluppo e globalizzazione della Die Linke. Non ha dubbi: “Quella dei salari è una questione prioritaria e presenta tanti aspetti. Uno è quello della parità uomo donna, dove le scelte del capitale creano concorrenza a scapito del costo del lavoro e dei servizi sociali”. Oppure, aggiunge, “nei settori dell’educazione della formazione, dove le aziende spendono sempre meno, i giovani lavorano come apprendisti senza tutele formative” 
Per completare il quadro Axel Troost aggiunge: “Non dimentichiamo che oggi la distanza tra salario e pensione è la più grande d’Europa e che una parte del sistema pensionistico è già stata privatizzata, mentre è già diventata legge la brutta proposta di innalzamento dell’età a 67 anni per la pensione, innalzamento che scatterà dall’anno 2012”. 
Giustizia sociale innanzitutto e basta con i taglia al welfare, riconquista della centralità dei temi del lavoro, no deciso al neoliberalismo, via da tutti i teatri di guerra che vedono la presenza tedesca, oggi in Afghanistan con i caschi blu e nell’area balcanica. 
E’ la sfida che la nuova formazione della sinistra unita ha lanciato al mondo politico tedesco, alla Grosse Koalition, alla Spd, ma anche un richiamo ai disaffezionati della politica. 
Certo una sfida che fa paura a molti. Già oggi Die Linke conta l’8,7 per cento nello scenario politico tedesco ed è forte di 53 deputati al Bundestag, il Parlamento federale tedesco. 
“Senza contare che già oggi possiamo contare su oltre 500 consiglieri municipali e 7 parlamentari europei, oltre a buone percentuali dei vari Land e con il recente brillante risultato della città stato di Brema” aggiunge Ulla Lotzer. 
Insomma una nascita che può smuovere davvero la scena politica tedesca e proporre inediti scenari. 
“Avremmo fallito di fronte alla storia, se non avessimo costruito la nuova sinistra” grida dal palco centrale un Oskar Lafontaine sommerso dalle ovazioni di una platea che libera finalmente la tensione dell’attesa. 
“Riporteremo al voto i delusi, daremo al nostro marchio la credibilità di gente onesta che lavora e vuole cambiare la politica, come abbiamo fatto al recente G8, dove siamo stati il solo partito dalla parte dei no global non violenti in piazza. Abbiamo un grande compito, coniugare libertà insieme al socialismo”. 
A 16 anni dall’unificazione delle due Germanie, qualcosa di nuovo sta accadendo in questa parte di mondo, perché come ricorda Gysi, il leader che avviò la trasformazione del partito comunista della Germania est “essere a sinistra non vuol dire avere sempre la maggioranza nella società, ma essere riconoscibili, avere un’identità”.

LA SAGA DEI PERDENTI


Continua la saga - o forse è meglio dire sagra - della sinistra radicale. Questa volta sono di scena i Verdi. Contro ogni pronostico la fazione che voleva portare i Verdi ad aderire a Sinistra e Libertà ha perso il congresso, con Bonelli eletto segretario verso un partito autonomo dell'ecologismo (presunto) italiano. Ovviamente gli sconfitti non ci stanno e il loro prossimo passo sarà quello di dare vita a una forza politica che aderirà a SEL. Insomma, un casino. E in questo caos, dove tutti si mettono con tutti, craxiani con Vendola e Sd, Ferrero con Salvi, dove quando non si è d'accordo ci si scinde come nano-molecole di stronzio solido, regna sovrana la destra. Che astutamente unita... governa! Tutti questi personaggi non si rendono conto di essere meramente autoreferenziali. Fanno congressi enfatici e non hanno nessun legame con le masse popolari  che vorrebbero rappresentare e con quanto accade nel paese. Sono un ammasso di patetici imbecilli, attaccati al loro politicantismo d'accatto. Quando penso a personaggi come Pertini, che con una frase esprimevano un mondo di valori, un programma ben comprensibile a tutti, quando la mia mente torna alla pasta di donne e uomini di sinistra che hanno fatto la Resistenza e hanno saputo costruire una democrazia, una carta costituzionale evoluta, e poi vedo il teatrino di questi mentecatti, mi viene l'impulso di prendere un bastone e fare come Fasoulein... zo bot, a chi tocca tocca, che comunque prendi bene. Tutta questa gente deve andare a casa. Non è stata in grado di costruire nulla, di lasciare forze politiche credibili alle future generazioni di compagni. Fa schifo. E' la lebbra della sinistra. Cosa prenderanno Rifondazione, Sinistra e Libertà, i Verdi magari coalizzati con i radicali e i craxiani, alle prossime elezioni? lo 0,01 ciascuno? E' quello che si meritano.

P.S.: CHI E' IL PERSONAGGIO NEL DISEGNO QUI SOPRA? SERGIO BONELLI, IL BONELLI CHE PREFERISCO: L'AUTORE DI TEX WILLER.

venerdì 9 ottobre 2009

LA QUESTIONE ITALIANA


A rivedere la parte finale de "Il Caimano" vengono i brividi. L'attualità del film di Moretti è sconvolgente, ma in realtà è da anni che nel nostro paese assistiamo a un attacco alla democrazia. Nulla di nuovo, tanto di annunciato. Concentrazione delle principali reti televisive (Fort Alamo Rai 3 esclusa... ma assaltata di continuo) nelle mani del premier, snaturamento delle funzioni del Parlamento con decreti leggi e votazioni blindate con la fiducia, stravolgimento del principio "la legge è uguale per tutti" con leggi ad personam, attacco ai poteri di parti importanti dello Stato, vedi Corte Costituzionale e magistratura, ingresso dei capitali sporchi delle mafie e dei bancarottieri d'ogni risma nel contesto economico legale con lo scudo fiscale, che significa legittimazione di un sistema basato sulla concorrenza sleale, la corruzione, la criminalità a più livelli. Un attacco alla nozione stessa di democrazia, per come l'Occidente l'ha concepita. In discussione c'è il paradigma liberal-democratico da parte di un liberismo criminale, sfascista e fascista che rende l'Italia un'anomalia nel quadro internazionale, associando il nostro paese più a una dittatura pseudo-democratica del terzo mondo che a un sistema democratico moderno. In tutto questo vediamo un'opposizione che non è opposizione, che fa finta che ci sia un rapporto d'alternanza tra forze politiche che si riconoscono parti di un sistema bipolare. Non è così. L'anomalia italiana è tutta e solo italiana, in un contesto internazionale dove neppure gli USA hanno più quel ruolo di regia occulta che hanno contrassegnato i decenni di potere democristiano. Il nostro è un totalitarismo squisitamente autoctono.
Mai come oggi la lotta per affermare principi democratici e regole costituzionali, sempre più sulla carta e meno nel paese reale, coincide con la questione sociale. Tre milioni di persone in Italia fanno la fame, un milione e mezzo di famiglie, il 4% della popolazione. Non è poco. Negli anni '60 e '70, una parte importante della sinistra, quella extra-parlamentare e anticapitalistica, disdegnava gli elementi fondativi della Costituzione, bollava lo Stato come "stato borghese", abbandonando completamente il terreno dei principi che avevano dato vita alla nostra democrazia nella Resistenza partigiana. Forze massimaliste che si crogiolavano nell'incontrovertibile postulato marxiano che definiva l'ontologia sovrastrutturale borghese delle società capitalistiche. Una tattica suicida che non trova alcun riscontro nel quadro della lotta politica odierna. Al tragico vuoto lasciato da un ex-PCI (oggi in parte PD) giunto al suo approdo pragmatico aderente al pensiero unico del liberismo molto più simile alla visione di un Tony Blair, fa da contraltare l'assenza politica della sinistra anticapitalistica, che avrebbe molto da dire e da fare in un contesto legalitario, oggi.
E' in questo scenario che la debolezza di un regime sfascista come quello berlusconiano, privo di riferimenti oltreoceano, ma con agganci con la mafia e i poteri criminali, diviene forza. Nell'ignavia demenziale di una sinistra che in entrambe le sue varianti: liberista e anticapitalista, si è suicidata.

giovedì 8 ottobre 2009

L'ORA CILENA


L'attacco di Berlusconi al capo dello Stato e alla Corte Costituzionale può sembrare una boutade umorale. In realtà è un ennesimo tassello del golpe strisciante che una parte dei poteri forti sta portando avanti con questo governo. La maggior parte dei commentatori internazionali vedono le dimissioni di Berlusconi come un atto inevitabile. Il Times:"Berlusconi si deve dimettere...". Ma solo qui in Italia questa eventualità è considerata non opportuna. Anche il PD si unisce al coro di quelli che dicono: è stato eletto, deve governare. Bersani & Amici (chiamarli compagni ormai sarebbe un insulto a 150 di lotte operaie e contadine), dimostrano la miopia politica dettata dalla connivenza. Berlusconi e il verminaio politico ed economico di relazioni con la criminalità organizzata è qualcoa di scontato e accettabile. Alla faccia di quando si lottava per far cadere governi democristiani, meno spudoratamente filo-criminali come invece è questo. Avvantaggiarsi politicamente su Berlusconi, ma senza farlo cadere, per carità! Questa è la linea di una falsa opposizione compromessa con questi interessi. Cane non mangia cane.
Il problema è che non esiste una forza politica nel paese, in grado di rappresentare concretamente l'opposizione sociale che sta crescendo. Quando i nodi verranno al pettine, e lo prevedo nei prossimi mesi, quando scoppierò in tutta la sua virulenza la questione sociale, i rischi di una sterzata autoritaria sono molto concreti. Berlusconi rappresenta un'anomalia veramente preoccupante nell'ambito dei paesi dell'occidente capitalistico a democrazia parlamentare. Un'anomalia che sta uscendo dai binari della legalità, della democrazia rappresentativa, delle regole sui media che gli altri paesi hanno di default. Il governo Berlusconi è avvezzo ai colpi di mano, a una governance arrogante, fatta di decreti e fiducie alle Camere. Il passo alla repressione, alla caccia alle streghe, alle carceri per gli oppositori è breve.

martedì 6 ottobre 2009

LA CLASSE

Mi torna in mente una bellissima spiegazione sulla centralità operaia nelle società pre-capitalistica e capitalistica, nel processo rivoluzionario. Una spiegazione che diede un partigiano comunista, il commissario politico di una Brigata Garibaldi a un suo compagno. Prese l'esempio dei contadini. I contadini una volta fatta la rivoluzione, espropriano le terre ai latifondisti. Ma tendenzialmente cosa fanno? Se le dividono: ognuno il suo pezzo di terra. E gli operai, cosa si dividono? Uno un tornio, l'altro una pressa? La classe operaia è per sua natura la classe che ha l'interesse materiale, per la sua posizione nel processo produttivo e di riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici, a portare la società verso il socialismo, verso la socializzazione dei mezzi di produzione. Questo era vero nelle società pre-borghesi ed è stato vero per tutto il Novecento nelle società a capitalismo avanzato, nel taylorismo. Sino ad oggi. Ma con una differenza (parlo delle società a capitalismo avanzato): che la riproduzione capitalistica e la divisione del lavoro, la parcellizzazione dei momenti della produzione si sono estese anche fuori dalla fabbrica, nei processi di riproduzione economica come il terziario e il commercio, e sociale come le istituzioni e il territorio. Ciò significa che la centralità della classe operaia è condivisa con altri soggetti che non potrebbero appropriarsi di alcun momento od oggetto della riproduzione materiale della società, se non a livello collettivo. Ciò descrive bene l'attualità del socialismo/comunimo, come politica volta alla collettivizzazione della riproduzione sociale, superando l'alienazione del bene comune e delle risorse, della proprietà dei mezzi portanti del funzionamento della società, oggi nelle mani di una classe ristretta, imprenditoriale e finanziaria, nella disponibilità amministrativa di consorterie, lobbies, della casta politica dell'inciucio.
La rivolta della società civile allo scempio del bene comune, alla dittatura mediatica che descrive l'odierna società italiana come una nuova forma di totalitarismo da programma televisivo, deve far riflettere la sinistra. Una sinistra radicale che è rimasta a un'analisi della composizione di classe su vecchie categorie: la visione fordista di separatezza tra operaio massa e tutto ciò che è esterno al processo di produzione e la visione operaistica che è stata in grado di leggere solo mutamenti temporanei: il decentramento produttivo sul finire del secolo scorso. Occorre quindi ridefinire una morfologia della classe. La produzione vera, oggi, è la riproduzione sociale nella sua interezza, ciò che la classe non può scomporre e che va dalla produzione di beni fino alla produzione di senso e consenso. Ma è ciò che anche conferisce una nuova centralità diffusa ai nuovi soggetti alienati (ossia: allontanati dalla ricchezza sociale, dal potere, dall'amministrazione, dai luoghi di produzione della cultura dominante): dalle scorie post-borghesi che sopravvivono nelle metropoli ai lavoratori salariati, dai migranti clandestini ai disoccupati e ai precari, in un melange sociale che spesso non è facilmente connotabile.
Si è detto in molte sedi come in Italia (e non solo) si stia creando un forte divario tra ricchezza e povertà, con interi strati della piccola e media borghesia ridotti all'indigenza. Ma a nessuno viene in mente che la classe che in una società come l'attuale, dove non c'è più nulla da dividere nel processo produttivo, è, anzi sono esattamente quelle categorie sociali che hanno l'interesse materiale (anche se non ancora consapevole) a collettivizzare attraverso un processo di riappropriazione dei mezzi di produzione e riproduzione sociale. I soggetti da grande fabbrica, hanno solo una cifra in più, ma che non dà loro alcun primato: l'organizzazione del lavoro, la sua divisione che porta storicamente e anche oggi a legami sociali e interpersonali e a forme di organizzazione che altri strati sociali non hanno. E' una maggiore facilità alla presa di coscienza e all'organizzazione di base, dal basso. In questo la classe operaia deve tornare a essere trainante. I fatti della INNSE e dei mille rivoli di lotta operaia lo dimostrano. Ma non è una centralità di classe, bensì NELLA CLASSE. Un processo che non può funzionare se non fa da collante all'intera classe sociale estremamente diversificata e parcellizzata, che deve e può prendere coscienza di sé. Ciò che è difficile a farsi è la pars costruens: la classe per sé. La classe in sé esiste già da decenni nelle società mature, nelle periferie metropolitane, nei grandi flussi di migranti. La lotta per i diritti e per la democrazia, è parte integrante di questo percorso. Oggi anche gli strati ex-borghesi decaduti, delle sciure maria alle mense della Caritas, degli immigrati preda delle micro-criminalità, delle famiglie che non arrivano alla terza settimana, posseggono OGGETTIVAMENTE l' interesse alla riappropriazione di ricchezza sociale e di mezzi di riproduzione, che coincidono con la questione democratica, il demos-popolo che esercita cratia-potere. La pars construens è la pars costituens in questa società. Esattamente come i movimenti operai si facevano stato. Deve divenire potere costituente. Chi non capisce questo, continuerà a fare, sindacalismo fine a se stesso, una difesa di bandiera di una composizione di classe che è profondamente mutata, rincorrendo i fantasmi del proprio passato.

lunedì 5 ottobre 2009

L'ESEMPIO DELLA INNSE

 
Il 12 ottobre prossimo, i lavoratori della INNSE rientreranno a lavorare nello stabilimento che li ha visti protagonisti di una lotta durata 15 mesi, dove alcuni di loro sono saliti su un carroponte per 8 giorni, con il caldo rovente e in uno spazio angusto. Una lotta che è da esempio per tutti i lavoratori, diciamolo per il movimento operaio. Perché dimostra come con la lotta dura, ad oltranza sia possibile vincere. Vincere ed estendere la lotta per il diritto al lavoro e a una vita dignitosa a tutti i settori sociali che subiscono la crisi con condizioni di vita da quarto mondo. E' un problema di sopravvivenza, ma non solo. Una lotta di questo tipo è l'embrione di una ritrovata coesione sociale, quella che una volta si chiamava unità di classe, contro una controparte sempre più arrogante. Difendere il posto di lavoro, forse per qualche operaista dell'ultim'ora potrà sembrare una nota d'enfasi a favore del mito del lavoro. In realtà è la dimostrazione più evidente che la classe operaia ha l'interesse a difendere il bene comune, le risorse produttive che muovono il sistema sociale, qualunque esso sia. Non invece è così per gli speculatori, per i capitalisti in quanto tali, che trasformano in capitale finanziario il capitale fisso, ossia i macchinari, svendendoli a pezzi, spostando danari verso investimenti più remunerativi. Quindi, da una parte il profitto, dall'altra la collettività, da una parte gli interessi egoistici e voraci, che escludono nel godimento privato dei beni una parte vasta a favore una parte ben più ristretta, dall'altra la compartecipazione al processo produttivo, allo sviluppo di una nuova società, carica di valori umanistici, di condivisione. Ecco cosa va tratto da questa esperienza. E non è un caso che la lotta dei lavoratori della INNSE sia passata nell'indifferenza dei vari esponenti del PD. E' la metamorfosi definitiva a partito privo di una storia politica, privo di una posizione chiara, intriso di tutta la retorica patriottica dell'ambiguità. La vera Italia, la vera Europa, la continuità con i valori conquistati col sangue della Resistenza dai nostri padri è proprio nell'esperienza dei lavoratori della INNSE. Non a caso gli operai gridavano una parola: "resistenza"... Da qui occorre ripartire. E guardare al 7% del partito comunista greco, all'8% della Linke, ricominciare a contarsi e a contare. Nella lotta democratica, civile. Ma dura e intransigente.

sabato 3 ottobre 2009

IL PEGGIOR PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


"Chi mi critica non conosce la Costituzione..." dice Napolitano dopo l'ennesima firma vergognosa. Sì, perché il Presidente della Repubblica, che Grillo chiama giustamente Morfeo, ha firmato quella porcheria della legge economica che contempla lo scudo fiscale: il miglior regalo che mai governo abbia fatto alla criminalità organizzata, ai malversatori che non pagano le tasse e a delinquenti economici, mafiosi d'ogni risma. Napolitano avrebbe firmato anche la legge truffa, e firmerebbe anche la riapertura di Mathausen. Basta che sia un "atto legale". Notaio dell'imbecillità e dell'ignavia. Una vergogna iniziata il giorno prima, quando grazie ai suoi compagni di partito (ma l'hanno studiata?) la legge è passata al Parlamento per soli 20 voti. Complici le assenze di esponenti della cosiddetta opposizione. Un atteggiamento che la dice lunga sulle connivenze o, nella migliore delle ipotesi sul menefreghismo fancazzista dei peones del PD e dell'UDC.
Gente che tradisce lo spirito dei padri della Costituzione, la classe politica ex-pci ed ex-dc è un'accozzaglia di burocrati, quella del bivacco nel transatlantico, contabili dello sfacelo verso cui sta correndo il paese. "Tanto avrei dovuto firmare alla seconda presentazione...". Ma che razza di presidente è questo? Migliorista ai tempi del PCI, è andato peggiorando col tempo, al contrario dei buoni rossi. Ma lui rosso, non lo è più da molto tempo.

ANALISI DELLA FASE E PROGRAMMA

Questo spazio non vuole essere il solito blog di denuncia. Fortunatamente ce ne sono già tanti, ma occorre sottolineare la necessità comunque di avere sempre fonti attendibili. Oggi Spartaco aderisce alla manifestazione per la libertà di stampa. Non voglio addentrarmi nelle ragioni: sono quelle che la Gabanelli, Travaglio e gran parte delle voci fuori dal coro esprimono da anni, nel monopolio berlusconiano sui media e contraltare DS-PD nelle spartizioni partitiche in RAI. Voglio però cogliere l'occasione per continuare nel mio ragionamento, la sinistra e il socialismo.
La manifestazione di oggi evidenzia due cose. La prima: stiamo vivendo una questione democratica grande come un palazzo a duecento piani. Stravolgimento della Costituzione con leggi ad personam, concentrazione di poteri dei media, attacco alla libertà d'espressione. Tutto questo si traduce in potere economico e finanziario totalmente libero di dettare l'agenda di tutti i governi, di tutti i colori. E questo è il secondo aspetto, la questione sociale. L'egemonia delle lobbies bancarie, finanziarie e di quella parte dell'industria ad esse legate, al di là delle diatribe interne tra loro, ha portato a rendere più grave la crisi, ha contribuito al deterioramento delle condizioni di vita delle categorie sociali come quelle del lavoro dipendente e precario. Disoccupazione, licenziamenti, potere salariale bassissimo. Il problema è: chi governerà il conflitto sociale (leggi: lotta di classe) e chi darà forza e impulso a una politica di classe radicata nella società. Senza velleità infantilistiche e suicide, ma con un progetto serio. Ma soprattutto quale progetto serio. Queste sono le caratteristiche di questa fase. E' in atto un colpo di stato strisciante da parte di forze che rappresentano la continuità con il piduismo. Per prima cosa va capito che ci sono settori della borghesia e dell'intellettualità borghese e della società civile democratica che si oppongono a questa ascesa di nuovo fascismo incarnata dal berlusconismo. Questione democratica: alleanza con questi settori della borghesia. Questione sociale: alleanza con questi settori della borghesia sostenendo da sinistra anche un'agenda liberaldemocratica pura che ridimensioni a favore del bene comune la concentrazione di poteri che si è determinata nel mondo della finanza e della grande imprenditoria italiana, il corporativismo, le corruttele e i privilegi, il dominio del consorterie parassitarie. Sostenere politiche di sviluppo dell'imprenditoria sana, del cooperativismo e delle reti d'impresa, favorire la ricerca e l'innovazione, riconvertire produzione di energia e di beni, stili di vita e di consumo all'eco-sostenibilità, controllo statale delle principali risorse come l'acqua. Politiche serie contro l'inquinamento. Stoppare sul nascere il ritorno al nucleare e sviluppare energie alternative all'idrocarburo. Garantire una soglia di vita dignitosa, benessere e sanità a tutti. Istruzione pubblica e fine delle baronie, ridimensionamento della pioggia di soldi che i precedenti governi hanno elargito alla Chiesa. Laicità dello stato e delle istituzioni. Diritti a tutti nella libertà di culto, sessuale, matrimoni gay. Lotta al razzismo con politiche educative e di integrazione sin dall'asilo e con leggi severe.
Ascoltando l'intellighenzia alla Travaglio, questo programma, rivoluzionario per le conseguenze e la portata del cambiamento che ne conseguirebbe, è condiviso da una larga parte di settori borghesi. E' un programma che sta dentro una visione liberaldemocratica di sinistra. Paradossalmente è proprio il PD che non lo può realizzare. E non lo vuole. Il PD è un coacervo di forze legate chi al mondo cattolico più reazionario (Rutelli, Binetti), chi al mondo delle banche (D'Alema e Bersani) e via dicendo. E' dalla società civile che devono rinascere le forze politiche dell'umanità futura. Con la Costituzione alla mano. Con tutte le differenze di una società democratica e pluralista. Come le forze dell'antifascismo nella Resistenza. Una nuova Resistenza, che sbatta via a calci in culo dallo scenario politico queste forme putride di egemonia di casta, di rappresentanza di interessi parassitari, burocratici, finanziari. A casa i boiardi.
Il nuovo non è neppure nei partitini di quello che rimane della sinistra radicale. L'ho accennato nel post precedente. Il nuovo non ha ancora forma politica, ma c'è. E se non ci spicciamo a dare forme organizzate e progettuali al malcontento che sta esplodendo, la conflittualità diventerà molto difficile da indirizzare e governare. E il colpo di stato strisciante avrà un'acellerata con l'alibi dell'ordine pubblico e della lotta al terrorismo.
Solo un'ultima cosa. Siamo di fronte alla concreta possibilità di una catastrofe ambientale di immani proporzioni. Una governance socialista e di stato della res publica è quindi ancor più - oltre al suo portato di ragioni sociali - una necessità imprescindibile. L'autogestione, il socialismo, ossia forme di amministrazione collettivistiche del bene comune nell'uguaglianza nei diritti e nelle libertà economiche e sociali regolate, sono una necessità epocale. Non c'è questione ambientale senza lotta di classe e viceversa. Una comunità consapevole che si fa stato, che si fa esercizio collettivo del potere di decidere è il passaggio ontologico necessario per tutte le nazioni e popoli a livello planetario.

giovedì 1 ottobre 2009

LA SINISTRA CHE VORREI


Partiamo da quella che non vorrei. Anzi, che non voglio. E' stato penoso, ieri mattina, assistere alla polemica su Rainews 24 tra Mussi e Ferrero. Con argomenti bassi, banali: Sinistra e Libertà? Per Ferrero sponda sinistra del PD, e Mussi a sottolineare che la falce e martello una parte dell'elettorato di sinistra non la vota. Beghe di cortile. Tutti e due, Mussi e Ferrero, a rincorrere la Linke: uno a dire che ha vinto perché ha saputo rinnovarsi senza mettere la falce e martello, l'altro a replicare che in Germania è diverso, c'è stato il muro di Berlino. Cazzate. Bullshit. Questi sono ancora qui a spararsi fucilate, mentre la sinistra nel Parlamento non c'è più . Gli uni a inciuciarsi con i socialisti post-craxiani, gli altri da bravi "comunisti di sinistra" a dire che nessuno nell'opposizione parla di diritti di lavoro, senza proporre però progetti che vadano al di là del mero resistenzialismo sulle tutele al  lavoro dipendente e alla lotta a quello precario. Resistenza lodevole, ma scusate, in attesa del comunismo sta venendo su il fascismo. E poi tutti giorni si mangia: qualche progettino per l'imprenditoria e per le scelte di politica economica nell'attuale contesto epocale, no? Bisognerebbe fare una campagna: non vi votiamo più, finché non avrete completato un percorso unitario di costruzione di una sinistra che ha un progetto politico unico e che è realmente radicata nella società. Cari compagni della sinistra radicale, tutti, compresi PdCI e Verdi: siete dei residui inutili, sputati fuori dal palazzone. Siete alla ricerca di puntelli per usufruire del finanziamento ai partiti. Li conosco bene i culi di pietra di Rifondazione, non chi lavora, precari arrabbiati, che sono tanti, che stimo, rispetto e Onoro. Bensì quelli che fanno segreteria, che quindi c'hanno tempo, ma lo buttano nel cesso con minchiate da burocrati. Dipendenti ipergarantiti, che so, delle ferrovie, con la pensione sicura, che chiacchierano di precariato. Col culo al caldo. Ma sono così anche gli altri sinistri radicaloidi. Che cenette faranno nelle piazzette romane, a discutere di massimi sistemi? Mussi che dice: il PD mi avrebbe steso tappeti rossi. E lui stoico no. Ma vai nel canile! Abbassa la cresta, compagnoschi. Vorrei avere la tua pensione. Per me, vile lavoratore autonomo, che devo conciliare il pranzo con la cena e che non so se lavoro oggi o domani, siete un insulto alla ragione. Avreste il dovere, prima ancora che politico, morale, di fare quello che altre forze hanno fatto in altri paesi. Proprio la Linke di cui voi cianciate. Ma perdete tempo. Perdete tempo in diatribe a cui non frega nulla a nessuno. A me men che meno. E Marx sa quanto sono di sinistra... Se le cose proseguiranno così, voterò per un partito borghese, ma l'unico oggi a fare vera opposizione nel Parlamento e nella società. Certo, borghese e liberal democratico nel vero senso ideologico del termine: l'Italia dei Valori. E' che lì il mio voto non mi sembra sprecato. Andate a consultare "Un passo avanti e due indietro"  o "Stato e rivoluzione" di Lenin. Guardate se la mia tattica è contemplata. Perdindirindina, no, sono un menscevico, una iena revisionista... anatema! Beppe Grillo sarà pure un istrione e sulla questione dei rumeni mi ha fatto proprio incazzare. Ma persino un comico è riuscito a intercettare il malcontento della società civile! Ha fatto liste civiche. E voi avete bollato i milioni di cittadini che hanno votato i referendum di Grillo come fenomeno di populismo. Parlate con l'erremoscia compagni. Non convincete. E quindi non vincete. Imparate prima a stare insieme, a confrontarvi. A usare quella cosa di cui vi imbevete sempre la bocca: la dialettica. E poi se ne riparla. Ossequi.