domenica 31 gennaio 2010

CELEBRAZIONI E INVOLUZIONI.


Oggi abbiamo gli aedi della Prima Repubblica, quelli che hanno fatto sorgere la Seconda a suon di bombe mafiose e nel segno di Gelli, che celebrano il maggior rappresentante del sistema di corruzione che aveva alimentato i partiti e i potentati in 50 anni di vita politica italiana: Bettino Craxi.

Oggi abbiamo un PD che riconosce “l’opera di Bettino in alcuni suoi aspetti”, per chissà quali capacità di statista e di chissà quale socialismo e, così facendo, butta alle ortiche la questione morale e con essa Enrico Berlinguer.

Oggi abbiamo un Presidente della Repubblica che si associa alla commemorazione di un delinquente come Craxi, che lo eleva a grande statista.

Oggi abbiamo la storia d’Italia letteralmente capovolta, dove tutto viene distorto da dei media asserviti che occultano, falsificano, censurano. Il nucleare è bello e la volontà popolare che lo abolì non conta nulla. Usciamo dalla crisi, il made in Italy è in ripresa, ma abbiamo operai sui tetti, cassa integrazione, aziende che chiudono, disoccupazione dilagante, i salari più bassi d’Europa. Le leggi che devasteranno il sistema giudiziario non sono ad personam, la Lega non è razzista, in Italia non c’è razzismo, mentre si moltiplicano episodi come Rosarno, che possono essere definiti veri e propri pogrom contro gli immigrati.

Potrebbero dirci che Cristo è morto dal freddo e che gli asini volano, con la stessa faccia da culo di chi sa di poter mentire senza essere smentito.

Purtroppo, l’unica possibilità che il paese ha di salvarsi da questa nuova forma di fascismo patteggiato con la falsa opposizione, è quella di uno scontro sociale aspro, duro, che lascerà caduti per strada. E non solo metaforici.

Il PD è sempre più in tilt, in stato confusionale e il rischio è quello che a sinistra prendano piede forze suicide, quelle del tanto peggio tanto meglio. Non esiste più un PCI che possa garantire una tenuta democratica nello scontro sociale in atto. Il PCI era forza politica, ma soprattutto sociale, con la sua base di militanza. Questa forza non c’è più. Ci sono solo dei capipopolo senza popolo, buoni solo a chiacchierare da Vespa o a qualche Festa del PD.

Se non ricostruiamo al più presto una forza politica di sinistra, ben radicata nel sociale, che sia in grado di fare un’opposizione dura ma seria, credibile e responsabile dentro e fuori le istituzioni, saremo solo spettatori di un gioco al massacro. 

QUELLI LI'...


Bersani è un politico di razza. Capace di districarsi tra bilanci e conti dello stato. I suoi discorsi hanno sempre una vena di pragmatismo. Parla di “ceti produttivi” mettendoci dentro anche i pescecani del capitale industriale, giocando sull’equivoco, come se non ci fosse una divisione sociale del lavoro. L’ho visto l’altra sera ad Anno Zero, da Santoro.

Parlando dei lavoratori sul tetto di Termini Imerese, li ha definiti “quelli lì” e “della gente”, che della gente poi fa quello che fa se non c’è una politica industriale seria.

Gli operai, quelli lì, quella gente. Ecco, è anche dal modo in cui si nominano i soggetti, che si vede una visione del mondo. Per Gramsci, Di Vittorio, per gran parte della storia del partito da cui Bersani proviene, gli operai non erano “quelli lì”. Erano il proncipale referente sociale di un progetto di costruzione di un’altra idea di società. Erano parte fondamentale delle classi oppresse e sfruttate. Oggi per i D’Alema, i Fassino, i Veltroni, i Bersani, quelli lì sono una parte del “paese”, neppure la più importante. In una notte in cui tutte le vacche sono nere.

Qualcuno dovrà pur spiegare loro (tempo sprecato...) che, al di là dei salotti televisivi e sociali che frequentano, c’è una parte del paese, la maggior parte, che non arriva alla terza settimana, che non ha prospettive e futuro, che perde il lavoro, che sale sui tetti. E che presto, mi auspico, potrà fare qualcos’altro.

sabato 30 gennaio 2010

ENNESIMA PUTTANATA: LA PUBBLICITA' RIDUCE GLI INCIDENTI SUL LAVORO (sic!).


Proseguo con la critica alla comunicazione pubblicitaria, iniziata un paio di mesi fa con un appetitoso pezzo apparso sul sito di Life Longari & Loman, agenzia bolognese che ha realizzato un paio d’anni fa una adv sugli incidenti sul lavoro per Pubblicità Progresso.
Cito l'intero pezzo "Adv works" sulle news dell'agenzia: “In una recente newsletter abbiamo scritto qui che la campagna che L,L&L ha sviluppato per conto di Pubblicità Progresso, Presidenza del Consiglio e Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali e fortemente voluta dal Presidente della Repubblica, con tema la sicurezza nei luoghi di lavoro, è di nuovo in onda in questi giorni sui network TV nazionali. La campagna è on air dai primi mesi del 2008. Ma nel frattempo l’INAIL ha rilasciato il più recente rapporto sulle dimensioni del fenomeno. Ebbene, nel 2008 rispetto al 2007, il numero degli incidenti sul lavoro è diminuito di 6.000 unità. Per la prima volta dal dopoguerra il numero di incidenti mortali è sceso sotto i 1.200, con 90 vittime in meno nel 2008 rispetto al 2007. Sono sempre numeri drammatici, ma la tendenza alla crescita è stata invertita. Qui alcuni dati in più. La campagna che l’agenzia ha realizzato consiste in spot tv, annunci stampa, poster, sito internet, pieghevoli realizzati in più lingue comunitarie ed extra-comunitarie e fa parte di un vasto programma governativo: vigilanza straordinaria nei cantieri, sottoscrizione di più severi e importanti protocolli, creazione di osservatori infortuni, campagne di formazione dei lavoratori etc. Noi non ci rallegriamo di numeri come questi. Ma ne siamo orgogliosi. Ancora una volta la comunicazione ben fatta dimostra di poter stare di fianco al mercato, ma anche al Paese quando si vogliono raggiungere obbiettivi veri. Da tutti noi della L,L&L.”
In buona sostanza l’agenzia bolognese dà una chiave di lettura dei dati di flessione dell’INAIL sugli incidenti sul lavoro come se la sua campagna pubblicitaria avesse contribuito a determinare questa flessione. Un falso clamoroso che si può desumere, oltre che dal buon senso comune, anche dal sito stesso dell’INAIL:
http://www.inail.it/Portale/appmanager/portale/desktop?_nfpb=true&_pageLabel=PAGE_SALASTAMPA&nextPage=Dati/index.jsp,
che spiega piuttosto bene le ragioni di tale decremento:
“I DATI DEL PRIMO SEMESTRE 2009 Diminuiscono ancora gli infortuni e le morti sul lavoro nei primi sei mesi del 2009: in entrambi i casi ci troviamo di fronte a un calo sostenuto pari a rispettivamente al -10,6% e -12,2%. Se il dato accentua sensibilmente il  miglioramento in atto ormai da molti anni, va detto, tuttavia, che il primo semestre 2009 è stato un periodo particolarmente negativo per l'economia italiana sia sul versante dell'occupazione (diminuita dello 0,9% nel primo trimestre e dell'1,6% nel secondo) che su quello della produzione industriale, calata di oltre il 20%. Se a questo si aggiunge il massiccio ricorso alla Cassa integrazione, appare chiaro come al sostenuto calo della quantità di lavoro effettuata corrisponda, ovviamente, una considerevole flessione dell'esposizione al rischio di infortunio. Sulla scorta dello applicazione di appropriate metodologie di proiezioni statistica è possibile stimare, pertanto, che una quota da 5 a 6 punti percentuali del calo nel primo semestre 2009 (sia infortuni in complesso che mortali), sia da attribuire alla componente "accidentale" rappresentata dalla contingente congiuntura economica particolarmente sfavorevole.”
Sono dati del 2009 e la L,L,L, parla del 2008, ma la tendenza con le sue cause, è la medesima: in buona sostanza è la crisi economica, con il suo strascico di licenziamenti, aziende chiuse, cassa integrazione, calo della produttività in giorni/lavoro, a determinare la flessione degli incidenti. Ci si arriva col buon senso, con un minimo di riflessione deduttiva, oltre che con i dati dell’INAIL. Ma i nostri comunicatori felsinei devono meschinamente mettersi medaglie su un tema così tragico e ci dipingono ancora una volta la realtà delle nostre città e provincie come un’enorme Topolinia, dove il salumiere fa il salumiere, il carpentiere fa il carpentiere e il poliziotto che controlla i cantieri è Basettoni (si pensa davvero che lo Stato abbia fatto qualcosa???). Per cui sicuramente, se un migrante albanese clandestino o un muratore di Afragola vede il loro spot in TV, va dal capo cantiere a chiedere il casco. Magari con l’aiuto di Topolino. E questi glielo dà. Ma per favore!
Finché le agenzie di pubblicità considereranno i “consumer” e i clienti stessi, dei consumatori di puttanate, che si bevono anche gli elzeviri trionfalistici di qualche direttore creativo alla ricerca di allori, la pubblicità sarà sempre il regno del falso. E neppure d’autore.
Chi fa comunicazione sociale per vocazione non ha bisogno di fregiarsi di qualsivoglia merito. Detto questo, ritengo la buona pubblicità sociale più che necessaria: indispensabile. L'adv realizzata dalla Life Longari Loman per Pubblicità Progresso è comunque una buona pubblicità. E' la gestione che ne viene fatta dagli autori che è ignobile. Un bel tacer non fu mai scritto.

venerdì 1 gennaio 2010

IL NUOVO ANNO.


Entriamo nel 2010 con tante incognite. Una comunità internazionale che non è in grado di trovare un piano comune per fronteggiare la distruzione dell'eco-sistema. Troppi appetiti sordi e sordidi dei soliti comitati d'affari che guidano o influenzano le politiche dei governi, a partire dalle potenze occidentali e dai loro antagonisti economici: Cina, Russia, India.
Delle classi dirigenti e degli economisti che non hanno capito che lo sviluppo economico, ossia la crescita del PIL, non è indice di benessere. Che oggi il benessere si misura nella capacità di gestire le risorse evitando sprechi e inquinamento, in un'altra visione del produrre del consumare, più legata alla condivisione, all'ecosostenibilità e al concetto di bene comune, a cui devono subordinarsi gli interessi privati, qualunque essi siano. Che il benessere, o è per tutti, o il banco questa volta salta sul serio.
Questo sarà il banco di prova anche per quest'anno. Sarà importante che dalle società e dai paesi pur diversi tra loro, nascano movimenti civili che uniscano una rinnovata visione collettivistica, della gestione della res publica, ovviamente con connotati di classe, a una visione più ampia di difesa della specie e del pianeta in cui essa vive. Sono due aspetti ormai indissolubili e inscindibili tra loro.
Ciò dovrà generare politiche locali di governance laddove è possibile, con soluzioni radicali, di autogestione delle risorse e della produzione e consumo di energia, di condivisioni di saperi, di attività umana di lavoro e di cultura antitetica ai modelli preconfezionati e seriali dell'attuale civiltà del neoliberismo selvaggio e delle sue propaggini mediatiche di controllo sociale. Condivisione, relazioni in rete, una rinnovata concezione del citoyen, della cittadinanza inclusiva delle differenze come ricchezza ed affrancata dai pensieri prevenuti più meschini che provengono dai sommovimenti reazionari del nuovo "uomo qualunque", leghista, razzista e intriso di egoismo da campanile. Un localismo che colloca la comunità locale in una visione umanistica, universale, eco-sistemica e che esclude (questo sì) l'interesse privato che vuole farsi dominante per affermarsi sul resto delle specificità.

In America latina, governi socialisti e bolivariani stanno già sperimentando nuove forme di partecipazione collettiva alla vita sociale, economica e politica da parte delle classi popolari. I contesti sono diversi, ma in Occidente siamo ancora arretrati su questo aspetto vitale per la sinistra e più in generale per la prospettiva di cambiamento rivoluzionario della società nella direzioni prima esposta. Certo, sono contesti diversi, ma l'approccio deve essere il medesimo. La sinistra ha una grande responsabilità su questo.

E' una grande responsabilità per l'unica parte che può trovare delle risposte "marxiane" dopo il crollo delle varie forme distorte e desuete del marxismo classico: la sinistra. Abbiamo visto in altri contesti europei come sia possibile unificare esperienze diverse, soprattutto se queste sono ontologicamente espressione del conflitto sociale e quindi laboratori di organizzazione operaia e di classe, di nuove forme di resistenza democratica al potere della destra neoliberista dominante. E' l'esperienza della Linke, solo per guardare al fecondo laboratorio tedesco.
Purtroppo, e questa è un'altra grande incognita, gli spezzoni del comunismo italiano, del riformismo socialista e dell'ecologismo, pur cambiando formulette consociative, non sono espressione dialettica dei movimenti, che pure ci sono e si esprimono con forme creative di opposizione sociale e in rete. Abbiamo forti lotte operaie che non trovano sponda se non in un sindacato (CGIL, FIOM), che si ritrova su un versante antagonistico suo malgrado, dopo decenni di consociativismo. Perché la governance del paese Italia è andata troppo a destra. Infatti, non di uno spostamento a sinistra della CIGIL si tratta, ma al contrario, dello spostamento a destra effettuato dalle elite padronali e del potere politico da un governo all'altro (l'"opposizione" PD si inserisce organicamente in questo schema e da qui lo scollegamento con la CGIL stessa).

"Paradossalmente", le risposte tattiche per una forza politica di sinistra e di classe ce le dà ancora una volta il leninismo. Perché l'unico sbocco che può portare alla crescita di un soggetto politico autonomo è la trasformazione in lotta politica contro questo sistema di potere delle mille istanze attualmente scoordinate tra loro, saldandole ai grandi temi del lavoro e della questione democratica, legandole a un soggetto di sinistra che agisca e ricomponga ambiti sociali e di movimento per un'uscita dal Berlusconismo in chiave antiliberista, battendo gli inciuci e i complottini dei vari candidati alla gestione neoliberista dell'esistente: dal blocco Fini-Casini-Montezemolo al PD.
Quindi: soggetto politico autonomo, unificante e lotta politica per far compiere un'avanzata alle istanze popolari e di classe. Fermarsi qui significa però fingere di fare. Tante sono le espressioni di un leninismo scimmiottato su pamphlet intellettualistici e dottrinari.
La lungimiranza leniniana che portò all'Ottobre fu la capacità politica di influenzare le forze politiche espressione della borghesia rivoluzionaria russa, menscevichi in primis, conducendo a uno sbocco rivoluzionario operaio e contadino.
Rifondazione e gli altri partitini non elaborano tattica. La loro politica è pura testimonianza residuale. Non fanno politica, ma parlano di politica. Sono condense, distillati di burocrazia autoreferenziata, al di là delle situazioni di massa, che pur esistono nelle organizzazioni interne, ma che non producono azione politica.

Parlavo di uscita dal Berlusconismo in chiave antiliberista. Bene, questo è il nostro Ottobre. Ciò significa non avvitarsi su se stessi in una politica di "parrocchia" come hanno fatto Rifondazione, PdCI e vari, ma unificare le forze in un fronte comune nelle modalità dialettiche prima esposte e incalzare "i menscevichi": PD e IDV, riguardo il punto di vista e gli interessi materiali di quei settori sociali che stanno pagando costi altissimi con la crisi.

Lo scenario. Se in questa fase la questione democratica è centrale come penso, l'obiettivo primario è quello di mandare a casa un governo che rappresenta gli interessi di potere più spregiudicati e criminali che l'Italia abbia avuto dopo il fascismo. Una politica neoliberista aggravata da un attacco ai fondamenti costituzionali stessi, della democrazia.
Questo va fatto con un insieme di forze politiche che rappresentino nel concreto un blocco sociale che va dal lavoro dipendente e precario a quei settori di piccola e media borghesia sempre più precarizzati e colpiti da meccanismi selvaggi economico-finanziari, ai ceti produttivi e imprenditoriali sani, alle soggettività discriminate, ai migranti. Su questi presupposti va costruito il soggetto politico autonomo, con una nuova idea coalizzante di società collettivistica ed eco-sostenibile, in un fronte comune delle sinistre comuniste, socialiste, ecologiste e pacifiste. E da questa ritrovata forza aggregante si va ai tavoli di discussione politica e di programma con la base sociale dei democratici, con l'obiettivo di tagliare fuori una dirigenza che, nella migliore delle ipotesi (se non collusa), è incapace di opporre resistenza nel paese con la mobilitazione e l'unificazione delle lotte sociali. Che tende a imporre anche alla sua stessa base forme consociative tra ceti politici con le destre, spacciandole per dialettica politica "corretta" e moderata. Il cosiddetto bipolarismo: questa riduzione esclusiva (che esclude, non include) della politica italiana in due forze di potere elitario, espressione dei poteri forti, in alternanza tra loro. Il PD tendenzialmente è disposto a sacrificare aspetti importanti della Costituzione dei padri e della democrazia reale, per permanere esso stesso in questo assetto. E' qualcosa di ben diverso dal consociativismo delle "convergenze parallele" e della "solidarietà nazionale". Semplificando: qui non c'è più Moro, ma il piduista Berlusconi. Quindi momento politico e storico ben più pericoloso.

L'episodio barese è importante, perché ci mostra una tendenza d'azione, che deve divenire pratica diffusa. Ci mostra un aspetto del percorso di riappropriazione della politica da parte della base militante di sinistra. Indipendemente dalla bontà di una ricandidatura di Vendola alla regione Puglia, la protesta di attivisti di varie forze politiche di sinistra all'assemblea "passacarte" del PD pugliese, evidenzia la necessità di sviluppare interventi comuni e trasversali che facciano saltare i luoghi dell'asfittica politica di vertice.
Ma non solo. La grande questione per ricomporre un tessuto politico di base, passa per momenti stabili di autorganizzazione trasversale del popolo di sinistra, su terreni come le elezioni amministrative, l'opposizione a provvedimenti antipopolari tipo: la privatizzazione dell'acqua, la centrale nucleare, il termovalorizzatore. Un dibattito altro da quello deciso dalle segreterie. Un intervento critico nei santuari dove la burocrazia del decisionismo dall'alto si consacra come "democrazia condivisa" e ratificata.
Perché, a fronte dei ragionamenti precedentemente fatti, e del pericolo democratico in particolare, non è vero che ciò che fa il PD è un problema interno al PD. Questi si stanno scavando posizioni di favore nel panorama politico italiano, ripropongono i soliti ceti dalemiani e post-democristiani, ed escludono dalla scena politica (come ha fatto Veltroni) l'idea stessa di un'opposizione "altra". Non è tollerabile lasciarli fare.

I tempi sono maturi per una trasversalità delle dialettiche e delle narrazioni interne alla sinistra soprattutto perché, al di là delle micro-cortine di ferro dettate dalle segreterie di partito, tra attivisti delle diverse appartenenze, ci sono molti punti in comune progettuali, di valori condivisi e di necessità incombenti di lotta per far cadere il governo. Molti di più dei punti di divisione "dogmatici" e delle lotte di potere tra stati maggiori della sinistra radicale. Se la necessità di costruire qualcosa d'altro, a partire da questa trasversalità, non viene capita da questi stati maggiori, così avvezzi a scissioni e ricomposizioni che non escono dalle stanze in cui vengono concepite, anche questi dovranno andarsene a casa.

So che questa visione su come procedere può sembrare velleitaria nell'attuale contesto congiunturale del "dibattito" a sinistra. Ma sarà bene che anche esperienze di aggregazione delle soggettività della sinistra autonoma come Bologna Città Libera, si assumano la responsabilità politica di chiedere conto ai "sinistri" burocrati del loro operato, visto che questi ultimi amano parlare in nome del movimento operaio e di classe. E poi si prendono la responsabilità di spaccare le organizzazioni politiche che dovrebbero essere bene comune: ossia strumento di lotta e di partecipazione dal basso.

La riappropriazione dal basso della politica è vista come antipolitica dai ceti che intendono mantenere questa separatezza. In realtà l'unico senso che possa avere una politica di sinistra oggi, è un senso di appartenenza collettiva a percorsi di antagonismo ai modelli economici, politici e culturali del maistream neoliberista.
La democrazia in fieri, partecipativa, agita in forme dirette dal basso, di nobile tradizione soviettista, è il sale della democrazia rappresentativa. La conditio sine qua non. Se gli avanzi di un marxismo novecentesco non sono in grado di essere avanguardia politica concreta, si levino di torno, grazie.
La storia insegna che le classi che lottano in un dato momento congiunturale di conflitto, generano esse stesse e per se stesse le forme politiche e di organizzazione del conflitto in atto. E' una concessione doverosa allo spontaneismo, per non dover più ripetere errori del passato, che stanno pagando ancora oggi in Cina o in Corea o altrove (e qui mi fermo per non generare polemiche sansonettiane...). E' quindi la soluzione che farà da becchino anche alle vecchie forme della politica di sinistra.
Cogliere e porre a sintesi politica quanto emerge dal conflitto sociale è il compito che una nuova sinistra di alternativa radicale che emergerà dallo scontro sociale, si trova davanti. Presumo che l'attuale sinistra per come è ora, non sarà in grado di comprendere e agire. Per questo la situazione sociale e sindacale, i movimenti che stanno nascendo sulle più diverse tematiche e, non ultima, la mobilitazione democratica ormai permanente, di realtà e soggetti eterogenei, faranno sorgere scenari conflittuali che spiazzeranno non poche burocrazie politiche. 2010... se ne vedranno delle belle.