giovedì 30 settembre 2010

QUALE SINISTRA? QUALE DEMOCRAZIA?



Completo il ragionamento dei precedenti post, guardando ai fatti spagnoli. Ancora una volta, dopo la Grecia, se non ce ne fosse ancora bisogno, le socialdemocrazie europee dimostrano tutti i limiti della loro politica economica e sociale. Ciò si evince soprattutto nei momenti di crisi, quando casca l’asino. Tagli degli stipendi statali del 25%, facilitazioni ai licenziamenti... la questione di fondo è che costoro cercano di mantenere le plusvalenze del sistema finanziario, il sistema speculativo della finanza, gli interessi dei ceti borghesi e del capitalismo dominanti a discapito delle classi popolari. Questo è. E questa è la ricetta anche del nostro “beneamato” PD.


Il mio raginamento sulla presenza e l’attività organizzata di una forza comunista, potrà sembrare “vetero”. Ma qui non si tratta di rieditare la dittatura del proletariato. Qui si tratta, nell’ambito di un contesto di democrazia liberale, di far emergere la forza materiale della classe, ricomponendo i bisogni sociali attorno a un programma. Questa forza deve essere forza candidata all’egemonia culturale e politica, a livello nazionale ed europeo.

E' evidente che questo processo di costituzione politica di un’organizzazione di classe, di un’autonomia di classe nei punti portanti della società e del mondo del lavoro, è di per sé processo rivoluzionario.


L’espressione politica di questa forza e delle realtà organizzate a cui partecipa e di cui favorisce lo sviluppo, è una presenza conflittuale, nei confronti delle politiche neoliberiste sia di destra che di “sinistra”, dentro le istituzioni, nel contesto elettorale, in tutta la società.

La qualità, rispetto alle lotte degli anni ’70, è nel non riproporre una cultura dell’illegalità finalizzata a un ribellismo accademico e meccanicistico. Anche se va da sé che la questione dell’illegalità è sempre relativa al punto di vista di chi controlla la società, la governa e decide una scala di valori e di comportamenti.


La Costituzione formale, creata dai padri fondatori del sistema democratico italiano e la costituzione reale, ossia il potere costituente, consiliare, dell’organizzazione dal basso, non sono antitetiche. Anzi, quest’ultima rappresenta un anticorpo essenziale alle tendenze autoritarie ben presenti oggi nel paese. E' la condizione della democrazia stessa, nel momento in cui le forze che si dicono democratiche abdicano al loro compito di espressione di quelle parti di società civile assoggettate alla narrazione dominante mediatica.


Questo è, a mio giudizio, l’antagonismo politico rivoluzionario di inizio millennio, nelle democrazie liberali occidentali.

Va da sé che sul piano della gestione della res publica, dell’economia e della società, l’opzione che le socialdemocrazie e i lib lab d’ogni tipo hanno portato avanti sinora soprattutto in tempi di crisi, è inaccettabile per l’interesse generale, per la dignità della vita di milioni di persone, per il benessere che dovrebbe essere garantito a tutti in una società civile. E lo dico a partire da un punto di vista di classe, come comunista, sapendo quanto venga sbandierato da costoro il concetto di “intereresse generale”, con categorie fumose come “gli italiani”, “l’Europa”. Come se questa ambiguità non favorisse poi sul piano pratico delle politiche il divario iniquo e vergognoso tra parti sociali, le ingiustizie, l’egemonia di gruppi capitalistici e finanziari, di consorterie e lobbies che reggono il potere reale nelle società occidentali europee.


La nascita e la crescita di un nuovo soggetto, dichiaratamente antiliberista, di più: anticapitalista, non solo è auspicabile, ma è doveroso proprio per quegli “interessi generali”, estendibili al pianeta, all’eco-sistema, al modo in cui l’essere umano vive e si relaziona in questo mondo e con questo mondo. Questo le socialdemocrazie, in massima parte non lo capiscono o meglio: non vogliono capirlo deliberatamente. Usano parti delle tematiche sociali, del lavoro ed ambientaliste solo in funzione demagogica, ma da parte loro non esiste alcuna politica di trasformazione radicale dell’esistente, oggi necessaria e urgente.

In ambito europeo, la Spagna e la Grecia lo evidenziano: nel momento in cui la crisi porta in rotta di collisione le parti sociali e quindi, le socialdemocrazie e i socialisti mostrano tutti i limiti delle loro politiche, è il momento giusto per portare questa rottura sociale a forme di organizzazione più elevate e a vere e proprie autogestioni consiliari, allo sviluppo di un potere (o contropotere) costituente dal basso.

Deve crescere un soggetto politico autonomo delle classi popolari.


Riformismo vuol dire ri-formare, ossia dare nuova forma a qualcosa di esistente. Ma qui il problema non è di forma, è di sostanza. Di contenuto. Il cambiamento deve essere rivoluzionario. Questa ritengo sia la linea di demarcazione tra una politica della sinistra supina agli interessi forti, dei gruppi dominanti, che diviene parte in causa di scontri interborghesi e una politica autonomia e “anti”, possibile e non utopistica. Il che non significa rinunciare ad alleanze elettorali, convergenze, al dialogo a sinistra. Ma tenendo bene ferma la barra del timone sullo sviluppo della forza di classe, del soggetto politico autonomo e della centralità di quello che avviene nel paese reale: le lotte sociali e i movimenti.


Una postilla su un aspetto che potrebbe riportare ad antiche questioni: la violenza politica. Francamente penso che in un sistema democratico parlamentare e nelle democrazie liberali in generale, un movimento e una forza politica che lavora per la democrazia dal basso su valori di espansione dei diritti civili e del lavoro, non debba avere la violenza come metodo di lotta politica, al di là di episodi estemporanei, che comunque non possono andare al di là di una generica comprensione se risultano essere il prodotto di un’esasperazione sociale e non di abili e collaudati provocatori, come spesso avviene. Ma comunque forme di lotta non adottabili a modello di azione politica.

Il cambiamento rivoluzionario deve essere il prodotto di un ampliamento della democrazia e della coscienza civile, utilizzando gli strumenti consentiti dal sistema democratico vigente e trovandone di nuovi, comunque nel rispetto delle altrui opinioni. Pluralismo e comunismo devono trovare oggi una sede comune. La violenza delle avanguardie che surroga l’arretratezza di masse culturalmente non preparate, o di condizioni economico-sociali non ancora mature, è sempre foriera di tragedie umane. Impariamo dagli errori, se ci sta a cuore veramente il bene comune e il rispetto della vita umana.


Il mio riferimento a Gramsci nel post precedente, ovviamente, non va preso da un punto di vista di lettura politica dei fatti odierni, al contrario: è una critica alla reiterabilità dei fatti, prendendo il metodo gramsciano come metodo di analisi e di metodologia della prassi. Di affrancamento da una visione meccanicistica del marxismo e del materialismo storico più in generale. Esattamente come Gramsci criticava il determinismo meccanicistico della Seconda Internazionale e alla teoria di Bordiga del crollo del capitalismo, oggi la critica va portata al meccaniscismo di una mai morta ortodossia comunista, anche in parte di quella “eretica”, che riprende i classici in modo antidialettico, senza cogliere il nuovo, la sitazione di oggi, radicalmente differente dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre e dell’intero Novecento. E valorizzando quella funzione soggettiva che legge la realtà e nella prassi sociale e politica la trasforma riplasmandola.


mercoledì 29 settembre 2010

ATTINGERE DALLA STORIA DEL MOVIMENTO COMUNISTA.


Nel mio post precedente, nutrivo seri dubbi sulla possibilità di arrivare a un vero cambio nel paese. Che di questi tempi non può che essere una trasformazione rivoluzionaria della società. Il riformismo infatti non basta. Non basta il miglioramento di quel che c'è. Occorre distruggere per costruire. Distruggere poteri, privilegi, posizioni di rendita, sistemi di accumulo di risorse e danari nelle mani dei soliti, di gestione della cosa pubblica fatta da pochi organismi interessati a rapinare e depredare, a trarre il massimo profitto e vantaggio.

Probabilmente non una rivoluzione come la intendevamo nel Novecento e nel secolo precedente. Ma che cos'è il ribaltamento dei poteri in una società, se non un processo rivoluzionario che porta una moltitudine organizzata a "essere stato" e a gestire l'economia e la società nel suo complesso? L'avvento di una democrazia reale, di popolo, anche con le leggi di questa stessa Costituzione che abbiamo, è di per sé una rivoluzione.

Ma il problema non è solo che chi ha oggi il potere, governante o oppositore di facciata che sia, comunque forza di casta politica o cricca finanziaria o corporativa, non è disposto a lasciarlo spontaneamente e che, quindi, si prefigura uno scontro aspro dai contorni non ancora definibili.
Il problema è che anche chi sta spingendo dalla base sociale per il cambiamento, ha le idee confuse. Ha programmi belli e suggestivi come quello del Movimento 5 Stelle, o come il Popolo Viola. Ma poi non è in grado di costruire un progetto politico e un'organizzazione di massa che sia in grado di portare la rottura politica stessa, il conflitto sociale a forme di rappresentanza e di potere costituente adeguato alla situazione e con modalità realmente democratiche.
Tutti questi personaggi, anche i più puri, che si affacciano alla politica all'interno di questi movimenti, dovrebbero rileggersi la Comune di Parigi di Marx, ancora molto attuale.

So di sembrare un vetero, ma la questione fondamentale è quella di una forza di avanguardia che sappia assumere la direzione politica del conflitto. Non il classico partito rivoluzionario leniniano. Quello, in una forma rinnovata, senza burocrazie e cricche interne, dovrebbe essere parte di questa avanguardia, che è molto più eterogenea e variegata, perché deve comprendere più anime, culture, provenienze.
Una forza politica comunista, che sia più specificamente il partito della classe operaia e degli strati sociali definibili "proletariato", occorre. E questo è il cuore di un altro problema, quelle delle dinamiche tra linee interne, tra forze comuniste.
Guardando invece a questa avanguardia di settori sociali in movimento, lo vedrei più come un fronte organizzato che trova la sua sintesi politica nella dialettica tra le parti, che un partito.
Altrimenti torniamo al leaderismo, Grillo for president...

Occorrono regole condivise, perché già fin da adesso queste esperienze perdono pezzi, la democrazia interna fa acqua da tutte le parti. Va bene la rete, per trovarsi, per organizzarsi. Ma poi occorre la fisicità delle facce che si incontrano e si parlano, la materialità di un auditorium, una sede fisica di confronto e decisione. Non bastano i concertoni e le iscrizioni in rete. Non basta ed è dannoso che qualcuno si arroghi il diritto di parlare e decidere per qualcun altro, organizzando manifestazioni, creando casino, come è successo nel Popolo Viola, in rapporto alla manifestazione sindacale del 16 ottobre.

Occorre quindi, un soggetto comunista che sappia agire in questo contesto, con intelligenza e capacità politica e organizzativa. Questi movimenti, checché ne dica Grillo, sono parte della sinistra, anzi: attualmente sono la parte migliore della sinistra. Per questo poche palle: BISOGNA ESSERCI.

Il patrimonio politico del movimento comunista non è solo il fallimento di esperienze illiberali nel pantano di altre caste burocratiche di triste e recente memoria. E' anche capacità di creare organizzazione politica nei movimenti di massa, di elevare la coscienza della classe e dei settori sociali in conflitto con la borghesia dominante, di agevolare la crescita di un potere costituente. Una volta si parlava di potere operaio. Oggi la questione è più complessa e vasta. Ma la sostanza non cambia.

Una vittoria elettorale, una presenza politica forte nei punti vitali del paese, una sorta di contropotere nei gangli della vita economica e sociale, un'egemonia culturale che costituisca un blocco storico, per dirla alla Gramsci, non è impossibile neppure in questo sistema di potere mediatico. La rete, i legami che si creano quando cadono le routine, la vita usuale imposta da questo sistema di relazioni vigenti, sono molto potenti, perché si alimentano del conflitto e alimentano il conflitto stesso.

Ecco il nostro patrimonio di comunisti. Siamo il paese di Gramsci. Inforchiamo questi formidabili occhialini rotondi della storia!

lunedì 27 settembre 2010

LA MONTAGNA DI MERDA CHE SCENDE A VALLE.


Mentre ogni santo giorno assistiamo allo squallido teatrino mediatico sulla casa di Montecarlo, i fatti accadono, eccome. Hanno nicchiato o, tutt'al più l'hanno trattata come un concerto di Vasco Rossi, la Woodstock di Cesena. In realtà, mentre i vari commentatori cianciavano di maggioranze in crisi e "opposizioni" ancora più in crisi, di cadaveri veltroniani e di servizi segreti all'assalto del Presidente della Camera, di nani e ballerine, il Movimento 5 Stelle si è affacciato sulla scena politica come convitato di pietra. Con un programma che farebbe invidia alla sinistra più civile del nord Europa. Non ai cialtroni del PD, con le Serracchiani nate già vecchie e le cartapecore di sempre.
Un movimento giovane, fresco, pieno di ideali. Beppe Grillo dice che non è di destra né di sinistra. Sì, se guardiamo la sinistra attuale per quella che è. Ma la sinistra degli ideali forti, delle visioni chiare: appropriazione del bene pubblico per profitti no buono, attacco ai diritti e al lavoro non buono, alla Costituzione no buono... era tutta lì: precisamente il bacino elettorale che il PD, che Rifondazione tanto vorrebbero e che ha cacciato a calci in culo il primo e fatto incazzare la seconda.
Non ci vuole molto a capirlo. Ma Bersani e i suoi nicchiano, fanno finta di niente. Un mare di merda scende dalle alte montagne dell'insofferenza e dell'incazzatura popolare per sommergerli anche alla prossima tornata elettorale e loro niente, come il palo nella via della canzone di Jannacci. Patetici. Bindi Maga Magò che litiga su Veltroni (non con Veltroni, per carità, c'è dialettica interna), i pronostici che parlano del nuovo papa estero indicando Profumo (e perché non Montezemolo, allora? O Marchionne... diciamolo sottovoce: altrimenti prendono la proposta seriamente).
Grillo sarà populista, avrà preso per il culo gli Inti Illimani, avrà fatto quella scivolata leghista sui romeni, ma ha saputo raccogliere i valori, le aspettative di centinaia di migliaia di persone del popolo di sinistra, soprattutto di giovani.
Sul fatto che questa sia la fine della casta, o di più di questo sistema basato su tangentopoli, mafiopoli, parassitopoli e incentivopoli della grande industria, debitopoli per le famiglie e le partite iva, invece, ho i miei seri dubbi. Questi hanno ancora tante frecce al loro arco. Continueranno il loro teatrino della politica, spacciandola come unico luogo dove c'è la politica.
Purtroppo il cambio, se ci sarà, sarà il frutto di uno scontro forte, aspro, all'ultimo sangue. Tra la società civile e una politica, una confidustria e una finanza incivili.

venerdì 24 settembre 2010

NON CI VUOLE MOLTO A CAPIRLO...


Saremo utopisti? Ma questo sistema è in crisi e continua a produrre disoccupati, precari, distruzione di posti di lavoro, distruzione ambientale, servizi sempre più tagliati e di merda e, dall'altra, sempre più ricchezza nei forzieri delle banche, dei signori della borsa, mentre crescono in tutti i paesi debiti pubblici spaventosi, con una ripartizione iniqua quanto oscena degli oneri.
Saremo utopisti? Ma voi cosa siete, se pensate di risollevare le sorti di questo sistema, risolvere i problemi di sopravvivenza di decine di milioni di persone con del maquillage, spostando qualche omino, qualche soldo, rimaneggiando una finanziaria, di solito senza pestare i maroni a qualche lobby o gruppo di potere, o categoria professionale o sociale, senza toccare interessi forti?
Io dico: gli utopisti siete voi. Nella migliore delle ipotesi. Perché la mia idea è che tutto sommato, l'andazzo vi va bene così. Se siete di centro-sinistra, con qualche buona parola retorica o qualche timida miglioria.
Ci facciamo brodo di guano con le vostre visioni, con le vostre promesse.

In realtà il punto è che il potere decisionale, la ricchezza sociale, le risorse devono passare da un grumo di consorterie che rappresentano una cancrena, anche le più debenedettiane, a una reale democrazia di popolo. A un sistema che parte dal bene comune. Il lato peggiore della vostra democrazia, che avete svuotato di essenza sociale come un sepolcro imbiancato, è che ce la spacciate come democrazia. Nulla di più lontano. O quasi, se guardiamo ai regimi militari.
Va creato un sistema nuovo, di cui voi non potete far parte. La storia dei partiti della prima Repubblica è finita, voi siete finiti. E lo sapete. Anche se ve la cantate e ce la cantate.
Potrete anche giudicare un fumogeno come atto di prevaricazione, di negazione di libertà di parola, quando tutti i santi giorni siete presenti nei media che vi coccolano. Ma lo potete esattamente fare come protestavano i nobili agli albori della rivoluzione francese, prima di porgere il collo s'il vous plâit. Voi siete la negazione stessa del concetto di citoyen. Vivete di privilegi e fate vivere di privilegi la vostra corte dei miracoli, i parenti, come i cognomi ricorrenti in RAI, nello spettacolo, nell'editoria, nello stato, nelle pubbliche amministrazioni. Fate parte della cancrena. Siete parte di un sistema corrotto e corruttore.

Per questo, non ci vuole molto a capirlo, che deve finire l'era del capitale finanziario, che le banche vanno svuotate per distribuire risorse, energie, a tutti gli strati della società, per far ripartire l'economia reale, sotto stretto controllo della comunità, di un vero sistema democratico. Guarda caso sto parlando di socialismo democratico, in una situazione di emergenza, che esautora banchieri, grande industria, che mette sotto il controllo di consigli popolari i gangli vitali dell'economia e che regolamenta il resto per evitare speculazioni e grandi profitti privati.
Per questo, non ci vuole molto a capirlo, che, di conseguenza, deve finire la vostra era, con i tentativi patetici di controllare pezzi di finanza, con i quattrini di cooperative che della loro mission d'un tempo hanno solo il nome, con la lottizzazione partitica rigorosa, con i comitati d'affari amici, con i sindaci cattolico-puttanieri che pagano consulenze alle loro busone, o i faccendieri dalemiani che fanno affari con la sanità e si scopano le escort esattamente come il cavaliere nano.
Per questo ritengo attuale il socialismo e non sono utopista. Sono realista, molto realista.

lunedì 20 settembre 2010

C'E' DEL MARCIO IN ITALIA.



L'Italia è un paese di anime candide. Adesso lo sport nazionale di gran parte dei commentatori all'opposizione, dei vari viola, degli ex-girotondini, dei dipietristi, è buttare merda su Berlusconi, dicendo che se ne deve andare a casa (giustissimo, per carità!), facendoci però intendere che tutti i mali del paese li incarni lui.
Come per il mal di testa: prendi l'aspirina e ti passa. Peccato che non di mal di testa si tratti, ma di un cancro ben diffuso e in metastasi. E quando si tratta di un cancro, il problema non è di un politico, di un partito o di alcune consorterie e non di altre.
Quando la metastasi è l'intero sistema tarato su privilegi e sul dominio di alcune categorie sociali, prima di tutto statali e parastatali, di grande capitale, di boiardi strapagati, su tutto il resto della popolazione, allora la questione è molto diversa.
Si sono mai chiesti tutti questi signori che ci parlano di liberazione dal berlusconismo, come campano le cordate della cosiddetta sinistra? Lo sanno che a certi livelli, dove operano gli uomini delle banche, i consigli di amministrazione, spariscono i colori tanto cari e sbandierati?
Abbiamo una banca! gridava lo stronzo.
So solo che l'INPS ammazza le piccole attività, i liberi professionisti e il piccolo lavoro autonomo che non ha un sufficiente giro d'affari. Mentre per la sede romana del PD, Equitalia chiude un occhio sulla riscossione del dovuto (vedi uno dei report della scorsa stagione su RAI tre).
So solo che chi evade lo fa con tanto di copertura, che gli omini delle tasse inculano per bene i piccoli e chiudono un occhio per gli ammanicati aprendo il portafoglio.
So solo che c'è una folla sterminata di raccomandati a stipendio nelle pubbliche amministrazioni di destra come di sinistra.
So solo che la fila delle ingiustizie e delle arroganze, dei favoritismi e delle clientele è lunghissima, come i crediti che strozzano imprenditori onesti e famiglie per bene, che perdono beni e prime case, mentre chi controlla le aste è ammanicato con "gente giusta" e perché no? Camorre varie. Tutti sistemi, leciti e illeciti. Sono questi che comandano e, come la pecunia, non olent.
Questo è. Parlatemi di Bersani, di Fassino. Vi piscio nel culo. E di fumogeni ve ne auguro a centinaia.

domenica 19 settembre 2010

CENTRALITA' OPERAIA


La fabbrica, il punto di concentrazione maggiore della forza lavoro, il luogo dove avviene gran parte del ciclo produttivo nella sua compiutezza, dove il capitalismo investe capitale fisso e non disperso, frantumato o finanziarizzato, dove occorrono i margini reali, immediati, di profitto, dove il funzionamento del processo produttivo deve raggiungere il massimo controllo per massimizzare le plusvalenze e contenere i costi, ancora una volta è il luogo centrale dell’attacco padronale e dello scontro in atto.

Lo si è visto con Pomigliano, con i tre licenziati di Melfi e con la rottura del contratto dei metalmeccanici. Ancora una volta la Fiat si pone all'avanguardia dell'attacco padronale ai diritti, alle condizioni di lavoro. Episodi che non restano circoscritti alla sola Fiat e al mondo della fabbrica, ma che vanno a ripercuotersi su tutta l'organizzazione del lavoro, che ridisegnano contratti, statuti, patti sociali.

Così, mentre il PD, pur con diverse sfumature, prende le distanze dalle componenti del sindacato in lotta (CGIL FIOM in primis), pone la questione operaia come del tutto secondaria in una questione più generica e fumosa del lavoro, arrivando ad anteporre a questa le ragioni dell'impresa, assistiamo a una frammentazione della sinistra nel suo complesso. Che non comprende questa centralità. Tutt'al più richiama alla lotta operaia con mera vis retorica, disperdendosi però nel dedalo di rivendicazioni e lotte di carattere sociale vario, commettendo il medesimo errore del PD, anche se in chiave classista.

Chiarisco: non che la questione della difesa della Costituzione e della democrazia, oggi al centro dello scontro politico, non sia appunto centrale. Non che battaglie sociali come l'acqua, il nucleare, la TAV, ecc. non vadano caombattute, anzi.


Ma occorre che la sinistra di classe e in primo luogo le forze comuniste riconoscano nella questione operaia, l'aspetto primario e dirimente per lo sviluppo di un'alternativa politico-sociale seria e credibile.

La questione operaia è la punta di diamente della questione del lavoro, il punto di comparazione di questioni come l'occupazione, il processo di precarizzazione del lavoro, la disoccupazione, le condizioni di lavoro, i contratti, la democrazia economica nel suo complesso.


La difesa dei diritti in fabbrica, la lotta sui contratti che la FIOM e la CGIL, che le rappresentanze di base portano avanti è doverosa. ma qui si pone una vecchia questione leniniana, ancora oggi attuale. Che le lotte economiche sono lotte politiche sotto le mentite spoglie del rivendicazionismo. E che quindi come tali vanno disvelatei, vanno coniugate come lotta politica dell'avanguardia sociale. Classe operaia come avanguardia sociale, come fulcro dell'autonomia di classe, ancora oggi, in era di ecologismi e di giuste analisi sulla problematica epocale dell'eco-sistema. Anche nel momento in cui affiorano spunti teorici da prendere in considerazione come come la decrescita.


Perché la classe operaia in sé, fulcro della produzione materiale del capitale e quindi della riproduzione sociale dei rapporti capitalistici, è elemento sociale, è la cellula del potere di classe, del contropotere che dir si voglia. Lo è a maggior ragione oggi, nel momento in cui il capitalismo, morto il modello del socialismo reale, rivela tutti sui limiti nel suo implodere in crisi disastrose, la sua incapacità di essere modello economico e sociale che garantisca la sopravvivenza dell'umanità e del pianeta (figuriamoci del loro progresso sociale e dei diritti!).


Se i comunisti e la sinistra tutta assume questa comprensione di fondo, riuscirà a porre le basi per una sua rinascita politica, e per costruire un'autentica alternativa sociale all'attuale sistema capitalistico.

Oltre le singole "parrocchie", le singole facce da governatore, le misere posizioni di rendita di qualche capetto che campa sui vecchi allori.

E' proprio oggi, che si rende di vitale importanza il lavoro politico delle avanguardie comuniste. Una classe reietta, che sali sui carriponte e fa lo sciopero della fame per un misero piatto di lenticchie, deve riprendere coscienza della sua forza materiale nello scontro sociale, deve riappropriarsi dei luoghi di lavoro. E' la linea del Piave per tutti gli strati sociali che oggi subiscono il peso dello sfruttamento selvaggio e della crisi: è la classe che deve orientare la sua rigidità oggettiva in uno scontro senza quartiere contro le condizioni, i ritmi, l'alienazione da ogni attività umana autonoma che il capitale con i suoi parametri spacciati per oggettivi impone.

Che deve sparare sugli orologi del tempo capitalistico, sui tubi catodici che normano la giornata di milioni di persone. Altrimenti le attività liberate, le isole del km zero, di nuove forme di produzione e consumo, non avranno mai luogo. Se ne rendano conto anche gli aedi della nuova imprenditorialità, della green economy. La questione operaia riguarda anche loro.

venerdì 17 settembre 2010

LA STORIA SI RIPETE.


La battaglia che oggi diventa sempre più urgente, per i diritti umani delle minoranze etniche e religiose, così come per qualsiasi tipo di sesso, è la moderna lotta contro la barbarie razzista.
E' una battaglia che non ha un colore specifico, non è né di destra né di sinistra. La presa di posizione di Barroso in sede europea lo sta a dimostrare.
In Europa esistono destre democratiche e aliene al razzismo e questo è un bene. Perché la conditio sine qua non perché l'Europa diventi la casa comune, la patria di decine di milioni di cittadini, di tutte le comunità che ne fanno parte, è la questione dei diritti di cittadinanza e quindi della sconfitta di ogni tentazione e tentivo di xenofobia. Ma di più: l'altro aspetto è la laicità che non mette al centro il cristianesimo, o peggio: il cattolicesimo, ma che tutela le differenze e le più diverse religioni.
Questi sono i due aspetti della battaglia di civiltà che l'Europa intera sta vivendo e che l'Italia, obnubilata da una coltre di fumo mediatico, non si rende conto di dover combattere.
Potrà sembrare un'esagerazione, ma penso proprio che sul piano del razzismo non esista differenza tra il nazismo come ideologia e l'atteggiamento mentale leghista, o la visione di un Sarkozy in materia di rom.
Ovviamente cambiano gli scenari e i contesti, ma la logica in fondo è la stessa: esclusione, deportazione, discriminazione. Non si arriva all'annientamento, ma per ragioni di opportunità e di possibilità. Perché all'atto stesso che definisci ladro e criminale un popolo, una categoria di persone, poni già le basi per la sua alienazione da qualsiasi presunto "contesto civile". Sulla nozione di normalità si fonda il potere dei benpensanti che diventano forcaioli, o peggio: genocidi, in dati momenti storici.
La storia di questo inizio millennio sta ributtando fuori la peggiore merda dalle viscere del passato. La lotta per il diritto di pochi (ma sono pochi, o diventeranno sempre di più, per estensione arbitraria di chi manovra le sorde paure della massa omologata?) è la lotta per il diritto di tutti. Nessuno escluso.
Un ostacolo al progresso civile e alla democrazia nei suoi valori etici più nobili, che rende urgente una lotta senza quartiere, che va condotta fino in fondo con ogni mezzo.