lunedì 30 agosto 2010

OGNI MONDO E' PAESE...




... e ogni stato è assassino, viene da dire. La democratica Francia, che strilla e s'indigna (giustamente) per la barbara "giustizia" iraniana che condanna alla lapidazione Sakineh, condanna a morte senza processo, con sentenza direttamente eseguita in carcere, un tossico sorpreso a trafficare con una carta di credito rubata, un crimine dei peggiori nel bel mondo del casinò, per giunta poi italien!
Perché dai, caro Sarkocaz, se per te un rom è per forza un problema di ordine pubblico, per me la tua polizia è un problema di fascismo mentale e culturale.
Non raccontateci che Cristo è morto dal freddo. Daniele Franceschi, un trentenne che muore d'infarto, che combinazione, proprio in un carcere d'oltralpe, in un posto in cui, comunque, lo stato, qualunque stato che voglia dirsi civile e democratico, ha il dovere di proteggere e assistere ogni cittadino, colpevole o innocente che sia, è una bestemmia verso l'intelligenza di chiunque.
Io non aspetto certo l'autopsia per avere già un'idea di quanto è successo.

venerdì 27 agosto 2010

WALTER CLOSET ... HA ROVINATO LA SINISTRA E IL PAESE... ED E' ANCORA QUI CHE PONTIFICA!


Walter Veltroni, con la sua idea di bipolarismo semplificato, che ha dato una mano alla sinistra radicale a farsi un bel hara-kiri, si è rifatto vivo. A volte ritornano non è solo un film dell'orrore, ma una orrifica realtà. E cosa viene a dirci il Catone de noantri? Che non occorre l'antiberlusconismo, che occorre fronteggiare l'attuale emergenza economica, cito la sua visione dei nuovi rapporti nel mondo del lavoro tra lavoratori e imprenditori, perché è un capolavoro di supina adesione alla globalizzazione nei suoi aspetti più sordidi e neoliberisti:
"Scrivo ai lavoratori che sentono che si è aperto un tempo nuovo e difficile, in cui, per resistere alla pressione di una globalizzazione diseguale, dovranno rinegoziare e ritrovare un equilibrio nuovo tra diritti e lavoro."
Equilibrio nuovo sta per rinunciare a diritti conquistati insieme alla democrazia in decenni di lotte sociali. Questo, se andasse a fare il premier, tirerebbe un linguinbocca a Marchionne che si sentirebbe fino a Detroit.
No grazie, Walter. Il Pd è già fin troppo legato a certi interessi di parte, che non è quella dei precari e dei lavoratori dipendenti, ma neppure delle partite IVA oneste, strangolate dalle tasse. E' già troppo occhieggiante verso Casini e Montezemolo, per non parlare degli amori di D'Alema verso Tremonti, perché tu possa entrare di nuovo in scena.
Ci è bastata la batosta che ha aperto la strada di nuovo a Berlusconi, tutta opera tua, per sopportati ancora.
La tua idea di modernizzazione, di semplificazione non è certo quella di una giustizia sociale autentica. Il tuo è riciclaggio di politica vecchia, pappa e ciccia con il solito capitalismo parassitario che ciuccia proprio dalle tasse di quegli imprenditori sani e dei lavoratori di cui tu ti riempi la bocca e usi per le tue tesi del nulla, che non dicono nulla, che non propongono nulla. Dietro al tuo modernismo ci sta il sesso degli angeli, cippa lippa con la supercazzola. Sei peggio di Amici miei nel prendere per il culo la gente.
Vai a scrivere ancora un bel romanzo: dopo "Io", "Me", o "Il sottoscritto", o più semplicemente "Walter"... e lascia stare noi. Lascia stare il paese, che è brutto e incasinato anche senza di te.

giovedì 19 agosto 2010

K


In questi giorni assistiamo al pompaggio mediatico su Francesco Cossiga e la sua mai troppo prematura scomparsa. Non c'è tg delle tre reti RAI, così come di Mediaset e di LA7, che non ne dedichi in apertura almeno cinque minuti. Con uomini politici e alte personalità dello stato che commentano, ricordano, rievocano, omaggiano, servizi, interviste, aggiornamenti passo passo. Un de profundis di regime rivoltante a cui si accodano come in una testimonianza di fideismo di casta tutte le forze politiche.
In questa falsa democrazia, ormai regime condiviso da nani e baffetti, con media di regime, non una sola voce critica è stata microfonata. Questo pezzo di merda, responsabile della politica dei corpi speciali, che porta sulla coscienza l'assassinio di Giorgiana Masi, di Francesco Lorusso e di altri studenti, lavoratori, manifestanti, attivisti politici della sinistra, questo Catone del gattopardismo più schifoso, depositario dei misteri più inquietanti della prima come della seconda repubblica, complice attivo dei servizi deviati, è diventato per tutti un grande e lungimirante statista.
E' in queste occasioni, è nelle sfilate delle lobbies di potere, nelle liturgie di stato che c'è "la conta", che viene riconfermata simbolicamente quella ragion di stato buttata in faccia ai parenti delle vittime del terrorismo di stato stragista, irrisi da un segreto di stato che serve solo ai manovratori occulti ben interni ancora oggi nelle nostre istituzioni.
Ragion di stato che viene fatta vivere come una chiave di lettura degli anni '60 e '70, peggio dei manualetti staliniani e post-staliniani della storia dell'URSS, peggio delle veline del Minculpop fascista.
Questa simbologia non è secondaria nel tenere in piedi alleanze, inciuci, accordi di bottega, scambi e favori sulla pelle dei cittadini. E' una simbologia paragonabile ai riti massonici, però in questo caso fatti pubblicamente da chi occupa da decenni le poltrone del regime, per dire agli italiani: la "verità" è questa, e verità di stato così come potere di stato per come si è manifestato in Italia non sono discutibili.
Per questo, diventa sempre più importante ricostruire un'altra storia del nostro paese, magari con tanti e diversi punti di vista, ognuno con la sua legittimità. Senza lasciare agli aedi di un potere sordo e monocorde la versione di una ragion di stato, che ci racconta che Cossiga, come ministro degli interni, non è stato un assassino e un liberticida dei diritti politici e di manifestazione, non è stato l'esecutore indiretto dell'omicidio di Aldo Moro, non è stato uno dei massimi responsabili dell'emergenza, che ha represso col sangue, la galera, e spesso la tortura, i movimenti d'opposizione, con la scusa della lotta al terrorismo (e l'imbecillità complice dei brigatisti e pielle vari).
Questo è il mio de profundis a uno dei personaggi più ignobili della politica di palazzo italiana.

domenica 15 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /5




La felicità (ovvero: Gandhi o Renato Curcio?). Ho introdotto una categoria che pertiene più a un campo etico? Che poco ha a che vedere con una visione del mondo materialistica? Eppure nel marxismo, tutto ruota attorno a un cambiamento sociale che vede l’uguaglianza, ossia la fine dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, della divisione tra classi, come elemento di progresso, come stadio ultimo della comunità umana. Ciò significa benessere, affermazione delle proprie attitudini nella società. Se guardiamo alla tendenza all’aumento del capitale costante (le macchine) su quello variabile (la forza-lavoro umana), slegando il processo produttivo al profitto, alla creazione di plusvalore, possiamo pensare alla liberazione dal lavoro e a un’attività umana più creatrice di valori, quindi di cultura, di bello, quindi arte. Il Marx del frammento delle macchine dei Grundrisse.

Questo per dire che la felicità, intesa come affermazione dell’individuo in un contesto ambientale e sociale privo di costrizioni e miseria, è un tema che aleggia nel socialismo, nel pensiero comunista. Dirò di più: è l’asse portante del materialismo storico e dialettico, perché il comunismo stesso è analisi e azione scientifica nella società con un forte connotato etico. La felicità del corpo sociale e di ogni singolo individuo che appartiene ad esso è il fine indiscutibile del comunismo, un presupposto analogo al giuramento di Ippocrate, ossia, la premessa dell’esercizio di medico, come per un dottore il fatto di guarire un ammalato abbia per implicito fine la guarigione di questo, il suo benessere, la durata e la qualità della sua vita.

Non mi addentrerò nel campo pertinente l’interiore umano, nel fatto che la felicità, in definitiva, sia qualcosa che ognuno di noi ha, come una pietra focaia contiene il fuoco, o un chicco di grano la spiga e, quindi, il pane. Non parlo neppure di una dimensione mistica, o di quella psicologica, che possono avere dei forti legami con l’ambiente sociale e culturale, con il tipo di vita che l’individuo conduce.

Come scienza sociale, il socialismo può dare delle risposte sulla qualità della vita di un corpo sociale, ossia di una formazione economico-sociale secondo il punto di vista di chi sta effettivamente male in quella società, e quindi così facendo, cura il benessere della comunità intera.

Ma comunque, il socialismo non ha mai inteso la felicità come la felicità di qualcuno e non di qualcun altro. Non era nelle premesse del pensiero di Marx o di Engels e neppure in quello di Lenin. Nel marxismo c’è una visione umanistica suprema, che è stata dilaniata dagli esegeti dell’assolutizzazione della classe per sé e del conflitto, dagli apprendisti stregoni della più grande storpiatura del Machiavelli, quella del “fine che giustifica i mezzi”.

Si legge Marx o Lenin, ma si interpreta Karl Schmitt.

Meno male che nell’imprinting filosofico del marxismo, soprattutto sul piano etico, si mantenga vitale Hegel. Questo ci aiuta a dare una chiara risposta alle aberrazioni novecentesche, agli inferni illiberali e genocidi, ai terrorismi che una parte di chi si richiamava a tale dottrina ha prodotto. Ma di più: come il giuramento di Ippocrate per il medico, è l’etica a guidare l’analisi e l’azione comunista o socialista. Parlerei di etica della felicità e del bene comune, per la precisione.

Ciò non significa rifiutare in assoluto la violenza. “Andare sui monti” nel ’43 è stato necessario per liberare il paese dal nazifascismo. Ma è stata una situazione eccezionale, esattamente come quella trattata in precedente sezione sulla governance di soggettività rivoluzionarie, di potere popolare in transizione.

Ciò significa però che il fine e i mezzi sono esattamente la stessa cosa, pertanto il socialismo punta a un’evoluzione della società umana attraverso la gestione dei conflitti sociali nelle modalità meno invasive possibili, nel rispetto della vita umana, del contesto democratico (anzi: valorizzandolo), nell’affermazione dei diritti civili e politici. Ciò è maggiormente possibile nelle democrazie liberali, senza diventare esegeti di queste,

cancellando come fa il PD, una visione di classe, riconducendo quindi le iniquità, le differenze, le ingiustizie a una non meglio precisata e generica “mala gestione” della res publica. L’anticapitalismo è nell’imprinting del socialismo, ma lo è anche una visione della politica come arte del possibile. Come base per avvicinarsi all’”utopia”.

All’inizio di questa sezione c’era una parentesi con una domanda. La risposta è Gandhi (non me ne voglia il Curcio di oggi: ho solo preso uno stereotipo che renda chiara la differenza che intendo marcare). La vera azione rivoluzionaria del socialismo non sta nell’atto violento che cristallizza uno dei tanti comportamenti che una lotta politica può assumere in casi estremi come l’8 settembre del ’43 in Italia o oggi in Palestina contro il sionismo di estrema destra. Sta indissolubilmente nella forza del popolo, quindi delle classi sfruttate e oppresse. Se la coscienza politica è diffusa tra le masse e la conflittualità esprime dei gradi maturità in un contesto come l’Italia, il problema è utilizzare gli strumenti democratici per governare il cambiamento. In generale è far crescere l’organizzazione di classe e la sua incisività nel contesto economico e sociale con “armi” come lo sciopero, il boicottaggio, la disobbedienza civile. Se la lotta è vasta e diffusa, non c’è carro armato che tenga. Le economie crollano quando crollano le borse, quando i capitalisti non fanno più profitti. Le vere bombe del terzo millennio? Sono i consumatori consapevoli, i cittadini che tutti insieme scelgono e agiscono toccando il portafoglio dei pescecani.

Compito dei comunisti in Italia oggi, è far crescere la coscienza politica a partire dalla classe e dagli strati sociali più colpiti dalla crisi, aprendosi a tutti i cittadini, è portare a livelli più alti e diffusi l’azione di critica al neoliberismo e a questo modello di produzione e consumo che sta devastando il pianeta e distruggendo le risorse di tutti e, nel contempo, partecipare alla vita democratica e istituzionale per portare il punto di vista di classe e una politica di gestione ecosostenibile delle risorse e dei cicli produttivi.

Felicità e non-violenza, dunque, sono il fine e il mezzo principali del socialismo, del comunismo oggi uscito dai suoi estremismi speculari al pragmatismo guerrafondaio e sfruttatore del capitalismo. Oggi è chiaro come gli estremismi delle elite di partito si riproducano nelle medesime modalità delle consorterie e dei gruppi di potere delle società capitalistiche. Cina e USA sono le due facce della stessa medaglia. La Cina rappresenta l’approdo di questa visione distorta del marxismo, divenuto strumento “sacro”, eterne verità che non legittimano altro che una delle modalità, forse la più odiosa, in cui il capitalismo stesso si riproduce. Così com’era il capitalismo di stato sovietico.

Oggi conosciamo i danni che provocano ai movimenti di lotta, gli estremismi dell’esaltazione dell’atto “rivoluzionario” soggettivo come azione di un’avanguardia che assolutizza la necessità della violenza in un atto disperato e autodistruttivo. Il sacrificio come una modalità dell’azione politica. Missionari col mitra, molto cattolici.

Felicità nostra e altrui, dunque, come categoria primaria del socialismo. Il primato dell’etica su qualsiasi altra categoria. Di fronte a tante analisi che hanno attraversato la fine del millennio, questa semplice visione è l’autentica eredità che i padri del pensiero storico e materialistico dell’800 ci hanno lasciato. Il resto è scienza, è “medici senza frontiere”. Con Ippocrate nel cuore.


venerdì 13 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /4


La classe. Nell'attuale sinistra, da quella pseudo, molto pseudo-sinistra come il PD, fino alle sinistre che si rifanno al marxismo, la questione della classe o è sparita in un indistinto "paese" o "italiani", oppure ha raggiunto livelli di astrattismo privi di una qualsiasi intenzione di analisi del corpo sociale che oggi possa essere associato a una classe proletaria.
In questo secondo caso si parla di operai, precariato, migranti, generici lavoratori. Lungi da me il voler anche solo tentare un'analisi della classe (spetta farla a chi si pone su un terreno di azione politica, quindi di internità alla classe, poiché analisi e presenza sono due aspetti inscindibili), intendo con questa quarta sezione marcare un categoria fondante del socialismo: la classe intesa come insieme di settori sociali subalterni nella produzione sociale, interni ed esterni al ciclo produttivo, comunque interni alla riproduzione della società in ogni suo ambito. Subalterni perché per riprodursi e sopravvivere non possono fare altro che vendere la propria forza lavoro.
Categoria sparita in un indistinto "mondo del lavoro" per i provenienti dal PCI-DS, oggi nel PD. Vediamo il perché di questa sparizione, perché in apparenza può sembrare più nobile e umanistico fare gli interessi di tutta la comunità nazionale. Ed è più o meno quello che sostengono anche altre forze politiche, i sostenitori dell'ordine economico-sociale vigente in chiave neoliberistica. Tutti parlano di interessi degli italiani, della nazione e via dicendo.
In realtà ciò non è possibile e lo insegna bene Marx, quando ci parla di inconciliabilità delle classi in questo come in tutti i sistemi economico-sociali fin qui succedutisi. Quando si parla di lotta di classe come motore della storia, non si è conflittualisti a tutti i costi, fanatici dello scontro, ma si prende atto, scientificamente, che la società divisa in classi è un contesto generale, macro-sociale dove i rapporti di forza tra classi sono il prodotto storico, economico, politico e culturale di una lotta incessante tra parti sociali.
Per cui la forma più alta di generalismo umanistico, è proprio quella di sostenere la parte sociale che ha tutto l'interesse storico e materiale di cambiare tali rapporti, verso la socializzazione dei mezzi di produzione e riproduzione sociale, verso forme più alte e democratiche di gestione della cosa pubblica, delle forze produttive, della risorse naturali e sociali della comunità-mondo.
Non mi dilungherò nell'attualità del pensiero marxiano sulla visione del processo rivoluzionario verso il comunismo, sulla posizione che occupano le classi salariate in questo processo. Voglio solo sottolineare che però questo aspetto non va preso in modo meccaniscistico e dogmatico come fanno le varie sinistre comuniste, o i marxismi-leninismi classici e dottrinari. Occorre saper operare in base alla realtà politica congiunturale, all'epoca storica, senza ripetere papagallescamente "eterne verità".
Ciò che è importante nella definizione di un'ontologia corretta del socialismo è proprio la necessità storica, in questa fase politica ancora di più, di creare una sinistra organizzata dentro la classe. E' questo il punto di partenza di cui a sinistra non si vede la necessità. Occorre tornare a fare come facevano i comunisti e i socialisti sin dagli anni '20 del secolo scorso: lavorare nella classe per organizzare strutture dell'organizzazione dentro di essa, nei suoi movimenti per come si presentano. Oggi c'è la tendenza a organizzarsi lì dove si è: impera una sorta di spontaneismo per forza di cose privo di un nerbo identitario forte (e non parlo di identità comunista, quanto di identità di classe). Una volta i partiti socialisti e comunisti mandavano quadri, militanti principalmente dentro la classe, nelle officine, nelle campagne. Oggi pensiamo bene dove andrebbe fatta questa azione di lavoro politico, pur considerando la forte frammentazione sociale e del tessuto produttivo stesso.
No, no ci si pensa. Neppure le forze che si dicono comuniste non hanno questa scintilla, non recuperano il meglio della radizione politica del metodo di lavoro politico di massa che i padri politici avevano. C'è come una cesura con questo patrimonio politico, da parte degli attuali militanti, a partire dai micro-gruppi dirigenti, più interessati a lotte intestine e di parrocchia, a posizioni di rendita dentro i propri miseri contesti, che a un lavoro unitario di tutte le forze comuniste, di ricostruzione di un tessuto connettivo politico dentro la classe.
Quello che manca a un'ipotesi che si proponga come alternativa forte al sistema capitalistico e a tutte le sue politiche economiche e sociali neo-liberistiche, non è tanto e solo una visione critica organica dell'attuale società e un programma conseguente. E' il suo legame forte con la classe, è il far vivere le ragioni del socialismo, dell'alternativa nei soli contesti in cui è utili e necessario farli vivere: nei luoghi di lavoro, nelle periferie degradate delle metropoli, tra i soggetti che subiscono peso di una politica reazionaria sul piano economico, sociale e culturale (vedi la questione delle diversità sessuali, l'omosessualità, la donna).
Anche le tematiche delle differenze e del razzismo nascono (e quindi ne devono avere una conseguente chiave di lettura) dalla necessità per le classi egemoni di avere una società che generi potere di classe, che giovi all'organizzazione della produzione e riproduzione sociale.
La legge Bossi Fini, dunque la clandestinità per i migranti, solo per fare un esempio, contribuisce a mantenere basso il costo del lavoro.
Con la sua visione di classe, il socialismo deve affermarsi nella società a partire dai soggetti, dai settori sociali che più hanno la necessità di liberarsi, emanciparsi da questo stato di cose.
Solo da qui, è possibile fare leva sulle contraddizioni che vivono nel capitalismo: vecchie come la sovrapproduzione di capitali e merci; nuove come i limiti delle risorse materiali nel pianeta e l'abisso che l'umanità si trova davanti proseguendo con questo modo di produzione.
C'è chi non lo vuole capire (fino al PD incluso, che fa finta di capirlo). Chi ha una visione di classe e una prospettiva socialista nel proprio agire, i comunisti in primo luogo, lo ha capito. Deve portarlo nella classe.

mercoledì 11 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /3


Democrazia e avanguardia, due parole che in apparenza sembrano in piena idiosincrasia tra loro. Il pensiero va subito alla dittatura di partito nei paesi del socialismo reale, all'involuzione del bolscevismo in burocrazia d'apparato, struttura politica e amministrativa dello stato burocratico.
Le prime critiche interne al movimento comunista e alle sue correnti di pensiero su questa involuzione sono state portate dal cosiddetto "comunismo di sinistra" e da altre realtà politiche e personaggi come Rosa Luxemburg.
Lo stesso movimento socialista, gli azionisti, il liberalismo di sinistra hanno rimarcato questa tara tutta interna all'internazionale comunista dalla metà degli anni '20 in poi.
Anche la nuova sinistra italiana, dal Manifesto in poi ha tratto spunti fecondi dalla rielaborazione di un'autentica visione comunista della democrazia popolare, del processo rivoluzionario.
Io penso che oggi sia possibile riformulare questa relazione tra democrazia costituente e di popolo e avanguardia politica, in un processo di trasformazione della società, di ridefinizione dei rapporti sociali tra classi, dello stato e del bene comune della collettività, in modo più consapevole e maturo.
Lo enuncerò in modo semplice e comprensibile. Tutte le esperienze di rivoluzione popolare in cui le classi rivoluzionarie, quelle parti di società che nell'azione politica modificano i rapporti di forza tra classi in una data società, assumono un ruolo di forza di potere o contropotere, sono esperienze transitorie di democrazia diretta che devono poi coniugarsi in un sistema costituzionale di sovranità popolare, dove il pluralismo e la dialettica democratica tra parti sociali deve prendere il posto dell'assemblearismo soggettivo, ossia delle soggettività che hanno diretto lo scontro e la presa del potere. La dittatura, nel suo significato originario di governance eccezionale e transitoria, deve essere una fase in cui le avanguardie sanno consapevolmente essere limitata nel tempo. Il compito delle avanguardie è proprio quello di stabilizzare il processo rivoluzionario, che è tale in quanto democratico, in una fase costituente legata al tipo di società storicamente possibile. Assolutizzare la dittatura è stato l'errore delle sinistre antimperialistiche e delle esperienze comuniste nel Novecento, pur con non poche eccezioni.
Soviettismo, consiliarismo, i barrios sandinisti, il contropotere delle soggettività sociali nelle metropoli imperialiste, l'autogestione: tante sono le esperienze. Ma il comune denominatore per tutte, perché non si trasformino in dittatura di partito, in burocrazia di stato, o peggio, in terrore autoritario, è lo sbocco a una fase costituente in democrazia parlamentare. Ritengo che non esistano forme più mature ed evolute di democrazia popolare, di quanto abbiano potuto esprimere le democrazie parlamentari di questo fine millennio.
Il ruolo dell'avanguardia comunista è quello di portare a livelli più alti e maturi gli organi di sovranità popolare. Quello di trasformare una democrazia diretta delle soggettività in una democrzia costituente e costituzionale che abbia come premessa ontologica il pluralismo e la libertà di associazione da parte dei cittadini in partiti politici.
Diversamente mi si deve dimostrare che la democrazia popolare può vivere dentro gli organi di partito, senza un parlamento fatto di forze politiche che si confrontano civilmente e liberamente, senza un governo costituto in un libero confronto elettorale.
Diversamente mi si deve dimostrare che organi transitori di contropotere popolare, nelle forme di decisionalità soggettiva, di leaderismo assembleare ammantato di autogestione, possano in generale gestire la società e il bene comune, abbiano questa legittimità di fronte al resto della popolazione. E non rappresentino piuttosto un'involuzione autoritaria pur surrogata dai nobili principi degli oppressi.
ll principio sacrosanto della Comune di Parigi: una testa un voto e revoca del ruolo di rappresentante in qualunque momento da parte dell'assemblea popolare sovrana, deve trovare poi una sua forma costituita più generale, delle regole funzionali riconosciute per costituzione, dove la cittadinanza tutta è sovrana. E non solo "i rivoluzionari".
A questo deve sfociare un'autentica visione comunista della società. Se vogliamo portare la questione a un programma massimo e a un'utopia che deve sempre muovere una forza comunista che sia tale, la società senza classi non si realizza con la violenza e il terrore. E' un processo storico materiale che si poggia su basi culturali e politiche profondamente radicate nella democrazia progressiva, nella transizione rivoluzionaria che unisce condizioni materiali e storiche a condizioni sociali e culturali favorevoli e mature per questo passaggio.
I compiti dell'avanguardia comunista sono quelli di favorire i processi democratici e di espressione politica popolare, stimolare il loro sviluppo, sono quelli di servire i cittadini, non di comandarli. Nel rappresentare gli interessi e le aspirazioni delle classi subalterne al sistema capitalistico, i comunisti lavorano per estendere i diritti civili e democratici a tutta la popolazione, la libertà di parola e associazione a tutti i cittadini. Non "sterminano i kulaki", ma lavorano perché nella società il nuovo modo di gestire il bene comune, le forme più ampie di democrazia e di libertà, le condizioni di benessere autentico e non alienato per tutti si sviluppino fino a superare le vecchie forme di riproduzione economico-sociale.
Già oggi, lottare per affermare un pluralismo nei mezzi i comunicazione in pieno e vigente fascismo mediatico, per sconfiggere l'occupazione dello stato e delle più diverse istituzioni da parte dei partiti, veri e propri comitati d'affari e verminai di clientelismo e corruzione, per riportare le risorse energetiche e comparti economici vitali per il paese in un ambito pubblico e non privatistico, entro una logica di ridistribuzione di ricchezza sociale e servizi per i cittadini e non di profitto per azionisti, già oggi pensare a una forza politica che porta avanti tutto questo e che pone la pace e il dialogo tra popoli, etnie, stati, ecc. come la base per gestire i rapporti geopolitici internazionali, significa essere campioni del socialismo, essere comunisti autentici.
Già oggi un processo di tale portata sarebbe un vero processo rivoluzionario. Che vedrebbe sorridere i padri, i Calamandrei, i Terracini, i Parri, che vedrebbe l'assenso dei veri protagonisti del comunismo e del socialismo libertario e popolare novecentesco da Allende a Dubcek, da Palme a Gramsci.

martedì 10 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /2


Il mondo è scosso da guerre, deportazioni, eccidi, pulizie etniche, terrorismi. Il capitalismo, l'ultima frontiera del comunità umana sta implodendo in violenze e ingiustizie che a narrarle viene da piangere.
Nell'ontologia del socialismo non può non esserci l'etica della nonviolenza. Non come valore assoluto, certo (la Resistenza dove la mettiamo? In certe fasi storiche, certe scelte sono obbligate), ma come elemento fondamentale della politica di chi non ci sta a dirimere le controversie nel consorzio degli esseri umani con mezzi barbari, con la prevaricazione. In nessun altro ambito il fine coincide esattamente con i mezzi per ottenerlo.
Ciò non significa porgere l'altra guancia, o peggio: negare i conflitti, che esistono perché la società è divisa in classi, etnie, corporazioni, ceti, nazioni, ecc.
Ciò significa gestire i conflitti per trovare soluzioni comuni, mettere sempre al centro il dialogo, che è l'elemento più alto e positivo di ogni conflitto, l'elemento dirimente, che risolve realmente le contese, perché basato sul reciproco riconoscimento dei rispettivi e diversi punti di vista.
Essere socialisti significa aborrire i punti oscuri della grande vicenda umana che è la storia. La shoa, i gulag, gli orrori della sopraffazione, del totalitarismo, della pena di morte, della tortura.
Il socialismo, il comunismo come movimento che abolisce lo stato delle sfruttamento e le ineguaglianze, possono solo essere concepiti come esperienze e manifestazioni di una visione libertaria e laica del mondo nuovo per il quale si lotta.
E' un'ontologia che sancisce l'indissolubile legame identitario con la democrazia, con i diritti umani, civili e politici.
Credo che la cesura con gli emergenzialismi totalitari di un comunismo di guerra, di "rivoluzioni culturali" a tappe forzate, con tutta l'esperienza di un comunismo otto e novecentesco sia tutta qui.
Ogni identità ha un lato oscuro e uno illuminato. La storia dei movimenti operai e socialisti, del movimento comunista e delle lotte di liberazioni antimperialistiche ha degli stupendi tratti di luce, nonostante il socialismo reale, i khmer rossi, la Cina di oggi, l'avvitamento di Cuba a un socialismo sclerotico.
Molte cose dovevano essere fatte, molte esperienze dovevano essere compiute. Ne siamo figli, ne siamo il prodotto storico e politico. Ma oggi la storia dei comunisti può essere altro e andare oltre l'epoca delle cortine di ferro, dei muri, dei gulag.
Questo grazie soprattutto agli eretici, che hanno subito il peso e le ritorsioni delle ortodossie ufficiali. Il pensiero carsico ma di lungo percorso di chi ha saputo rivolgere contro le tragedie e i fallimenti, la vivificante riflessione critica, la dialettica della teoria e prassi nei nuovi movimenti della seconda metà del secolo scorso.
Questo meglio va tratto e ripensato, riportato nelle mutate condizioni attuali.
Una luce che si intravedeva anche nelle pieghe dello stalinismo stesso, nella lotta e nel sacrificio, nella strategia politica unificante dei comunisti nella guerra di liberazione dal nazifascismo. basta solo andare a rivedere gli atti e i documenti, gli articoli e e i documenti di partito di quel terribile biennio.
Non dobbiamo avere paura della nostra storia. Dipingerci di viola quando abbiamo un rosso vivo nel nostro essere più profondo e autentico. Un rosso fatto col sangue degli oppressi e dei milioni di militanti che hanno dato la vita per la più nobile causa che il mondo moderno e contemporaneo abbiano conosciuto negli ultimi 150 anni.
Ecco, se vogliamo definire l'ontologia del socialismo, sono questi gli aspetti che emergono al di là degli stereotipi. Non è poco.

lunedì 9 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /1


Oggi le parole sono sempre più oggetti concettuali cristallizzati in luoghi comuni. Cosicché si perde una costruzione di senso autentica, fatta di idee che si trasformano, che plasmano la realtà attraverso un'azione consapevole, che realizza progetti all'interno di un determinato contesto storico e sociale.
Parole come comunismo e socialismo sono state appiattite e ridotte alle esperienze del Novecento, nel bene e nel male, nei processi di liberazione sociale momentanea, così come nelle esperienze liberticide e autoritarie del "socialismo reale".
Ora però si tratta di ripensare a un processo di trasformazione sociale che mantenga ciò che di buono è stato pensato e fatto, in una situazione in buona parte mutata, con problematiche epocali nuove, che si innestano nell'era capitalistica per come si sta manifestando attualmente. La questione della distruzione dell'eco-sistema va a inserirsi nella critica del modo di produzione vigente, nel modo di consumare, nella critica della società dei consumi, in modo strutturale e profondo.
Mi piace la parola socialismo. Wikipedia recita così:

Il socialismo è un ampio complesso di ideologie, orientamenti politici, movimenti e dottrine che tendono a una trasformazione della società in direzione dell'uguaglianza di tutti i cittadini sul piano economico e sociale, oltre che giuridico. Si può definire come economia che rispecchia il significato di "sociale", che pensa a tutta la popolazione. Originariamente tutte le dottrine e movimenti di matrice socialista miravano a realizzare detti obiettivi attraverso il superamento delle classi sociali e la soppressione, totale o parziale, della proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio...

Se prendiamo il socialismo come complesso di teorie ed esperienze, di orientamenti politici improntati sulla gestione collettiva della società e delle risorse per il bene della società, e lo portiamo nella realtà economico-sociale odierna, se lo concepiamo come arte politica del possibile, che mantiene tutta l'utopia dell'uguaglianza, la tensione morale e civile a questo scopo, la visione di questo scopo dentro un programma massimo, generale, ebbene è possibile fare molto.
Se è chiara l'ontologia del socialismo, sul piano ideologico, etico e di metodologia o approccio scientifico nell'analisi della società e del sistema-mondo, diviene chiaro anche l'atteggiamento da tenere in ogni specifica situazione.
Da qui, per esempio, si capisce che la gestione delle risorse vitali, portanti dell'economia non può avere una logica privatistica. Non faccio entrare in Enel o in un gestore del gas, dell'energia elettrica, dell'acqua dei privati che devono trarre profitto da tale gestione. Perché non genero utili per azionisti, bensì, ridistribuisco tali utili alla collettività sotto forma di bollette più basse e servizi migliori.
L'utopista vuole abolire le classi subito. Il vero comunista, che pratica un serio socialismo, introduce elementi di forte cambiamento a favore della collettività nell'economia, nei rapporti sociali, nel mondo dell'impresa e del lavoro.
L'esperienza storico politica del PCI-DS-PD è approdata invece nella totale assenza di una visione forte. E' approdata nel pensiero debole e si è accodata al pensiero unico. Le ricette sono intrise di neoliberismo, di tatcherismo moderato, non distinguono più ciò che è bene per la collettività e ciò che è bene per i profitti di pochi, praticano i governi del "fare bene", la tecnocrazia del far quadrare i conti, all'interno della quale si muovono interessi particolaristici, di cordate, comitati d'affari, gruppi di potere, che alla fine vengono fatti "conciliare" con gli interessi generali del paese, anzi vengono identificati in tali interessi, con un'operazione di falsificazione della realtà.
Il dalemismo è la "socialdemocrazia" al servizio dei potentati, fa il verso al massone Blair. Il PD si candida a sostenere gli interessi di quella parte di capitale che è in antagonismo alla borghesia reazionaria berlusconiana, ai grumi di potere dentro la finanza e nello stato, alla media borghesia forcaiola del nord, leghista e bauscia. E' importante capire questo, perché se una buona parte della base del PD ha ancora una tradizione di classe, pur annacquata, le gerarchie che decidono della politica del partito sono tutte e solo interne a una lotta politica interborghese, intercapitalistica, per la spartizione del potere, dello stato, della cosa pubblica e delle risorse gestite dai grandi carrozzoni in parte già privatizzati.
Sostenere questo non è ridursi a pura voce settaria, a comunismo di sinistra in versione terzo millennio, ma è ragionare per riportare le ragioni di quella parte di società che ha tutto l'interesse non a cambiare questo o quello, ma a cambiare l'intero sistema economico-sociale verso una maggiore uguaglianza, verso un futuro di uguaglianza sociale.
Quindi, definire il campo del socialismo significa ripensare a una forza politica che si muova dentro questo ambito, di classe diciamolo, pur aperta a tutta la società. Che partendo ancora una volta dalla classe operaia, dal precariato, dagli strati proletari, mutati rispetto a un tempo, ma ancora tali, sappia individuare la parte sana dell'imprenditoria (i ceti produttivi, le PMI, il mondo artigiano) per aprire un dialogo sul modo di fare mercato, di gestire il bene comune, di ridistribuire ricchezza sociale, di garantire una soglia di benessere, sanità, istruzione a tutti i cittadini.
Nel rileggere la tattica dei comunisti tra la Resistenza e il dopoguerra, è proprio questa modalità di azione, questa costruzione di alleanza tra classe lavoratrice salariata e piccola e media borghesia produttiva, commerciante, intellettuale, a costituire l'ossatura della "democrazia progressiva". Fu questa tattica che portò il PCI ad avere una funzione dirigente nella guerra di Liberazione e una funzione costituente, e un'egemonia culturale poi nell'Italia della ricostruzione post-bellica.
Io penso che ci sia ancora molto da imparare dai nostri padri politici (che lo sono volenti o nolenti). L'importante è la tattica su basi di una visione del mondo forte, chiara, di analisi ed etiche ben precise, che ci dicono il perché siamo comunisti, che il socialismo oggi è questo e lo si costruisce così. Non il tatticismo pragmatico di chi non ha più visioni forti e non sa più dove andare.

giovedì 5 agosto 2010

LETTERA APERTA AL CAPITANO DELL'IKARUS.

Caro Massimo, sulla scorta delle ultime vicende politiche, dello sfaldamento della maggioranza e della nascita di un’area di centrodesra al di fuori del berlusconismo, perché tu e i tuoi non te ne andate armi e bagagli dentro questa ipotesi politica?

Meno ambiguità, più chiarezza, soprattutto verso l’elettorato di sinistra. Che l’Aspen accomuni parte dei tuoi amici e Tremonti non è una novità per i più informati. E l’invito di Bersani a un governo Tremonti di transizione, apparirebbe già chiaro di per sé. Ma ai più, che non seguono i simposi dei gruppi dirigenti che decidono le sorti delle economie su scala mondiale, tutto questo sfugge.

Per cui, più chiarezza, Massimo. Tu e i tuoi state tenendo una zona poltica e di tradizioni culturali e storiche che non vi appartiene più. Giocate su questo grande malinteso, dato dalla vostra provenienza, per rastrellare voti e consenso popolare a sinistra, da utilizzare per la vostra politica di destra, di rappresentanza di quella parte di poteri forti che si sta scontrando con la destra populista leghista e berlusconiana. Per non parlare de comitati d’affari che avete favorito (non certo ignorato) come una cancrena diffusa da regione a regione, da De Luca a Frisullo.

E questo non va bene. Siete da decenni dei parassiti della sinistra, dei profittatori politici. Dovete levarvi dalle palle una volta per tutte, e lasciare alla sinistra vera, ricostruire ipotesi più adeguate e rappresentative degli interessi e delle aspirazioni di quella parte di società oscurata anche da voialtri, un'espressione politica autentica del mondo del lavoro dipendente, precario, quello giovanile senza futuro, dell’immigrazione e della disoccupazione. Gente per te e per quelli come te, ormai lontana, obsoleta, vissuta con fastidio. Che pensate di accontentare come al solito, ogni tanto, con un po’ di demagogia di piazza.

Dai D’Alema, tu e i tuoi soci fate un ultimo sforzo. Con Fini e Casini vi vedo bene.