lunedì 23 maggio 2011

LA BATOSTA DI ZAPATERO


E' sempre così: dopo anni di destra neoliberista, la gente non ne può più e si butta a sinistra. Vi ricordate come venne su Zapatero a discapito di un Aznar, screditato, che aveva mentito sulla vicenda delle bombe di Al Qaeda?
Poi che accade? Che le socialdemocrazie, i laburismi fanno tutt'al più delle riforme laiche (e qui va dato atto a Josè Luis di aver fatto alcune cose interessanti in fatto di diritti e di laicità), ma adottano le stesse ricette, o quasi, del neoliberismo di destra.

La batosta del PSOE alle amministrative di questo fine settimana è l'effetto di una politica che ha penalizzato principalmente i ceti popolari, i lavoratori, i giovani e i precari, esattamente come il governo greco di Papandreu. Nessuno di questi socialisti ha il coraggio di invertire l'ordine dei termini: più ricchezza sociale alle classi popolari, meno sostegno alle banche, un'uscita dalla crisi rompendo con i diktat monetaristici, a costo di uscire dall'Europa e di creare fratture con gli altri governi.
E non farà così neppure il centro-sinistra italiano, Vendola o non Vendola, se dovesse andare al governo nel prossimo futuro.

Ma vediamo di capire meglio i termini della questione. Il punto è che questo sistema con le sue contraddizioni strutturali, si regge su un equilibrio unico: il dominio del monetarismo. Ogni manovra politica che sia di destra o di centro-sinistra, non esc e da questo punto di fondo. Ognuno spaccia questa politica economica a tutto vantaggio dei gruppi finanziari e del grande capitale industriale ad essi agganciato, per una questione tecnica, come politica che tutela gli interessi generali del paese e dell'Europa.

Entro questo quadro abbiamo l'effetto oscillante dell'instabilità democratica: chi va al governo, per sostenere questo punto vista (che ricordiamo essere arbitrario), deve prendere misure impopolari. L'avversario all'opposizione ne approfitta facendo leva sull'impopolarità del governante e vince le elezioni successive o quelle dopo ancora, poiché gli effetti delle misure economiche possono avere ricadute di consenso a più lungo termine, ma mai troppo lungo, due mandati al massimo.

In questo modo non si porta a compimento neppure la politica economica intrapresa qualche anno prima e si vive una situazione di assoluta schizofrenia nei conti pubblici, nella spesa sociale, nelle pensioni, nelle liberalizzazioni, ecc. con ricadute su tutta la politica di un governo.
Ci sono poi forze politiche che fanno l'opposto: lasciano andare in malora i conti economici per non divenire impopolari, che avvantaggiano le loro consorterie e settori sociali d'appartenenenza, frazioni di borghesia corporativa e lobby varie.

Se alle destre poco importa uno sviluppo del benessere, dell'occupazione, dei servizi sociali per le classi popolari, al centro-sinistra fa finta di importargli. Oppure pensa: risolviamo i problemi del debito pubblico, risaniamo e poi abbiamo la possibilità di fare la riforme sociali. Ovviamente cade la mannaia dei due mandati. Ovviamente se le suonano e se le cantano, in preda ai parametri da rispettare sulla moneta e sul debito.

In un tale quadro politico, in questo gioco di alternanze che sono solo false, di forma e non di sostanza, non ci sono vie d'uscita per un vero sviluppo di una politica democratica, che si liberi dagli orpelli dei poteri forti su scala internazionale. Ecco perché occore ripensare a una politica di sinistra che vada al cuore del problema.

E il cuore del problema ci dice che se al centro della classe politica nel suo complesso ci sono le esigenze e l'agenda finanziaria dei grandi gruppi di potere, non ci può essere neppure un libero e sovrano esercizio della democrazia. E infatti non c'è partecipazione dal basso della popolazione. Ormai esiste un sistema politico e di controllo sociale e mediatico che scheda e bolla come utopistiche qualsiasi rivendicazione che metta in discussione la ripartizione dei poteri economici e quindi sociali, la redistribuzione della ricchezza sociale, il peso da dare alla finanza e al lavoro, sempre più divaricati tra loro.

Il cuore del problema è rimettere al centro la vita delle persone, il futuro dei giovani, il lavoro, il benessere, la salute, l'istruzione, la cultura, anche a costo di rompere, anzi rompendo il circolo vizioso dei parametri economici europei, del debito pubblico. Ci sono paesi in America Latina che hanno dato una svolta nel giro di pochi anni, proprio liberandosi dai doveri imposti dal FMI.

Oltretutto, questa opzione è una strada obbligata, se desideriamo uscire da questa crisi economica, che prima ancora che crisi monetaria è crisi sociale. Per questo, oggi più che mai, la democrazia è rivoluzionaria. Lo è non in quanto eversione di un sistema politico costituzionale, ma in quanto finalmente partecipazione popolare e al protagonismo politico dei soggetti sociali tenuti fuori dai giochi e dalle spartizioni.
Laddove la democrazia rappresentativa diviene il simulacro di se stessa, deve intervenire la democrazia diretta, di base, l'autogestione.

L'esperienza spagnola di questi giorni dimostra come, mentre una parte della società, il popolo di sinistra scende in lotta e sposta l'asse del paese reale verso un sano e democratico conflitto sociale, la sinistra asfittica e avulsa dai processi sociali concreti, la sinistra che ha concesso alle banche, che ha dato lacrime e sangue alle classi popolari, perde elettoralmente perché ha già perso politicamente. Lo sviluppo del conflitto sociale, la nascita di forme autorganizzate dal basso, di democrazia diretta, non corrisponde alla crescita politica della sinistra.

E' una lezione su cui trarre le opportune conclusioni. Da farne tesoro, molto tesoro.
Commissioni, consigli, soviet, barrios nicaraguensi, sono tutte facce diverse, peculiari delle situazioni in cui sorgono e insorgono, di una stessa medaglia: la democrazia diretta, il consiliarismo che nasce dalle situazioni di base, nei posti di lavoro, sul territorio. Sono il vero sale della democrazia, che renderanno più forte e radicata al paese la democrazia rappresentativa parlamentare.

Autonomia di classe e politica di rottura coi diktat del sistemafinanziario dominante, sono i soli fattori che possono restituire una prospettiva alla politica delle sinistre e una prospettiva di cambiamento alle classi popolari e quindi a ogni paese.

sabato 21 maggio 2011

BERLUSCONI, PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA


Quando pensiamo a un confronto elettorale in un paese civile, le immagini che scorrono sono quelle di candidati che si confrontano in un rapporto anche aspro, polemico, ma di reciproco riconoscimento e rispetto. In una logica di alternanza, di regole condivise, dove l'avversario non è un nemico, ma un interlocutore.

Con Berlusconi, in Italia non è così. Per salvarsi dai processi e per mandato di alcuni poteri forti reazionari, che stanno inquinando la vita democratica del paese da decenni, Berlusconi non esita a trasformare ogni confronto elettorale in una campagna di violento linciaggio dell'avversario.

Usa ogni arma lecita e illecita, con una sequela di micro coupe d'etat per avvantaggiarsi su tutto. Come sui referendum sul nucleare, l'acqua e il legittimo impedimento, dove falsa le carte in tavola con altrettanto furbesche modifiche alle leggi in questione (vedi le norme che riguardano il nucleare e l'acqua) per evitare la consultazione del 12 giugno. Se poi non riesce a evitarla, con il suo controllo dei media oscura comunque ogni informazione sull'appuntamento referendario del 12 giugno.

Usa il potere dei media per avvantaggiarsi nell'informazione e nella presenza in tv e in radio con comizi che sarebbero illegali e riconosciuti come ignobili da tutta la popolazione in ogni paese civile. Come l'ultimo monologo a reti praticamente unificate, eccetto RAI 3 e La7, fatto con arroganza e protervia, per contrastare l'ascesa di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli.

Berlusconi parla a sudditi che ritiene ancora facilmente manipolabili con una presenza massiccia della sua persona in tv, con la propaganda invasiva e con la violenza verbale.

Ma quello che è peggio, è la logica politica che anima questo personaggio che purtroppo ha ancora tanti colpi da sparare. L'avversario è un nemico da battere a tutti i costi. Con un propagandismo anticomunista trito, vecchio e squallido, anacronistico e delirante, butta fango sulla controparte. Sono argomenti che nessun politico sano di mente in Francia, nel Regno Unito, nell'Europa dove la democrazia liberale ha una lunga tradizione, si sognerebbe di sostenere. Ma Berlusconi non è di questa tradizione. E' bene che Bersani e soci lo comprendano bene. Che non sottovalutino la questione.

In europa ci sono le socialdemocrazie, i laburismi e, con essi, esistono forze politiche della sinistra radicale, anche comunista. Berlusconi falsa la storia dell'Europa, che ha visto in molti paesi i partiti comunisti come soggetti politici della Resistenza al nazifascismo e partecipi alla costruzione delle democrazie post-belliche. In Italia e in Francia in primis.

Berlusconi sostiene che in questi paesi se ci fossero i comunisti, i "democratici" farebbero come lui. C'è una notizia per il prode Silvio anticomunista: in questi paesi i comunisti ci sono e sono riconosciuti come interlocutori nella vita politica. Semmai è Berlusconi che imbarca nazisti e neofascisti d'ogni risma nelle sue liste elettorali e nel suo partito, dopo averli sdoganati quando è sceso in politica.

Berlusconi demonizza l'avversario con insulti, campagne denigratorie, violando con il potere del danaro, dei media e della posizione di governante, ogni regola. Non solo fa di tutto per non farsi processare, ma farà qualsiasi cosa e con ogni mezzo possibile e impossibile per evitare quello che in ogni paese civile è il sale della stessa democrazia parlamentare: l'alternanza al governo. Confonde governo con potere. Lui pensa di avere il potere e pensa di non volerlo cedere costi quel che costi. Per questo Berlusconi è una lebbra per il corpo sano della nostra democrazia, è una metastasi pericolosissima, di cui, a causa di un arco politico costituzionale in massima parte corroso dall'ignavia e dall'immobilismo, abbiamo perso gli anticorpi.

Troviamo normale l'usuale dose quotidiana di fascismo, di discriminazioni. Troviamo normale che dei lavoratori come i pastori sardi vengano pestati e rispediti all'isola, appena scesi da Civitavecchia, normale che una legge civile come quella contro l'omofobia non trovi un'approvazione di default per uniformarci agli altri paesi europei, protestiamo in modo del tutto inadeguato, come se fosse una questione qualsiasi, contro lo scippo dei referendum, il sabotaggio eversivo fatto dal governo e dai suoi scagnozzi dentro i consigli di amministrazione della RAI.

Berlusconi è un pericolo per la democrazia, perché la sta già trasformando in regime autoritario, giorno dopo giorno. E quando il suo castello di carte crollerà di fronte alle stesse contraddizioni che stanno vivendo paesi come la Grecia e la Spagna, quando non potrà più governare con la corruzione perché non può accontentare la voracità di tutti "responsabili", quando le urne lo condanneranno all'opposizione, potrà accadere di tutto, stiamone certi.

Che tutti i democratici vigilino e si mobilitino con forza di fronte a ogni tentativo neopiduista di sovvertire il sistema democratico.

E i non comunisti saranno tanti a rispondere all'appello inevitabile che risuonerà nel paese come una seconda Resistenza, caro il mio merda (così Cesare Pavese chiamava un certo signore in orbace e dal mento volitivo). In ballo non c'è l'avvento di una repubblica bolscevico-talebana, ma la democrazia e la nostra stessa Costituzione. Un'idea di civiltà e di paese basati sull'uguaglianza nei diritti e davanti alla legge, sui valori di bene comune e di collettività sopra ogni interesse privato ed egoistico. In due parole, la convivenza civile.


IL VENTO DELLA RIVOLUZIONE


Hanno invaso le piazze delle città spagnole con presidi permanenti che preannunciano di non smobilitare neppure per le amministrative. Sono le migliaia di giovani senza futuro, si fanno chiamare los indignados. La rivoluzione dei gelsomini dalle terre del nord Africa attraversa il Mediterraneo e sbarca nella penisola iberica. E' una rivoluzione civile, democratica, che non usa armi (se facciamo un'eccezione, la Libia), ma che avanza richieste semplici, oserei dire "umane": un futuro di lavoro, una soglia minima di benessere, un'eguaglianza nei diritti, un ridimensionamento dei poteri e dell'arroganza dei potenti, che siano dittatori come Mubarak, Ben Alì o Assad, o che siano banche e lobbies finanziarie che bruciano la vita delle persone assieme ai soldi che finiscono nei buchi neri delle loro bolle speculative artefatte.

C'è aria di democrazia dal Medio Oriente all'Europa. Perché questa lotta generalizzata per i diritti, il lavoro, l'uguaglianza assume due caratteristiche importanti:

– il suo essere oggettivamente contro il neoliberismo, questa globalizzazione selvaggia che divarica sempre di più le società al loro interno tra pochi ricchi da una parte e classi allo stremo della miseria e di una vita di stenti dall'altra, che separa l'economia reale, che è la vita della gente nel lavoro, nelle relazioni di vita, dalla finanza di carta e di byte, sempre più avulsa dalla realtà delle donne e degli uomini, delle aziende, delle professioni e delle famiglie;

– il suo essere profondamente, visceralmente universale, a differenza di chi manovra dall'alto facendoci credere di farlo per un non meglio definitivo interesse generale, che al di là della giacchetta conservatrice o socialdemocratica che indossa, adotta più o meno le stesse misure: dalla Grecia di Papandreu e dalla Spagna di Zapatero, socialiste, alla Francia di Sarkozy e alla Gran Bretagna di Cameron, centrodestre.

E' una rivoluzione che non fa sconti, arriva dove ormai la sopportazione a questo sistema delirante per i suoi meccanismi ha superato ogni limite.

E' una rivoluzione per tutti, per i paesi che sin'ora hanno rappresentato la feccia lavoratrice, manodopera a basso costo da usare in loco o da esportare come ricatto salariale e di condizioni di lavoro nei mercati dell'Europa sempre meno opulenta. Per i paesi "più evoluti", che vedono un'allargamento impressionante della miseria, dell'indigenza, della disoccupazione, del precariato, un impoverimento delle classi medie.

E' una rivoluzione che non ha confini, perché puoi anche fermare il migrante sul bagnasciuga di Lampedusa, ma poi l'idea di un protagonismo popolare che può rompere i giochi e gli schemi di una politica che non è più democratica, travalica ogni muro, ogni mare e accende nuovi fuochi ovunque la prateria è secca e arida nei rapporti sociali, nel precariato, nell'alienazione delle periferie misere e squallide.

E' una rivoluzione che segna i limiti di un'Europa nata male, sotto il segno del monetarismo che diventa usura costante sui paesi membri, che devasta le economie, che calpesta i diritti che si reggono su una soglia di vita decorosa, sulla spesa sociale, sulle garanzie nel lavoro, nella sanità, nell'istruzione. L'Euro è una moneta che non può essere l'unico metro per definire gli stati membri, chi è virtuoso e chi no. Anzi non può esserlo affatto.

E in quest'area di decadenza, di un "impero romano" che stenta sempre di più a tenere a bada i barbari fuori dai suoi confini, che difende le cittadelle finanziarie e dei quartieri bene, vediamo bene che siamo già sotto l'ultimo degli imperatori, un Romolo Augustolo che riassume i diversi volti dei governanti attuali. Statue di pietra che crollano nei regimi e che presto crolleranno anche nelle cosiddette democrazie parlamentari.

E' solo questione di tempo.

lunedì 9 maggio 2011

DISUMANITA', MODERNITA'.


Sin'ora in questo blog mi sono occupato dei grandi temi politici ed etici. L'ho fatto con una sorta di trovato senso morale delle istituzioni, con tutta la mia vis ribellistica, ma rispetto le ingiustizie e l'imbarbarimente che segna la vita politica del nostro paese, la società italiana intiera.

Vorrei però, ora, soffermarmi per qualche riga su qualcosa di più profondo ed esistenziale. Perché non v'è alcun dubbio che i fatti della politica, l'andazzo economico, così come il malcostume che segna il nostro paese, segnano le vite delle persone. Grillo ha ragione quando dice che una volta attendevi le lettere degli amici e aprivi la cassetta delle poste con curiosità. Oggi ne hai il terrore.


Ci stanno massacrando, con il loro sistema iniquo, demeziale, infernale. Un sistema che ti inchioda a una vita fatta solo per pagare non si sa cosa e perché. Perché nelle ragioni di un fisco che non fa i conti con la realtà, con la contabilità burocratica della multa con interessi che ti arriva dopo anni e di cui tu non eri a conoscenza, il perché è riassumibile a un unico grande perché: perché se ne fottono dei cittadini, perché non sei un ricco coi soldi all'estero e non ti riservano il trattamento dello scudo fiscale.
Siamo di fronte a un pescecane insensato che divora tutto, speranze, relazioni, condizioni di vita, che non ha finalità umane, che non si raffronta con persone dotate di carne e passioni, ma con numeri e codici.

E di fronte a questa irrazionalità di una società postideologica, dove contano i conti e ha potere chi li fa, sei impotente.
I racconti della nostra vita non possono che passare attraverso la cortocircuitazione di questo sistema. Una rivoluzione vera fa questo. Invece vedo i politicanti, quelli che oggi si candidano a governanti della nostra vita, delle nostre città, lontani da quello che siamo noi. Lontani.