sabato 31 dicembre 2011

SUL POPULISMO "DEMOCRATICO"


Con la caduta di Berlusconi e l'arrivo del governo Monti, gli antiberlusconiani di ferro, che hanno svelato fatti e misfatti del cavaliere e della sua corte, hanno cambiato registro.
Tutta la critica politica dei vari Travaglio, Feltri, Padellaro, il giornale "il Fatto quotidiano" si è smorzata in un stiamo a vedere interlocutorio.

Di fatto, nel corso berlusconiano si era sviluppata una destra "perbene", che vedeva nei costumi poco morigerati del cavaliere e negli intrecci con poteri occulti e con la criminalità organizzata, un attentato a una visione tutta ordine e sicurezza.
La vulgata parte appunto dai vari Travaglio, allievi di Montanelli, per arrivare ai Saviano e compagnia cantante.
Santoro chiudeva e impacchettava il prodotto, dandogli una veste "di sinistra". E infatti, molti di sinistra ci sono caduti. Ma il ritornello di questi signori sulla crisi economica, oggi qual è? Che le misure adottate dal governo andavano prese, criticando semmai alcuni aspetti della "medicina", ma non la medicina in sé. Per costoro il mercato "ha fiducia o meno" nell'Italia, esattamente come tutti gli economisti del mainstream della dittatura finanziaria, come se non fossimo alle prese con manovre speculative dai tratti fortemente politici, ma a tanti paperoni (a paperopoli evidentemente), che si fidano o no del sistema Italia.
In questa fase dunque la destra neoliberista "sana" rivela la sua visione vera della società, mantenendo sacche di pluralismo dialettico interno, giornalismo indipendente, ma poco utile ai processi sociali di antagonismo agli oligopoli finanziari e ai gruppi capitalistici dominanti.
E' auspicabile che l'abbaglio preso da tanti di sinistra venga riconosciuto e in fretta, visto che occorre dotarsi di strumenti di critica politica seri.

Un altro ambito populista, complementare a quelli de "il Fatto" è il grillismo. Un versante più "militante" che ha goduto anch'esso di fortune, non di lettori, ma elettorali alle amministrative, durante il governo Berlusconi. A parte l'istrionismo e le scelte individuali discutibili del suo guru Beppe Grillo, anche questo ambito si fonda su una politica "di buon senso", con forti tratti di partecipazione popolare dal basso e di difesa della democrazia (astratta, ben s'intende), che però sono rimasti sulla carta. E già l'istrione viene fuori con discorsi ambigui su Monti, un personaggio che devasterà il paese molto più di quanto ha fatto Berlusconi, perché lo farà con scienza economica e coscienza del suo appartenere alla Trilateral e al Bilderberg.
Altro mito disvelato e altra forza politica depotenziata con il dopo Berlusconi.

C'è poi una terza variante, di sinistra, ma che non vuole esserlo perché vuole proporsi come oltre la destra e la sinistra. Ed è quella di Giulietto Chiesa e la sua Alternativa, un gruppo che conta come lo stronzio in percentuale minima in una bottiglia d'acqua minerale.
Intendiamoci, a differerenza della altre due entità prima descritte, l'analisi di Chiesa su quanto sta accadendo sul piano economico-sociale de ambientale è largamente condivisibile. Ma non si comprendono bene le conclusioni pratiche e identitarie di questo gruppo, che bypassa i soggetti politici esistente nel panorama della sinistra anticapitalistica, per rivolgersi direttamente a non meglio definibili cittadini. E infatti manca una seria analisi dei soggetti sociali che dovrebbero portare avanti un processo di alternativa globale al capitalismo. Si danno evidentemente per scontate le categorie generiche di lavoratori, donne, ecc.
Probabilmente questa genericità, e più a monte uno snaturamento di un'identità politica originaria, è alla base dell'inerzia nelle situazioni, dell'incartamento organizzativo fatto di continue scissioni, e nel contempo di una sorta di snobismo elitario verso altre realtà che non se la passano certo meglio e su cui giustamente andrebbe steso un velo pietoso.

Esaurito questo breve panorama sulle realtà che hanno dato linfa vitale a un democraticismo antiberlusconiano col paraocchi e a una critica demagogica da "mi piace" su lp'effebi di Report e della Gabanelli, si tratta di ripensare seriamente a un progetto politico che rivendichi senza mene reducistiche un essere comunisti e di sinistra. Senza questo nucleo forte non può darsi un fronte più vasto di critica al capitalismo e alle politiche neoliberiste egemoni.
Lo so anch'io che le parti di società che vanno coinvolte in una lotta politica che tra breve sarà protagonista del forte e ampio conflitto sociale alle porte, sono eterogenee e hanno un impriting di altre culture politiche. Ben vengano. Ma senza un soggetto comunista che interagisca con queste, senza un'organizzazione politica delle situazioni più mature della classe, sarà difficile dare gambe lunghe a un progetto unitario e uno sbocco al conflitto sociale verso una vera alternativa al capitalismo.

venerdì 30 dicembre 2011

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (2a parte)

Il sistema capitalista globale è arrivato a un punto di crisi che non è più gestibile con le forme statali, di welfare pre-esistenti nelle sue aree centrali, come l'Europa, gli stessi Stati Uniti. La falsa uscita che gli esecutivi asserviti alle esigenze di ricapitalizzazione dei centri finanziari, della speculazione, impongono ai propri paesi come Grecia, Spagna, Irlanda e la stessa Italia, non è atro che la continuazione di una spirale economica destinata a impoverire con la recessione i ceti medi e popolari, a dismettere o trasferire in mercati più convenenienti per il costo del lavoro parti importanti dell'economia produttiva, condannare al precariato intere generazioni, smantellare ogni servizio di protezione sociale.

Una spirale però che è tendenzialmente orientata a uno sviluppo infinito dell'accumulazine capitalistica, quando in realtà le risorse energetiche del pianeta si stanno assottigliando, quando il riscaldamento terrestre e le devastazioni forestali, il perseverare sull'idrocarburo che definisce un modo di produzione e consumo dissennato, il saccheggio dei beni comuni come l'acqua e la terra ad essa connessa, disegnano uno scenario di autodistruzione, insieme al pianeta e al suo eco-sistema, della comunità umana intera come l'abbiamo conosciuta sino ad oggi. Uno "sviluppo" che apre a un'era di guerre per il controllo geoeconomico delle risorse, alimentate dalla speculazione finanziaria, con un fronte esterno di rapina neocolonialista dei popoli e interno, nei centri dell'imperialismo, di comando finanziario che calpesta i sistemi democratici, le forme di rappresentanza fin qui avute nei paesi cosiddetti a democrazia parlamentare rappresentativa del capitalismo avanzato.
La tendenza che si disegna da qui a prossimi anni è di affermazione di una dittatura finanziaria attraverso il debito pubblico e il mantenimento di tutti i punti di crisi data dalla deregolamentazione finanziaria mondiale e dalle tare genetiche di sovranità economica della zona Euro, che svuota dall'interno le democrazie, lasciando come gusci vuoti le carte costituzionali, o rimodulandole in fnzione della centralità delle politiche finanziarie ormai indiscutibili da parte dei cittadini e delle organizzazioni sociali e sindacali che offrono una resistenza al neoliberismo selvaggio. Il pensiero unico è diventato sistema unico. Non un "grande fratello", certo, ma la partita politica vera si gioca tra interessi finanziari e corporativi confliggenti, la regressione del "citoyen" è verso quella di suddito, mentre le caste politiche e le lobby finanziarie sono le nuove classi "nobiliari". Una regressione che ci porta verso nuove forme di assolutismo politico "pre-francese", dentro un quadro di modernità che seleziona di default e incessantemente i flussi e gli scambi utili alla riproduzione sociale ed economica del sistema, quindi le relative libertà necessarie, e inibisce i processi di liberazione differenziati (questa differenziazione crea problemi nella costruzione di un soggetto plurale ma unificato in fasi di conflitto sociale di bassa intensità) che si innescano con lo scoppiare delle contraddizioni nei singoli ambiti dei rapporti economici e sociali.
In questo modo i bisogni e i diritti della gran parte della popolazione restano fuori da questa partita. I mass media hanno la funzione di utilizzare figure retoriche e spettacolarizzare i casi, ma solo per far rientrare nell'immaginario collettivo (sedimentandolo a livello di opinione pubblica) ciò che è stato espulso dall'agenda di regime.
C'è di nuovo che questa tendenza alla concentrazione dei poteri e di svuotamento delle democrazie storiche, "resistenziali", nate dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, unita al rullo compressore dei desiderata economici dell'oligarchia finanziaria internazionale, alla caduta delle mediazioni "welfariste" crea anche le condizioni nei paesi del centro capitalistico occidentale, le condizioni per la deflagrazione di un vasto conflitto sociale.

Va detto però, che la grande crisi finanziaria attuale non è all'origine della crisi di sistema del capitalismo. Ne acellera le conseguenze, ne allarga la portata, certo. Ma il nucleo della crisi parte dagli anni '70, e si configura come crisi strutturale e assoluta di sovraproduzione di capitali e di merci, che il sistema finanziario gonfiato e "drogato" non riesce più a tenere negli ambiti del controllo strutturale dell'intero sistema economico-sociale. L'altro aspetto della crisi di sistema, lo abbiamo già menzionato pertiene la finitezza delle risorse del pianeta e il degrado-distruzione dell'eco-sistema.

In sintesi, l'indebolimento economico strutturale dell'imperialismo occidentale rispetto all'emersione di nuovi attori, nuove potenze (Cina, Russia, Brasile, ecc.) e nuovi mercati (vedi l'America latina), l'esplosione di tensioni sociali nei propri centri metropolitani, dovuti alla già vista caduta dei patti sociali e all'impoverimento delle classi popolari, della maggioranza delle popolazioni urbane, apre sì a risposte guerrafondaie nelle aree contese e nevralgiche del mondo e a nuovi totalitarismi nei "salotti di casa", ma apre anche a nuove possibilità di ripresa dei processi rivoluzionari sia nel centro che nella periferia del sistema capitalista globale.
L'Italia sarà uno dei punti focali del conflitto. Con l'aggravante (per il comando capitalistico) che il nostro paese, non è l'Islanda, ma è una delle prime potenze economiche al mondo, per cui un suo cambiamento radicale nelle politiche economiche e nella sovranità politica e sociale è gravido di sviluppi molto veloci e a effetto domino nell'intera caena imperialista (per usare un vecchio ma efficace termine).

Più in generale:
a. la crisi sistemica del capitalismo se non viene risolta a livello mondiale nel superamento di questo stesso sistema, andremo alla rovina del pianeta e della comunità umana;
b. non è detto che la crisi sistemica del capitalismo sfoci meccanicamente e automaticamente in questo cambiamento: la debolezza del sistema verrà gestita con politiche sempre più autoritarie e guerrafondaie, poiché fuori dall'orizzonte dell'accumulazione di capitale e del profitto per le classi egemoni e i centri di potere non esiste altra dimensione del vivere;
c. quindi non è detto che "l'assalto di classe al cielo" della sinistra anticapitalista, all'interno di dinamiche conflittuali fisiologicamente non più emendabili e riducibili a patti sociali con il regime capitalistico, possa riuscire, "perché abbiamo ragione" (sinistra etica e soggettivista), "perché le condizioni ci sono tutte" (sinistra meccanicistica), "perché il mostro ha i piedi d'argilla e crolla da solo" (sinistra opportunista e attendista); diviene importante il progetto connesso alle dinamiche conflittuali nel loro complesso, insieme alle forme di sovranità popolare e di classe embrionali, di potere costituente reale, diviene essenziale intravedere gli elementi di autogestione sociale dell'esistenza e dell'esistente già possibili e che attraversano il conflitto. In altre parole occorre cogliere la complessità di questo processo, in considerazione del fatto che nel giustissimo concetto del 99% non abbiamo soggetti cristallizzati e che lo stesso "operaio sociale", il precariato è composto da mille figure, dove i cicli di produzione materiale e immateriale vivono connessi e all'interno di una meta-fabbrica diffusa nel territorio.

Da questo 99% occorre cogliere la ricchezza delle risorse, nell'autogestione dell'esistente, le potenzialità umane che ne scatiriscono, iniziando dei percorsi nello stesso spazio-mondo del sistema capitalistico, ma che generano nuova ricchezza sociale e che si appropriano di quella prodotta dal sistema stesso, che abbattono il valore lavoro del ciclo produttivo del capitale, che liberano energie per la collettività. Nel loro stesso essere c'è il virus corrosivo, c'è il processo che va poi ad esprimersi nell'atto politico di sovversione, nel punto di rottura insurrezionale. La riflessione deve portarci ad andare oltre le pure lotte resistenziali, per creare incessantemente nuove pratiche che portano ad accrescere la coscienza politica (classe per sé) e nel contempo a far cortocircuitare tutte le sinapsi del comando capitalistico.

L'immagine che ho scelto in questa sezione è quella della Place de la Concorde nella Parigi della rivoluzione francese. Perché la questione della democrazia investe il problema della fine della democrazia rapresentativa e il ritorno a un assolutismo che c'è sempre stato, che era celato nella rete di mediazioni sociali e negli psicofarmaci mediatici, ma che ora rivela a sempre più soggetti il suo vero volto. Per questo una battaglia per la difesa della Costituzione è una battaglia di retroguardia. Nuove forme di democrazia vanno sviluppate, come nuova sovranità complessa del 99%, come rifondazione di un processo costituente scritto nel processo rivoluzionario stesso, prima ancora che sulla carta. Esattamente come i nostri padri partigiani scrissero la Costituzione nelle Langhe, nelle città con i GAP, nella pianurizzazione dell'inverno del '44, con il ooro sangue, prima ancora che sulla carta.
Democrazia diretta e dal basso, autorganizzazione dele masse popolari nei processi di movimento: la legittimità costituente si costruisce così, nel fuoco delle lotte sociali.
Il "regicidio" è quello della scatola vuota e mistificata della democrazia rappresentativa, non più rappresentativa della popolazione nei fatti, e neanche più democrazia borghese, visto che una parte consistente di media e piccola borghesia terrorizzata fa parte del 99% estraneo ed espulso dai meccanismi decisionali del sistema capitalista.
Quindi non è più tempo di pluralismo, ma di pluralità soggettive costituenti che si fanno sovranità.
E le righe del Manifesto di Marx ed Engels si dipanano sempre più attuali nel corso delle ultime vicende della storia contemporanea.


mercoledì 21 dicembre 2011

PER UNA NUOVA POLITICA SINDACALE OPERAIA E UNA NUOVA LOTTA SOCIALE DI FASE.


Un commento su quanto Carlo Formenti avrebbe voluto dire a Landini se fosse venuto a Lecce.
L'articolo di Formenti su Micromega.
Formenti tocca il cuore della questione, riassumibile nelle ultime righe del suo intervento su Micromega: il futuro, se c’è, sta nell’attacco, nell’avvio di una lotta globale per lavorare meno/lavorare tutti, per strappare un reddito di cit...tadinanza che metta i lavoratori al ripario dei ricatti alla Marchionne, per ridistribuire le ricchezze che la finanza ha scippato alla società civile, per sbarrare la strada alla privatizzazione dei beni comuni, dall’acqua alla conoscenza condivisa in Rete." Si è aperta una fase in cui patti sociali, mediazioni per la stabilità del sistema no sono più possibili. Davanti a chi sta smantellando la nostra vita e il nostro futuro con la centralità del profitto, va opposta la centralità dei bisogni generali delle lavoratrici e dei lavoratori, delle cittadine e dei cittadini. Il profitto, non può più essere il parametro che regola i rapporti sociali, così come l'accumulazione e il modo di produzione capitalistici non possono più essere la modalità con cui la società si riproduce. Questi aspetti apparentemente economici sono fortemente politici. Nel concetto di "lotta globale" ci vedo non solo una internazionalità delle lotte popolari e di classe, il collegamento tra forze sociali confliggenti il capitalismo, ma anche una lotta che caratterizza il movimento come potere costituente, nella sua sovranità latente, sviluppata e realizzata. L'intervento di Formenti è fortemente leninista. Non so se era nelle intenzioni dell'estensore, ma lo sbocco ai suoi ragionamenti riprende i temi forti del potere operaio e popolare, della contrapposizione tra dittatura borghese (oggi finanziaria), che mostra il suo vero volto autoritario nel superamento della democrazia rappresentativa, della carta costituzionale, attraverso un indiscutibile comando dei poteri forti che esaustorano il potere costituito precedente e dittatura del proletariato, come forma democratica superiore in quanto afferma la sovranità di un blocco sociale da sempre maggioritario. Per tale ragione, nei paesi del centro imperialista occidentale, a partire da quelli più colpiti dall'attacco speculativo dell'alta finanza (Grecia, Italia, Spagna), si apre una fase pre-rivoluzionaria, in cui il concetto stesso di democrazia viene ridefinito attraverso processi sociali di autorganizzazione e autogestione, di democrazia diretta dal basso. Formenti invita a ripensare al sindacato come organizzazione operaia che si estende alle figure del lavoro precario, ai soggetti sociali che rivendicano condizione di esistenza materiale adeguate. Immediamente politico nel suo essere al contempo sociale. Pone la rottura dei cicli di produzione e della polverizzazione del lavoro a favore di una partecipazione al lavoro di tutti, lavorando meno. Quindi attacca alla base le condizioni stesse del profitto capitalistico. E' qualcosa d'altro rispetto al keyneismo. E' il superamento del sindacalismo "resistenziale" riformista per forme inevitabili di socializzazione, appropriazione di mezzi produttivi, ricchezza sociale, una produzione svincolata dai tempi e dai modi del capitale. Questa è la scelta coraggiosa da fare, che supera i limiti circoscritti della normale contrattazione dell'irriducibilità priva di sbocchi della FIOM. Con questi aspetti della contraddizione, i sindacati operai più combattivi dovranno fare i conti. E affrontare il tema dell'autonomia operaia e di classe nel cuore della crisi: i rapporto capitale/lavoro.

sabato 17 dicembre 2011

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (1a parte)



In rete stanno girando interventi molto interessanti sulla crisi e sul modo di dare una risposta a quella che ormai ha il carattere di un'involuzione della società capitalistica nella fine della democrazia rappresentativa.
Oltra al tema forte dell'insolvenza, ci sono dei tentativi originali di proporre percorsi possibili che ricreino livelli di vita dignitosi e decenti, forme di partecipazione popolare e comunitaria alla costruzione di un'esistenza altra possibile.
C'è chi parla di "esodo", di "strutture della sopravvivenza" e di "buoni" (una moneta complementare) come Francesco Berardi, Bifo, qui, o chi sottolinea il carattere di "potere costituente" delle più significative esperienze di lotta sociale e di autorganizzazione, come Toni Negri qui.
(In realtà Negri, come sempre, dà contributi fecondissimi sull'analisi dello stato, del capitalismo e delle lotte sociali)

Non è un caso che è proprio da quel vasto filone operaista e dall'autonomia in generale (Negri e Bifo ne sono due autorevoli rappresentanti), nascono le analisi più acute, che riportano all'attualità temi centrali dell'autonomia di classe come il "contro-potere" e la riappropriazione.
Che indubbiamente sul piano strategico rappresentano il processo marxiano della distruzione dei rapporti di produzione e sociali capitalistici nella socializzazione dei mezzi di produzione e delle forze produttive (comprese le risorse energetiche e i beni comuni di Madre Terra).

Detto per inciso, dalle rovine della tragica svolta militarista, nelle sue varianti fochiste o di autonomia del politico nell'uso delle armi, che ha dato l'accellerata alla fine spaventosa dell'antagonismo rivoluzionario sul finire negli anni '80, non è potuta nascere neppure una soluzione politica sulla prigionia. Tuttavia, come un'araba fenice, solo l'operaismo risorge con quella sua visione precorritrice del precario attuale, così ben delineata nell'operaio sociale, nella scomposizione della classe e nel decentramento produttivo.
E questo la dice lunga sui movimenti carsici della filosofia della praxis, come Gramsci definiva il marxismo come metodo d'analisi e di azione critica nella società borghese.

Chiuso l'inciso, divengono chiare alcune cose. Vediamole:
a) la fine dei patti sociali che avevano consentito la pace sociale nei centri dell'imperialismo, l'esistenza dei ceti medi produttivi e non e di aristocrazie operaie
b) la crescita e l'estensione di un proletariato sociale attualmente privo o scarso di un'identità di classe, una pauperizzazione di strati sociali di piccola e media borghesia, che le politiche di neoliberismo selvaggio in atto e di rapina costante della ricchezza sociale ad opera di cricche di banditi finanziari e dei loro complici di governo
c) la fine della democrazia rappresentativa borghese, con la concentrazione dei poteri decisionali nelle mani di circoli ristretti che agiscono fuori dalle istituzioni parlamentari; il cittadino torna ad essere suddito di un capitalismo sovranazionale e di lobby corporative, senza la possibilità di incidere sulla propria esistenza materiale e collettiva; muore la sovranità borghese, si chiude il ciclo lungo delle democrazie occidentali nato con la rivoluzione francese
d) la crisi sistemica, che è crisi di scarsità crescente delle risorse energetiche nel pianeta, di struttura sulla sovrapproduzione di capitali e di merci a cui si innesta la crisi da finanziarizzazione selvaggia, crisi politica di sovranità popolare persino nelle democrazie borghesi occidentali, crisi di esistenza materiale nell'impossibilità alla sopravvivenza per sempre più persone nel mondo, fenomeno che coinvolge anche i centri del capitalismo, apre alla possibilità del comunismo come movimento che abilisce lo stato di cose presente e che realizza una formazione economico-sociale più evoluta, basata sulla socializzazione; la crisi sistemica più in concreto apre a una fase di lotte sociali che si pongono IMMEDIATAMENTE su un piano di potere costituente, di appropriazione di ricchezza sociale, bene comune, mezzi di riproduzione sociale e di produzione di nuovo senso (la semiotizzazione di cui parla Bifo).

Questo in linee generali. Logicamente occorrono passaggi intermedi e si pone forte la questione della transizione. Ma ciò che muore è l'autonomia del politico in sé, in specifico per come si è posta nel sistema democratico rappresentativo, e il "riformismo" inteso come miglioramento a favore delle classi popolari dei meccanismi che regolano l'esistenza della formazione economico-sociale capitalista e delle sue istituzioni politiche e costitutive.
Del resto, nei socialismi e socialdemocrazie di partito, nei laburismi, il riformismo nella sua migliore accezione era morto già da tempo. In Italia questa morte si può datare addirittura sin dagli anni '70, con la politica dei "sacrifici" e l'attacco del PCI all'antagonismo sociale, all'"altro movimento".

Dalle considerazioni fatte per punti poc'anzi, discende la questione del potere costituente della classe e dei settori sociali che per condizioni oggettive si pongono come alleati nella fase e nella lotta contro il capitale finanziario e i suoi istituti reali di comando.
Il tema dell'insolvenza da solo è inadeguato a esprimere tutta la carica potenziale che lo sviluppo di un movimento antagonista può esprimere. A questo deve essere aggiunto il tema della riappropriazione comune dei mezzi di produzione, delle merci, del tempo, dei luoghi e degli spazi di socialità, dei momenti di vita liberata, dei beni e delle risorse presenti nei nostri paesi, di riconquista del territorio.
Un esempio, ma è solo un aspetto. Bifo parla di "
Ma l’appropriazione deve diventare il paradigma della prossima fase di espansione del movimento, manifestazione specifica dell’insolvenza. Insolvenza significa costruzione delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere.
Insolvenza significa anche rifiuto di pagare il debito simbolico che fa del capitale l’orizzonte insuperabile dell’azione sociale: rifiuto di subire e riconoscersi nella semiotizzazione finanziaria del mondo, sperimentazione di altre semiotiche, altre forme di organizzazione del territorio, della produzione, della vita quotidiana.
In particolare dobbiamo sviluppare quelle forme di azione, che già hanno cominciato a manifestarsi, che puntano a disarticolare lo strumento monetario, anello centrale della catena dello schiavismo contemporaneo. Occorre sperimentare forme di scambio indipendente dal dominio monetario." (Bifo "i buoni sono buoni, dalla sua pag fb)
Orbene, se immaginiamo a un ciclo produttivo liberato, possiamo pensare a una rotazione sul lavoro e a modalità diverse non di sfruttamento in questo ciclo mutuate dalle "forme di scambio indipendente dal dominio monetario".
(segue)

venerdì 25 novembre 2011

E NON SI PAGHERA'



"Una cinquantina di operai licenziati da Innova Service, l'azienda che gestisce le portinerie sull'area dell'ex Alfa Romeo di Arese, hanno organizzato un presidio all'interno di un supermercato Iper in piazzale Accursio a Milano. Sono entrati e hanno riempito i carrelli della spesa con generi alimentari, mentre alcuni colleghi si sono radunati fuori dai cancelli con bandiere e striscioni. "Chiediamo di uscire dal supermercato con i carrelli pieni - ha spiegato Corrado Delle Donne, coordinatore dello Slai-Cobas - perché i lavoratori hanno bisogno di mangiare. E' un gesto dimostrativo per chiedere che i dipendenti che hanno perso il posto vengano ricollocati sull'area". Il gruppo Iper è proprietario di una parte dei terreni sul quale sorgono i vecchi stabilimenti dell'Alfa Romeo e dove sarebbe in programma la costruzione di un centro commerciale. I 60 lavoratori di Innova Service, tutti ex operai Fiat ricollocati nell'azienda di servizi, sono stati licenziati lo scorso 11 febbraio e da allora sono in presidio davanti alla fabbrica".
(da Repubblica Milano di due giorni fa)

E' la forza e la lungimiranaza dell'Autonomia Operaia. Non quella della degenerazione lottarmatista, che ha visto molti suoi quadri passare nelle organizzazioni comuniste combattenti, verso l'autodistrizione di una generazione politica.
Quella piuttosto della questione della riappriazione, delle autoriduzioni, delle spese proletarie. Oggi che il giorco si fa duro, che gran parte della popolazione vive senza prospettive una realtà di immiserimento progressivo, di prcariato, disoccupazione, cassa integrazione, di impoverimento persino dei ceti medi, si ripropone forte la questione del riprenderci quello che è nostro.

Lo stato e i padroni hanno dimostrato di gestire il bene comune, le fabbriche in cui noi lavoriamo, l'economia in cui diamo sangue e sudore e da cui spesso siamo espulsi e alienati, in modo privatistico, secondo i criteri della finanza e del profitto e non di un'equa ripartizione sociale della ricchezza prodotta.
Bene, anzi male: è più anticostituzionale e criminale, la rapina dell'alta finanza sulla nostra ricchezza scoiale, sui servizi, sui posti di lavoro, sulle possibilità di fare impresa, di avere accesso al credito, o il gesto di chi va a rioprendersi un po' di quello che ci hanno sottratto con i loro meccanismi di borsa, le loro leggi, l'ingiustizia fiscale?

Inoltre, la questione della riappropriazione (non appropriazione, badate bene: la proprietà vera di tutto ciò che c'è in un paese è del popolo, è della comunità, perché la comunità è la condizione sine qua non per creare ricchezza, il formaggio dove sguazzano luridi topi), ci porta alla questione di fondo del potere, del comunismo: riappropriazione di spazi, di tempo di vita, di merci, di sapere, d cultura, di cicli di produzione (quelli che i padroni dismettono per andare a sfruttare altre manodopere a costi più bassi in altre aree geoeconomiche).

Nei prossimi mesi dovrà divenire laprassi dominante. dell'antagonismo sociale al capitlae e alla finanza, alle cricche che occupano lo stato arbitrariamente, senza mandato elettorale.

sabato 19 novembre 2011

TRANSNATIONAL


Signori e signore, et voilà la destra. Quella vera, oligarchica, che travalica in confini nazionali di ogni singolo paese, che fa riferimento a organismi internazionali come la Trilateral e il Bilderberg, che vanno oltre le beghe di cortile a cui il berlusconismo ci aveva abituato, tra faccendieri e puttane.

Quella destra che non arraffa per sé, ma punta a dare un'ordine internazionale alla rapina finanziaria, che tutela la classe predona in smoking, non Lele Mora e l'accozzaglia di lenoni che girava nei salotti di Palazzo Grazioli e Villa Certosa.

In questo senso si spiega l'assunzione come la vergine maria in cielo di Monti nel direttorio franco-tedesco, con l'Italia in dote, che terza potenza europea, a dire il vero, lo era anche prima. A breve la visita di Merkel e Sarkozy al professore premier.

Ora l'Italia diviene partner del riscatto dell'Europa monetaria (leggi: delle borghesie europee che perdono cash e valori titoli) contro l'attacco speculativo del capitale finanziario selvaggio. Ora sarà possibile contrattare gli equilibri necessari per mantenere a galla il barcone Barroso-Draghi-BCE tra i marosi dell'alta finanza.

Una scelta obbligata, perché il sistema Euro fa acqua da tutte le parti, a partire dagli egoismi egemoni dei due paesi più forti. E già le fonti più autorevoli considerano l'esplosione dell'Euro quasi come cosa fatta.

Quindi le misure diventeranno più selvagge ovunque, indiscutibilmente scellerate e recessive. ancor di più in Italia. Ecco cosa si aspettano da san Mario Assunto, dell'Italia decollata.

Ed ecco perché di questa assunzione c'è da andare poco fieri. Ancora una volta le classi popolari, persino i ceti medi serviranno il re di Prussia, inizialmente contenti ahimè di farlo, per "l'interesse nazionale", nel generale sollievo per la dipartita del nano piduista. Sarà un amore di breve durata, perché ce ne accorgeremo presto tutti.

Perché ancora una volta sputeremo sangue. Ed è questa l'incertezza della situazione. Perché al di là del look bocconiano e internazionale, da qualche parte Monti dovrà andare a far cassa. Cane non mangia cane: dai grandi patrimoni parassitari e speculativi non andrà. C'è da giurarci che andrà, come già sta prefigurando sulle pensioni, sui redditi da lavoro dipendente, sulla casa come bene popolare. Con la differenza che nel fondo del barile non ce n'è più.

Anche queste grandi teste accademiche e questi banchieri prestati al governo non hanno capito che questo gioco al massacro è gravido di sciagure. Ormai ci sono settori sociali che non sono più disposti a pagare, anche perché non possono più. E, finita l'ubriacatura del dopo Berlusconi, riprenderanno il conflitto per non pagare il debito, e se la giocheranno fino in fondo. In una partita dove non si faranno prigionieri. E dove l'estintore del Pelliccia verrà evocato come una pioggerella autunnale.

mercoledì 16 novembre 2011

L'IMPERO DELLA FINANZA


Tutti uomini di banca, di circoli dell'alta finanza, bocconiani, luissiani. E' il nuovo governo targato Monti, partorito tra funambolismi per trovare una concordanza tra le varie segreterie dei partiti, che ora possono appoggiare senza avere la responsabilità delle misure da massacro sociale che verrano prese nelle prossime settimane.

La politica abdica alle decisioni fatidiche mentre l'Euro affonda (il problema era solo la manovra italiana?), ma questo non è un governo di tecnici.
Ce li spacciano così, e di fronte agli esimi professori ci sentiamo come tanti Renzo con i capponi in mano davanti all'azzeccagarbugi di turno.
I nostri capponi si chiamano pensioni di anzianità, tutela del lavoro, reddito in generale, servizi. Tutele, diritti e servizi spariranno davanti a un'emergenza che non hanno voluto i cittadini italiani, ma le speculazioni finanziarie. E questo si chiama plusvalenze private e perdite socializzate, il meccanismo perverso che gli azzeccagarbugli come Monti, tra una massima in latino e un bisbiglio misterioso, nascondono con l'ostentazione di una sapienza neuale quanto risolutiva.

Ma qui di tecnico e di neutrale non c'è nulla. Questo è il primo vero governo di un'oligarchia finanziaria non eletta dal popolo italiano, esattamente come non sono elette le teste d'uovo a capo della BCE.
Quindi possiamo dire che questa sia la politica, quella vera. Non quella dei nani e delle ballerine. La politica che ha nomi e cognomi: NWO (New World Order), massoneria, Illuminatus, Trilateral Commission, Bilderberg Group. Un dedalo, un intreccio, un verminaio di relazioni che vanno a costituire la geografia di un potere sovranazionale con addentelati nelle consorterie finanziarie nazionali, nei consigli di amminisrazione di università, imprese, tra i boiardi di stato, che può essere definible come capitale monopolistico, o borghesia imperialista.

E quando ascoltiamo la retorica sugli interessi del paese messa in scena da personaggi che hanno fatto di tutto per distruggere la sinistra, i suoi valori di uguaglianza e giustizia sociale, come quel brutto arnese di Veltroni, comprendiamo che qui di opposizione non c'è più nulla. Neanche di sovranità. Parlano di paese e già l'hanno venduto ai grandi recupero crediti della finanza.

Non esiste che il pensiero unico dell'economia finanziaria. Nel Novecento le idee, come il liberalismo e il socialismo si scontravano su prospettive sociali diverse. C'era l'orgoglio della propria storia, c'era il coraggio e il sacrificio della militanza nel difendere le proprie appartenenze. La classe operaia, la media borghesia, il sottoproletariato. Oggi che i ceti popolari hannouna fisionomia completamente scomposta dalle esigenze della produzione, dove la precarizzazione del lavoro e della vita è la dominante, per questi becchini della società di cui tanto cianciano, abbiamo una sola figura: gli utaliani.

Il pensiero unico... italiani come nel fascismo. Italiani dove c'è precarizzazione, lavoro dove c'è sparizione del lavoro, equità dove c'è iniquità ai massimi livelli nella rapina finanziaria dei nostri redditi, della ricchezza sociale, democrazia dove c'è dittatura dell'oligarchia pseudo-neutrale, dove c'è esaustorazione del Parlamento, sospensione del diritto di andare ad elezioni quando cade un governo e la sua maggioranza, missione umanitaria dove c'è guerra per il petrolio, per contenere l'espansione delle potenze emergenti come Cina e Russia, dove c'è putsch sanguinario e bombardamento sulle città e sui civili... a difesa dei civili! come in Libia.

Il pensiero unico è la capacità che ha questo regime di ribaltare i fatti, le ragioni. Il predatore diventa difensore della civiltà, dotto professore a difesa dei nostri titoli di stato, del bene comune. Ma i fatti vanno in direzione opposta. E questo significa che il pensiero unico perde quando le devastanti condizioni di vita che le popolazioni proveranno ogni giorno di più, faranno nascere nuovi pensieri, nuove idee critiche, che diventeranno poi azioni conflittuali.

Al di là degli scenari apocalittici che nuovi soloni di un rivoluzionarismo autoreferenziale iniziano a predicare, resta il fatto che tutto questo accade perché il sistema sta andando in pezzi. L'era del capitalismo globale ha messo a nudo i limiti dell'impero d'Occidente, stretto tra debito pubblico sempre più alto, economie emergenti che tolgono spazio vitale, che portano la concorrenza a livelli insostenibili, disastri climatici e ambientali frutto di uno sviluppo distruttivo sempre più forsennato, penuria delle risorse energetiche planetarie. La guerra e il massacro predatorio che devasta persino i ceti medi, sono le risposte. Un governo Monti è molto più funzionale a queste scelte di sistema, dei centri di potere a dominanza anglosassone dell'area Euro-Dollaro-Yen, NATO e TRILATERAL.
Per questo non è un avversario politico, ma un nemico di classe, la filiale degli interessi imperialistici e finanziari di questa borghesia, di questo capitale monopolistico spietato nel difendere i suoi interessi attaccando in modo spregiudicato con tutti i mezzi possibili.
E' un nemico per i popoli della periferia imperialista come del centro. E come tale va affrontato.

Oggi noi sappiamo che dalle rovine della vecchia sinistra istituzionale non può nascere nulla. Il nuovo è altrove: è nei processi di lotta che si vanno sviluppando in tutto il mondo da Santa Insolvenza a Zuccotti Park, per interrompere il flusso finanziario che va dalle classi popolari, dai cittadini alle cassaforti nei paradisi fiscali di finanzieri e broker che agiscono con la copertura delle banche centrali, delle agenzie di rating e dei governi acquiescienti.

Non è un flusso virtuale, perché nella moneta e nei titoli sono fissate la nostra ricchezza prodotta con la nostra attività, con anni di lavoro maturati, la nostra salute con i servizi, la nostra istruzione, la nostra cultura. In definitiva, la nostra vita, il futuro di una collettività.
Lo è dal momento che questo spostamento finanziario diminuisce, azzera gli investimenti e le spese per i servizi, per i redditi, dal momento in cui erode diritti e tutele nel lavoro, crea e accresce la precarizzazione a partire dalle future generazioni.

Quindi, la questione è molto semplice: interrompere questo flusso a ogni costo. Paesi come Islanda e Argentina l'hanno fatto. Ma la critica va portata fino in fondo, spostando l'economia e il funzionamento di una società dalla centralità del profitto per pochi privati alla centralità dei bisogni sociali e della vita dei cittadini e delle comunità nazionali. Dalla privatizzazione delle forze produttive alla loro socializzazione.

Nell'immediato va raccolta e sostenuta la bandiera dei 5 punti posti da Cremaschi:
1. NON PAGARE IL DEBITO, FAR PAGARE I RICCHI E GLI EVASORI FISCALI, NAZIONALIZZARE LE BANCHE.
2. NO ALLE SPESE MILITARI E CESSAZIONE DI OGNI MISSIONE DI GUERRA, NO ALLA CORRUZIONE E AI PRIVILEGI DI CASTA.
3. GIUSTIZIA PER IL MONDO DEL LAVORO. BASTA CON LA PRECARIETÀ.
4. AMBIENTE, BENI COMUNI, STATO SOCIALE. PER IL DIRITTO ALLO STUDIO NELLA SCUOLA PUBBLICA.
5. UNA RIVOLUZIONE PER LA DEMOCRAZIA. PARITÀ DI DIRITTI PER I MIGRANTI. IL VINCOLO EUROPEO DEVE ESSERE SOTTOPOSTO AL NOSTRO VOTO.

Non pagare il debito e imporre la volontà popolare come forme di democrazia diretta, lotte sociali improntate sul boicottaggio e sulle forme di iniziariva ben descritteda Bifo qui.
"Le occupazioni nei prossimi mesi prolifereranno, diverranno luoghi di aggregazione di un precariato diffuso che ha bisogno di riconoscersi, organizzarsi, e iniziare il processo di appropriazione della ricchezza che ci è stata sottratta.
Le occupazioni organizzeranno l’insolvenza che non è soltanto l’azione puntuale del non pagare il debito finanziario, ma è, più generalmente, il processo di disincagliamento della potenza sociale dal debito semiotico che si incorpora nelle tecnologie di controllo.
Insolvenza significa rifiuto di subire e riconoscersi nella semiotizzazione finanziaria del mondo, significa sperimentazione di altre semiotiche, di altre forme di organizzazione del territorio, della produzione, della vita quotidiana.
Insolvenza significa costruzione delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere." (Bifo, vedi link qui sopra)

domenica 13 novembre 2011

QUESTIONI DEL LENINISMO.

Non è un caso che oggi si torni a porre il “rifiuto del lavoro” nel dibattito tra le componenti più avanzate del movimento comunista rovoluzionario. Perché al di là del fatto che questo aspetto colga un processo, una contraddizione insita nel modo di produzione capitalistico bene colta dal pensiero operaista, la fine del lavoro nelle modalità e nei tempi dettati dall’accumulazione capitalistica e dal profitto, la questione di un processo rivoluzionario, il comunismo come movimento che abolisce lo stato di cose presente, quindi l’operaio che nega se stesso in quanto salariato, che “uccide” il proprio ruolo di lavoro vivo subordinato al ciclo produttivo del capitale, non è detto che questo stesso aspetto sia automatico nelle rivendicazioni congiunturali e contingenti della classe.

E questo aspetto è solo un esempio, tra l’altro importante per gli orizzonti di una rivoluzione dei rapporti di produzione e sociali capitalistici, che mi porta a confermarmi ancora oggi leninista. Anzi, più di ieri.
In definitiva sono ancora leninista perché ritengo che un partito, una forza politica comunista non debba essere semplicemente espressione di aspirazioni generali della classe, che sono legate pur sempre a ciò che consente di vivere una vita dignitosa, il lavoro, le sue condizioni, le condizioni salariali, i servizi come la sanità, l’istruzione, il futuro per i propri figli, la casa e via dicendo.
La differenza tra lotta economica (economicismo) e lotta politica (questione dei rapporti di forza tra classi e del potere), la funzione del partito nell’apportare la coscienza (conoscenza delle proprie condizioni in relazione a un progetto di ordine nuovo, di città futura, di hombre nuevo) alla classe (il partito è il moderno principe perché è nel contempo il Prometeo), nel porre la QUESTIONE DEL POTERE, ci fa capire come siamo distanti da questo ruolo, da questa identità, che è quella dell’avanguardia, da parte delle organizzazioni storiche della sinistra radicale e non solo nei numeri e nella presenza nelle realtà di lotta.
Sono questioni che Rifondazione ed eccetera vari non hanno ben chiari. Questioni che nel ’68 e negli anni ’70 venivano acquisite in modo scolastico e dottrinario, ma che oggi sono del tutto inesistenti in chi pretende di rifarsi a un’esperienza storico-politica delle organizzazioni comuniste del secolo scorso.
Il partito contenitore un po’ giustizialista (nel senso di giustizia sociale) delle aspirazioni della classe, il partito che si oppone e basta in virtù di una giustizia sociale preclusa, esce dal marxismo per entrare in una sorta di collettivismo etico, slegato dai processi materiali e conflittuali che attraversano la società.
Militare in Rifondazione è un po’ come parcheggiarsi in un comodo cocoon di certezze, supportate da un’adesione fideistica ai classici (quindi si è comunisti, ovvia!).
Ma essere comunisti significa essere un’altra cosa, un altro tipo di soggettività. Significa legare le aspirazioni generali della classe e un processo che vive materialmente nella società a un progetto che nasce dalle contraddizioni sociali, tra capitale e lavoro, nei rapporti di produzione e sociali in un dato contesto storico e congiunturale, legare ciò che si intende fare epocalmente, sulla base delle contraddizioni portanti del sistema capitalistico e alla società comunista in embrione o possibile tendenzialmente, a ciò che è possibile fare in questo dato momento storico, in base allo sviluppo delle forze produttive, ai rapporti di forza tra classi, al contesto economico e politico contingente. Non è atteggiamento etico, anche se l’etica è nell’imprinting di una scelta fatta a monte dal comunista, dal suo paradigma filosofico. Ha una forte componente scientifica. E questa componente si manifesta nella politica rivoluzionaria e nell’apporto di coscienza dall’esterno alla classe, ai suoi movimenti conflittuali, che poi sono tutt’uno, non certo solo pura propaganda da giornaletto. Quindi una forza politica comunista è movimento interno al movimento più generale della classe. E’ sintesi politica della ricchezza dei contenuti e delle espressioni, delle pratiche sociali messe in campo, nel senso di una qualità nuova che spinge più avanti per maturità e consapevolezza il movimento di classe.
Il leninismo come metodologia e prassi dei comunisti organica e interna ai movimenti conflittuali della classe è esattamente l’elemento che trasforma la classe in sé in classe per sé, che pone la questione dei rapporti di forza.

Badate, non è una cosa semplice, non lo è mai. Un esempio. La vulgata dei vari troschi e sinistri indica nella svolta di Salerno l’inizio di una svolta riformista del PCI. In realtà il punto non è stato quello, anche se è da lì che deve iniziare una seria riflessione sul movimento comunista in Italia. Il PCI nella guerra di Liberazione ha saputo costruire un partito di massa. Quella che prima era un’organizzazione contenuta di diverse tipologie e generazioni di quadri (i livornesi, gli svoltisti, gli spagnoli, ecc.), nel giro di pochi mesi ha costruito nel centro-nord un’organizzazione militare partigiana e una presenza sempre più diffusa nelle fabbriche e nelle campagne, che ha portato agli scioperi del ’43 e alla resistenza operaia nei poli industriali del nord, che non hanno eguali in Europa. Ha posto le basi per una sinistra forte nel dopoguerra. Con un’egemonia culturale che ha fatto da contrappeso all’influenza clerico-reazionaria nella società italiana della ricostruzione.
Anche sulla mossa a sorpresa di appoggio al governo Badoglio: è stato un capolavoro di ingegneria politica in un contesto in cui, a spartizione fatta tra potenze alleate, non era possibile trasformare una guerra di liberazione dal nazifascismo in una rivoluzione socialista. Togliatti ha capitalizzato l’egemonia politica che il partito aveva nella guerra partigiana rispetto alle altre forza politiche antifasciste e agli “autonomi”, ma l’errore dove è stato? Nel porre la classe operaia e i ceti contadini alla guida del processo di liberazione nazionale, epurando però da questo processo, ogni istanza di potere operaio e proletario nei luoghi di lavoro, nei cicli di produzione, nelle terre. E questo si è visto nel dopoguerra: sul piano dei rapporti di produzione, si poteva ottenere molto di più anche in un contesto di occupazione alleata.
Il PCI aveva sacrificato le istanze e gli istituti di democrazia diretta che nascevano nel corso della guerra di liberazione partigiana, a favore di un patto tra forze politiche: DC, PSIUP, azionisti, monarchici, embrioni di quella democrazia rappresentativa che da sola ha rappresentato sì con la fine del fascismo il nuovo sistema democratico italiano, ma anche la devitalizzazione delle forze e delle spinte a un cambiamento radicale degli assetti di potere nell’economia e nella società stessa.
La questione del potere ha due connotati: il fatto che sia di classe, ossia espressione di istituti di potere popolare, e il fatto che riguardi la cellula economica della riproduzione capitalistica: il ciclo produttivo, nella sua accezione più ampia ogni ambito in cui la società capitalistica si riproduce in quanto tale, forze produttive e rapporti di produzione.
Il rifiuto del lavoro è potere operaio: il potere di controllare la produzione secondo le esigenze della comunità nascente e non più in funzione del profitto.
Nell’immediato si lotta per il lavoro, certo, ma anche per un reddito di cittadinanza garantito, per lavorare meno e lavorare tutti, per iniziare a svincolare l’attività produttiva, l’economia dal profitto, dai meccanismi dell’accumulazione capitalistica.
Per fare questo devi arrivare a controllare la produzione, devi collettivizzare (socializzazione delle forze produttive).

Ergo, in questa fase, che cosa possiamo fare per fare politica rivoluzionaria, per passare da soggetti, tutt’al più quadri politici (spesso senza neppure organizzazione), a soggetto politico comunista nelle realtà di movimento?
In un momento in cui la maggiore preoccupazione per una famiglia, per un lavoratore è il lavoro, quali indicazioni?
Occorrono risposte che spostino politicamente, che si traducano in azione di massa generale, non semplici parole d’ordine.


venerdì 11 novembre 2011

SU PEI MONTI... APPUNTI SUL DOPO BERLUSCONI.


Tra i fischi e i festeggamenti di una folla che ciorcondava il Quirinale e Palazzo Grazioli, Berluscono alle 22 di ieri è salito al Colle e ha rassegnato le dimissioni.

Come avevo previsto e già scritto, la fine del governo Berlusconi era solo questione di tempo. Quello che viene dopo è ancora più inquietante: un governo sovranazionale in Europa che esaustora i governi nazionali, commissaria i paesi, detta le misure da prendere, limitando le sovranità nazionali, con a capo i rappresentanti del capitale finanziario. Una vera e propria plutocrazia che calpesta l'Europa dei diritti e del lavoro nel nome del pareggio di bilancio e del debito pubblico, che ha il solo compito di funzionalizzare ogni economia alle speculazioni di borsa e più in genrale agli interessi dei gruppi finanziari e del capitale monopolistico.

Quello che è accaduto in Grecia, dopo due anni di massacro sociale, sta per avvenire anche in Italia. Non importa il nome scelto: Monti, Dini, Amato. Quello che il nuovo esecutivo, che non rappresenterà più una maggioranza uscita dalle elezioni, ma che nel nome dell'emergenza si insedierà senza voto popolare, dovrà fare è esattamente quello che la BCE e i capi dei paesi della cordata europea Merkel-Sarkozy impongono: sulle pensioni, sui diritti nel lavoro, sulle spese sociali.

Tutto il mainstream che plaude, per certi aspetti giustamente, alla fine di Berlusconi, sancisce un gesto di forte autoritarismo. Per la prima volta dopo il fascismo e decenni di DC, prima e seconda repubblica, ritroviamo uno stato di dittaura, che appunto significa "governo eccezionale transitorio". Imposto con la forza, ossia attraverso una campagna mediatica ossessiva che taccia di irresponsabili coloro che non ci stanno (vedi il linciaggio a Di Pietro), legittimata con il "fare presto".
Ma il fare presto per cosa non è discutibile.

Nell'era del capitalismo morente, da parte dell'Occidente è iniziata dieci anni fa una guerra contro i popoli per il controllo delle aree e dei flussi energetici, dall'Afghanistan all'Iraq, alla Libia. Una guerra per contrastare l'ascesa di nuovi attori sulla scena economica mondiale, per sopperire il debito verso la Cina in primo luogo con l'aggressività imperialista. Le bolle speculative hanno accelerato il processo, trasferendolo all'interno dei propri centri metropolitani, iniziando a far saltare i patti sociali, i welfare su cui era retto il sistema di pace sociale interna. Guerra imperialista e massacro sociale per drenare profitti, trasferire ricchezza sociale erosa dalla speculazione vorace e incontrollata nei forzieri delle banche, sono le due facce delle medesima medaglia.

Il fare presto di chi subisce gli attacchi del capitale monopolistico attraverso esecutivi supini e passacarte, di destra o di pseudo-sinistra che siano, allora non è lo stesso fare presto di chi pensa di continuare all'infinito la razzia spacciata per misure inevitabili.
Per questo è più coerente e giusto non sostenere l'ennesimo esecutivo del capitalismo finanziario e batterci per contrastare con ogni mezzo questa grande opera di macelleria sociale.

Da sempre siamo preda di una politica che in modo bipartisan, non chiede nulla in cambio quando paga con i soldi dei contribuenti i buchi di banca frutto di speculazioni a dir poco criminali. Una politica di casta che sostiene il principio "profitti privati e perdite socializzate".
E oggi questa politica è quella che vende la nostra democrazia a un pugno di partecipanti ai circoli finanziari più ristretti, che per questo affida a uno di questi membri, Mario Monti Bilderberg, l'onere di fare il lavoro sporco. Un modo anche per rifarsi la verginità alle prossime elezioni.

Da oggi, esiste di fatto un governo sovranazionale informale che fa capo a circoli ristretti del capitale monopolistico e finanziario, che esaustora di fatto i sistemi democratici e parlamentari dei paesi in crisi e che comunque influenza pesantemente anche le politiche di governo dei paesi più solidi. E' un'influenza trasversale "bipartisan". Da qui si spiegano anche le politiche di governo dei cosiddetti "socialisti" o "socialdemocratici" o "democratici", da Papandreou a Zapatero. E la linea del Pd su questa crisi sistemica, di appoggio ai diktat della finanza. Non è un caso che tutti gli uomini che stanno proponendo per governo tecnico imminente sono tutti personaggi ben accreditati nei circoli finanziari, uomini delle banche. Monti è un think tank dei ristretti circoli dell'alta finanza, è nel board di Goldman Sachs e fa parte del circolo Bilderberg.

I poteri forti hanno bypassato il governo e hanno conferito a Napolitano il compito di imporre la dittatura plutocratica al paese. Nel sottile equilibrio delle sue prerogative costituzionali, ben s'intende. Ma di fatto è così. Così come Napolitano si è fatto portavoce della NATO nel favorire la partecipazione italiana all'aggressione militare e al golpe "esterodiretto" nei confronti della Libia.

venerdì 4 novembre 2011

SIM CITY




Anni fa mi ero appassionato a Sim City, un gioco su computer in cui tu sei il sindaco di una città, la costruisci dalle fndamenta, metti i servizi, le industrie, i centri comerciali e i negozi di vicinato, costruisci case e palazzi e hai un plafond che devi amministrare. Ovviamente, metti pure le tasse.


Accadeva che se amministravi male, alzavi, che so, troppo le tasse, le aziende chiudevano e avevi comunque meno gettito. E dovevi stare attento perché se non avevi abbastanza soldi, non solo non potevi costruire nuovi ospedali, porti e ferrovie, ma non potevi neppure fare quella manutenzione ordinaria che ti consente di avere delle strade in ordine e di resistere alle calamità naturali (c'erano anche quelle: terremoti, uragani, persino un mostro stile Godzilla).

Ora non ci vuole un nobel in economia per capire che le alluvioni che hanno devastato la Lunigiana e il carrarese e che adesso hanno inziato a portare il carico di distruzione e morti anche a Genova, nascono da una cattiva amministrazione, nell'uso o non uso del danaro pubblico, negli sprechi per opere meno urgenti, nella burocrazia che allunga i tempi degli interventi necessari.
Non ci vuole un cervellone per capire in che mani siamo, a livello di governo centrale e a livello di pubbliche amministrazioni.

Questa è gente che non ha neppure giocato a Sim City. O ci ha giocato male. E comunque avrebbe fatto loro solo bene provare e riprovare, magari dai livelli più semplici con plafond più alto.
E smetterla quindi di dire che è colpa di Godzilla. Perché siamo a questi livelli d ibassa imbecillità.

giovedì 3 novembre 2011

ERRATA CORRIGE GRECA.


Fate qualcosa di socialista! Papandreou stava per farlo, più che altro per non passare per il più grande affossatore della vita economica e sociale del suo paese, colui che ha regalato la sovranità nazionale all'oligarchia fnanziaria internazionale e alla BCE. Ma il referendum non è passato. Il premier greco ha incontrato pareri contrari all'interno della sua stessa maggioranza, che ormai in Grecia non è più tale.

Dunque, i tempi dell'agonia ellenica si allungano. L'uscita dall'Europa e il ritorno alla dracma sarebbero state le soluzioni vere per il popolo greco, ma ora le borse, questo insieme perverso di agenzie e staff che succhiano ricchezza sociale dalle economie nazionali, che si alzano quando aumenta la rapina, la disoccupazione, la macelleria sociale e s'abbassano quando le condizioni di vita e del lavoro delle società migliorano, tornano "a respirare". Il ricatto della Merkel e di Sarkozy ha funzionato. Oggi sono loro a dettare legge, i tempi e i modi di "ripagare" i debiti degli stati "canaglia", dei PIIGS. Sono loro il braccio armato della BCE di Trichet e di un Draghi di fresca nomina.

Ma sappiamo che domani ci sarà ancora la discesa, che aumentarà ancora lo spread dei nostro buoni con quelli tedeschi, che la Grecia non potrà fare fronte al suo stesso suicidio, alla sua morte sociale ed economica. E sappiamo che Berlusconi o no, poi toccherò a noi.

Quella che stanno affrontando sempre più popoli europei è ormai una nuova resistenza. Il nazismo di oggi è il pescecane cieco dell'economia finanziaria e neoliberista. Siamo in balia di uomini e consorterie di potere che non prendono neanche lontanamente in considerazione una correzione del sistema. Devono solo quadrare i conti, i bilanci, nella logica perversa del travaso costante di soldi e di ricchezza dalla società alle mani di pochi speculatori senza scrupoli. Merkel, Trichet, Cameron, Sarkozy, Barroso, la BCE, il FMI, sono solo la longa manu di questa oligarchia, sono gli attuatori senza se e senza ma di una grande manovra sovranazionale fatta vivere come ineluttabile, come l'unica possibile, che porta a un vero e proprio esproprio di sovranità popolare e democrazia, con politiche economiche nazionali inesistenti.

Berlusconi è un passacarte, Tremonti è un passacarte. Esattamente come Monti domani. E gli effetti sociali e politici in paesi come il nostro si vedono tutti. Oggi hanno impedito (grazie a quel fascista lurido di Alemanno, complice la prefettura di Roma) un corteo di studenti medi, i DIGOS sono entrati nelle scuole per sapere chi era assente, hanno avviato identificazioni di massa, hanno aggredito giovani di 15/16 come la peggiore sbirraglia fascista. Solo però in divisa. Una polizia che dovrebbe garantirci la libertà di espressione, opinione e manifestazione che pesta e arresta gli studenti che protestano pacificamente.

Ecco perché parlo di nuova resistenza. Perché siamo al fascismo. Con il beneplacito di Bersani e delle sue cricche e correnti di pseudo-democratici cialtroni. Oggi l'agibilità sul territorio in Italia ce l'hanno le mafie, non i lavoratori, i cittadini, la gente comune che si chiede il perché di tutto questo e tenta di scendere in piazza.

Nessuno fa qualcosa di socialista. Neppure i socialisti stessi. Papandreou ci ha provato, ma non era più credibile agli occhi del suo popolo. Doveva pensarci diciotto mesi fa, all'inizio della tragedia greca.
Nessuno che dica "il re è nudo". Tutti che ce la vendono: basta qualche taglio qua e là, qualche liberalizzazione, per risolvere tutto. Per questo, oggi ci troviamo senza una vera opposizione parlamentare e politica, pur avendo i movimenti più forti e vasti, un movimento d'opinione e di lotta contro questo sistema che ci vuole far pagare a noi senza far pagare chi non ha mai pagato, che sta crescendo ogni giorno di più.

La nuove resistenza parte da qui, da questa assenza complice e criminale, che coinvolge tutti i partiti del centro-sinistra fino all'IdV. Occorre riempire questo vuoto senza lasciarci più ingannare dal voto anti-berlusconiano, dal meglio che niente. Vadano a quel paese coloro che pretendono di rappresentare la sinistra, ma hanno perso ogni legame con la sofferenza sociale, lo sfruttamento, l'impoverimento delle classi medie, il degrado. Vadano a quel paese. Ma un altro paese, non il nostro.

martedì 1 novembre 2011

LA GRECIA E IL REFERENDUM DI PAPANDREU.



Già i mercati sono in fibrillazione, la borsa di Milano crolla, la peggiore, ma anche le altre non stanno meglio. Che strano sistema economico è questo, che quando un popolo esercita un suo potere e diritto democratico, inizia a vacillare.
Mentre Trichet e Barroso dicono che non hanno dubbi sul fatto che la Grecia risponderà positivamente e pagherà i suoi debiti ai centri di potere fnaziario e alla speculazione internazionale. Un vero atto di fascismo sovranazionale. E' la troika dittatoriale europea che detta le linee. I parlamenti, i referendum, le forze polituche che sono al governo, espressioni di volontà popolari, non contano più nulla.

Ma quello che i commentatori non dicono è che per Papandreu questa del referendum è una strada obbligata. Senza questa, in Geecia c'era la guerra civile. Una maggioranza risicata, con una parte del PASOK, del suo partito socialista contro. Una grande responsabilità storica verso il suo popolo che ormai è tracimato per la rabbia e la disperazione nelle piazze del paese.

Non lo dicoono i commentatori. Non dicono che è un atto democratico dovuto, a fronte di uan situazione politica nazionale esplosiva. Di fronte ai diktat della troika saltano i livelli minimi di vita democratica, in altre parole la sovranità di un popolo. Questo Papandreu lo sa bene. Non vuole essere lui il becchino della sua gente. Non vuole essere lui il responsabile del no che la Grecia dirà all'Europa dei banchieri e alle borse degli speculatori.

Ma proprio per questo l'epilogo greco è molto importante, perché apre una strada. Perché ci dice che di fronte alla resistenza popolare, alla mobilitazione di tutto gli strati sociali colpiti, che sono la maggioranza della popolazione in Grecia, come lo saranno in Italia a breve, non ci sono diktat che tengano. Non si va contro i popoli. Non c'è più democrazia, non c'è più Europa, non c'è più futuro.

Allora ben venga la catarsi del default, dell'insolvenza, del ritorno alla moneta sovrana e alla sovranità delle comunità nazionali. Questo creerà conflitti tra stati, o forse il crollo delle borghesie imperialiste e finanziarie che hanno voluto giocare al massacro. O non hanno voluto evitare questo gioco al massacro.

Per le forze di classe, i movimenti operai, le composizioni sociali destinate sino ad oggi a un'esistenza precaria, si apre l'opportunità di dare un colpo mortale al capitalismo agonizzante per le sue stesse contraddizioni strutturali. Nei centri dell'impero, la forza aramata può ben poco. Pena la regressione a forme di pre-capitalismo basate sull'assolutismo dichiarato. Troppo evolute le società civili per accettarlo.

E' un sistema a fine corsa, in cui si tratta solo di capire in che tempi e in che modi. Nulla di scontato: la bestia potrà prolungare la sua agomia ancora per molto. Spetta alla società civile abbreviarla. Chi non capisce questo, è destinato a restare nelle pastoie di una politica demente. Quella di chi cerca di riempire d'acqua uno scolapasta. Se lo mettano in testa lo scolapasta, Bersani, Montezemolo, Napolitano, Casini. Verrà il loro turno: la morte, politica ben s'intende, di una classe dirigente incapace di guardare al futuro.

Dalla Grecia ci separa ormai solo lo Ionio. Questa prova importante del popolo greco, dei suoi lavoratori e delle forze politiche della sinistra rivoluzionaria e antagonista, in opposiszione al diktat, l'esito stesso di questo conflitto, sancito nel niet referendario e nelle tensioni sociali sempre più aspre, pone i greci come l'avanguardia sociale dei cittadini europei espropriati della sovranità e della democrazia. Ci indica la srada da seguire. Non cedere, mai neppure per un solo istante. Verrano con la polizia, le ruspe, i tribunali. Ma noi siamo tanti e saremo sempre di più. E se resisteremo un solo istante più di loro avremo vinto per il futuro di tutti. avremo aperto a un'era nuova di giustizia sociale e di diritti universali di cittadinanza, di benessere, di salute, di istruzione e cultura, di apertura fraterna ai tutti i popoli.


APPUNTI SULL'AUTONOMIA DI CLASSE


Se la politica delle oligarchie finanziarie e i flussi automatici della speculazione dio borsa in rete (mi piace il raginamento di Bifo su questo aspetto), stanno portando a una innarrestabile caduta delle condizioni di vita, dei patti sociali, alla morte delle aristocrazie operaie e a una riduzione quantitativa delle classi medie, la società stessa ha in germe la via d'uscita. Non penso a un conflitto sociale espresso e praticato dai marxismi per tutto il Novecento. Le guerre civili tanto per capirci. Su questo terreno il monopolio della forza bellica, che in primis è tecnologica, ce l'hanno gli stati. Saremmo destinati a sconfitta certa. Piuttosto la questione riguarda punti nodali dell'esistenza stessa del sistema capitalistico, come la produzione, il consumo, ossia tutti meccanismi della riproduzione sociale. Disobbedienza civile, boicottaggio, occupazione del territorio, fabbriche, quartieri, luoghi dove si esercita il potere e il comando d'impresa e statale, sarà quella somma di pratiche antagonistiche, che sempre più diffuse faranno "saltare il banco". Il capitalismo per riprodursi, fare profitto ha bisogno di noi. Se i nuovi schiavi si ribellano all'interno dello stesso corpo dell'impero, sono i germi che lo corroderanno dall'interno stesso.

Ci siamo mai chiesti perché quando una massa di cittadini va a chiudere i suoi conti in una banca chiamano subito la polizia? Se contrapponiamo la guerra alla guerra facciamo un favore all'avversario. Ma se lo attacchiamo sui profitti, sui meccanismi del consumo e della rendita, se ci appropriamo di ricchezza sociale, se autoriduciamo bollette e cartelle, se occupiamo fabbriche decotte come in Argentina e le facciamo funzionare con i nostri tempi e la nostra organizzazione del lavoro, allora vedi come si cagano in mano! L'Automia Operaia aveva idee rivoluzionarie, perché la questione del controllo operaio nelle fabbriche e proletario nel territorio era la questione del potere. Il rifiuto del lavoro esprime la tendenza generale della diminuzione di capitale variabile in rapporto al capitale costante, del lavoro umano in rapporto al lavoro delle macchine nel ciclo produttivo, come la sovraproduzione generale di capitali e merci esprime. Nell'attualità di questa fase storica il rifiuto del lavoro è principalmente strumento di lotta per rivendicare reddito di cittadinanza, salario sociale. E'ancora difficile farlo capire a chi lotta per il lavoro perché lòo vede come unica fonte di reddito. Ma se il lavoro tende a contrarsi, che facciamo accettiamo la logica del capitale che ci vuole solo salariati e poi non ci dà il lavoro e si arroga questo diritto? Il diritto vero è quello di cittadinanza, il diritto al benessere in tutti i suoi lati, salute, casa, istruzione, cultura. Questo non ci spetta più a fronte di una giornata lavorativa. CI SPETTA E BASTA! Affermare questo diritto ci porta dritti a una società svincolata dal profitto, a un'attività umana che si pone sul piano di "Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". Ilo lavoro dell'avanguardia è quello di capire questa tendenza storico materiale e farla vivere con intelligenza nel corpo sociale alienato ed estromesso dall'opulenza di classe.

Certo, non pagare i debiti. Le risorse di un paese, la ricchezza sociale devono andare al popolo, ai cittadini, a partire dai bisogni primari di chi sta subendo il peso di questa crisi. Far crescere questo movimento, secondo me, significa delegittimare il loro giochino di rapina sistematica della ricchezza sociale dei paesi. Questo però deve legarsi a un'alternativa sociale forte. Finalmente, se la crisi proseguirà il suo corso, non potrà che porsi la questione del potere reale concreto, che è la questione della democrazia, quella vera, partecipata. Questa è la condizione per il cambio sociale. In Islanda sono andati sul soft, hanno ripensato a una società di mercato, ma a partire dagli interessi della collettività islandese. Sono però in 300 mila. Qui si andrà sul pesante.

domenica 30 ottobre 2011

RENZI, IL ROTTAMATORE DELLA SINISTRA.


A Palazzo Vecchio ci sta un vecchio, anche se giovane, anche se si spaccia per giovane, per il nuovo che avanza. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, il giovane asino che scalcia per Bersani, ha le idee chiare, chiarissime: sulla questione FIAT si schiera con Marchionne e contro la FIOM, in tema di privatizzazioni non è secondo a nessuno, vedi l'ipotesi di cessione a privati dell'azienda trasporti fiorentina, e sui tagli ai servizi sociali è in concorrenza con i peggiori tagliatori, lo sanno bene i dipendenti del Maggio musicale, i precari degli asili nido. Per non parlare poi dell'eco-sistema e dell'inquinamento: oltre a essere un rotamatore è anche un inceneritore alla Piana e via dicendo.

In realtà, tutto quello che questo nuovo istrione della politica di palazzo, questo Pieraccioni del ciclone anti-bacucchi vuole è un po' più di spazio nel suo partito.
Raglia alla generica luna del cambiamento, il somaro, ma con i piedi ben piantati sulla terra degli equilibri dentro il Pd.

Ma sbaglia chi pensa che la tenzone veda vecchi da una parte e nuovi dall'altra. Quello di Renzi, come recita uno slogan indovinato è "il vecchio che avanza". Perché le privatizzazioni, gli spezzatini ai danni dei lavoratori dei servizi, esistono da anni. Le conoscono molto bene a Bologna, con il continuismo, anzi peggiorismo del tandem Merola-Frascaroli. Il peggio che avanza.

Da qui si comprende bene non solo il "nuovo" che emerge dal Pd, ma anche il nuovo trasformismo vendoliano, lirico ed evocativo a parole, in svendita nei fatti. Questo sì un mutamento antropologico, nell'equilibrio neoromantico di stronzate populiste di sinistra.

Questi uomini forti, capaci solo di perpetrare il verminaio di prebende e appalti, di complicità coi poteri forti delle pubbliche amministrazioni del centro-sinistra, vanno affossati. Bene hanno fatto i lavoratori e i cittadini in lotta davanti alla Leopolda, nei giorni della convention renziana.
La distanza tra una sinistra doverosamente anticapitalistica, della democrazia partecipata dal basso e questa non sinistra di burocrati, andrà marcata sempre di più.

venerdì 28 ottobre 2011

ANCORA SULLE TRE POSIZIONI


Avevo accennato alle tre posizioni dentro la sinistra (PD escluso che sinistra non è). In effetti queste corrispondono esattamente alle tre presenze nel corteo del 15 di ottobre: chi voleva fare una sfilata innocua, chi voleva sfasciare lo sfasciabile senza alcun criterio e obiettivo politico e chi voleva invece affrontare polizia e carabinieri in modo non violento ma autodifeso per accamparsi in una piazza adiacente ai palazzi del regime.

Quest'ultima posizione è secondo me la più corretta. Occorre che il movimento non sia espressione di forze politiche che pensano già a capitalizzare la sua dimensione e ampiezza a fini elettorali, a uso e consumo dei nuovi burocrati alla Vendola. Per questi il movimento deve essere un entità innocua e del tutto compatibile ai giochi politici delle segreterie. Non deve mordere.
Occorre anche che non si avviti su se stesso tra violenze inconsulte e spaccature.

E' necessario un movimento che si riappropri degli spazi sociali e poliyici, se li riprenda con la sua forza e inizi a far capire a se stesso e alla società che la questione è chi comanda nella società, nei posti di lavoro, nelle istituzioni. Quando la democrazia rappresentativa diviene una vasta cancrena provocata da un golpe bianco strisciante, che oggi ha il suo culmine nel "comissariamento" del governo e dell'opposizione, della democrazia stessa da parte dei centri di potere finanziario, deve entrare in campo l'unico antidoto a questo processo autoritario di imposizione bipartisan della macelleria sociale: la democrazia diretta, l'autonomia di classe.

Queste sono la forma più avanzata di rispetto e riaffermazione dei diritti sociali, politici e costituzionali dei cittadini, dei lavoratori e delle masse popolari in generale.

lunedì 24 ottobre 2011

NO TAV


La lotta dei cittadini della Valsusa è ormai diventata una battaglia democratica e di civiltà che riguarda tutti gli italiani. Nella sostanza, ma anche nelle forme, come esempio di partecipazione popolare e di movimento al basso.
Ripercorriamone in breve i punti sostanziali.

In Val di Susa, da parte di lobbies bipartisan (dalle cooperative alle imprese in odore di mafia) è in atto un progetto di grande opera inutile, dannoso, in aperto contrasto con la popolazione locale e rappresenta una dei più grandi sperperi di denaro pubblico, soldi nostri, di noi cittadini.

Inutile perché il flusso su rotaia verso la Francia dell'attuale linea non è tale da implicare una seconda linea: basta la linea già esistente.

Dannoso perché i lavori diffonderanno elementi altamenti inquinanti per la popolazione (come l'amianto) e creeranno un vero e proprio scempio paesaggistico e dell'eco-sistema.
E' in aperto contrasto con la popolazione: questo aspetto è ormai molto evidente. Con nessuna forza politica dal PD alla destra, che si sia posta il problema di indire regiolare referendum (sanno che lo perderebbero a furor di popolo).

Rappresenta uno sperpero di soldi nostri, un mangia mangia dei soliti attori della rapina di pubbliche risorse e fondi, su cui tutta la partitocrazia si ritrova sempre regolarmente d'accordo, confidando sulla nostra ignoranza e inerzia.


A questi quattro aspetti di sostanza se ne aggiunge un quinto ben più inquietante: quello della provata presenza in appalto di aziende legate alle organizzazioni criminali. Sono questi interessi imprenditoriali sia indubbia che di dubbia legalità, ad aver dato vita a una delle peggiori prevaricazioni sulla popolazione locale, da che è nata la Repubblica Italiana.
Una questione che riguarda tutto il paese, perché è una questione di democrazia.

Come i governanti e i falsi oppositori si inchinano ai must della finanza internazionale e impongono ai cittadini ricette che nascono nelle stanze di poteri sovranazionali ed extra-costituzionali-parlamentari, così impongono gli interessi di consorterie dagli appetiti indomabili alle popolazioni locali, in nome di una collettività nazionale.
La rapina della ricchezza sociale sulla pelle di chi dovrebbe decidere, in quanto diretto interessato delle opere in programma.


Ecco perché la lotta NoTav è un esempio per tutto il paese, un'esperienza importante, così come importante è vincerla. Perché sarebbe la vittoria dell'autodeterminazione dei popoli nei propri territori, sarebbe la vittoria della democrazia diretta e la riproposizione della sovranità popolare, in mancanza di meccanismi e dell'uso di leggi che cisono e che servirebbero ad esercitare costituzionalmente questa democrazia popolare, ma che la casta partitocratica se ne guarda bene dall'utilizzare.


E' un esempio anche di rivoluzione dal basso, di contropotere che spazza via le logiche ribellistiche inconcludenti, tipiche di una estrema sinistra schizoide, che abbiamo visto all'opera a Roma il 15 ottobre.
I NoTav vinceranno prché loro sono i valligiani, la maggior parte, perché sono lì, sulla loro terra, perché quindi ogni domenica e ogni santo giorno saranno presenti, perché quindi se il potere economico che sta dietro questa speculazione e questo governo, o i futuri governi di destra, di centro o pseudo-sinistra vorranno fare andare avanti il cantiere, avranno dei costi di gestione dell'ordine pubblico astronomici.


I NoTav vinceranno senza l'uso sistematico della violenza perché sono il popolo. Perché sono i cittadini di un paese la cui parte sana, non certo minoritaria, conosce la democrazia e le sue regole. E non ci sta a farsela scippare da una classe politica bipartisan di veri mentecatti.
Sarà una lotta dura, una lotta lunga, ma alla fine i NoTav prevarranno, aprendo la strada alle battaglie sociali imminenti sui temi forti della vita e del futuro di tutti noi.
Qualità della vita e prospettive di un futuro migliore scippate dai poteri forti e da logiche finanziarie ed economiche prive di alcun senso politico che consideri la comunità e i cittadini stessi, il lavoro, la salute, l'istruzione, la cultura.

Sbaglia quindi, chi vede la questione della Val di Susa come un aspetto a sé stante, slegato dalla grande lotta che si sta sviluppando in questa epoca di miseria e macelleria sociale.
I lor signori se ne accorgeranno presto, molto presto.

I "PORTATORI DI DEMOCRAZIA".


E così, grazie Napolitano, grazie Bersani: siamo serviti. Il massimo esponente della "rivoluzione" libica, senza neppure aspettare regolari e democratiche elezioni, ha messo le mani avanti: alla base della nuova costituzione e quindi del'ordinamento giuridico del "paese liberato" ci sarà la sharia, ossai il corano.

Dai siti al qaedisti giungono i primi plausi all'annuncio. Così avremo a due passi da casa un bell'Afghanistan con talebani in dotazione. Optional: qualche bomba in futuro se ci comportiamo male.

Lo si sapeva sin dall'inizio: alla NATO capitanata in questa "bella giocatina" da Francia e Regno Unito non importava una Libia democratica. Interessava mettere le mani sul petrolio e sul gas della Jamahiria. Quindi, andando oltre al mandato di un ONU totalmente asservito all'impero occidentale, andando oltre i compiti di mantenimento di una fly zone, la NATO ha operato bombardamenti a tutta gallara, con vittime civili quali soliti "danni collaterali". Ha diretto dall'esterno un putsch contro un regime totalitario finché si vuole, ma laico.

Un'operazione iniziata utilizzando gli zimbelli storici dei servizi statunitensi, britannici e occidentali in genere: i terroristi di Al Qaeda, la più grande invenzione al servizio della politica terroristica dell'impero nel mondo e al proprio interno (vedi l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono).

E questo, con le dichiarazioni di Jibril, è il risultato. A riprova del fatto che ai paesi della NATO in genere non importa una beata fava di portare la democrazia nel mondo (già di per sé, la sola intenzione, anche fosse lodevole, maschera un logica di sovranità imperialista sul pianeta).

Un risultato che rivela anche nel cosiddetto centro-sinistra nostrano, che si era messo subito l'elmetto, non solo una vocazione ben collaudata dai tempi della Yugoslavia alla guerra, ma anche un'idiozia politica che di sicuro la vecchia DC e il PSI d'un tempo non avrebbero avuto.

Perdita di influenza nell'area, quindi perdita di commesse e petrolio e gas a costi più alti, non più da partner principale (che non siamo più), una polveriera islamista a sovranità nazionale dall'altra parte delle nostre coste. Devo proseguire?

Siamo solo all'inizio, ma finché non si affermerà nel nostro paese una politica autenticamente pacifista, basata sul dialogo, sulla diplomazia, ripudiando la vocazione tutta anglosassone dell'imperialismo occidentale all'egemonia armata sui popoli, all'azione bellica spregiudicata su aree strategiche del mondo, finché non ci saranno forze democratiche che sosterranno la scelta più giusta da fare (soprattutto in tempi di capitalismo selvaggio come questo) USCIRE dalla NATO, uscire da questa congerie di ladroni e criminali genocidi (purtroppo legittimati dall'ONU e dal Tribunale dell'Aja), non solo saremo complici di crimini finalizzati al potere e al profitto dei centri di potere finanziario e dei complessi militari industriali dominanti nell'impero occidentale, ma subiremo le conseguenze sanguinose interne ed estere di questa logica del terrore, del complotto e del rovesciamento golpista.

Mediti Vendola sui suoi compagni di strada.



(Immagini presa da Aurora, Bollettino di informazione internazionalista)

venerdì 21 ottobre 2011

LE TRE OPZIONI.


Sui fatti del 15 ottobre si può stare a discutere quanto si vuole, ma il punto è che la sinistra radicale italiana, quella che contrasta il sistema capitalistico e che idealmente aspira a una società socialista , al comunismo, vede in campo oggi tre opzioni.
Può sembrare una riduzione, uno schematismo, ma la questione, secondo me, sta così:

A. la prima opzione è quella che si colloca dentro il centro sinistra e che considera indispensabile un'alleanza con forze politiche come il PD e l'IdV, che si riconosce nelle primarie del centro-sinistra e che si limita a influenzare quella che è una linea politica dominante di questo assetto, del tutto interno alle logiche e alle ragioni dei centri di potere finanziario e capitalistico; io la definirei la falsa opzione; dentro questa opzione ci sono SEL, i Verdi, i Comunisti Italiani, la sinistra sindacale CGIL con la FIOM e in larga misura Rifondazione Comunista, che sta con un piede in due scarpe, la sua crisi, la sua scissione e la sua emorragia di militanti degli scorsi anni è stata data proprio dalla sua incapacità di costruire un soggetto esterno a questa palude ambigua, a questo contesto che serve solo a riprodurre segreterie e un ceto politico burocratico, cianciando di rivoluzioni e lotte operaie

B. la seconda opzione, la più estrema, rappresenta solo se stessa, non si pone il problema di comunicare a tutta la classe e riproduce liturgie e vecchie pratiche autoreferenziali; ha preso il peggio dell'esperienza degli anni '70: non la violenza come molti cianciano ripetendo il disco vendita dei media di regime, ma l'autoghettizzazione riguardo il resto dei movimenti e delle realtà sociali e sindacali, il volere sovrastarli senza alcuna dialettica che non sia quella della totale mancanza di riconoscimento delle altre soggettività, un'autorappresentazione di se stessi e basta, quell'estremismo tanto combattuto da Lenin e dai comunisti in genere, che non solo non porta da nessuna parte ma riduce la conflittualità a uno scontro militare, a una guerriglia permanente, al di là delle fasi e dei contesti; in questa opzione ci sono le teste pensanti che hanno preparato i fatti del 15 ottobre, interni a quell'area eterogenea e tutto sommato poco definibile dei centri sociali;

C. le terza opzione è quella di chi si pone il problema di ricostruire una sinistra anti-capitalistica nel movimento operaio e sindacale, nei movimenti in generale, che tiene ferma la barra del timone verso un'alternativa politico-sociale al capitalismo, verso una rivoluzione comunista e che lavora ogni giorno per costruire il soggetto politico dentro la classe; che ha capito che fare le mosche cocchiere del PD è controproducente, e che si tratta semmai di fare leva sulle contraddizioni interne al centro-sinistra, inevitabili con lo sviluppo della crisi, del disagio e della macelleria sociale, poiché PD, IdV e centro moderato rappresentano (non solo politicamente, ma per costituzione, ontologicamente) l'alternativa filocapitalistica al terzo polo e alla destra reazionaria berlusconiana, non certo un'alternativa popolare per i settori sociali subalterni, quindi è qui che casca l'asino e che cascherà sempre di più; in questo ambito si muovono una miriade di forze comuniste, le USB, i COBAS, Sinistra Critica, ma soprattutto il meglio che sta emergendo dai movimenti, in un dibattito disorganico che tuttavia attraversa tutta la sinistra radicale, comprese parti della FIOM e della sinistra CGIL, compagni di Rifondazione e dei Comunisti Italiani inclusi.

È a questa terza opzione alla quale occorre guardare e sulla quale è necessario lavorare con metodo. L'unità dei comunisti deve diventare un appello vero, forte, ma soprattutto trasversale a tutte le realtà che sono in lotta. Quindi, nel lavoro politico, di massa, la costruzione di un fronte unitario anti-capitalistico deve essere all'ordine del giorno non oggi... ieri. Un fronte ampio che comprenda realtà di movimento non necessariamente comuniste, ma comunque in lotta anche solo su terreni specifici, contro i vari aspetti della politica neoliberista dei governi e delle false opposizioni.

Qui mi fermo, perché da dire ce ne sarebbe e non poco, su quali forme di organizzazione politica, su come intervenire per favorire autorganizzazione e democrazia diretta nelle realtà operaie e sociali in lotta, nei movimenti. Soprattutto su una piattaforma unitaria, su un progetto politico in grado di aggregare parti importanti della società italiana. Aspetti che non sono conseguenti all'intenzione di costituire un percorso unitario dei comunisti, ma una doverosa e urgente premessa.

Un'ultima cosa. Al di là di ogni scimmiottamento estemporaneo, che da farsa può trasformarsi in tragedia, non certo in processo rivoluzionario, il vero cuore dell'esperienza e della teoria politica dell'operaismo e dell'Autonomia Operaia, può vivere solo dentro un processo concreto di autorganizzazione della classe, di crescita dell'autonomia di classe. Il contropotere è democrazia diretta nei luoghi di lavoro e nel territorio, è occupazione di spazi, è laboratorio permanente di esperienze di autorganizzazione, pratiche e forme organizzate che vanno estese a tutte le soggettività, a tutti i cittadini, a tutto il corpo sociale: quel famoso 99% di cui oggi si parla, al di là dei muri ideologici e religiosi. Questo progetto deve funzionare come altra e possibile società, come città futura.
Tutto l'opposto di un riconoscimento e un'internità acritici di una democrazia rappresentativa completamente svuotata delle sue funzioni e della reale partecipazione popolare, foglia di fico di un regime bipartisan che è diretta espressione ed emanazione della troika finanziaria europea e dei veri sovrani della società: i centri di potere del capitale finanziario. Ma anche del tutto diversa da un'ottusa e inconcludente autoreferenzialità.