domenica 29 novembre 2009

QUATTRO VETRINE? E CHI SE NE FOTTE!


Come al solito, durante le manifestazioni no-global, cento provocatori mandano in merda con le loro violenze il valore e il senso politico della lotta di chi si oppone al neoliberismo globalista. Non solo, danno il destro (destro... è il caso di dirlo!) ai media per oscurare ancora di più le "simpatiche" conseguenze delle decisioni prese al tavolo del WTO.
Ma detto questo, francamente non sono spaventato da queste violenze. Mi spaventa di più il fatto che un pugno di potenti nel mondo, il capitale finanziario, le multinazionali e i governi occidentali, con le loro politiche, siano la causa dei milioni di morti per fame, del debito astronomico dei paesi sottosviluppati. Siano la causa del sottosviluppo stesso, della rapina delle risorse, dello sfruttamento selvaggio, dell'agonia dell'eco-sistema. Questo mi spaventa di più.
E Mc Donald con le sue vetrine? Mamma mia che terrore! Che faremo? Chi lo dice ai piccoli congolesi col ventre gonfio e le ossa a fior di pelle? E un problema...

sabato 28 novembre 2009

CODA DI PAGLIA, TESTA DI PIOVRA...


Mafia: Berlusconi non è indagato, titolano i giornali. La procura di Firenze non ha iscritto nel registro degli indagati il premier Silvio Berlusconi. Ma è una notizia questa? Non so, potremmo allora dire che a Rovigo non è piovuto, che nel cantiere di Lerici della ditta Sbalughetti Ugo non è caduto alcun muratore da un’impalcatura. O che ne so: che l’A1 non ha lavori all’altezza di Barberino, che Cristo è morto dal freddo... E si potrebbe continuare. Vi rendete conto come siamo ridotti? È una notizia dire che il nostro presidente del consiglio, quello che ci governa, non è indagato per mafia!!! Beh, sono contento: anch’io non ho i carabinieri sotto casa. Forse. Per come sta diventando l’Italia...

Però è una notizia anche: la Lega vuole ridurre la cassa integrazione agli immigrati. Perché? Perché prima vengono gli italiani. Magari mafiosi, con la pensione d’invalidità falsa da decenni, o teste di cazzo razzisti come quelli della giunta di Coccaglio, come i leghisti in generale. Ai più coglioni di loro spetta la cassa integrazione normale. Gli altri, ora che sono al governo e nelle amministrazioni del nord spetta molto di più. Ma torniamo a Berlusconi. Le sue dichiarazioni sembrano uscite dall’ufficio stampa di “cosa nostra”: “Strozzerei chi fa libri e film come la Piovra” (sic!). Perché? Perché guastano l’immagine dell’Italia. E beh, certo, ha ragione: l’immagine è più importante. Poi c’è chi guasta proprio l’Italia, con stragi, assassinii, bambini sciolti nell’acido, estorsioni, supersfruttamento criminale per le griffe alla moda, droga, tratta esseri umani... Ma basta nascondere tutto sotto il tappeto e l’immagine è salva. Non sarà perché, tutto sommato, un boss mafioso, tal Graviano FORSE, sottolineo FORSE... ha messo un po’ di soldini in Fininvest? E si torna all’inchiesta. Ma Bruto è uomo d’onore, ma Berlusconi non è indagato... E poi lo stesso Graviano, evidentemente “uomo d’onore” per Il Giornale del presidente (d’onore? Non dice il falso!), ha smentito.

Insomma, siamo alla farsa. Peccato che sia sulla pelle dei cittadini. Peccato che sia un attacco ai fondamenti della democrazia, delle sue istituzioni, come la legge sullo scudo fiscale che legalizza i capitali della criminalità organizzata, come la vendita dei beni sequestrati ai mafiosi, che solo chi ha grandi liquidità come i mafiosi può acquistare, come il processo breve che lascia migliaia di cittadini senza giustizia.

Sembra un disegno precostituito: ti faccio saltare in aria i giudici antimafia per farti capire che si può trattare per convivere e fare affari insieme. E poi ti attacco qualsiasi cosa che denuncia la mafia, con la scusa che rovina l’immagine del bel paese. E se la magisratura fa il suo dovere? È eversiva! Questo è un passaggio su cui fare attenzione. Non è una cosa detta a caso. Il portavoce del PdL Capezzone, quel venduto, lo sostiene insinuando che ci siano toghe comuniste all’attacco del premier. Stanno preparando il terreno per rispondere, questo sì, in modo eversivo e totalitario, a una probabile istruttoria su Berlusconi, alla giusta indignazione di piazza. Berlusconi non è Craxi e ha imparato la lezione. Vi lascio immaginare come risponderà al lancio di monetine. Sempre metallo sarà...



domenica 22 novembre 2009

IL FASCISMO IN PUBBLICITA'

Vorrei inaugurare in questa sede una sorta di rubrica sulla comunicazione. E inizio con la pubblicità. Il titolo può sembrare forte, e in effetti è un po’ una forzatura, perché il fascismo è un fenomeno storico ben definito epocalemente e per le sue caratteristiche ideologico-politiche.

Parlerò quindi di fascismo inteso come estensione culturale in senso lato, per valori e per estetica del “ventennio”. In una fase della vita politica del nostro paese, in cui si vanno affermando più che valori, disvalori, in tempi di sdoganamento dell’esperienza fascista, di equiparazione per esempio tra Repubblica Sociale Italiana e Resistenza, il ruolo degli operatori della comunicazione non è esente da queste influenze culturali di fondo. Purtroppo, devo dirlo, la pubblicità è un insieme di pratiche che agisce nell’immaginario collettivo riducendo questioni profonde a linguaggi e messaggi di superficie. Registra le tendenze etico-morali, gli stili, i comportamenti sociali utili per la persuasione e la vendita e li amplifica acriticamente.

Detto questo, vorrei prendere due spot in particolare, che stanno andando in Tv in queste ultime settimane: TIM della Leo Burnett con De Sica e la Belen Rodriguez e lo spot Campari di D’Adda, Lorenzini, Vigorelli, Bbdo.




Il primo, quello della TIM, è portatore di una carica violenta  e discriminatoria: Cristian De Sica che fa il butta fuori, fa passare gli accreditati in gessato e scaraventa via un “diverso”, migherlino con camicietta a fiori stile anni ‘70 (notare come sia importante il contrasto tra i look differenti), intento a ballare alla “Provaci ancora Sam” di Woody Allen. La meta-narrazione è descrittiva di una scontatezza comportamentale nelle discoteche e nei party, che dividono con arroganza un mondo di eletti dalla massa. Non solo: tutto quello che non è image correct deve restare fuori da un contesto socio-culturale normato. Più estensivamente questa è la logica “a gironi” che pervade la società italiana odierna. Con binomi idiosincratici affermati costantemente dai media: immigrato/italiano, etero/omosessuale, vip/nullità e così via. Questa rappresentazione del mondo ha una forte carica fascista perché basata sull’esclusione violenta delle diversità. È uno degli aspetti costitutivi della gestione dei conflitti sociali e interpersonali. La gravità dell’operazione in questo tipo di pubblicità risiede nel fatto che la pubblicità stessa ha una duplice funzione sociale: confermativa di valori ed emulativa nei comportamenti.


Il secondo, lo spot Campari, rappresenta un’operazione squisitamente estetica sul “ventennio” attraverso la ripresa di uno stilema musicale in voga in quegli anni, che è inequivocabile. Poco conta il fatto che Campari abbia uno storico che attraversa più epoche, anche come fatto culturale, e quindi anche l’epoca fascista. La rievocazione è forte e voluta, soprattutto notando il contrasto con il contesto scenografico, di piena contemporaneità.


Tutte queste non sono operazioni che nascono per caso. I pubblicitari “fiutano l’aria” e si adeguano. Ovviamente, lungi da me l’associare l’identità politica dei creatori di queste adv dai loro prodotti. C’è da scommeterci che se, ragionando per paradosso, avremo in Italia un nuovo ’68, De Sica un po’ fricchettone porterà Belen a un rave pieno di figli dei fiori. Del resto la pubblicità ha sempre legato il somaro dove vuole il “padrone”, ossia: i valori dominanti del momento.


sabato 21 novembre 2009

STRONZI


Fini dice (vedi qui) che chi discrimina gli stranieri è stronzo. Ha perfettamente ragione. Ma è altrettanto stronzo chi fa leggi che alienano alla collettività un bene primario come l'acqua, consegnandolo ai sordidi appetiti delle multinazionali. E' stronzo chi si fa le leggi ad personam e manda a puttane il sistema giudiziario italiano per non affrontare i suoi processi. E' decisamente stronzo chi dice che stiamo uscendo dalla crisi, quando la cassa integrazione per migliaia di lavoratori sta finendo, i licenziamenti proseguono a tutta gallara e crescono il precariato come dominante delle condizioni di lavoro e la disoccupazione. E' stronzo chi disse che la social card avrebbe aiutato molti anziani, illudendoli, e invece oggi la usano in pochi e male. E' stronzo senza ombra di dubbio chi trasforma in un lupanare la sua residenza presidenziale, chi protegge un candidato alle regionali campane colluso con la camorra dei casalesi.  E' stronzo chi parla di peace keeping in Afghanistan, mentre invece fa la guerra rendendosi responsabile della morte dei civili afghani e dei soldati italiani. E' stronzo radioattivo chi vuole reintrodurre il nucleare in Italia contro la volontà popolare espressa con un referendum, mettendo a repentaglio la sicurezza di tutti i cittadini per un tipo di energia pericolosissima, che fa aumentare la bolletta e non ha prospettive, visto che le riserve di uranio si esauriranno entro il 2050. Ha la laurea in  stronzologia applicata chi consegna l'istruzione ai privati e fa cadere a pezzi scuole e università. E' grande stronzo in mondovisione chi concentra a sé la proprietà e il controllo delle televisioni pubbliche e private e di gran parte dell'editoria, assassinando il pluralismo e la democrazia nel paese.
Fini di ben su: non senti un po' puzza di merda?

giovedì 19 novembre 2009

NO ALL’ESTRADIZIONE DI CESARE BATTISTI


Nei post precedenti le mie posizioni sul terrorismo sono molto chiare. È un fenomeno criminale che va perseguito secondo le leggi dello stato di diritto.

Ma l’affaire di Cesare Battisti è un po’ diverso. Dobbiamo tornare indietro nel tempo, fino agli anni ’70. Le nuove generazioni non possono saperlo, ma in quegli anni checché ne dicano anche personaggi che dovrebbero essere garantisti e non lo sono mai stati (vedi i D’Alema, gli ex-PCI), lo Stato attaccò la lotta armata delle organizzazioni di estrema sinistra con provvedimenti emergenziali che violarono lo stato di diritto. Le nuove generazioni non sanno delle torture che subirono esponenti dell’autonomia milanese, i compagni della Barona, sigarette spente sulla pelle, testicoli schiacciati nei cassetti delle scrivanie. Con medici e magistrati “di sinistra” compiacenti (su questi ultimi meglio non fare nomi). E che dire delle torture ai bierre carcerieri di Dozier, all’acqua e sale, ai timpani rotti e alle finte esecuzioni a Cesare Di Lenardo? E alle esecuzioni sommarie, come l’irruzione a Genova nella base bierre di via Fracchia? E sono solo alcuni esempi del florilegio di azioni sporche che le forze dell’ordine misero in essere contro il terrorismo brigatista e la galassia del movimento antagonista. Un clima di caccia alle streghe, anni di carcerazione preventiva, arresti di massa, tanta gente finita dentro e non c’entrava un cazzo. Era comunista rivoluzionaria, antagonista e questo bastava.

Fu in quegli anni di terrorismo di stato, che ricordiamo era accompagnato da fatti oscuri come la strategia della tensione, delle bombe dei servizi deviati e dei fascisti nelle piazze e sui treni, in cui si inaugurò il pentitismo, che prende corpo la vicenda di Cesare Battisti. Allora bastava che un pentito, magari per avere ulteriori sconti sulla pena, ti indicasse, ed eri fatto. Se poi c’entravi qualcosa, ti davano tutto. Con il concorso morale davano secoli di carcere per omicidio a imputati colpevoli di semplice associazione sovversiva o banda armata o di reati minori. Trattamenti così non li ha mai avuti certo la mafia o la camorra. Per loro lo stato di diritto è un orologio svizzero. Per il PCI di allora tutto questo era normalità.

Rimando i dettagli del caso Battisti a www.carmillaonline.com, in cui esiste un dossier ben eloquente sul caso. Io posso solo dire che Battisti non ha avuto processi equi perché contumace e quindi nell’impossibilità di difendersi. Che è stato incriminato di omicidi avvenuti contemporanemente a centinaia di km di distanza, che è stato condannato sulla parola di pentiti inattendibili e personaggi allora minorenni e psicolabili.

Ma soprattutto che ci sono personaggi ben vicini a gruppi che orchestravano omicidi e stragi, però a destra, che oggi siedono sui banchi del Parlamento e stanno in questo Governo. Chi vuole intendere, intenda.

Io dico che Cesare Battisti ha pagato abbastanza per le sue scellerate scelte giovanili.  Anni di fuga, nascondigli, polizia dietro al culo, calunnie, isterie forcaiole. Certamente non deve pagare per cose che non ha commesso. Certamente non deve essere il capro espiatorio di un delirio collettivo, di una ritrovata ignobile pseudo-unità nazionale basata sul consenso acritico a questa casta di parassiti. Ci parlino un po’ della strage del 2 agosto, di Ustica, di Piazza Fontana che vede i parenti delle vittime risarcire lo Stato!!! Ci parlino un po’ dei segreti di Stato. Battisti non deve essere estradato.


mercoledì 18 novembre 2009

MERDY CHRISTMAS.


Il Natale di solito dovrebbe essere una festa fatta di regali sotto l’albero, portati da babbi rossi con barba bianca. Invece sotto il tradizionale abete, a Coccaglio, nel bresciano, ci sono delle poco tipiche teste di cazzo razziste. Sto parlando dei leghisti di quella amministrazione comunale, i quali hanno deciso di intraprendere un’operazione denominata “White Christmas”, in pratica “bianco natale”. In cosa consiste? Che a Coccaglio, di nero, se clandestino, non deve rimanere nulla. Raus, piazza pulita. Sessanta giorni di tempo dal 25 ottobre al 25 dicembre per “ripulire” l’ennesima kansas city del nord dai “baluba”.
Queste ordinanze, provvedimenti degli sceriffi della Lega Nord, ci riportano indietro di decenni se non di secoli. Hanno la fisionomia dei pogrom. Rappresentano la parte più sordida e meschina, il campanile in salsa KKK, che il nostro paese possa esprimere.
Mi spiace solo di una cosa. Di non essere per dieci minuti nel Natale del ’44, in mezzo a quella neve che imbiancava i monti del bresciano, a dover assolvere un’incombenza prima che la formazione si sganci. Sistemare la faccenda con delle merde catturate, che oggi come allora sono le medesime nella sostanza. Lo avrei fatto molto volentieri. Merry Christmas.

domenica 15 novembre 2009

A VOLTE RITORNANO


Immancabilmente, quando il paese versa in crisi politiche e sociali di una certa rilevanza, ritorna il terrorismo. Non credo nelle teorie dietrologiche per quanto riguarda il terrorismo di sinistra. Purtroppo spesso si ha a che fare con idealisti, e per questo più incontrollabili. Di queste scelte irreversibili, distruttive e autodistruttive, colgo il vuoto umano. Una forza rivoluzionaria dovrebbe essere creatrice di vita, di relazioni, di progetti per il bene di tutti, dovrebbe avere come valore insopprimibile il sommo rispetto per la vita umana. Non essere portatrice di morte e sofferenze, lutti e stragi.
Il volantino arrivato all'Unità di Bologna, a firma di sedicenti "NAT" è inquietante perché mostra la volontà di qualcuno di inserirsi nelle tensioni sociali che vanno crescendo. Negli anni '70, il terrorismo delle Brigate Rosse e delle organizzazioni armate di sinistra, aveva una base, ristretta ma comunque base sociale, un bacino antagonista alle istituzioni e ai partiti di massa costituzionali da cui pescare. L'ampiezza dello scontro che si sviluppò, con il suo strascico di vite distrutte da una parte e dall'altra, non fece che accelerare la battuta d'arresto del conflitto sociale, con una repressione che uscì dalle regole di uno Stato di diritto. Un emergenzialismo che pesa ancora oggi, perché ha orientato sino ad oggi ogni atteggiamento dello Stato nei confronti delle lotte sociali.
Poi seguirono gli anni del riflusso, della fine di un ciclo di lotte che aveva segnato gli anni '60 e '70. Il terrorismo di sinistra venne quasi del tutto debellato, ma proseguirono i suoi i rimasugli: chi si riteneva depositario dell'esperienza delle B.R., con alcuni omicidi eclatanti e qualche azione dimostrativa. Ciò non fu meno tragico nella sua insensatezza. Erano gli anni degli assassini di D'Antona e Biagi. Le nuove B.R., con il loro "attacco al cuore dello stato", reiteravano una formula avulsa da qualsiasi progetto politico credibile, anche dal punto di vista aberrante delle vecchie B.R. Non c'era più la "geometrica potenza", non c'erano più i "movimenti di massa". C'era l'assassinio testimoniale.
Oggi però, in questa fase di forte crisi sociale e politica, dove non esiste un'opposizione reale alla destra che va stravolgendo le regole base delle democrazie moderne, dove non esiste un partito di massa operaio e di classe, dove esiste però un magma conflittuale in crescita, il rischio di una ripresa della "lotta armata" e di un conflitto con gli apparati dello Stato, di una spinta a forme di violenza politica organizzata diviene tristemente concreto.
La visione politica distorta dei terroristi di sinistra risiede nel fatto che associano la democrazia, "borghese" finché vuoi, ma democrazia, al regime contro il proletariato. E non volendo accennare alle solite riduzioni "o bianco o nero" della loro visione politica, o alla fiducia in un'ora x, o nella specularità tra potere e contropotere, e cazzate di vario genere, il punto centrale per la rinascita di un movimento d'opposizione, con connotati di classe, che rovesci le consorterie al potere, è proprio la difesa e affermazione della democrazia reale nel paese.
Tra "l'inutile" voto e il fucile, c'è un mondo di pratiche non-violente di obiezione, boicottaggio, autoconvocazione, patrimonio di esperienze e rivoluzioni sociali i cui protagonisti, Gandhi, Martin Luther King solo per fare due nomi ben rappresentativi, avevano compreso. Sapevano che il piano sul quale si sviluppa un'autentica rivoluzione sociale non è lo stesso di quello delle classi dominanti. Non è la guerra, non è la violenza, ma un piano etico superiore che deve tradursi in lotta politica.
Chi sarà protagonista dello scontro sociale imminente, deve tenere presente questa linea di demarcazione, tra apologeti di un controstato o di un contropotere armato che abbiamo visto come storicamente abbia favorito l'avvento della reazione, abbia dato legittimità e agibilità politica alla repressione, e soggetti politici che rilanciano forte un progetto di piena attuazione della democrazia, anche e soprattutto sul piano economico. Perché qui, ora, ci sono in gioco le basi delle libertà civili, dei diritti politici, dei diritti di cittadinanza. Chi vuole fare i suoi tragici giochini armati sulla pelle delle categorie sociali che pretende di servire, va combattuto politicamente con grande forza, perché rappresenta la rovina di ogni movimento. Tra camorra, mafia, servizi deviati, guardie verdi e corpi dello Stato in vena di pestare i più deboli, ne ho abbastanza di gruppi militaristi. E adesso si aggiungono anche degli imbecilli utili ai poteri forti.

sabato 14 novembre 2009

NEL TROIAIO ITALIA, DEVE NASCERE LA NUOVA RESISTENZA TRASVERSALE


L'8 settembre del '43 segnò l'inizio del riscatto nazionale contro il fascismo. Un regime che aveva portato il paese alla rovina, trascinandolo in una guerra di potenza, "il posto al sole". Un totalitarismo che appoggiò la "soluzione finale" del neonazismo con le leggi razziali contro gli ebrei. Tutto questo è storia. Così come la resistenza iniziata in quella data dall'antifascismo e da migliaia di italiani di tutti credo politici, è patrimonio comune della nazione e della democrazia italiana. Oggi si può certamente affermare che quella ritrovata unità nazionale nella lotta contro il nazifascismo rappresenta un valore imprescindibile per il nostro paese.
Nell'Italia di oggi, di fronte a 15 anni di leggi ad personam, di spallate contro la democrazia, di tentativi di presidenzialismo populista messi in opera da Berlusconi, sta nascendo una nuova resistenza, civile e democratica, trasversale, a contrasto di questo abominio. Anche questo è un valore. Non solo per un fatto di coesione, di ritrovato denominatore comune etico e costituzionale tra differenti anime politiche, estrazioni sociali, culture. Ma anche perché diventa sempre più chiaro che non è possibile una normale e democratica alternanza tra forze politiche leali e oneste, una gestione corretta della res publica, una limpida amministrazione del bene pubblico (che dovrebbe essere obiettivo di ogni forza politica di destra e di sinistra), fino a quando Berlusconi e i suoi tirapiedi più fedeli e acritici saranno al governo.
Questo lo stanno iniziando a capire anche a destra. Capiscono che l'ultima difesa dell'imputato Berlusconi con la "legge per i processi brevi", condita dall'ultimo atto razzista e discriminatorio sugli immigrati, per i quali la legge non varrà, rappresenta un evento destinato a creare forti tensioni anche in quella parte dell'elettorato che vota PdL per default. Questa legge è uno stravolgimento mortale per l'intero sistema giudiziario, verranno archiviati processi anche di un certo rilievo nazionale (bond argentini, Cirio Parmalat, ecc.) e decine di migliaia di cause giudiziarie. Quindi, non possono non esserci ricadute a livello politico e sociale.
Probabilmente Berlusconi deve coprire anche altro. In Sicilia i papelli mafiosi tirati fuori dal cappello del figlio di Ciancimino, rivelano aspetti inquietanti sulla nascita della seconda Repubblica. Un bubbone anche questo destinato a sconvolgere l'intero quadro politico.
Ormai 15 anni di potere neo-piduista Berlusconiano, inframezzato da governi di re tentenna come quelli di Amato, D'Alema, Prodi, sono troppi anche per il benpensante perbenista e moderato più fidelizzato. Per questo, mentre la nave fa acqua e Ubu Re delira tra cause milionarie  Mondadori e miliardarie con la moglie, i topi abbandonano la nave. O meglio, sono appena con una zampa sulle corde che danno al molo di un nuovo partito di centro, voluto dalle consorterie avverse a Berlusconi: pezzi importanti di potere finanziario e di apparati dello Stato.
Ma in tutto questo va detto che si va formando una piazza molto eterogenea e accomunata dalla parola d'ordine "Berlusconi a casa". Quella parte del mondo editoriale e dei media non controllata dal grande dittatore, pompa, fa gran cassa, ma stando bene attenta a non far tracimare la cosa in tensioni sociali incontrollabili dalle consorterie stesse e in forme di organizzazione politica esterne alla casta. Per questo, alla manifestazione che si preannuncia vasta e forte il 5 dicembre, organizzata da blogger autoconvocati (http://www.noberlusconiday.org/), il PD tira indietro il culo.
Ma la nuova resistenza, quella della società civile, non è qualcosa che puoi controllare. Oggi non ha dietro partiti politici. Occorre comprendere che in questa fase politica che sta attraversando il nostro paese, non si può che lavorare per creare un blocco politico e sociale trasversale che mandi a casa questo governo. Altro che partito di alternativa e non di opposizione su cui va cianciando Bersani. Mettersi la cravatta davanti a un delinquente... significa non aver capito un cazzo. O peggio.
Mandiamolo a casa e poi ragioniamo su tutto. Come si fece nel '43. Creiamo le condizioni politiche minime per salvare il paese, per avere una normale dialettica democratica tra forze sane. Utopia? No, necessità. All'estero ci guardano con stupore. Fino a che punto un popolo può accettare una sudditanza funzionale a interessi privati di un premier?
La partita va compresa, perché qui ci si gioca tutto. Se passa il presidenzialismo, se le leggi razziste volute dalla Lega si affermeranno nelle amministrazioni locali come a livello centrale, se la collusione mafie-imprenditoria-amministrazioni si affermerà in tutto il paese, l'Italia tornerà indietro di 66 anni. Al '43.
A chi vuole spezzare le reni ai cittadini, va risposto con un colpo di reni collettivo. Certo, lavoriamo per capire come uscire da tutto questo "da sinistra". Ma muoviamoci.

giovedì 12 novembre 2009

EMBE'? LA CRIMINALITA' SPUDORATA DEL REGIME


In un paese civile, una carica dello Stato che viene anche solo minimamente sospettata di collusione con la camorra, va a casa. Io non condanno Cosentino, il sottosegretario del PdL, candidato (sembra non più) alle regionali della regione Campania. E' compito dei giudici accertarne la colpevolezza. E un imputato è innocente fino all'ultimo grado di giudizio. Ma io parlo di interesse da parte dei partiti politici di proporre ai cittadini personaggi di indubbio valore morale e onestà. Indubbio. Quando il dubbio c'è, un partito, se è un partito di gente per bene (e non di cosa nostra), destra o sinistra che sia, dovrebbe essere il primo a prendere provvedimenti. A riabilitare c'è sempre tempo.
Quando però a dominare sono interessi poco chiari, malaffare, appalti, parole date a cosche e sistemi campani, collusioni, necessità di non allargare falle verso indagini, l'atteggiamento è proprio quello di negazione dell'evidenza, di copertura a priori, sino ad arrivare alla cultura dell'arroganza. Non lo dicono apertamente, i satrapi del regime berlusconiano, Capezzone in testa, ma si sta facendo strada un atteggiamento che vive come implicito nelle posizioni ufficiali riassumibile in una parola: EMBE'?
Un atteggiamento che poi si riproduce a cascata in tutti i gli apparati dello Stato. Se non fosse per la parte sana del medesimo, che apre inchieste e ricerca la verità, Stefano Cucchi sarebbe caduto dalle scale o sarebbe morto per droga, come ha avuto l'arroganza spudorata di dire un personaggio che fa guadagnare molto il fratello proprio sulla droga: il ministro Giovanardi, che specula su un ragazzo assassinato, sulla pelle di una famiglia.
Questa è la lebbra che alberga nelle istituzioni, ammorbate e inquinate da personaggi che sono lì per fare affari e per far fare affari a cordate di ogni genere, fino a quelle criminali della mafia o della camorra.
Casi come quello di Cucchi, Aldrovandi, Bianzino, Rasman, la corruzione dilagante, le associazioni mafiose dentro le istituzioni e l'economia (100 aziende legate alla 'ndrangheta calabrese scoperte a Milano)... tutte cose che sono normalità perché personaggi come Cosentino e Giovanardi sono sottosegretari e ministri. Questa è la realtà del paese. Non è un fatto di destra o sinistra. Anche Bassolino dovrebbe spiegare alla magistratura tante cose. Il PD dovrebbe spiegare perché in un giorno in un paese della Campania si iscrivono in seimila, perché in certe zone ci sono più iscritti che votanti. Chi sono i capibastone che hanno dato via libera a Bersani?
Ciò è la dimostrazione che con questi partiti non ci può essere alcun cambiamento.

martedì 10 novembre 2009

IO VOGLIO CREDERE


Io voglio credere che sul caso di Stefano Cucchi, ci siano esponenti delle forze di polizia che facciano prevalere il senso di giustizia, che dovrebbe animare la loro attività di garanti della nostra sicurezza di cittadini, su un acritico spirito di corpo. Anzi la difesa di un corpo di polizia deve basarsi proprio su questo, sulla ricerca della verità.
Da un articolo su Repubblica on line
 (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/morte-cucchi-2/siti-forze-ordine/siti-forze-ordine.html), leggo che nei siti delle forze dell'ordine c'è chi s'interroga su quanto accaduto. E meno male!

lunedì 9 novembre 2009

ANNIVERSARIO




Oggi è l’anniversario della caduta del Muro di Berlino. Non c’è dubbio che il “socialismo reale” abbia rappresentato nel secolo scorso un sistema politico e sociale totalitario, basato sull’oppressione e sulla repressione di qualsiasi forma di dissenso.

Non c’è altrettanto dubbio che una grande parte delle forze politiche comuniste sino ad allora non si sia resa conto o non abbia voluto vedere quanto accadeva al di là di quel muro. E se oggi assistiamo a una cancellazione dalla vita politica in molti paesi (non ultimo l’Italia) delle soggettività che si richiamano agli ideali del comunismo, ciò è dovuto a questo buco nero nella storia del movimento comunista, con il quale non si è saputo fare i conti.

C’è un’incapacità tutt’ora perdurante, da parte dei comunisti, di fare i conti con la loro stessa storia. Che è la storia della sinistra in Italia, che aveva il più grande partito comunista dell’Europa Occidentale.

Poco serve chiamasi fuori nel nome di un mai realizzato “comunismo eretico”, operaista, o di quello di derivazione “quartinternazionalista”, solo per fare alcuni esempi di soggettività politiche “altre” dal mainsteam storico del PCI. La responsabilità è collettiva e la riflessione deve andare sul perché un processo rivoluzionario che punta a una reale democrazia economica e sociale, involve poi in forme di dittatura di pochi sulle moltitudini.

Io faccio molto fatica a definirmi comunista. Perché al di là di anacronistiche nolstalgie, non vedo una progettualità epocale che vada al di là di quella classica, basata sulla “dittatura del proletariato”. Rifondazione in primis. Puro resistenzialismo ammantato da vecchie icone.

Cosa sono io oggi? Cosa sono io nel pensare a un cambiamento epocale che porti i cittadini della comunità-mondo a riappropriarsi del bene comune oggi rapinato dai poteri forti del capitale finanziario? Nel non rinunciare a progettare una società dove vige la forma più alta di libertà e democrazia, basata sull’abolizione delle classi sociali e di un sistema iniquo di appropriazione del lavoro altrui, del tempo, delle vite, delle risorse?

Non sono interrogativi facili. La definizione di “comunista” mi serve a poco o a nulla. Perché comunque i miei riferimenti di cittadino che riconosce la Costituzione e lo Stato risiedono in un ambito più vasto ideologicamente e che hanno una genesi ben precisa: la Resistenza al nazi-fascismo e la nascita della Repubblica Italiana. I miei padri sono Parri, Calamandrei, Terracini. Posso fare dei distinguo ideologici, come uomo di sinistra, posso ancora oggi interpretare in chiave socialista una Costituzione che ha una sua attualità di fondo e che ritengo sia tra le migliori sul pianeta. Ma senza progettazione, senza politica seria, senza unità delle sinistre, non mi piace etichettarmi come comunista. Non sono disposto a sacrificare questo processo unitario, oggi sempre più doveroso, sull’altare di un leninismo di maniera e residuale. Voglio costruire altro. Perché sono convinto che gli stessi problemi che nella quotidianeità sto vivendo io, li vivano lavoratori salariati e stipendiati, precari, disoccupati, donne, trans, gay, migranti, piccoli imprenditori e lavoratori autonomi. In una parola: CITTADINI.

Ecco, il mio spazio è quello del “citoyen”. La Rivoluzione d’Ottobre non mi dice nulla senza quella francese. In un paese che sta incancrenendo le istituzioni, dove i cittadini sono sempre più sudditi, dove esiste un muro, invisibile “grazie” a milioni di tubi catodici, la nuova Resistenza non può avere ristretti connotati ideologici.

Ma non è un caso che io abbia detto: faccio fatica a essere comunista. Fatica, sì, ma lo sono. Se essere comunisti fosse pensare che la dittatura del proletariato sia la strada giusta, e all’ordine del giorno, non sarei comunista. Perché lo Stato non è un’entità che sta dalla parte delle classi dominanti per definizione. Certo, in buona parte è espressione del dominio del capitale finanziario e monopolista sulle altri classi sociali. Ma è anche qualcosa di più complesso. Soprattutto è un terreno che per Costituzione abbiamo la possibilità di conquistare attraverso il voto, con la partecipazione nelle istituzioni. Il che non è in inconciliabile contraddizione con la lotta di classe. Ne è un momento. Ne deve essere un momento.

Oggi sovversivo è chi attacca la Costituzione cartacea e sostanziale del paese. Sono i potentati che col signoraggio e il loro sistema di potere negano l’esercizio della democrazia economica, sancita dal’art. 41 della nostra carta costituzionale. È l’autoritarismo di Berlusconi e soci, la violazione di tre diritti fondamentali: alla vita, alla difesa e alle ispezioni in luogo carcerario da parte di un eletto dal popolo che ne ha facoltà, esercitata da corpi corrotti e fascisti dello Stato.

Io, comunista, purtroppo senza progetto, ma con un’utopia che mi scalda il cuore, non sono sovversivo. Valorizzo la storia del mio paese, le sue istituzioni. Perché queste appartengono alla gente, come le risorse, il tempo, la vita.

Un muro è crollato vent’anni fa. Io vidi quelle rovine e piansi sulla tomba di Brecht. Ma la mia rabbia di oggi, trae linfa dalla consapevolezza che altri muri, più potenti, spesso invisibili, albergano nel mondo e nella vita dei popoli. Che la nostra parte, quella che ha “vinto” si è tenuta la voracità di potenti che non ascoltano neppure il richiamo della specie, in questa crisi di civiltà, in un mondo in cui prima del finire del primo secolo vedrà il mare sommergere terre emerse, città, fabbriche, culture, il benessere di pochi. E con esso la nostra arretratezza. Una civiltà decandente non come le altre succedutesi, perché definitivamente decadente.

Siamo al capolinea e il peggio era ed è di qua. Se non comprendiamo questo, senza riabilitazioni o nostalgie, non potremo iniziare la nuova Resistenza, l’ultima. In difesa della vita stessa.

domenica 8 novembre 2009

"Caro Saviano, scusa se insisto. Questa è la nuova Resistenza"


Di Claudio Fava, da l'Unità di oggi.


Caro Saviano,
due giorni fa a Napoli ho chiesto pubblicamente la tua disponibilità a candidarti per la presidenza della Regione Campania. Non è stato uno sgarbo né una forzatura ma una necessità civile. Perché a Napoli, fra qualche mese, ci giochiamo non solo il destino della tua regione ma un’idea di nazione. Chiamata stavolta a decidere di sé stessa: se pensa cioè di potersi riscattare dal giogo delle mafie e dei sospetti, dai furti di verità e di memoria, dall’impunità che s’è fatta sistema. O, altrimenti, se questo paese si è ormai arreso alla forza degli eventi, al corso inevitabile delle peggiori cose.

Il candidato che la destra quasi certamente presenterà si chiama Nicola Cosentino, sottosegretario del governo Berlusconi, uomo forte del PDL in Campania e «uomo a disposizione dei Casalesi», secondo le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia, acquisite dalla Procura di Napoli. Falso, dice Cosentino. Vero, dicono i suoi accusatori. Possibile, dicono i giudici che l’hanno iscritto nel registro degli indagati. Chiunque al posto suo avrebbe fatto un passo indietro fino a che non fosse spazzata via l’ombra di un sospetto così lacerante. Chiunque: non Cosentino. Che continua a fare il sottosegretario e oggi si candida a governare la sua regione. Io c’ho i voti, fa sapere: e noi gli crediamo. Peccato che i voti da soli non bastino per restituire limpidezza alle storie degli uomini.

Che si fa, dunque, se Cosentino e il suo partito sceglieranno di sfidare il senso della decenza? Gli si contrappone un notabile di segno politico contrario? Si va in cerca d’un candidato comunque, purché abbia il cartellino penale pulito? Si derubrica questa elezione come un fatto locale, una cosa di periferia? E pazienza se poi colui che rischia di vincere andrà a governare in nome dei voti suoi e di quei sospetti... Io dico di no. E per questo, caro Saviano, se Cosentino dovesse candidarsi, ti chiedo di fare la tua parte accettando di candidarti anche tu.

Conosco già la tua obiezione che è stata anche la mia per molti anni: che c’entro io con la politica? Quando ammazzarono mio padre, pensai la stessa cosa: la mia vita è qui, mi dissi, continuare il mestiere suo e mio, scrivere, dire, capire. Perché la scrittura, una scrittura disposta a mettere in fila nomi e fatti, è un impegno civile capace da solo di riempire una vita. Vero. Poi però arrivano momenti della vita in cui capisci che ti tocca far altro. E fare altro, fare di più, a volte vuol dire la fatica della politica, affondare le mani e la vita in questa palude per provare a portarci dentro un po’ d’alito tuo, un po’ della tua storia, un po’ della tua sregolatezza, un po’ dei tuoi sogni. Non inventiamo nulla, caro Saviano. 

Ci fu una generazione di ragazzi, nel ’43, costretti dalla notte all’alba a improvvisarsi piccoli maestri delle loro vite. Lasciarono le case, le donne, gli studi e per un tempo non breve si presero sulle spalle il mestiere della guerra. Se siamo usciti dalla notte di quella barbarie, lo dobbiamo anche a loro.

Anche questo è un tempo in cui occorre trovare il coraggio e la spudoratezza di fare altro. Di inventarsi altre vite. E di misurarsi con mestieri malati, com’è quello della politica. So che adesso qualcuno s’imbizzarrirà: che c’entra la resistenza con la lotta alle mafie? Che centrano i nazisti? Che c’entra Casal di Principe? Io invece credo che tu capisca. In gioco è il diritto di chiamarci ancora nazione. Quel diritto oggi passa da Napoli, dalle cose che diremo, dalle scelte che faremo. O dai silenzi in cui precipiteremo.
08 novembre 2009

sabato 7 novembre 2009

INFAMI


Fanno lo scaricabarile, carabinieri e agenti penitenziari, adesso che il bubbone della vicenda di Stefano Cucchi è venuto fuori ben bene. Infami e codardi. Rappresentanti di uno Stato che, ricordo, stipendiamo noi, pestano a morte prima e negano poi il diritto alla difesa a un ragazzo, a un cittadino. L'articolo sull'Unità di Maria Zegarelli "L'atroce agonia di Stefano Cucchi", rivela questi fatti inquietanti. Stefano ha rifiutato le cure per protesta, per potere vedere il suo avvocato di fiducia. Altro che omicidio colposo: un assassinio portato fino in fondo per coprire un "eccesso di zelo" dei berretti fiammuti. Altro che poche mele marce. A quando una vera riforma delle forze di polizia? Soprattutto considerando che il pesce inizia a puzzare sempre a partire dalla testa. E poi, ovviamente, ci sono sempre i mestatori, che tanto per "dare una mano" alla famiglia e alla ricerca della verità, scatenano la guerriglia urbana a Roma. Proprio quello che il canagliame interno ai corpi dello Stato desidera di più. Una critica e una manifestazione civile sta sui coglioni a chi da sempre orchestra provocazioni. Ce la ricordiamo la strategia della tensione? Il costo politico, questo sistema di potere abbarbicato dentro le istituzioni democratiche, sempre più fascista, corrotto e criminale, lo paga solo se cresce una resistenza democratica e civile, come ha ben espresso nel post precedente il compagno partigiano Diavolo.

CE NE FOSSERO ANCORA COSI'!


SOCIALISMO


Questo contributo di Sandro Pertini, spiega bene cosa sia il socialismo, ma direi anche il comunismo: una società dove vigono l'uguaglianza e la libertà.

Certo, si può discutere su quale teoria politica sia migliore, l'operaismo del rifiuto del lavoro e le sue origini dai Grundrisse di Marx, oppure il marxismo classico, o forse quello un po' crociano di Togliatti. Ma questi sono i veri presupposti. Coniugare libertà e società senza classi, libertà e socialismo. Il resto sono mitologie infantili.

venerdì 6 novembre 2009

7 NOVEMBRE 1917




Se ne parla poco, ma io la voglio ricordare, la Rivoluzione d'Ottobre. Non per nostalgia. Sappiamo bene quali mostri abbia partorito. Sappiamo come il primo stato operaio e contadino, la prima grande esperienza di rivoluzione democratica e socialista nel '900, nell'era della contemporaneità, si sia avvitata in una dittatura di partito, nell'esercizio di un potere antidemocratico e totalitario da parte di una burocrazia che era altro dalle classi sociali che avevano agito nel 1917.Io comunque voglio ricordarla, perché se la rivoluzione francese ha rappresentato la nascita delle democrazie liberali occidentali, e ha avviato alcuni dei fondamentali cambiamenti nel campo dei diritti civili e politici, l'uguaglianza dei cittadini nella società, la fine del potere assolutista delle vecchie classi nobiliari e delle monarchie, la Rivoluzione d'Ottobre, dal canto suo, ha rappresentato l'esperienza per eccellenza che ha messo in discussione il modo di produzione capitalistico, dal punto di vista delle classi salariate.
Perché punto centrale della critica marxista al pensiero liberale borghese è e sarà sempre il fatto che la liberaldemocrazia può semmai arrivare a una redistribuzione meno iniqua della ricchezza sociale, può tutt'al più garantire alcuni diritti a una buona qualità della vita alle classi meno abbienti. Sul piano sistemico può sviluppare una politica economica keynesiana volta a garantire i profitti sulla base di provvedimenti che aumenti le possibilità di consumare, può utilizzare i servizi sociali come valvola di sfogo delle tensioni sociali, i cosiddetti ammortizzatori. ma non mette in discussione il sistema stesso, la società che riproduce le ineguaglianze perché c'è una parte della società, delle classi egemoni che si appropria del lavoro altrui, delle risorse, del bene pubblico. Che crea e ricrea incessantemente le condizioni dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, un sistema che divide l'umanità in classi, ceti, corporazioni, consorterie.Il grande messaggio della Rivoluzione d'Ottobre è proprio questo. Sono ancora comunista non perché nostalgico di un sistema totalitario che ha avuto in spregio gli ideali stessi del comunismo (e la Cina tutt'oggi è la manifestazione evidente di questo). Ma perché penso che così come sia aberrante non coniugare il socialismo a una reale sovranità popolare, a una democrazia che sia esercizio di libertà di pensiero e di espressione politica, religiosa e culturale dei cittadini, quindi di un sistema politico pluralista, è altrettanto aberrante pensare che le nostre democrazie occidentali siano democrazie compiute senza una vera democrazia economica. Non può esservi rivoluzione socialista e comunista senza democrazia. Non può esservi vera democrazia senza esercizio anche della sovranità economica del bene comune, delle risorse, sulle attività umane, da parte dei cittadini.Rivoluzione francese e d'Ottobre sono entrambe importanti. E di entrambe vanno presi gli aspetti che pongono l'accento sull'eguaglianza sociale, che affrancano l'intera società dallo sfruttamento e dalla tirannia di pochi o molti che siano. 


giovedì 5 novembre 2009

PROVE DI TOTALITARISMO


Berlusconi lancia la proposta delle elezioni dirette del premier, Alfano e Brunetta dichiarano di voler riformare la magistratura con o senza l’opposizione. Queste esternazioni sono fatte con lucidità e scienza: sono le prove generali della spallata che questo regime, nato dalle stragi di Capaci e via d’Amelio, darà alla democrazia italiana. Un teatro dei pupi che vede i sostenitori del piano di Gelli, Berlusconi e Lega da una parte e la falsa opposizione gli inciuciari con alla testa D’Alema, Rutelli, Fassino e ora Bersani, dall’altra. Consorterie di palazzo e di potere che si contendono pezzi di Stato, di pubbliche ammnistrazioni, ammanicati con la cricca De Benedetti & soci da una parte e Mediaset & soci dall’altra. Tutto questo mentre il paese reale è alle corde, mentre sta finendo la cassa integrazione per centinaia di migliaia di lavoratori, mentre molti di più sono per strada, mentre la crisi si sta acutizzando con buona pace di coloro che sostengono il contrario. In questo scenario, dove gli spazi di democrazia vengono sempre più ridotti dalle classi dirigenti, dove le classi dirigenti diventano sempre più regimi per fare fronte alla forte crisi economica, sociale, di risorse energetiche, ecosistemica, ben descritta nel pezzo precedente di Giulietto Chiesa, c’è solo il deserto, la totale assenza di un’opposizione sociale e politica. Chi ha coscienza di tutto questo non ha parola. E’ totalmente cancellato dalle agende mediatiche, e il più delle volte si rifugia nel settarismo autoreferenziale. La via italiana al socialismo non esiste più, sgretolata dai comitati d’affari e dai capibastone interni al PD. La CGIL e i sindacati di base resistono in un fortino che non dà sbocchi politici, divisi essi stessi tra di loro. Ci sono proprio tutte le condizioni per un colpo di mano vincente di una destra eversiva. Non sarà un fascismo vecchio stampo: le condizioni sociali e culturali oggi sono diverse. Ma sarà comunque un regime totalitario ammantato di falsa democrazia, accompagnato dai sorrisi ritoccati del grande ignobile timoniere mediatico.

mercoledì 4 novembre 2009

ROSA LUXEMBURG: ''LE RIVOLUZIONI E' PIU' FACILE PERDERLE CHE VINCERLE''

Intervento di Giulietto Chiesa a Genova. Teatro Documento. Una stagione del Teatro Stabile: “Rosa Luxemburg” di Vico Faggi e Luigi Squarzina.

Avvertenza (valida per tutti, anche nel 2009) : le rivoluzioni è più facile perderle che vincerle.
Brevi note di metodo (a margine di una commemorazione, nel ricordo di Rosa Luxemburg)
Palazzo Ducale, 1 Dicembre 2008. Ho accettato volentieri l'invito del Teatro Stabile di commemorare la Rosa Luxemburg di Faggi e Squarcina perché mi è parsa l'occasione di un tuffo nel passato, di quelli che capita di fare di rado. Un passato in cui affondano anche le mie radici di co-fondatore del “decentramento culturale genovese”, insieme ad alcuni dei partecipanti a questo stesso incontro. 

Ma con l'ebbrezza aggiuntiva di un passato che proprio non c'è più. Al punto che io stesso, che in quel passato ci sono stato – almeno ho l'impressione di esserci stato – devo fare qualche sforzo per non pensare che si sia trattato di una illusione.Nell'ultima pagina di copertina del volume della Laterza il curatore ha scritto che i personaggi del dramma, Rosa, Lenin, Kautsky, Liebknecht, confrontano sulla scena le proprie tesi sui temi che “anche oggi sono al centro del dibattito rivoluzionario”.Correva, se non sbaglio, l'anno 1975, e esisteva ancora un “dibattito rivoluzionario”.Il Partito Comunista era al governo, in questa città, in questa regione, con maggioranze quasi emiliane. Aveva quasi cinquantamila iscritti. Io stavo per diventare consigliere provinciale e poi capogruppo in questo consiglio. Ed ero anche consigliere di amministrazione del Teatro Stabile.Il dibattito rivoluzionario era aperto sebbene il Partito Comunista si fosse lasciato dietro le spalle, da molti anni, ogni discorso sulla dittatura del proletariato, sulla rivoluzione in senso leninista. La sua prospettiva era quella della rivoluzione nel senso gramsciano, di una riforma intellettuale e morale del paese. Era la prosecuzione della “via italiana al socialismo”, quella stessa che aveva prodotto la Costituzione della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.Adesso, com'è noto, non solo non c'è più alcun dibattito rivoluzionario a sinistra, ma siamo in piena rivoluzione da destra. E non mi riferisco soltanto al fatto che il governo del paese è in mano alla destra, ma al senso preciso di una progressiva demolizione della Costituzione Repubblicana che è in atto, con il consenso di maggioranza e opposizione, che preludono ad un passaggio dalla democrazia liberale – che la Costituzione indicava e sanciva – alla democrazia illiberale, cioè alla fine della democrazia reale.In questi 35 anni sono avvenuti enormi cambiamenti, di quelli che, a guardarli dopo, li si definisce epocali: il crollo del Muro di Berlino, la sparizione dell'Unione Sovietica, la (presunta) fine della Guerra Fredda, l'emergere della Cina e di nuovi protagonisti mondiali, la strana apparizione del terrorismo islamico, dopo oltre un millennio di coesistenza con l'Islam, fino alla spaventosa crisi finanziaria mondiale, che ci riporta all'indietro, d'un colpo, agli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale, quegli stessi anni in cui si svolse il dramma di Rosa Luxemburg.Per questo bisogna fare un sforzo, dopo oltre tre quarti di secolo rispetto a quell'epopea, per tornare a calarsi in quel contesto, che non fu semplicemente di discussione, ma fu di sangue, che creò le premesse per un mare di sangue, che accompagnò e seguì il nazismo e il fascismo. Per cercare di capire i motivi che spinsero Rosa Luxemburg a sacrificare la sua vita in nome di un ideale che sarebbe risultato poi sconfitto. E per cercare i motivi che spinsero Faggi e Squarcina a occuparsene ancora 35 anni fa.Questa non è un'operazione banale. Un tempo, quando ancora veniva utilizzato lo storicismo, lo sarebbe stata. Ma da qualche decennio, in Italia, le ricostruzioni storiche si fanno con il senno di poi e non con il senno di allora. Cioè è diventato normale che perfino persone colte commettano un errore che un tempo sarebbe stato permesso soltanto a persone incolte. Cioè il trasferimento al passato di ciò che nel passato non si poteva conoscere, né sapere. In altri termini si giudicano le persone e i fatti del passato come se, a quei tempi, fosse noto ciò che noi conosciamo oggi, e l'esperienza acquisita nel periodo intercorso non avesse modificato, spesso radicalmente, il panorama della situazione.Così si dimentica che i fattori reali della storia furono non ciò che noi pensiamo adesso di loro, bensì ciò che loro pensavano allora di se stessi, quali erano le loro intenzioni e le loro difficoltà.Tanto più difficile, questa operazione di ricostruzione storica, se si pensa che allora il monopolio della rivoluzione era della sinistra. Solo a sinistra si parlava di rivoluzione, solo a sinistra di elaboravano teorie rivoluzionarie. Gli altri, quelli che non facevano le rivoluzioni, quelli che le odiavano e cercavano di scongiurarle, considerandole una minaccia per i loro privilegi e averi, o anche soltanto per le loro idee, erano conservatori.Adesso le cose sono un po' cambiate. Direi anzi radicalmente cambiate, e le rivoluzioni le organizzano e concepiscono a destra, ma su questo vorrei tornare tra poco.Comunque, allora, i rivoluzionari - molto ingenuamente, diremmo oggi – coltivavano l'illusione di essere i depositari unici della violenza, appunto, rivoluzionaria.Ci volle un grande pensatore come Ortega y Gasset (nel suo “La disumanizzazione dell'arte”) per comprendere, anche allora, che le cose non stavano esattamente in quel modo.Scriveva: « Adesso ci appaiono comiche le arbitrarie conclusioni cui , venti anni fa, pervenne Sorel costruendo la sua tattica della violenza. Il borghese invece non è affatto vile come lui lo descrisse. Anzi si potrebbe dire che egli faccia ricorso alla violenza con molta maggiore attitudine dell'operaio, quando valuti che essa è utile o necessaria. Tutti sanno che in Russia il bolscevismo vinse esattamente perché la borghesia là non esisteva (è sufficiente, del resto, tenere conto di questo per convincersi una volta per tutte che, dal punto di vista storico, il socialismo di Marx non ebbe quasi nessuna somiglianza con il bolscevismo). »E, più avanti, ancora il liberale Ortega y Gasset, smentiva, anticipatamente e per sempre, tutti coloro che, nei decenni successivi, avrebbero cercato (fino ai nostri giorni in cui tutti i gatti sono diventati neri), di mettere sullo stesso piano nazismo e comunismo. « Quale che fosse il reale contenuto del bolscevismo, non si può non vedere un grande afflato umano. Gl'individui che si sono posti sotto le sue bandiere hanno sempre dovuto esporre il loro petto, coraggiosamente, a venti ostili, subordinando consapevolmente il destino della propria vita alla superiore disciplina della loro fede » .Rosa Luxemburg, che era appunto impregnata di quell'afflato di “superiore disciplina”, ci offre, nell'ultimo articolo della sua vita - che apparve su « Rote Fahne » (“Bandiera Rossa”) del 14 gennaio 1919 – una davvero singolare definizione della rivoluzione: come di una guerra, anzi « dell'unica forma di guerra in cui la vittoria finale possa essere preparata solo attraverso una serie di “ sconfitte” » .Rosa mette tra virgolette la parola sconfitta perché evidentemente pensa che le masse non devono essere demoralizzate e dunque occorre far loro comprendere che le sconfitte sono soltanto transitorie e preparano una inesorabile vittoria finale.Ma, con una profonda e fatale lucidità, essa comprende, o forse soltanto intuisce – mentre sta per diventare la preda di una caccia mortale – la causa di quelle sconfitte. Precisamente nel fatto che « la rivoluzione non opera liberamente, in campo aperto, secondo un piano astutamente preparato da strateghi . I suoi avversari hanno anche l'iniziativa, anzi la esercitano di regola assai più della rivoluzione stessa » .Insomma, nella rappresentazione della rivoluzione che ne fornisce Rosa Luxemburg, sono immanenti le cause della sua inesorabile sconfitta. Se i soggetti che hanno il potere sono sempre coloro che prendono l'iniziativa, che progettano strategie, ciò significa che coloro che si ribellano sono sempre destinati a perdere.Viene in mente uno dei capolavori di Gillo Pontecorvo, “ Queimada ”, che racconta, con Marlon Brando protagonista, la storia di una rivoluzione in un imprecisato paese caraibico, costruita usando la ribellione di masse incolte per realizzare il passaggio dei poteri dalla Spagna coloniale all'Inghilterra anch'essa coloniale ma assai meglio organizzata.La rivoluzione d'Ottobre in Russia aveva appena preso il potere nelle grandi città: ed era una gigantesca vittoria. Ma la guerra civile era appena cominciata e nessuno avrebbe potuto giurare, mentre Rosa Luxemburg stava per essere assassinata, che i vincitori finali sarebbero stati i rossi e non i bianchi. Anzi dalla Russia era venuto l'appello all'insurrezione nei paesi di capitalismo avanzato, in primo luogo in Germania, proprio per impedire alle potenze capitaliste di aiutare le truppe della contro-rivoluzione bianca. A ben vedere Rosa aveva ragione: le rivoluzioni popolari, i grandi movimenti delle masse sono sempre stati sconfitti proprio perché, e in quanto, espressione più o meno spontanea di masse prive di una guida consapevole e adeguata. Hanno vinto solo quando hanno smesso – e sono stati rari casi (Russia, Cina, Cuba) – di essere movimenti spontanei e si sono dati, o hanno trovato, una guida.L'Ottobre Rosso, la Grande Marcia Cinese, la Rivolta Cubana furono eccezioni straordinarie proprio perché s'innestarono , tutte nel XX secolo, su un'ideologia rivoluzionaria e su una teoria politica molto precisa, quella comunista, che prevedeva un'avanguardia politica ferreamente organizzata. Senza di essa quelle rivoluzioni non avrebbero vinto: semplicemente sarebbero state fermate a un certo punto del loro percorso. E sarebbero state spente con una violenza direttamente proporzionale alla paura che avevano provocato nelle classi dominanti dell'epoca. La Comune di Parigi resta l'esempio più limpido di questa parabola e forse anche il più sanguinoso.Dove però Rosa Luxemburg si sbagliava era nella chiusa di quell'articolo di “Bandiera Rossa” che ho appena citato: nell'idea che l'ordine che regnava a Berlino in quei giorni fosse destinato a essere rimesso in discussione dal rialzarsi, “con grande fracasso” e con “clangore di trombe”, delle masse. Gli eventi di questi ultimi decenni sembrano dire che le parole che il poeta tedesco Ferdinand Freiligrath mette in bocca alla rivoluzione, « io ero, io sono, io sarò » non si sono avverate.Quella russa, prima ancora che sconfitta, si è arresa senza combattere. In un certo senso per fortuna di tutti, perché, se avesse combattuto, sarebbe stata una guerra atomica. Quella cinese ha cambiato forma e significato e adesso ha dato vita a una riedizione capitalista a partito unico. L'unica che ancora esiste in forme legate all'esperienza leninista è quella cubana che, per ironia della storia, fu l'unica a non essere fin dall'inizio una rivoluzione socialista.L'incolpevole comunismo – lo chiamo così perché su quel nome si è riversata un'ignominia tanto universale quanto immeritata – è sparito dalla scena come alternativa possibile al capitalismo. E del resto non fu comunismo, anche a mio avviso - oltre a quello di Ortega y Gasset - né lo stalinismo, né il maoismo. E il castrismo sarebbe stato ben altra cosa se Cuba non fosse stata strangolata, per tutta la sua esistenza come paese non colonizzato, da un embargo impostole dall'Impero in prima persona.Resta allora, però, da spiegare perché le classi conservatrici si sono a loro volta trasformate in rivoluzionarie. Considerazione che vale la pena di prendere in esame, perché non è immediatamente chiara la ragione per cui chi sta vincendo una grande partita a scacchi, una partita mortale per giunta, senta il bisogno di dare un calcio alla scacchiera interrompendola tra lo stupore generale. Curioso epilogo del trionfo della globalizzazione, che era stata per quarant'anni interamente dominata, addirittura tessuta su misura per gl'interessi dei potenti del mondo.Forse il fatto che può spiegare questa piega improvvisa della storia del pianeta è rappresentato dalla fine dell'illusione che la storia fosse finita con la fine del comunismo – come aveva profetizzato Francis Fukuyama – e che, anche senza socialismi incombenti, senza rivoluzioni all'orizzonte, con la classe operaia dei paesi industrialmente avanzati frammentata e ormai priva di una coscienza comune, il potere del Superclan dominante del pianeta si sente minacciato da un pericolo assai più grande di quello della lotta di classe, e perfino incommensurabilmente più grande di quello della lotta tra ricchi e poveri.Di una cosa, evidentemente, non si può più incolpare il comunismo che non esiste più: della gigantesca crisi che avanza e che sta investendo con la forza di un uragano mai visto l'intera economia mondiale. E adesso tutti sono nel panico, a chiedersi da dove venga il disastro, cosa lo abbia provocato, come sarà possibile fermarlo.Un nuovo nemico è stato evocato, che non è possibile sconfiggere perché non combatte con le armi dell'Uomo. E non c'è rivoluzione conservatrice che possa fermarlo. L'ideologia, marxianamente intesa come “falsa coscienza”, ha finito per obnubilare le capacità intellettive del capitalismo trionfante. Pensavano che fosse possibile una crescita infinita, indefinita, perennemente dinamica. E non videro (e noi tutti con loro) che una crescita infinita non è possibile all'interno di un sistema finito di risorse. Ora si dà il caso che noi ci si trovi esattamente all'interno di un sistema finito di risorse. E per giunta, con ogni evidenza, nel punto massimo di una curva che i matematici chiamano “olistica”, oltre il quale non si può prevedere che una discesa.L'unica questione aperta è non il “se”, ma il “come”, cioè con quanto dolore si scenderà, tutti insieme, e il “quando”.Al posto dell'assenza di ogni limite, che produceva ottimismi senza limite, eccoci ora di fronte alla crescita simultanea di tutti i limiti: energia, clima, acqua, alimentazione, rifiuti e scarti. Sono tutte crisi che si manifestano al vertice della curva olistica. Che era stata prevista dagli scienziati del Club di Roma, nella lontana metà degli anni '70, quando lo Stabile di Genova metteva in cantiere Rosa Luxemburg.Adesso scopriamo di essere in “overshooting” da oltre un quarto di secolo, cioè nella condizione di chi sta ormai consumando più risorse di quante il nostro plurimiliardario, in anni, ecosistema sia capace di riprodurne.I vincitori, che hanno sconfitto tutte le rivoluzioni precedenti, stanno cercando adesso, affannosamente, di trasformarsi a loro volta in rivoluzionari. Ma quello che possono fare è aumentare ancora il proprio potere sui più deboli, privatizzare le risorse naturali, l'acqua, l'aria, il cibo. Per fare questo devono ridurre ogni forma di democrazia, esercitare un potere totale e incontrollabile per poter sopravvivere, anche a scapito della maggioranza del genere umano.E questo si può ancora fare. Ancora per un po'. Il problema è che anche i potenti non possono fare nulla contro la Natura. La quale è il più intrattabile degli interlocutori. Anzi non è, propriamente parlando, un interlocutore. Non ha armi al suo servizio, non aspetta proposte di mediazione, non prevede la propria resa e nemmeno la propria sconfitta. Soprattutto può fare a meno di noi.Rosa Luxemburg non poteva nemmeno immaginare che il suo anatema contro l'ordine che regnava a Berlino appena prima del suo assassinio si sarebbe inverato sotto queste forme. Neanche Marx poteva immaginare nulla del genere. E, infatti, la sinistra, come il Superclan, si è nutrita delle stesse illusioni di crescita indefinita che ora sono arrivate al capolinea.Adesso bisogna rifare tutti i conti. A sinistra, ma anche a destra. E ci aspetta una rivoluzione più grande di tutte quelle che siamo stati capaci di immaginare.