venerdì 25 febbraio 2011

GHEDDAFI ULTIMO ATTO E I SOLITI "ANTIMPERIALISTI".


Siamo alle ultime battute. Gheddafi è circondato nel suo bunker a Tripoli, mentre la popolazione libica sta insorgendo, appoggiando i ribelli, ossia quella parte dell'esercito e di irregolari combattenti che ha deciso di chiudere i conti col colonnello sanguinario.

Non so bene cosa stia accadendo, le informazioni che arrivano dalla Libia sono confuse e frammentarie, ma due cosiderazioni si possono fare. La prima.
Il fatto che Gheddafi si sia affidato in buona parte a mercenari assoldati in paesi africani, ma anche nell'Europa balcanica e slava, ci dice che non si fidava molto del suo esercito che, alla prova dei fatti si è spaccato e sfarinato in diserzioni di massa e passaggio di militari e mezzi dalla parte degli insorti. E' di queste ora l'apparizione nelle notizie di una sorta di CLN composto da nove colonnelli. Sembra.

E qui veniamo alla seconda considerazione. Le insurrezioni popolari non nascono mai per caso. Con tutta probabilità c'è qualcuno nella classe politica libica e nell'esercito che ha lavorato per arrivare a rovesciare Gheddafi. Qualcuno influente presso le varie tribù che compongono la società libica. Qualcuno che conosceva le reazioni sanguinose del regime alle proteste sociali e che sapeva cosa questa avrebbe provocato nella società libica in generale. Tra Gheddafi e le tribù che hanno visto i propri figli massacrati ha iniziato a scorrere il sangue. Un calcolo di sicuro.

La stragrande maggioranza dei tiranni, si sa, sono sanguinari e stupidi. Così è stato Gheddafi. Se c'è qualcuno che ha manovrato la reazione suicida del rais, è sperabile che questo qualcuno manovri poi per arrivare a una vera democrazia nel paese e a una stabilità. Perché una polveriera più o meno talebana sotto il nostro culo non se la augura nessuno.

E qui arriviamo a una terza questione: di politica internazionale. Io non credo che questa sia stata una manovra dell'Occidente. Questo qualcuno è "squisitamente" libico, come è egiziano in Egitto e tunisino in Tunisia. Si sono create le condizioni economico-sociali e quindi politiche per un nuovo corso nei paesi sahariani e in molti altri sino allo Yemen. Fame, repressione, una mancanza di libertà civili che nell'era della rete globale, francamente, spingono vaste masse giovanili alla ribellione.
Al contrario, i paesi occidentali, USA ed Europa in testa, non hanno visto di buon occhio la messa in discussione di uno status quo che faceva fare buoni affari e consentiva la stabilità internazionale, attraverso questi tiranni.

Ma arriviamo alla quarta questione: sembra che Chavez, Castro e Ortega abbiano dichiarato sostegno a Gheddafi dichiarando che questa sollevazione è un tentativo dell'Occidente di mettere le mani sul petrolio e il gas libici.
Se queste posizioni fossero vere, saremmo alla presenza per l'ennesima volta di una realpolitik miope, che guarda solo al proprio fronte interno, da parte di paesi che potrebbero esprimersi in modo ben diverso nel considerare anche le libertà civili degli altri popoli, sacre esattamente come quelle dei loro. Una realpolitik che preferisce chiudere un occhio (o tutti e due) sui massacri e il fascismo iraniano e di Gheddafi per difendere gli equilibri nell'OPEC o nel fronte dei paesi non alleati con gli USA e la NATO.

Non mi piace il filo "rosso" che parte dalla Cina e arriva alle dittature africane, passando per i socialismi populisti e bolivariani dell'America Latina. Questi ultimi hanno tanti aspetti positivi, ma si comportano nei confronti degli altri popoli esattamente come gli imperialisti che combattono: un buon rapporto di affari e scambi con integralisti islamici e galere a cielo aperto.

Ma più in generale, deve finire l'era delle "democrazie popolari" che vivono in un'emergenza continua, che si alimentano di nemici esterni più o meno reali. Regimi che di popolare e democratico hanno poco o nulla, magari giusto le "buone intenzioni" scritte in uno statuto costituzionale, ma poi le galere si riempiono di dissidenti. Lo si è visto con il socialismo reale, lo si vede in questi rimasugli di socialimo panarabo, misto a un nazionalismo populistico e demagogico.

Non ci trovo nulla di rivoluzionario e antimperialista in dittature che limitano le libertà più elementari o in gruppi di potere che si perpetrano grazie al loro populismo, alla difesa della patria dal nemico esterno. Dalla Cina a Cuba, passando per i paesi arabi nazionalisti, non si è prodotto nulla di meglio rispetto alle democrazie parlamentari e liberali occidentali. Anzi.

Rivoluzione significa resistere agli attacchi dell'imperialismo rispettando le libertà democratiche, non prendere i primi a giustificazione di misure liberticide e anti-democratiche. Se la sinistra mondiale alternativa alle socialdemocrazie filo-capitalistiche non capisce questo, non avremo più alcuna alternativa rivoluzionaria al sistema capitalistico globalizzato.

Mi si potranno portare le analisi più elucubrate di questo mondo, ma se in un paese un blogger che dice la sua opinione finisce oscurato o, peggio, in galera, in quel paese non esiste libertà. Punto.

mercoledì 23 febbraio 2011

DICIAMOLA TUTTA...


Certo, non appena l'Egitto è entrato in crisi, Francia e Germania hanno bloccato le forniture di armi. E ora rimproverano al governo Berlusconi (non lo chiamo italiano perché non è il mio governo) le risposte tardive, le ambiguità.
Io rimprovererei il caos mentale e l'impreparazione di chi avrebbe dovuto muoversi subito per rinpatriare i nostri cittadini e non l'ha fatto e non sta facendo un cazzo o lo sta facendo male anche adesso. E di connazionali ne abbiamo a centinaia là, esposti a una guerra civile sanguinosa, della quale i responsabili sono negli alti ranghi del regime di Gheddafi, tra i rampolli della sua famiglia, ma anche dall'altra parte del Mediterraneo e dell'oceano, ossia chi ha foraggiato in mille modi la Libia del colonnello.

Ma detto questo, mi fa altrettanto schifo l'opportunismo delle potenze europee, che hanno campato per decenni su queste dittature che macinavano energia per le nostre case e le nostre industrie, da Milano a Lione passando per Dusseldorf, che hanno mantenuto satrapi sanguinari (e lo sapevano i nostri governi) che garantivano in cambio lo status quo, la pax occidentale, che è una pax imperiale, non certo democratica nei cortili di casa.

Hanno poco da stigmatizzare la Merkel, Cameron e Sarkozy, l'imbecillità di Berlusconi, che faceva i baciamani a Muammar solo pochi mesi fa. Che solo pochi mesi fa faceva campagna media per il dittatore, mandandogli centinaia di ragazzine per false e propagandate conversioni all'Islam.

Caro Prodi, tu dici che è una questione di stile. Non basta e non è questo che fa la differenza. E' ora di finirla col separare le ragioni economiche dalla necessità di favorire pacificamente e col dialogo la democrazia nel mondo, col tutelare senza se e senza ma i diritti civili, politici, sindacali in casa propria, ma anche in casa degli altri. In questo secondo caso però si fa finta di farlo solo nelle aree scomode per noi occidentali. E allora si passa direttamente ai bombardamenti sui civili e alla guerra.

Ma non si rendono conto da questa parte del Mediterraneo e nelle fredde capitali del centro e del nord Europa, che il crollo dei regimi arabi più o meno filo-occidentali rappresenta e fa seguire il crollo delle politiche occidentali stessi, del modo di rapportarsi e persino di transare economicamente nel mondo?
Questi avvenimenti sono solo i primi sordi brontolii del terremoto. Perché la crisi di sistema globale apre a nuovi scenari. Ora sappiamo che i popoli del terzo mondo, anche quelli che abbiamo appena sotto i nostri stivali, non sono più disposti a pagare con una miseria ancora più grande, con la fame nera, con la privazione dei più elementari diritti, gli ultimi scampoli d'un benessere ormai pezzente che è solo nostro, per noi, corroso come i conti di bilancio dai titoli spazzatura, e per questo più prezioso.

Ma si potrebbe dire che dei popoli in miseria senza contropartite minime stanno facendo altare il banco. Iniziano a giocare a un altro gioco, non iniziano nuove partite con medesimi scenari.
Questa è la paura dell'Occidente. Berlusconi si muove su altri piani, quelli della corruzione, dei vantaggi che ha tratto dai rapporti con Gheddafi, con Putin, dalle laute creste su gas e petrolio. Altro che scandalo Ruby. Non vuole disturbare il colonnello.

Questo è un conto che dobbiamo saldare qui in Italia, ma la logica è la stessa in tutto il mondo Occidentale. Lecita o criminale, la speculazione deve cessare. Le democrazie devono nascere in Egitto, Tunisia, Libia e altrove delle periferie imperiali, ma devono rinascere anche qua. L'agenda della politica estera europea, come quella di politica interna non deve essere più dettata dagli appetiti di quattro pescecani che si ritrovano a Davos ogni anno.
La sovranità va restituita al popolo là come qua.


lunedì 21 febbraio 2011

FRATTINI: "SULLA LIBIA LA UE NON INTERFERISCA"


Mentre a Tripoli bruciano i palazzi del potere, il "nostro" ministro degli esteri Frattini lancia un monito all'Europa: non interferisca negli affari interni della Libia "cercando di esportare il proprio modello di democrazia". Ma come Frattini: per l'Afghanistan questo genere di export va bene, e magari con le bombe (è notizia di questi giorni di un ennessimo massacro N.A.T.O) e per la Libia no? Ma non si rende conto dell'incongruenza? Ci crede tutti così imbecilli?

E poi, dov'è l'amico Berlusconi? si chiederà Gheddafi, che forse si aspettava, oltre alla gnocca elargita durante la sua permanenza a Roma dal munifico cavaliere, un qualche sostegno diplomatico.
Comprenderà: tutto quello che l'Italia gli può dare ora, per non sputtanarsi definitivamente negli stessi ambiti europei e atlantici, è una frattiniana non ingerenza.

Del filo-arabismo berlusconiano ne abbiamo piene le tasche. Rieccheggia ancora nelle orecchie degli opinionisti la difesa sperticata cha la figlioletta di Craxi, Stefania, faceva di Ben Alì non appena un mese fa, mentre il regime tunisino, totalitario e corrotto, crollava a pezzi sotto la spinta popolare. Mentre la moglie di Alì, volava... alà, nella civile Europa con oltre una tonnellata di oro sottratto al suo amato popolo.

Il filo-arabismo di Berlusconi, non ha nulla a che vedere con quello sottile, raffinato, furbo e doroteo degli anni '70: un prodigio di realpolitik a difesa degli interessi italiani e del'Eni nel bacino mediterraneo e medio-orientale. Quello di Berlusconi ne è una pallida parodia. Se ci fosse stato Andreotti... certo il gobbo malefico non si sarebbe trovato con la bocca piena di merda. Perché il filo-arabismo italiano di quegli anni non arrivava a compromettersi con frequentazioni disinvolte. Soprattutto a base di puttane.

Il fatto è che Berlusconi come una ragazza di paese che cede al fascino della divisa, ha una certa passione per i dittatori. Putin e Gheddafi in primis. Ma anche i satrapi del Cremlino della profonda Asia Centrale. Questo disturba da sempre gli alleati, USA in testa, che nella migliore delle ipotesi e come rivelato da Wikileaks, ha considerato il cavaliere come un utile idiota.

La questione in realtà è ben più seria: la Libia è il nostro primo fornitore di gas, per non parlare del petrolio, che rappresenta il 40% della nostra domanda. Inoltre, in Libia abbiamo interessi economici, appalti come quello dell'Impregilo. Per non parlare delle operazioni di controllo dei flussi di migranti che la Libia ha eseguito a fronte di contropartite economiche, violando i diritti umani, esercitando torture ed abbandoni in pieno deserto dei profughi, come il "nostro governo" sa bene.


Ecco spiegata la "non ingerenza" posta all'Europa da Frattini-ergo-Berlusconi. Le puttane al rais sono solo un contorno, folklore. In un contesto geo-politico che ci compromette come paese democratico, che fa cadere la nostra credibilità al livello di un qualsiasi regime bananiero.

E questo è il meno. Come sarà il prossimo futuro dell'Italia se sarà colpita a fondo nel lato più debole della sua economia: le risorse energetiche? Una questione che nessun governo ha mai lontanamente risolto, confidando sull'italico tirare a campà e su interlocutori impresentabili. Senza studiare contromisure, senza una politica energetica che ci mettesse al riparo dai ricatti di paesi terzi e dalle loro altalenanti fortune e sfortune.

Qual era la contromisura: il nucleare a babbo morto, già bocciato per altro da un referendum popolare, mentre gran parte dei paesi nel mondo lo dismettono con non poche difficoltà?
Beh, intanto che aspettiamo le centrali nucleari nel 2050, possiamo tornare alla lampada di Aladino.

domenica 20 febbraio 2011

VECCHIONI DA BRUCIARE E VECCHIONI DA AMARE


Vecchioni da bruciare... come un fine anno eterno, siamo attorniati da una vecchia politica gattopardesca, con un grande vecchio cavaliere che non se ne vuole andare, nonostante i processi a suo carico per reati gravissimi,
nonostante la caduta verticale di credibilità a livello internazionale per il nostro paese e, quel che peggio, nonostante la crisi strutturale amplificata dall'inerzia del governo.

Vecchioni da amare... i segni del nuovo ci sono tutti. Anche a vedere gli esiti di San Remo. Può sembrare una banalità, ma non è così. Dopo la manifestazione della scorsa domenica, a San Remo viene consacrato un vecchio della canzone, Vecchioni, che vecchio non è (perdonatemi il bisticcio di parole), perché ha saputo rappresentare proprio questo nuovo, con una canzone che è poesia allo stato puro. Una canzone che è l'immagine di questo paese: l'operaio che perde il lavoro, il poeta che non può esprimersi, i giovani senza futuro, gli studenti che difendono la cultura vera. E quel senso collettivo dell'agire, un concetto del tutto ovvio e naturale e che i mestieranti della politica cercano sempre di occultare: solo noi possiamo tutti insieme cambiare.

Canzone tempista come il film di Antonio Albanese, quindi foriera di successo prossimo e incassi imminenti. Buon pro gli faccia al nostro Roberto milanese. Ma non è questo che va sottolineato. Al di là delle logiche commerciali e degli accordi e liti tra discografici, resta il dato che l'Italia sta cambiando. Ancor più velocemente della sua classe politica. E i primi a sentirlo sono gli artisti, i poeti, chi non ha buttato il cervello all'ammasso come gran parte dei ceti culturali e degli opinionisti che affollano i salotti televisi. O forse anche tra questi, abituati ad annusare gli odori che il vento porta dall'angolo della via (si accontentano di questo), c'è un nuovo sentire. Foss'anche una valigia pronta per un trasloco opportuno od opportunista.

Resta il fatto che della vittoria di Vecchioni all'evento nazionalpopolare per eccellenza era nell'aria già dalla seconda sera. Quello che interessa sono i voti della gente. E quanti voti gli sono arrivati. Certo, non si fanno bilanci e analisi politiche da vicende di attualità come San Remo, ma i segnali però vanno colti.
Sono segnali di una domanda forte di cambiamento, che ormai pervade il paese. E allora cerchiamo di inquadrarli, anche se ancora non è possibile farlo.

In giro c'è una domanda di giustizia sociale e di un futuro da costruire da vivere per noi e i nostri figli. Non ci vuolo molto a capirlo. Perché non se ne può più delle soperchierie e delle furbizie di chi ha occupato le istituzioni, le pubbliche amministrazioni, i gangli vitali dell'economia. Sbaglia però chi pensa a rivoluzioni socialiste imminenti, come chi pensa "che ci vogliono solide basi" come sostiene Bersani, che inizia già a giustificare il "realismo del non cambiar nulla", il gattopardismo con qualche contentino. Anche questa opposizione melensa, ambigua, ci ha rotto i coglioni. Ha ragione Padellaro: basterebbe che l'opposizione tutta desse le dimissioni per rimettere tutto nelle mani del Capo dello Stato. Ma non lo fa. Non lo fanno il PD, l'Italia dei Valori. Figuriamoci Casini. Sono tutti lì, nella melma dell'inedia, a parlare di dimissioni altrui, a denunciare, ma senza fare nulla di concreto.

La società civile è già oltre. E' già altro. Oltre gli scambi di palazzo, oltre il putridume della corruzione dilagante, della prostituzione come barbaro commercio dei corpi. Chiamami ancora amore.

sabato 19 febbraio 2011

UN PO' DI COMMENTI.


1. Alberto Torreggiani al presidio anti-Pm del PdL di fronte a palazzo di Giustizia: garantismo a senso unico. Libertario coi potenti, forcaiolo con chi non c'entra un cazzo con la morte di suo padre. Complimenti.

2. Richiesta di dimissioni del consigliere Daniele Ferri al Consiglio Comunale di Marzabotto, da parte del PDI e IDV, per la sua contrarietà ad approvare mozione per l'estradizione di Battisti: garantismo mai e libertà d'opinione neppure; il "confronto democratico e civile" per il PD è dei tempi di Stalin.

3. Performance risorgimentale di Benigni a San Remo. Sì, ma lo sbocco non deve essere un sentimento nazionalistico, bensì la ripresa dell'autentico spirito risorgimentale dei Mameli, dei Bandiera, dei Garibaldi e dei Mazzini: la libertà dei popoli dalle tirannie. La mia patria è il mondo, i miei fratelli sono gli oppressi di tutto il mondo.

4. Affittopoli del Pio Trivulzio, privilegi a destra come a sinistra. Vacanze pagate a Cinzia, la sua squinzia coi nostri soldi quando era vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, 19 mesi a del Bono, e poi scandali pugliesi sulla sanità firmati PD... non sono eccezioni, ma la norma. Anche a sinistra le clientele, i favoritismi, la corruzione, la concussione, gli appalti pilotati... ammetetelo tutti e toglietevi dai coglioni, altro che Bersani for president, cara Bindi; svegliati maga magò, apri gli occhi!

5. Anno Zero, l'ira di Mora durante un'intervista: "Comunisti di merda!". Lele, ma va affan gulag! Te li diamo noi i milioni del cavaliere: ti ci vorrebbe un po' di Siberia.

6. La Santa Sede incontra Berlusconi. Gli affari prima di tutto, quelli di una chiesa opportunista. Già molto cattolici sono incazzati... piove sul Bagnasco.

IL GESTORE DI QUESTO BLOG

A questo punto, vorrei precisare alcune cose. Perché forse, a volte, nella mia veemenza locutoria le mie posizioni politiche possono sembrare estreme.
Nulla di tutto ciò. Ogni mio ragionamento, anche di forte critica al PD, per esempio, nasce da un forte senso di appartenenza al nostro sistema democratico.
Sono un democratico. Certo, comunista, sostenitore di forme di democrazia diretta, dal basso, ma difensore proprio per questo della nostra Costituzione.

Perché dico questo? Perché di questi tempi non si sa mai. Abbiamo un governo che oltre a essere reazionario (e questo non è un fatto illegittimo: la conservazione, il neoliberismo se nelle regole della convivenza democratica hanno tutto il diritto di essere espressi ed esercitati), sta ormai uscendo dal lecito. Attacca la democrazia stessa, i poteri dello Stato. La nascita stessa della sua maggior forza politica: Forza Italia prima e PdL poi, ha delle zone d'ombra inquietanti, per le collusioni con lo stragismo mafioso e con i servizi deviati. Che se si chiamano deviati una ragione c'è. La deviazione è dalla democrazia.

In più di un'occasione ho sostanziato cosa intendo per socialismo, per democrazia diretta. Nulla che non sia compatibile con la Costituzione Italiana. Lo stesso leninismo, quello della "dittatura di una classe", è compatibile con essa, considerando la "dittatura" un governo eccezionale, dato da una situazione eccezionale. Quello indicato da Marx, Engels e Lenin, ha una forte valenza democratica: è esercizio del potere democratico delle classi sfruttate.
Oggi, nell'Italia repubblicana, può essere assimilabile a una forte parecipazione dal basso alla vita politica da parte delle masse popolari: democrazia diretta, autogestione, come sale della democrazia rappresentativa, normata e regolata dalle nostre leggi repubblicane.


Oggi c'è bisogno di questo. Perché se i lavoratori, le donne, i cittadini torneranno alla vita politica con una forte spinta dal basso, ciò dovrà essere nell'ipotesi di un allargamento della base sociale alla partecipazione democratica, nell'ipotesi di una sconfitta delle forze oscurantiste che hanno dominato la scena politica in tutti questi anni e non solo. Che hanno manovrato anche dietro le quinte.

Non è complottismo, ma richiesta di verità. Verità su tutte le stragi che hanno sconvolto il nostro paese. Non è faziosità, ma richiesta di trasparenza nella gestione della res publica per il bene di tutta la comunità e da parte di forze realmente rappresentative della società. Oggi, in questa situazione così non è.

Oggi, ciò che sembra eccezionale, quasi utopistico, è invece una gestione della cosa pubblica da parte delle masse popolari. Un evento auspicabile, che dovrà inverarsi e poi ritrovare una normalità nell'esercizio di una democrazia rappresentativa. Intendiamoci: non una contro-azione, un "contropotere" di ristretti gruppi dell'estrema sinistra, ma un muoversi di tutta la società civile.

La manifestazione dello scorso sabato la vedo come la dimostrazione di una possibilità latente, che può svilupparsi. Proprio davanti a un ceto politico sordo anche in chi si ritiene d'opposizione, che potrebbe accogliere la proposta di Padellaro, ma non lo fa.
La mia critica al PD in primo luogo, parte dalla sua ambiguità, dalla sua partecipazione di ceto ai giochi di palazzo, dall'uso strumentale che fa della piazza, ossia: delle lavoratrici e dei lavoratori, della sua stessa base sociale, del popolo di sinistra, a tutto vantaggio di ben altre cordate e comitati d'affari. Basta andare a vedere la sua politica nelle PA e in Parlamento. I suoi ceti di riferimento sono parti importanti della borghesia, non la classe operaia e il proletariato.

In conclusione non c'è nulla di eversivo in ciò che sostengo. La cesura è forte rispetto pure alle progettualità antistatuali degli anni '70, che sostenevano "l'abbattimento dello stato borghese". Io dico che un'altra società, più giusta e basata sull'uguaglianza sociale è possibile nella piena continuità storica e politica dell'edificazione costituzionale che i nostri padri fondatori hanno iniziato dopo la guerra di liberazione dal nazifascismo. Anzi, aggiungo di più: senza democrazia pluralista, senza confronto e alternanza tra le parti sociali e politiche, questo cambiamento non è possibile. Sono possibili solo le tragedie della storia, della cui eredità anche la sinistra ne porta il peso.

mercoledì 16 febbraio 2011

EFFETTO DOMINO.


Va molto di moda oggi l'effetto domino. Come pedine di un domino crollano i regimi arabi del nordAfrica, come un domino insensato cadono per manovre speculative le economie dei paesi costringendo le comunità come quella europea a soccorsi dissanguanti.
E non si creda, ma come in un domino Berlusconi si trascinerà dietro un sacco di gente con la coscienza sporca e le tasche piene.

Sono tutti lì, attorno al faraone braccato dalla magistratura, a difenderlo contro ogni evidenza, con la consapevolezza che se cade lui, finiscono tante fortune politiche, si aprono archivi come porte segrete davanti ad Alì Babà. Un'ecatombe. Oggi non solo adestra c'è chi si sta giocando la pelle.

E se Berlusconi porterà il suo delirio di onnipotenza fino al golpismo di un insediamento perenne, contro le prerogative del Capo dello Stato e del Parlamento, l'effetto domino colpirà come un maglio poderoso, di furia popolare, anche la timida pseudo-opposizione. E non ce ne sarà per nessuno.

Ecco perché la sensazione è che siano tutti lì, quelli pro e quelli contro il cavaliere, a girare attorno alla questione, a palleggiasi la patata bollente di un cambiamento che se protratto oltre ogni limite lecito, sarà un terremoto.
Al di là delle sue sparate, Bersani lo sa. Lo sanno D'Alema e tutto lo stato maggiore PiDino.

Ecco perché sono in tanti a temere il crollo del tiranno. Berlusconi rappresenta l'attacco più efferato alla democrazia che il nostro paese abbia mai avuto dal dopoguerra in poi, ma non solo: è anche la minaccia più seria che ci sia mai stata a quel melenso equilibrio gattopardesco dove tutto sembra cambiare e non cambia mai un cazzo.

lunedì 14 febbraio 2011

DEMOCRAZIA E LIBERTA'


Sono i temi dominanti in ogni paese: dalle democrazie liberali ai regimi totalitari come Cine e Iran. Lo vediamo in questi mesi in Italia, devastata da una vera criminocrazia, lo stiamo vedendo anche nei paesi del nord africa, arabi e del Medio Oriente. Dopo Tunisia ed Egitto, Algeria, Yemen e Iran. La questione fondamentale è la libertà, senza la quale non c'è democrazia. Può sembrare un discorso qualunquistico, d'una genericità invisa ai teorici del socialismo filocinese per esempio. Ma non lo è. E' un fatto storico, materiale, vitale per ogni persona. L'essere cittadini e non sudditi, e non compagni tutti uguali ma nella miseria e nella mancanza di libera espressione, è la questione dirimente per ogni forza di sinistra che voglia andare oltre le pastoie di un comunismo novecentesco che ha volgarizzato, direi di più: brutalizzato Marx e il materialismo storico e dialettico.

E' la superiorità transepocale della rivoluzione francese. Anche una visione di classe e la sua conseguente lotta sociale e politica non può prescindere dal pluralismo e dalla libertà. Altrimenti non è. Altrimenti è un'altra cosa: è burocrazia che perpetra se stessa nel nome del popolo. Quindi, non scarterei a priori il pensiero liberalsocialista dai fratelli Rosselli in poi.
Coniugare il meglio della visione liberale con il sociallismo è l'unica positività che posso vedere nel tentativo occhettiano di ricostruire una sinistra in Italia, affrancata dalle miserie liberticide del socialismo reale e dalle sue macerie. Ma lì si buttò l'acqua sporca col bambino. E il resto è storia: pragmatismo cinico e dalemiano verso un visione di popolo indistinto. Altro che socialdemocrazia.

In questa fase c'è la sensazione che questo inizio del 2011 sia l'incipit di un periodo che varrà forse secoli. Dobbiamo attrezzarci, ascoltare e imparare dalle rivolte di piazza civili e democratiche di un mondo che si credeva colonizzato dall'Islam più integralista, o da un nazionalismo panarabo totalitario per costituzione.

Se vogliamo riprendere il filo rosso di una rivoluzione sociale comunista, dobbiamo capire che la democrazia reale è il passaggio obbligato. Di più è il valore fondante di una rivoluzione culturale vera e non quella imposta da manipoli di guardie rosse. C'è del libertario nel pensiero comunista eretico, ma è rimasto sin'ora solo rivolta velleitaria.

E' ora che le nostre utopie, le nostre menti, i nostri vissuti si fondano con la realtà concreta in fermento, che si contaminino dei linguaggi, dei corpi, delle culture che emergono dal magma sociale di un conflitto epocale.
Non c'è un verbo da imporre. C'è un'intelligenza collettiva da costruire, forse più situazionista che sovraordinata a tavolino.

Per questo non mi piace chi fa l'orfano perenne e cerca di difendere l'indifendibile, dicendo che se la Cina non è imperialista, allora è socialista. Queste visioni manichee sono veleno per il movimento che abolisce lo stato di cose presente, che non lo difende né qui, né altrove. Io voglio parlare a chi ieri era in piazza anche nella mia città. Ho tanto da dire. Tanto da non poter essere espresso in un megafono o in un volantino velleitario. Ho da parlare con gli operai, ma anche con i commercianti, con le donne, ma anche con i volontari del terzo settore, con gli immigrati e con i giovani che ancora oggi credono che l'evento più brutale di terrorismo sia stato il rapimento di Moro.

Essere comunisti è questo, non è ricerca di eterne verità per uniformare la visione della realtà a queste. E' ricerca di un percorso di liberazione dallo sfruttamento e dalla tirannia qualunque veste assumano.

SE NON ORA, QUANDO?


La grande mobilitazione di ieri, che non ha visto in oltre 200 piazze italiane solo le donne, ma la società civile in generale, è un segnale forte a chi pensa che l'Italia debba continuare a essere in balia di un potere marcio e corrotto.
E' sceso in piazza il paese civile, l'altro sentire comune, oggi sicuramente maggioritario. Quello del bene comune, della difesa della democrazia, del superamento di ogni tentazione reazionaria e oscurantista, di un autoritarismo che è nei fatti, quotidianamente, nei mille gesti di arroganza del governo e del suo capo incontrastato.

L'Italia non ha bisogno di faraoni, ma di una classe dirigente scevra da ogni interesse privato in atti pubblici. Anche Fini l'ha gridato forte, dimentico che proprio lui e la sua AN hanno contribuito all'ascesa del gruppo politico dirigente più pericoloso che la storia italiana abbia mai avuto dopo il ventennio fascista. Insieme alle cordate fameliche di faccendieri che da tangentopoli in poi, dal '94 in avanti, hanno depredato l'Italia, rafforzato monopoli e cartelli osceni, diffuso una pratica di corruzione e collusione con i poteri mafiosi, complice un centrosinistra cialtrone e buono solo a tatticismi e mercimoni, in un do ut des sulla pelle del suo stesso popolo di sinistra, dei lavoratori, dei milioni di giovani senza prospettive.

Non illudiamoci. Proprio per questo lo scenario è cupo. Perché se il rischio è che il vuoto di potere venga occupato da forze politiche che rappresentano il vecchiume imbellettato di novità, in un travaso gattopardesco dei poteri forti da una parte all'altra, di contro manca totalmente un soggetto poltico, un fronte di forze coeso e ben definito che rompa definitivamente con questi poteri. Né il cosiddetto terzo polo, Fini e Casini in testa, né il centrosinistra per come si configura ora, possono rappresentare il nuovo.

I primi ambiscono a essere quella destra moderna ed europea che mancherebbe in Italia, concedendo al paese civile una sorta di democrazia dell'alternanza, il riconoscimento di regole condivise e nuove regole da condividere. Al momento solo parole, ma comunque liberalizzazione dell'economia sempre all'insegna del mercato.
I secondi sono un patetico guazzabuglio, sono divisi su tutto, con una parte ormai supina alle nuove politiche sul lavoro incarnate da Marchionne. E con troppi interessi corporativi locali da difendere.


In questa partita occorre fare in fretta e pensare a un soggetto che guardi meno ai tavoli dela politica ufficiale e più al paese reale, che sostenga senza riserve e con molta chiarezza le ragioni economiche e sociali di un paese devastato da questa crisi strutturale. Una forza plurale, ma che non sia disposta a trattare sui diritti dei lavoratori, sulle prospettive dei giovani, sulla necessità di dare risposte concrete a quei ceti medi ormai privi di possibilità, bastonati da una fiscalità sorda e spietata e per nulla incentivati nelle attività produttive e commerciali. Una forza che rimetta al centro la partecipazione popolare alla vita democratica, che pensi a forme di democrazia diretta: le uniche che possono riportare senso e funzionalità al sistema costituzionale della democrazia rappresentativa. Questa è la vera riforma, al di là delle alchimie che sta strologando la casta polirica in genere.

Questa scelta dà anche il senso dell'essere di sinistra, dell'essere financo comunisti. Il primo passo di una alternativa anticapitalista deve porre una prima pietra di definizione: cosa significa essere anticapitalisti. Contrastare il mercato tout court sognando cube mediterranee, oppure individuare l'avversario principale da battere, come nessun altro sta facendo oggi: chi ha trasformato il mercato in una propria borsa della spesa? Parlo del capitale finanziario, della grande industria da sempre parassitaria, che non investe, che campa di incentivi, di finanziamenti d'ogni tipo.

Il welfare può rinascere solo da politiche che diano impulso alle tante piccole attività, che tassino le grandi rendite, che liberalizzino da una parte, nel campo delle risorse, della telefonia, ma che riconducano ogni libera impresa a quell'art. 41 tanto attaccato. Nessun padrone può delocalizzare impunemente, dopo aver ricevuto soldi pubblici. La Fiat lo deve capire e la deve pagare.

Quello che occorre è una politica che coniughi difesa del bene comune e delle fasce più deboli al controllo di ogni settore dell'economia, valorizzando quelle iniziative private che contraccambiano alla collettività. In un concetto solo: passare dalla centralità dei profitti alla centralità del bene comune.
E credetemi, una scelta simile in Italia, come in qualsiasi altro paese a "democrazia liberista", sarebbe un'autentica rivoluzione. Ma è una proposta poliglotta, perché si fa capire da tutti i settori sociali che oggi chiedono il cambiamento.

sabato 12 febbraio 2011

BERLUSCONI? Il PIU' GRANDE COMUNISTA CHE L'ITALIA ABBIAMAI AVUTO!


I mass media ridotti a un'unica Pravda, con caccia ai dissidenti che fanno satira o giornalismo indipendente. Misure da censura staliniana (ma anche da minculpop fascista) come la proposta di Butti (PdL) per "regolamentare" i programmi in Rai. Per non parlare poi della riduzione del mercato a borsa della spesa per pochi gruppi finanziari. Un'egemonia su cui tutte le lobbies ci marciano e che ha strozzato la libera iniziativa.
E che cos'era dunque il socialismo reale se non una situazione analoga a questa? Proprietà privata o collettiva la sostanza non cambia.
Berlusconi è il piccolo Stalin che garantisce tutto questo, a partire dai suoi interessi. Come un tiranno alla Jaruzelsky o alla Honecker ha il potere assoluto, ha svilito il ruolo del Parlamento, che è diventato un organo di ratifica delle sue leggi. Si ritiene non processabile e vede i cittadini come sudditi.
Se passa definitivamente questa logica, proporrò l'inno sovietico al posto di quello di Mameli.

venerdì 11 febbraio 2011

E' CADUTO GIU' L'ERNESTO!

Duri e puri hanno deciso: fuori da Rifondazione e dentro il PdCI di Diliberto. Ovviamente nel nome dell'unità dei comunisti e per la costruzione di un grande partito comunista. Che vive solo nella loro testa.
Sono i "compagni" de L'Ernesto, rivistina, in realtà corrente degli orfani dell'URSS, che oggi, alla ricerca di nuovi riferimenti (ne hanno un fottuto bisogno), definiscono paese socialista la Cina dello sfruttamento bestiale, quella dei dignitari di partito e dei capitalisti di Shanghai che volano a Ginza-Tokyo con i loro jet privati per comprare Prada e andare con le puttane delle soapland nipponiche. Quella della pena di morte e della censura sulle centinaia di milioni di sudditi di partito. Perché lo sostiene Castro.

Fa specie che questi strenui difensori dei diritti sindacali e democratici dei lavoratori italiani, non abbiano la stessa attenzione verso i minatori cinesi che crepano nel ventre di una Cina che deve svilupparsi inquinando e massacrando per i profitti dei nuovi ricchi di Pechino.

Ecco con chi abbiamo a che fare se parliamo di comunisti italiani. Non mi stupisce quindi se in Italia non esista una forza politica comunista e anticapitalista seria.
I problemi di Rifondazione Comunista sono stati e probabilmente resteranno le correnti interne. Questi grumi di antiche certezze senza basi materiali, che evidenziano l'incapacità di mettersi in discussione e in gioco.

Rifondazione è nata con questa tara: i soriniani, i falcemartello, i trotzkisti, gli ernesti. Mai soggetti pronti a mettersi in gioco, ma spezzoni di un residualismo autoreferenziale, che non ha nulla dell'intelligenza politica del PCI degli anni '30 (dopo lo svoltismo demenziale ben inteso), della Resistenza, del dopoguerra. E neppure di una sinistra eterodossa, operaista che tanto ha contributo nelle sue varianti a rileggere il marxismo rivoluzionario nelle nuove condizioni storico-politiche, economiche e sociali e a sviluppare forze politiche di rottura sociale negli anni '70 con i nuovi movimenti dell'autonomia di classe.

Rifondazione non ha mai potuto rinnovare seriamente una teoria e una prassi marxista, il pensiero comunista, il suo modo di essere in una società a capitalismo avanzato, in questa era contrassegnata dal neoliberismo e dalla globalizzazione capitalistica e dalla distruzione dell'ecosistema e delle risorse del pianeta. Non ha potuto a causa di tutto questo vecchiume. Quello che ha fregato
sin'ora Rifondazione Comunista sono state le correnti interne che l'hanno devastata. Più che correnti, spifferi patetici e ininfluenti sulla scena politica italiana. Ma per una piccola forza, soggettività incancrenite sufficienti per mantenerla zavorrata a un comunismo novecentesco, fatto di nostalgie formato t-shirt e di dichiarazioni velleitarie di un reale rinnovamento.

Ora appare tutto un po' più chiaro. Cosa ci si può aspettare da chi pensa che in Cina ci sia il socialismo? Da chi vive di miti del passato, da Trotzky alla rivoluzione cubana, senza prendere il meglio di queste esperienze, analizzare seriamente cosa non ha funzionato, il perché, e andare oltre?
Perché i soggetti autenticamente rinnovatori non hanno fatto piazza pulita di questi nostalgici di uno stalinismo senza Stalin, di un URSS senza Breznev, di una Cina senza diritti umani e civili? Per fare numero?

Questi campioni dell'entrismo e del fuoriuscitismo hanno appoggiato Ferrero all'ultimo congresso di RC per far fuori i bertinottiani e Vendola in primis. Poi quando Rifondazione è diventata il fantasma di quello che era (ed era già molto poco) ... op-là concordano con Diliberto, altra direzione comunista senza masse, la costituzione di un che cosa non si sa.
Insomma, degli imbecilli senza rimedio. Le masse proletarie italiane attenderanno con ansia il loro prossimo passo: quale komintern, quale ulteriore scissione. Sempre nel nome dell'unità dei comunisti. Magari attorno al socialismo del terzo millennio: la Cina di Jintao, con la benedizione di Fidel. Mettiamoci allora anche la Corea del Nord di Kim Jong-il, perché no? Che tristezza...

BATTISTI. LE RAGIONI DI UN SOSTEGNO.

Qui, su carmillaonline,potete vedere in un breve riassunto le ragioni di chi sostiene la battaglia per non far estradare Cesare Battisti dal Brasile.
Va detto che su questa vicenda, anche molti di coloro che si dicono difensori dello stato di diritto, sono in prima fila nel montare questo clima forcaiolo, dipingendo una persona dopo trent'anni dalle vicende in cui una "giustizia" cieca e perversa vorrebbe vederlo coinvolto, come un criminale assassino, delinquente comune ma terrorista.
Sembra che dare addosso a Cesare Battisti sia diventato uno sport nazionale, un modo di avere l'attestato di difensore dello stato.

Travaglio, Saviano, Eco, Grillo e altri, mentre da una parte portano avanti una battaglia contro Berlusconi e i rischi di una deriva autoritaria nel nostro paese, dall'altra danno inculcano una visione univoca della magistratura: tutti eroi contro il terrorismo, così come contro la mafia.
Gli stessi eredi dei partiti fogna che dal governo all'opposizione hanno gestito con leggi e provvedimenti liberticidi il contrasto statale e padronale alla grande stagione di lotte sociali riducendole a terrorismo eversivo, ossia: il PD, vedono ancora oggi l'emergenza, l'art. 90, le torture sui brigatisti, ma anche su migliaia di attivisti dei movimenti della sinistra extraparlamentare come un mezzo inevitabile per salvare la democrazia.

In realtà, se oggi esiste un Berlusconi che calpesta i fondamenti più elementari del convivere civile, che attacca lo stato di diritto, è proprio perché in quegli anni si fece tabula rasa delle lotte sociali con la logica della criminalizzazione generalizzata.
L'eversione dell'estrema sinistra non fu mai in realtà un pericolo reale per le istituzioni. I poteri forti avevano la loro eversione, quella piduista e golpista, quella che oggi sta dominando lo scenario politico italiano con la piena copertura di chi ha preso accordi con questa cricca stragista nel corso degli anni.

Travaglio e soci questo non lo vedono o meglio: non lo vogliono vedere. Ma battuto il piano di cui Berlusconi è portatore, cosa avremo dopo? Se questi sono i traghettatori verso un "nuovo" assetto politico stiamo freschi. Garantisti il cazzo.


mercoledì 9 febbraio 2011

ARTICOLO 41.

Art. 41 della Costituzione italiana.

L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

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Il governo lo vuole cambiare. Già una volta Berlusconi aveva detto che questa Costituzione è comunista. Le imprese devono essere più libere. Ma più libere di fare cosa? In cosa le limiterebbe l'Art. 41?


"L'iniziativa economica privata è libera."

E già qui è tutt'altro che "comunista". Si ammette la proprietà privata e si dice che è libera. La si sostiene, come in qualsiasi democrazia liberale moderna.


"Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana."

Secondo Berlusconi deve essere in contrasto con tutto ciò? Cosa vuole, la schiavitù? Il lavoro dei bambini? Le catene ai bimbi come negli opifici dell'Inghilterra del XVI secolo? Certo Marchionne e pescecani come lui devono esserepiù liberi di calpestare i diritti del lavoro. Gelli docet.


"La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali."

Eh, qui sono più comprensibili le perplessità del cavaliere. La legge non deve rompere i coglioni. In realtà quello che si vuole è separare la libera iniziativa da qualsiasi funzione sociale che debba avere. Insomma, la giungla, dove i più forti fanno quello che par loro e zitti. La rottura di un legame sociale tra cittadini di diversa posizione economica ed estrazione sociale. La fine della convivenza civile, democratica. Il capitale va per conto suo, in modo insindacabile (a culo i sindacati, meglio quelli zerbino alla Bonanni). Per gestire un nuovo Art. 41 che libera l'iniziativa privata da ogni dovere sociale di essere utile alla collettività c'è un solo sistema: il totalitarismo.

Per questo, difendere l'Art. 41, che in modo così mirabile i nostri padri seppero formulare insieme a tutta la Costituzione, significa difendere la democrazia.

sabato 5 febbraio 2011

LA LOTTA DI CLASSE NON ESISTE PIU'?


Questo refrain lanciato da Emma Marcegaglia e raccolto qua e là da più esimi sostenitori del neoliberismo, è la più sonora mistificazione di quello che sta avvenendo nella società contemporanea. Quello che i rappresentanti più autorevoli di una classe possidente, i capitalisti, vogliono dirci è che la lotta di classe operaia, proletaria non esiste, o comunque non ha più senso.
Non esiste perché la società sarebbe cambiata. Non ha più senso perché l'economia globale pone problemi "oggettivi" come la crisi, la competitività per stare sui mercati, che presuppongono "inevitabilmente" la concertazione.

Nulla di nuovo, ovviamente. E' il vecchio inganno di Menenio Agrippa, che con la parabolina del ventre e delle membra, convinse la plebe lavoratrice a interrompere uno dei primi scioperi che la storia conosca, nell'antica Roma. Ma almeno lui era corretto, identificando nel ventre gli insaziabili appetiti di una classe patrizia. L'inganno dell'era moderna ha molti volti: nazionalismo pro-guerra, interessi generali contro la crisi, ma un unico comune denominatore, ossia l'inutilità e il superamento della lotta di classe, tutti insieme appassionatamente.

Peccato che la lotta di classe esista ancora, eccome. E il primo a farla è proprio il ventre, che i nostro moderni "stomaci de fero" definiscono imprenditoria che lavora. Ma il lavoro per "digerire" è ben diverso dal lavoro per "procacciare cibo". E proprio per mangiare e digerire quantità maggiori di cibo, il ventre ci inventa palle su interessi nazionali anti-crisi, legittima così l'aumento del lavoro delle membra, riduce diritti, peggiora le condizioni di lavoro. Se non è lotta di classe questa.

Il pensiero forte e il suo mainstream mediatico coincidono esattamente con la negazione della propria e altrui lotta di classe. La resistenza FIOM a Pomigliano e Mirafiori diventa riottosità priva di radici, dunque insensata. Stessa logica di chi, come Chiamparino, Fassino e Renzi, accetta la quadra della FIAT spostando gli orizzonti delle possibilità padronali di sfruttamento e lesione dei diritti del lavoro ben oltre quelli dei contratti confindustriali, perché in realtà, si sa, i ceti produttivi di cui parlano i dirigenti PD sono operai e padroni insieme, in ritrovati interessi comuni.

Il nodo è proprio questo. Lo spartiacque. Landini, segretario della FIOM, lo ha bene espresso in una difesa delle condizioni di lavoro, delle regole del contratto e dei diritti sindacali che sono tutt'altro che corporativi. Ma come sindacalista, ovviamente, non entra nella dimensione del "politico". Per questo la lotta sindacale senza una sponda politica, senza un senso politico, una direzione politica del conflitto di fatto è un'anatra zoppa. Qui si torna al Lenin della lotta politica versus i limiti del rivendicazionismo economicista operaio.

Lo spartiacque dicevo, è proprio nella demarcazione tra pensiero debole che accomuna gli italiani tutti, nella migliore delle ipotesi in un "bene comune" informe e per questo ambiguo, e un pensiero forte che riconosce la lotta di classe, questa sì come fatto oggettivo.
Uno spartiacque che attraversa anche la sinistra. Se non si capisce questo, difficilmente sarà possibile ricostruire un soggetto politico.

Il rischio è quello di fare la fine dei gruppi della sinistra radicale che si richiamano al comunismo a parole, ma che di sicuro non hanno saputo ereditare la capacità politica, la tattica, il metodo di lavoro, che ha distinto la tradizione del movimento operaio e comunista italiano. Purtroppo, in questa fatta ci metto anche Rifondazione Comunista.
Basti solo pensare alla limitatezza d'analisi della composizione di classe e delle classi sociali per come sono oggi, che la gran parte delle forze neocomuniste fanno. Una visione ristretta, rimasta all'analisi classica di Marx, con qualche imbellettamento sull'operaio sociale. Una missione altrettanto limitata: difendere il fortino del lavoro salariato e/o dipendente, precario o meno che sia. E basta.

Tuttavia, ripensare ai lineamenti che assume la lotta di classe nei paesi a capitalismo maturo, comprenderne le alleanze sociali possibili in questa congiuntura, è diventata una necessità vitale. Perché di sopravvivenza di una visione alternativa al capitalismo si tratta e di una vitalità politica rivoluzionaria pure.
I mistificatori della lotta classe, o per lomeno, i loro beneficiari sono un coacervo sempre più ristretto di interessi di parte, lobbistici, di casta, i poteri forti di un capitale finanaziario che ha saputo permeare l'intera società con la sua narrazione falsa e drogata.
Di contro c'è una polverizzazione sociale dei soggetti che però oggi può trovare un percorso unitario e un'alternativa comune.

Non c'è solo il lavoro dipendente. Nel precariato e nella subordinazione ci sono anche le piccole realtà produttive e commerciali, il popolo delle partite IVA, il nuovo sfruttamento spacciato per imprenditoria, o l'imprenditoria spacciata per capitalisti.
Se non si fa in fretta a ripensare ai soggetti della lotta di classe a individuarli. Ci sarà poco da fare. Molto poco. Dopo che nulla si è fatto.