venerdì 31 dicembre 2010

IL CASO BATTISTI


Ci risiamo: ora che Lula, come ultimo atto della sua presidenza confermerà oggi il parere dell'avvocatura dello stato e negherà l'estradizione di Cesare Battisti dal Brasile, in Italia torna a levarsi la canea forcaiola bipartisan, da Frattini a Di Pietro, passando per le anime belle del PD.
Non intendo soffermarmi sulle ragioni che intellettuali e attivisti democratici a livello internazionale sostengono a favore di Battisti. Basti solo documentarsi QUI, per comprendere l'abnormità dell'iter giudiziario contro lo scrittore, frutto di quella cultura dell'emergenza che ha segnato la repressione dei movimenti antagonistici degli anni '70.


Voglio invece rilevare come nel nostro paese si sia persa qualsiasi cultura della giustizia, sia a livello sociale che nelle aule di tribunale. Nel paese dove si reprimono le manifestazioni popolari con la violenza, come successo al movimento dei pastori sardi tre giorni fa, chi dovrebbe essere democratico e di sinistra tace e lascia correre, mentre il paese corre verso una forma sofisticata di autoritarismo populista. Che fa paura al resto d'Europa. Noi siamo un banco di prova. E questa forma di populismo mediatico, che nega ogni ragionamento che esca dal mainstream moralistico e dall'agenda di eventi dettata dalle segreterie dei partito di governo e d'opposizione, ha permeato tutto.
Tanto è vero che oggi non è neppure pensabile dire in Italia che Battisti non va estradato, pena: essere accusati di filo-terrorismo.

Nel paese dove un presidente del consiglio di "sinistra" trasformava il nostro paese in una rampa di lancio per bombardieri NATO, per bombardamenti sulla popolazione civile jugoslava, quelli che oggi sono gli stessi dirigenti politici nel PD, non trovano di meglio che ridare ancora una volta una chiave di lettura censoria degli anni '70, perché nel caso Battisti di questo si tratta.
La risposta di chi quegli anni nel bene e nel male li ha vissuti potrebbe essere: non accettiamo lezioni di democrazia e di nonviolenza da chi ha commesso azioni terroristiche ben più gravi sotto la copertura dell'alleanza atlantica.
La politica è politica, quindi non rompano il cazzo con giudici che hanno dato secoli di galera anche a gente che nulla c'entrava con le organizzazioni eversive armate di sinistra, togati che mai hanno parlato dei metodi usati nelle questure e nelle caserme di polizia e carabinieri per produrre i pentiti.

In Italia manca questo diritto. Il diritto di sostenere delle ragioni storiche e politiche, anche oggi che quegli anni sono un pallido passato. Negli altri paesi europei, nei paesi civili, dove non si formerebbe mai una canea bipartisan pro-Fiat detto per inciso, il diritto di ricostruire quel tragico periodo secondo il punto di vista di tutte le parti, sarebbe il collante di un vero superamento di quegli anni, proprio per non ripetere più le modalità di quel conflitto sociale nelle sue propaggini e pratiche più violente.
Invece: manganellate a chi oggi protesta, manganellate alle voci critiche, manganellate alla verità storica.

Questo ragionamento è logicamente più vasto e profondo della vicenda di Battisti, il cui processo è figlio di quell'emergenzialismo giudiziario e repressivo che non dovrebbe mai vivere in uno stato democratico. Anche perché alla fine, la questione Battisti è meramente tecnica. L'ingiustizia processuale che ha subito lo rende automaticamente profugo politico.
Per la giustizia e la politica brasiliana in larga parte, la quaestio è molto chiara. Tanto che per sostenerla, un presidente della repubblica non esita a entrare in crisi diplomatica con un altro paese.

Qui i nostri politici di lungo corso (troppo) del centro-sinistra non si pongono neppure il perché. Qui i difensori della Costituzione e gli antiberlusconiani per principio, alla Travaglio, non si prendono neppure la briga di andare a vedere come mai esiste un comitato internazionale a difesa di Battisti.
Siamo tutti italiettani, tutti impantanati nel nostro teatrino della politica, fuori dal quale non si va.
Ricostruire un'opposizione politico-sociale nel nostro paese passa anche attraverso il diffidare dei catoni che osannano a tutti i costi i magistrati "che fanno il loro dovere", rimuovendo le ragioni storiche e politiche di una cultura del conflitto di classe che non era sbagliata in toto, anzi.

mercoledì 29 dicembre 2010

DAI PESTAGGI SUI PASTORI SARDI ALL'ACCORDO DI MIRAFIORI. E IL PD DOV'E'?


No, i PD non se ne rendono proprio conto. Non si rendono conto che stiamo scivolando verso una forma inedita di fascismo. Fassino il cretino, che guarda invece della luna il ditino, sostiene candidamente che lui voterebbe l'accordo a Mirafiori, concedendo che "l'azienda deve avvertire la responsabilita' di compiere atti per favorire un clima piu' disteso" (Ag. ASCA).
Ma ti rendi conto idiota, che escludere un sindacato perché non firma un accordo è un involuzione autoritaria, un attacco alla democrazia sindacale e alla democrazia più in generale?!
Ma come sei messo! Ma neanche il peggiore laburista di destra glisserebbe sul cuore della questione!

La portata dell'attacco che Marchionne e la sua squadra di azionisti pescecani sta portando ai diritti sindacali dentro la Fiat va oltre i confini mentecatti dei profitti di famiglia: avrà ricadute su tutto il mondo del lavoro. Fa da contraltare all'atteggiamento del governo verso il diritto di manifestare sancito dalla nostra Costituzione: se a Natale si fanno sentire i pastori, bisognerà pure suonarli a manganellate mentre scendono dal traghetto, sequestrare loro e le loro famiglie e rispedire tutti sull'isola dei quattro cecati, a mangiare l'erba secca delle pecore, reprimendo non una manifestazione, ma la sola intenzione di farla. Questo accade nel fascismo, non in un paese democratico!

Questa è la situazione. E Vendola fa bene a porre la questione Fiat come questione dirimente la coalizione del centro-sinistra. Perché se dentro una coalizione cani e porci si può storcere il naso davanti a chi plaude a un sindacalismo calabraghe, che accetta condizioni di lavoro e di vita in fabbrica più pesanti, non si può accettare un sindacalismo appendice di governo e Fiat che demolisce la democrazia in fabbrica, che accetta l'espulsione di un sindacato, che firma accordi di parte, che fa referendum solo indetti dalla Fiat e quando tira il culo alla Fiat!
Esiste un limite al mangiar merda.

Credo che esistano tutte le condizioni per tornare a una lotta operaia che crei grosse difficoltà alla produzione. E che faccia cacare in mano un bel po' di lecchini gialli e di loro mandanti. Visto che questi signori danno così poco valore ai diritti democratici, fargli sentire un po' i morsi della democrazia diretta e dal basso, mi sembra ormai inevitabile.

martedì 28 dicembre 2010

RIFLESSIONI DI FINE ANNO.


Il mondo è attraversato da guerre e conflitti d'ogni tipo. Da un paio d'anni poi, una crisi economica globale ha acuito tensioni e ha portato alla miseria anche gran parte degli abitanti dei paesi occidentali avanzati e delle grandi metropoli europee.

Il 2011 si preannuncia privo di soluzioni. Le forze politiche e le istituzioni economiche, i contesti internazionali dove si decidono le sorti dell'economia mondiale, sono totalmente avulsi da qualsiasi logica che possa fermare la distruzione degli ecosistemi, riequilibrare le disparità economiche e sociali e passare a sistemi sociali e politici in grado di garantire benessere e democrazia ai cittadini di questo mondo.


In Italia in particolare, stiamo andando verso un'involuzione autoritaria delle istituzioni, il paese è preda dei poteri forti che, con cartelli e monopoli, hanno ridotto gli italiani da cittadini a sudditi. Il berlusconismo è la quintessenza di questa politica di spoliazione delle famiglie italiane e dei lavoratori dipendenti o autonomi.

La mano libera lasciata alla Fiat è l'ultimo dei segnali preoccupanti, in cui le forze del capitale industriale e finanziario che hanno goduto di incentivi e di politiche a loro vantaggio, oggi vanno ad attaccare le ultime sacche di lavoro garantito e di diritti sindacali.

L'Europa dei banchieri si avvia verso la frammentazione a più livelli, mentre in Italia l'assalto all'arma bianca delle risorse, dall'acqua privatizzata alla gestione di parti della cosa pubblica da parte delle mafie, non fa che aumentare le disparità.

Il debito pubblico, gli sprechi, le clientele stanno distruggendo i distretti industriali, le città, che diventano sempre più invivibili di fronte a una cementificazione forsennata. Non ultimo un federalismo che accrescerà la miseria al Sud, a favore delle signorie corporative e parastatali del Nord, rendendo ancora più iniqua la ridistribuzione di ricchezza sociale e l'erogazione dei servizi ai cittadini: quelli del Nord saranno di serie A e quelli del Sud di serie B.

La pressione fiscale verso chi paga le tasse, verso le piccole e medie imprese è diventata insostenibile. Ciò comporta la chiusura o lo spostamento all'estero da parte di interi cicli produttivi e quindi l'aumento della disoccupazione, la depauperizzazione di interi strati sociali, anche di classe media, il degrado del territorio, sia nelle città che nelle province.


La crisi strutturale e questi fattori ormai endemici per il nostro paese hanno accelerato questi processi. Il malcontento sociale determinato dalla mancanza di lavoro, ma anche da una politica di governo che va a tagliare i servizi sociali e settori importanti come la cultura e l'istruzione, non trova alcuna sponda politica: né in un PD ambiguo, che propone solo ricette neoliberiste meno invasive, che riconosce le ragioni degli speculatori e dei "riformatori" del mondo del lavoro mettendole sullo stesso piano di quelle dei lavoratori dipendenti, dei precari e dei disoccupati, né di una sinistra radicale dogmatica, incapace di proposte alternative forti, ma votata a un resistenzialismo testimoniale, incapace di individuare i soggetti del cambiamento nella loro globalità, ferma a una riedizione pacifista dell'assalto al Palazzo d'Inverno, ma per fare cosa non si sa.


Ecco questo è il bilancio che racconta di un vuoto politico disarmante, che storicamente solo i dittatori e i populisti riescono a colmare, parlandoci di eccezionalità e facendola diventare una norma, dove le cause della crisi non risiedono mai negli interessi che loro servono e nelle scelte politiche che fanno.


Il postulato che va compreso da tutti coloro che subiscono questa situazione (ed è la maggior parte della popolazione) è che senza democrazia economica, senza regole di cittadinanza sociale, giustizia fiscale, valorizzazione delle persone e delle comunità, senza democrazia nei massmedia, la democrazia costitutiva muore, possono solo prevalere logiche di corporazione e di campanile, possono solo emergere soluzioni autoritarie, ben sostenute da chi manovra il consenso con i media.

Ed è quello che sta accadendo.


La rinascita del nostro paese non passa dai luoghi della politica vecchia e nuova che sia, moderata o radicale, pragmatica o ideologica.

Inizia da una trasformazione delle strutture sociali, dal basso, da cittadini che si mettono insieme per creare nuovi legami di solidarietà e relazioni che mettono al primo posto il bene comune.

Qualche avvisaglia c'è: i cosiddetti gruppi d'acquisto che possono diventare veri e propri distretti di economia solidale, che creano un ciclo virtuoso nella produzione e nel consumo di prodotti e servizi. Un'autogestione da parte di nuove forme di comunità che inevitabilmente sottrarranno risorse e possibilità di profitto al grande capitale privato, che inevitabilmente sottrarranno entrate a uno stato che non restituisce in servizi e in protezione sui singoli della loro qualità della vita presente e futura, quello che ogni giorno ci sottrae per sprecare e per finanziare interessi ben diversi da quelli della collettività, quelli di autentiche bande criminali o corporative che si sono impadronite dello stato attraverso la politica.


Queste prime avvisaglie che ridisegnano una mappa diversa della gestione della cosa pubblica, delle risorse collettive, della produzione e del consumo, sono anche una possibilità di creare una nuova cultura solidale proprio attraverso la pratica. Oggi questo sommovimento non fa paura, ma nel momento in cui batterà non moneta, ma attività economica autonoma sì, gestione delle risorse, con rappresentanti dentro quegli spazi di democrazia formale come il Parlamento nazionale e quelli locali, saldandoli alla democrazia reale che proviene dall'autogestione dal basso, questo sì che creerà repressione. E allora sarà il momento della lotta e del boicottaggio totale dei meccanismi che fanno funzionare questo grande mostro, ormai lontano dai nostri diritti di cittadinanza.


Se avremo lavorato bene, i piedi d'argilla del molosso lo faranno crollare. Se le mille comunità locali sapranno collegarsi in un'unica grande rete, non conferiremo più potere ai poteri forti, che si reggono solo sulla mancanza di alternative concrete che solo noi cittadni possiamo costruire, che si alimentano della nostra disunità e paura.


Bene, questo in un certo senso è un manifesto che lancio, oggi come il messaggio in una bottiglia nel mare del caos mediatico e e relazionale. Ma costituisce materiale prezioso per costruire ragionamenti e azione.

La rabbia deve essere convogliata in azioni che costruiscono. Quel che di diverso si può pensare dalla visione rivoluzionaria del marxismo sulle rivoluzioni anticapitalistiche e comuniste: distruggere per costruire è proprio l'opposto, costruire per distruggere, ossia per trasformare la società a partire dalle sue stesse radici. Abbiamo una Costituzione moderna ed evoluta che ce lo consente (e non è un caso che venga attaccata dai piduisti e pitreisti vari). Manca la costituzione materiale, fatta dalla gente che inizia a muoversi con i suoi saperi antichi e nuovi.


Oggi siamo molto più vicini a una configurazione rivoluzionaria borghese, intesa come quella della borghesia precapitalistica e della servitù della gleba, della rivoluzione francese, dove l'universalità del processo rivoluzionario passava sul concetto di "citoyen", e su un programma molto semplice: libertè, egalitè e fraternitè, piuttosto che su dittature di classe, che lo sono abbiamo visto solo in apparenza, ma che in realtà impongono trasformazioni sociali dall'alto da parte di un partito che esprime una sintesi sempre arbitraria.


Nel marxismo stesso esistono gli anticorpi per non ripetere gli stessi errori del passato. Soprattutto nei suoi filoni libertari. Ma è un filone di pensiero che deve rinnovarsi radicalmente se vuole dare il suo contributo. Altrimenti è residualismo condensato in politiche di segreteria. E' anacronismo puro.

Se non ripensa la rivoluzione come un processo di trasformazione sociale e culturale dal basso, resterà nella migliore delle ipotesi solo una stampella, e neppure innovativa, di un processo rivoluzionario molto più ampio e universale che, ironicamente vedrà al centro del medesimo proprio quelle soggettività individuate centrali dal marxismo stesso.


Manca la pars costruens, compagni, manca proprio quella.






lunedì 27 dicembre 2010

ITALIA DEI MALORI


De Magistris apre la questione morale all'interno dell'Italia dei Valori, dopo il malore venuto a chi ha votato questo partito nel vedere ben tre deputati eletti nella lista "più anti-berlusconiana che ci sia", andare a sorreggere il governo Berlusconi. Di Pietro con una logica personalistica, controbatte sostenendo che chi critica vuole prendere il posto del criticato.
Insomma, uno spettacolino poco edificante, un teatrino dei buratini con bastoni metaforici che roteano tra un pupo e l'altro, che denotano che il problema vero dell'IdV non è la questione morale nel partito, ma il partito stesso.

Non c'è dubbio che l'Italia dei Valori sia un partito ritagliato sulla personalità del suo leader, Antonio di Pietro. Come dire che nei partiti politici moderni e di sinistra, è stato tolto il tanto vituperato centralismo democratico, per lasciar posto a riedizioni in "re minore" di culti della personalità.
Nemmeno il nome "Vendola" sul simbolo di Sinistra Ecologia e Libertà mi piace, sono esplicito. La questione democratica nel nostro paese riguarda anche la forma, perché la sostanza è che noi cittadini subiamo il bello e cattivo tempo di stati maggiori che si autoperpetrano in modo avulso dalle lotte sociali, dai movimenti, dalle realtà, nei quali tutt'al più vanno a caccia di adesioni e voti, senza alcun rapporto organico e dialettico con la base che aspirano a rappresentare.

L'esempio dell'IdV è il più lampante. Tutto si regge sul Tonino capitano coraggioso, per cui la corte dei miracoli che imbarca, non solo è composta da yes men pronti a fare il salto della quaglia, è fatta da politicanti riciclati o inesperti, con un tasso di democrazia interna pari allo zero virgola dello stronzio sciolto nell'acqua minerale.

Lo abbiamo visto con de Gregorio, uno dei politicanti più squallidi e laidi che abbiano mai calcato i pavemienti già luridi del palazzone. E continuiamo a vederlo con i scilipoti d'ogni risma, privi di basi politiche serie, pronti a vendersi e a fare scelte di convenienza.

Che fare? Si sarebbe domandato il buon Lenin. Niente. Questi partiti raccolgono solo parte della protesta sociale, come Beppe Grillo, senza aprire a percorsi realmente democratici e di massa.
Il de Magistris può poco o nulla. Faccia il suo ottimo lavoro al Parlamento Europeo finché potrà. Ma poi è chiaro: finita la festa, gabbati li santi. Il dopo Berlusconi vedrà l'IdV avvitarsi su se stessa e implodere. Tra pernacchie pulcinellesche dei scilipoti che andranno a fare danni altrove. E' la politica italiana.

giovedì 23 dicembre 2010

FINALE CON I BOTTI

Dopo le esplosioni di incazzatura sociale di studenti, ricercatori, aquilani, precari, cittadini, lavoratori e quant'altri, puntuali come agenti delle tasse: la bomba disinnescata al Comune di Roma e i pacchi bomba alle ambasciate del Cile e della Svizzera. Insomma, un bel finale coi botti. Dopo botti democratici, delle proteste sociali, come orologi svizzeri arrivano i botti di chissachi. Il tanfo di servizi è forte.

Già si sta preparando il clima di inizio anno. Dopo le proposte superfasciste del mazziere e re magio Gasparri, d'altronde il silenzio sociale per ogni dittatore è d'oro, mancano l'incenso e la mirra dei provocatori di sempre.
Se Berlusconi non cade, ne vedremo delle belle. Il rischio per la tenuta delle nostre istituzioni democratiche è grande. E sembra che le anime belle del PD non se ne rendano conto. Troppo intenti a indebolire il terzo polo con le loro richieste demenziali di fronte comune a Fini e Casini.

La società civile, che oggi è tutta nella protesta sociale contro l'autoritarismo e le misure antipopolari che il governo sta cercando di far passare, resta sola con tutto il suo potenziale di mobilitazione, senza sponde politiche serie e adeguate. C'è una parte di società che non è rappresentata, ascoltata, organizzata su un progetto concreto di uscita da questa crisi politica che rischia di rendere ancora più drammatica la crisi strutturale economica.

Ha detto bene Cacciari, definendo questa crisi una crisi di sistema. Ma detto questo, ci si continua a comportare politicamente come se non fossimo in una situazione di eccezionalità, senza capire che uno sbocco per forza di cose ci sarà dopo questo stallo culminato nel 14 dicembre. Il paese da qualche parte dovrà pur andare, ma la direzione che sta prendendo non mi dice nulla di buono.
Un paese dove le aziende che possono riprendere a produrre per un rialzo delle commesse, ma devono lo stesso chiudere e lasciare a casa dei lavoratori per debiti da INPS, è un paese malato, con delle classi dirigenti deliranti, incapaci. Con ministri dell'economia che hanno il solo ruolo di tutelare un sistema creditizio marcio e inutile per il paese.
Non saluterò la dipartita di Padoa Schioppa come quella di un luminare delle scienze economiche.

Io tutto sommato, i botti me li auguro. Ma quelli salutari di un'opposizione sociale che vada a scardinare i poteri corrotti delle consorterie nera, bianche o rosse, che ci hanno guidato sin'ora.


lunedì 20 dicembre 2010

FASCISTI IN AZIONE


Adesso si scopre il nome dell'aggressore di Cristiano, lo studente minorenne romano preso da un colpo di casco durante la manifestazione del 14 scorso. Tal Manuel de Santis, che secondo le ricostruzioni dei testimoni, era a difesa del blindato dei Carabinieri insieme ad altri due individui, "per far defluire meglio il corteo" dice lui. Con saluti romani e frasi fasciste dei suoi compari verso Cristiano a terra dopo l'aggressione, sostengono i testimoni.
E a ben guardare la foto che ho preso da corriere.it, riportata qui sopra, queste testimonianze sembrano dcl tutto avvalorate.

Che ci facevano dei fascisti nella manifestazione degli studenti e dei precari? I genitori e l'avvocanto del de Santis si sono subito premurati di dire che Manuel è un cane sciolto. Così sciolto da agire come un vero e proprio squadrista di professione.
La storia insegna che quando le lotte crescono, crescono anche gli infiltrati e le provocazioni. In particolare i neofascisti hanno una lunga pratica, da Mario Merlino nel '69 fino ai giorni nostri, nell'infilarsi dentro le manifestazioni di piazza della sinistra di movimento.

Può anche essere che dei fascisti abbiano voluto condividere spontaneamente i contenuti di un movimento che è di segno politico opposto a loro. Ma le azioni che hanno messo in opera mostrano l'attività di un servizio d'ordine parapoliziesco.
Per questo la vigilanza va aumentata, da parte di questo giovane movimento. Vanno superate le ingenuità, ci si deve dotare di un adeguato livello di organizzazione nelle piazze, durante i percorsi delle manifestazioni, di un servizio d'ordine. Non è solo un momento di crescita politica e organizzativa per rendere stabile e sicura la lotta. E' anche una necessità per fermare ogni provocazione, ogni manovra che verrà inevitabilmente messa in atto dai nemici di questo movimento. Soprattutto da fascisti e agenti in borghese infiltrati.

Se il movimento non sarà in grado di dare una coerenza politica alla sua azione, anche in campo aperto, sarà oggetto di facili criminalizzazioni, verrà sminuito agli occhi dell'opinione pubblica.
Negli anni '70 ogni spezzone aveva il suo servizio d'ordine. Basterebbe che ogni realtà si autorganizzasse per gestire la piazza, condividendo pratiche e iniziative con gli altri gruppi. Sarebbe più facile individuare le azioni anomale, le provocazioni e isolarle.
Imparare un po' dal passato. Solo un po', non guasta.


domenica 19 dicembre 2010

SIAMO AL FASCISMO


"Dopo la proposta di estendere il Daspo alle piazze, lanciata dal sottosegretario dell'Interno Mantovano e accolta dal ministro Maroni, arriva quella di «una vasta e decisa azione preventiva». Autore, il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. Parlando degli scontri del 14 dicembre a Roma si è espresso così: «Invece delle sciocchezze che vanno dicendo i vari Cascini e Palamara (segretario e presidente dell'Associazione nazionale magistrati, ndr), qui ci vuole un 7 aprile. Mi riferisco a quel giorno del 1978 (in realtà era il 1979,ndr) in cui furono arrestati tanti capi dell'estrema sinistra collusi con il terrorismo. " (corriere.it)

Non è un caso che una proposta del genere faccia riferimento a una delle pagine più buie della nostra Repubblica: il 7 aprile 1979, quando Calogero, non il robot del carosello della cera Grey in voga negli anni '60 con Franchi e Ingrassia, ma un giudice "inquadrato" ugualmente nel piano politico di distruzione dell'opposizione sociale e del movimento antagonista degli anni'70, iniziava la stagione degli arresti arbitrari e indiscriminati sui militanti della sinistra extra-parlamentare dell'epoca. Da cui l'omonimo teorema. Ecco, nell'Italia scossa finalmente da un'opposizione sociale non certo "nemica totale" delle istituzioni come negli anni '70, ma di protesta e proposta democratica nel nome di diritti sociali, del lavoro, dello studio calpestati da questo governo, un fascista prende per modello questo teorema, anch'esso fascista anche se di segno opposto (stalinista?), per passare come un rullo compressore sulle lotte e sui neonati movimenti dei lavoratori, dei precari, degli studenti e dei cittadini che subiscono situazioni di degrado come i rifiuti o la gestione post-terremoto all'Acquila.

Forse per farla digerire meglio alle opposizioni "democrist-post-comunist" che tutto sommato si stanno inciuciando nel nome di un mai sopito compromesso storico, che oggi ha il sapore di un nuovo aventino demenziale, di fronte ad aule sordide e grigie, ma più che altro mercantili, che assicureranno al nuovo despota nuove settimane per completare la distruzione di un tessuto connettivo sociale democratico e le basi costitutive stesse della nostra pur zoppa democrazia.

I neodementi Bersani e soci, che vanno ad autoannettersi al terzo polo, indebolendo nel contempo le possibilità di un centro-destra antiberlusconiano più forte perché non inquinato dalla sinistra (secondo il logico punto di vista dell'elettorato di destra, che torna così a Berlusconi) e la sinistra stessa (lasciando Vendola e il "popolo di sinistra" orfano delle primarie), diranno che questo che vuole Gasparri è un provvedimento fascista, che quando loro seguivano fratelli maggiori come Lama e Pecchioli, c'era la giusta causa, che l'equazione autonomia=bierre era cosa buona e giusta.

Ecco dunque perché il fascismo può passare nel nostro paese, tra un culo di velina e un dibattito televisivo. Perché questa opposizione cialtrona e ignobile non ha gli anticorpi della democrazia, perché non ha il senso dello stato di diritto. E lo stato di diritto, come allora diceva che per essere un bierre occorrevano prove materiali e non presunte connessioni ideologiche, parole di pentiti e supposizioni erette a prove, oggi glissa sul fatto che andare a manifestare davanti al Parlamento è un diritto di tutti i cittadini, non solo dei rassicuranti sindacati di polizia. Diritto negato e che ha scatenato i fatti del 14 e non viceversa. Lo stato di diritto passa per la tutela delle libertà di espressione e di manifestazione, diritti politici essenziali. Esattamente quelli che i fascisti che abbiamo al governo, pardon: regime della tratta dei voti parlamentari, vogliono negare e sopprimere. Dove non arrivano i media, arriva la repressione.

Si era iniziato in sordina, con il togliere striscioni, cartelli critici e fermare in modo poliziesco le voci di dissenso durante le parate dei politici e della cariche dello stato, Napolitano incluso. A negare la possibilità di manifestare nei luoghi simbolo della politica e delle istituzioni, che non sono di proprietà di Berlusconi o di Gasparri e neppure di Bersani e Fassino, ma di tutti i cittadini (li paghiamo per reprimerci!). Ora si arriva agli arresti preventivi? Ma di chi? mi chiedo io. Chi vuole arrestare Gasparri il fascista, il mazziere dei "bontempi" che furono? Mi attendo dei distinguo tra buoni e cattivi anche dalla cd opposizione. Se passasse il provvedimento auspicato da Gasparri, il livello di azione repressiva a cui siamo giunti sarebbe ormai da colonnelli greci, ma l'allegra comitiva del PD va in gita da Casini e Fini. Non dimenticate la merenda.

Io dell'aventino demenziale non mi fido. La sola forza politica che può contrastare la degenerazione autoritaria è quella generata dai movimenti. La lotta e la mobilitazione delle realtà che si sono già mosse è la sola linea del Piave coerente per riaffermare una soglia minima di democrazia reale nel nostro paese.

sabato 18 dicembre 2010

IL TERZO POLLO


Ricomincia il balletto centrista del PD, tanto per andare a perdere voti e buttare nel cesso la manifestazione del 13. Bersani lo ha detto: valuta un'alleanza con il terzo polo di Fini e Casini per portare l'Italia fuori dalla crisi. Della serie: il gruppo dirigente del PD ha capito tutto.
Le primarie: non sono primarie, possono essere non fatte o fatte poi, insomma, continua lo smarcamento da Vendola e Di Pietro, perché i PD sanno bene che quello che è successo in Puglia e a Milano, può ripetersi anche alle primarie per la candidatura e premier.

Consigli non "per gli acquisti" a Vendola: la questione vera è la costruzione di una sinistra popolare e di classe che senza ambiguità dica le cose chiare, come stanno, nell'interesse di quei milioni di cittadini immiseriti, gettati nel precariato, nella cassa integrazione, nella disoccupazione. E poi ci mettiamo anche le piccole imprese e il piccolo commercio al dettaglio, quelli che non hanno ancora abbassato la saracinesca. E poi, solo poi, si va da questi mentecatti del PD e si impone uno schieramento giustamente ben diverso da quello di Montezufolo, Fini e Casini.
Perché chi parla oggi nel paese per questi milioni di cittadini? Non Bersani e D'Alema, questo è sicuro.
Vendola e tutti gli altri di una sinistra che vuole essere espressione della classe e dei settori più disagiati, fate qualcosa di sinistra: parlate ai movimenti, lavorate dentro le espressioni di lotta sociale emerse dal basso. Altrimenti continueremo con la logica del PD che da secondo polo fa il terzo pollo sulla griglia, tra le due fazioni di poteri forti che si danno mazzate per la gestione più o meno autoritaria, ma comunque in chiave capitalistica, del potere.

venerdì 17 dicembre 2010

ROMA BRUCIA? E LASCIALA BRUCIA'! APPUNTI SPARSI.



I.

Sui fatti di Roma, penso che soffermarsi sugli scontri e l'annosa questione dei "provocatori" e black bloc, metta in secondo piano, come vorrebbero PD e vari, quello che è un dato politico che esce dai nostri confini nazionali: in Europa cresce una protesta sociale molto forte, si può ricominciare a parlare di autonomia di classe, anche se come nel caso italiano non abbiamo ancora forme organizzate e riunificate su un progetto forte, e con una sinistra extra-parlamentare (nel senso che è fuori dal parlamento) che tenta di cavalcare la situazione un po' a raglio. Qui si va ad ordine sparso.


Un altro fatto certo è l'inadeguatezza delle cosiddette socialdemocrazie e laburismi di varia fatta di fronte alla crisi generale dell'occidente capitalistico. I vari Papandreu, Zapatero, ecc., si limitano a ricette economiche che rispettano i diktat dei veri poteri forti della Comunità Europea, la banche e il capitale finanziario.

Su questa situazione occorre puntare a un lavoro di ritessitura di un filo politico che unisce situazioni di lotta molto diverse tra loro, eterogenee. Al di là del moribondo governo Berlusconi e in prospettiva dei futuri governi, che saranno comunque di gestori di destra o di centro-sinistra delle manovre neoliberiste spacciate come "misure inevitabili".


Non ho certo "ricette", ma penso che un cambiamento epocale di una formazione economico-sociale globale che ci sta portando al collasso in tutti i sensi, passi proprio da queste lotte e da questi soggetti. Percorsi che devono trovare sponda anche in forme di autogoverno di processi sociali, di vita, di produzione materiale. Sono tanti i settori sociali che dobbiamo ancora coinvolgere. E non sarà un percorso privo di contraddizioni.



II.

Purtroppo in questo rapporto passivo di fruizione del mezzo televisivo, così come nella solita costruzione di figure leader, a livello di opinione o a livello politico, ecc., c'è la tendenza a prendere per buono AUTOMATICAMENTE tutto quello che viene sostenuto da questi personaggi.

Anche questo è indice di una diffusa mancanza di senso critico, di ragionamento autonomo riguardo le argomentazioni che vengono diffuse in modo massiccio dai media.

Questo meccanismo è pericoloso, poiché è come se a questi personaggi venisse data una delega in bianco sia sulle cose dette, che a quelle ancora da dire, a prescindere.

Invece, rivendicare un'autonomia politica, culturale dei soggetti è proprio affermare questo esercizio critico indipendente, orizzontale, che è il sale di ogni processo democratico e di ogni vera trasformazione sociale in cui protagoniste sono realmente le soggettività.

Rivendicare l'orizzontalità contro una fruizione passiva non significa essere contro in tutto. Meno male che Saviano ha denunciato alcune cose sulla camorra, che ci sono ancora programmi come quelli della Gabanelli o di Santoro. Ma occorre far capire nei contesti giusti che questi non sono santoni, nuovi lenin, o quant'altro.

Saluto con gioia fenomeni come il popolo viola, ma attenzione a nuovi luoghi comuni, alla creazione di nuovi feticci.




III.

Vorrei sottolineare il dato di fondo essenziale, su cui tutte le forze politiche, da "alleate" o da controparti devono fare i conti: esiste una protesta sociale su scala europea che nasce da una crisi del capitalismo che ha connotati epocali e che sconvolge la qualità della vita della maggioranza delle popolazioni.

La mobilitazione del 14, non solo romana, ma nazionale ha questo di positivo, che rende stabile anche in Italia un fronte d'opposizione sociale su cui occorre lavorare per costruire unità e progetto politico. Altro dato positivo è la coscienza diffusa di un legame con il resto delle proteste europee. Credo che l'esperienza greca e le lotte sindacali e studentesche francesi e inglesi, per citare i fenomeni più eclatanti, abbiano avuto un ruolo importante nello sviluppo dell'attuale esperienza italiana .

A questo fa da contraltare l'assoluta inadeguatezza della socialdemocrazia (ecco perché ho scritto alleati con le virgolette), che nei paesi in cui governa (Grecia e Spagna per esempio), le risposte che dà sono tutte interne agli interessi del capitale finanziario.

Quindi, lo scenario è da resa dei conti. Altri attori sociali si stanno affacciando sulla scena politica, con una forza d'impatto e una vastità che non si vedeva da decenni.

L'asse politico si sta spostando tra una centralità della politica interborghese, ossia tra frazioni dominanti, a una centralità politica verso la classe. Opsss, c'è un convitato di pietra!

La questione degli scontri violenti è solo una conseguenza di questo conflitto che va assumendo vaste proporzioni. Va visto il dato politico, la luna, non il dito.

La questione semmai è vedere cosa sta facendo la cd sinistra radicale: se rimette in moto logiche da cammellieri o se va a rapportarsi con questa AUTONOMIA DI CLASSE di fatto e autocostituentesi come pars costruens, "servendo il popolo". I conti saranno anche con i vari burocrati di periferia che non possono più raccontarla e suonarla come ai tempi della pantera.


A questo punto le strade possono essere tante. Perché tante sono le specificità. Negli anni '60 e '70 i diversi settori sociali, classe operaia, studenti, ecc., erano attraversati da forti appartenenze ideologiche. Così i movimenti che ne davano forma politica.

In questo caso non è che non esistano appartenenze e provenienze. Semplicemente non hanno più quell'influenza nella prassi politica, che avevano organizzazioni della sinistra extra-parlamentare come PO, LC, il MS, ecc. e la stessa sinistra storica. E poi successivamente l'Autonomia Operaia.

La cesura degli anni successivi la vediamo adesso, nella forte frammentazione politica dei soggetti, nella ricomposizione su aspetti progettuali che una volta definivamo "programma minino". Sul rivendicazionismo dal basso. C'è una ricerca di identità. E non c'è dubbio che i fenomeni di lotta e mobilitazione che rappresentano l'insieme delle pratiche di realtà molto diverse tra loro, vadano inquadrati in questa ricerca.

In Exit su La7, programma su cui non mi esprimo per decenza, l'altra sera ho però assistito a delle interviste fatte a giovani, studenti che mi hanno colpito.

Con argomenti semplici, privi di ragionamento politico complesso, dei soggetti che sembravano appena usciti dallo stadio (ahò, a chiudere il palazzo, se la sono annata a cercà) o da una proiezione di Sex and City, sostenevano con "stupefacente" logica le violenze di piazza.

C'è una parte della "politica ufficiale" che sta iniziando a ragionare su questi fenomeni, perché si sta accorgendo che nelle piazze italiane non si ritrovano solamente i "soliti centri sociali". Se così fosse, la lettura sarebbe di default, così come i meccanismi di repressione.

Dopo il gancio inatteso, il pugile si dice: attenzione, qui c'è qualcosa di nuovo. Tutte le veline di prammatica: infiltrati della polizia, black bloc, i servizi, casarini e i suoi, non funzionano più, saltano, diventano armi spuntate. E infatti vengono abbandonate, o passano in secondo piano.

Criminalizzare diventa difficile. Restano solo le frasi di rito, perché non possono essere non dette dagli esegeti dell'ordine costituito.

Con questo non voglio dire che non c'è repressione, anzi, lo si è visto e lo si vedrà.
C'è uno spiazzamento da parte di forze come il PD. La Russa ovviamente passerebbe su tutto e tutti con un cingolato.


Qui siamo in un crinale, in uno spartiacque. E poi? Bella domanda. Sono contento che non ci sia una risposta. Perché è un percorso tutto da costruire, i giochi sono aperti. A parlare sono i corpi e le menti, le

individualità alla ricerca di bisogni, di nuove forme di socialità. In questa società non c'è futuro? Bene, iniziamo a costruircelo. Il primo passo è l'antagonismo, l'irriducibilità data dalla materialità, dalla concretezza della mia esistenza, versus un dominio sordo e totalizzante che mi influenza tutta la

mia stessa vita. Il primo passo è la distruzione di qualcosa, qualcosa di immediato, ma molto chiaro, molto connotato che genera coscienza collettiva immediata. Possiamo anche spiegare ai giovani che arrivano prima in piazza e poi partecipano a una narrazione comune, che sono in sintonia con "il comunismo è il movimento che abolisce lo stato di cose presente". Ma è più importante che

lo pratichino. Una sana concessione a un'impoliticità istintiva, a una programmazione su questioni immediate e stringenti, ma impolitica lo è solo in apparenza. Perché in realtà è politica allo stato puro, nella sua accezione originaria, che Negri ben definisce come "biopolitica".

Con questo non voglio dire che il movimento è impolitico. Anzi, credo che una maturità politica così non si sia vista da decenni.
C'è un uso dell'ideologia molto intelligente, non schematico e dottrinario. Ecco perché molta parte della sinistra radicale fa fatica e mi pare che vada un po' a traino...
Il rapporto con sistemi di pensiero come quello marxiano è molto, molto dialettico. Grandi spunti di riflessione. La produzione culturale che sta uscendo dalle facoltà occupate è straordinaria.


Sull’incidenza della cd sinistra radicale nel conflitto sociale in atto, penso che l'armamentario teorico-politico, organizzativo e di pratica dei vari RC, PdCI, ecc. non sia dei migliori. Auspico una loro maturazione politica nello stare e agire nelle situazioni, considerandole come centrali e non viceversa, nel contribuire a trovare una sintesi politica, senza imporla fconcependo ancora una volta i movimenti come campo di battaglia di questioni interne e autoreferenziali.

L'autonomia politica della classe non è riducibile a una specifica forza politica. Se una forza ha agito bene divenendo "espressione" di settori sociali e movimenti, può assumere l'egemonia del conflitto in atto (vedi il bolscevismo, il PCI nella Resistenza...), ma non mi sembra il caso italiano ora. Ci vuole molta umiltà e onestà intellettuale.



martedì 14 dicembre 2010

ANCORA SU VENDOLA


Ovviamente, se Vendola si candida alle primarie come premier del futuro governo, io lo voto e invito tutta la sinistra a votarlo.
Le mie critiche a Nichi, non inficiano il fatto che uno spostamento a sinistra del quadro politico dell'opposizione sia auspicabile oltre che necessario.
Se fossi in Rifondazione e in tutte le parrocchiette post-comuniste, farei lo stesso ragionamento.

Vendola può avere una forza dirompente, in un effetto Puglia portato a livello nazionale, in cui il popolo di sinistra può esprimere un segno politico diverso dai compromessi sotto l'egida di Prodi. Avrebbe molti voti, di protesta e di rottura con la vecchia politica dell'Ulivo.
Una soggettività unitaria di segno anti-capitalista si può costruire in fieri, e sicuramente dovrebbe partecipare a questo processo di sedimentazione a sinistra di aspettative prima ancora che di forze politiche e soggetti.

Dopodiché continuo a non credere alla politica delle facce, ai personalismi, ai nuovi culti della persona. Dopodiché continuo a pensare a una forza politica unitaria che riunisca le migliori tradizioni della nuova sinistra e della sinistra storica, del socialismo radicale, dell'ecologismo e della laicità cattolica impegnata sul sociale.

IL DIRITTO DI PROTESTA


Tutte quelle "belle facce" che vediamo nei salotti televisivi vivono di lauti stipendi presi da partiti, giornali, sindacati, se sono parlamentari non ne parliamo neppure. Pubblicano libri, hanno tutto lo spazio che vogliono, Berlusconi o no permettendo.

Perché questo è il sistema mediatico che funziona, censura, filtra, si muove con la logica dell'esercizio insindacabile del pensiero unico, al di là del fatto che ci sia un monopolista mediatico che controlla tutte le tv o quasi. In ogni caso, il dato di fatto è la concentrazione dei media nelle mani di circoli finanziari, gruppi di potere, le consorterie che fanno il bello e il cattivo tempo in Italia, tali e quali nella logica a Berlusconi.


Franceschini, sull'episodio della contestazione a Bonanni, alla presentazione del suo libro, da parte di precari e lavoratori, ha dichiarato di essere solidale con Bonanni senza se e senza ma. Un esponente del PD che fa questa affermazione, mi fa pensare alla regola elementare che un cane non mangia mai un altro cane. Ma soprattutto la dice lunga sul grado di coscienza civile di una classe politica che si dimentica come sono nati e si sono affermati quei diritti sociali e del lavoro.


E allora glielo ricordo io che cos'è una lotta per i diritti al signor Franceschini, che guarda tanto all'etichetta, come se ogni cittadino avesse pari diritti di espressione in questo sistema mediocratico, fatto di caste di "intoccabili", dove la critica può avvenire solo in quei troiai, in quelle tauromachie che eufemisticamente vengono definite salotti televisivi. Tra cani che si abbaiano contro senza mai mordersi.


In tempi di attacco alle conquiste sociali e del lavoro, è logico che gli anticorpi a qualsiasi atteggiamento che non rientri in questa norma, siano automatici.

Sono questi atteggiamenti di azione politica dal basso a fare paura, a essere anomali perché non controllabili. Fanno paura da sempre.

Esattamente come facevano paura alla borghesia dell'epoca le occupazioni di terre dei contadini del Sud, i cortei operai spontanei dentro e fuori le fabbriche e le mille forme di lotta che le classi popolari mettono da sempre in campo come esercizio essenziale della libertà di parola dei deboli e degli oppressi. E oggi come ieri, coloro che lottano sono coloro che vengono zittiti dagli azzeccagarbugli di turno, dagli opinion leader che sembrano avere la facoltà di parola per diritto divino. Oggi come ieri le forme di azione autorganizzata sono coperte da cumuli di menzogne e falsificazioni da giornali e tv perché "non devono disturbare i manovratori". Perché l'unica lotta ammessa da questa casta di politicanti e dai loro tirapiedi d'ogni risma è la lotta tra consorterie di regime, dove semmai le masse sono usate e mobilitate per altri fini e casini.

Queste espressioni di antagonismo nei luoghi di espressione del potere sono invece giuste e sacrosante. E lo diventano ancora di più proprio in assenza di un'opposizione politica e istituzionale che le esprima in altre sedi, divenendo un agire organico, come facevano i socialisti e i comunisti prima del fascismo e nel dopoguerra.

E questa è la grande differenza tra i movimenti dei lavoratori nel Novecento, con i partiti di massa, le forze democratiche di segno socialista, comunista e per un certo momento e in certi ambiti anche cattolico e il contesto odierno, dove abbiamo partiti autoreferenziali, con forti addentellati nei comitati d'affari, nei grumi corporativi di interessi alieni a qualsiasi visione di bene comune. La realtà è ben diversa dalle parole demagogiche dei vari Bersani. La realtà si esprime con la violenza e la censura di ogni fenomeno di lotta e dissenso di massa che non è gestibile dalle segreterie sindacali e di partito.

Lo spartiacque lo colloco negli anni '70. Lì furono fatte le scelte di concertazione nel nome di una strumentale pacificazione sociale, dalle forze politiche della sinistra storica. Questa è una questione da affrontare anche in ambiti sindacali che oggi sono oggettivamente antagonistici ai piani di governo e Confidustria, come la CGIL. E' una questione che va risolta per comprendere bene che cos'è l'autonomia politica dei lavoratori e delle realtà sociali in lotta.


Detto questo, il discrimine semmai che deve vivere in queste pratiche di protesta, in un contesto democratico, anche se di debole democrazia, oggi condizionata dai poteri forti, è il carattere civile della contestazione: aspra fin che si vuole, ma senza violenza.

Quindi, ci sta andare a rompere i coglioni nei salotti d'ogni tipo, dove pontificano i massimi rappresentanti non dei lavoratori in quanto tali, ma delle logiche di concertazione a cui il sindacato ci ha abituato e ci ha imposto come longa manu di ben altri interessi. Ci sta andare a rovesciare loro un po' di merda, a contestare, fischiare, urlare il dissenso. La protesta organizzata, caro Franceschini, è l'unico mass medium sano, in mezzo a tutta la vostra merda mediatica. La rottura dei vostri schemi, dei vostri accordi spesso sottobanco è una boccata d'ossigeno in un etere impestato dalle vostre dichiarazioni, tra un culo di velina e uno spot pubblicitario. Voi non avete l'ombrello nel culo come noi, ma avete sempre il microfono davanti alla bocca.


La protesta è un diritto e una premessa vitale per la democrazia. Perché fa crescere e amplifica le coscienze, perché crea discussione e organizzazione dal basso, perché marca la differenza con l'avversario di classe, l'alterità se non ancora l'alternativa. Perché rende attiva quella parte di società annichilita da una politica distante in tutti i sensi.


Quindi, caro Franceschini, SENZA SE te ne puoi andare a fan culo e SENZA MA proprio a fan culo.