venerdì 24 giugno 2011

LA RICETTA PER USCIRE DALLA CRISI GLOBALE? IL SOCIALISMO.


La Grecia al collasso, la disoccupazione giovanile europea tra fasce d'età dai 15 ai 24 anni: 44,4% in Spagna, 36,1% in Grecia, 31,3% in Irlanda, 28,5% in Italia, 27,4% in Portogallo, ma non se la passano bene neppure i paesi più forti, Francia al 20,3%, Finlandia al 20,9% (fonte Der Spiegel).

Il grande problema è il debito pubblico di gran parte dei paesi della zona Euro. L'Italia è a rischio di collasso con i suoi conti pubblici e c'è il concreto rischio di un effetto domino provenienente dall'insolvenza della Grecia.

La questione vera è su quali presupposti è nata questa Europa, su quali basi. Il privato delle grandi banche e delle concentrazioni finanziarie, della piena libertà dei flussi di capitali a livello internazionale, in altre parole l'economia di carta telematica, il monetarismo è ciò che guida ogni politica nazionale e la politica della banca centraloe europea e del FMI.

Di fronte a questo grande collasso imminente, l'unica soluzione è azzerare i debiti, certo alla Castro, quando Fidel diceva che i paesi del terzo mondo rapinati di risorse dal debito con il FMI non devono pagare. Che paghino gli speculatori, che vadano a fanculo le agenzie di rating, che le banche rendano conto al centesimo su quello che fanno coi soldi dei correntisti e dei clienti di titoli, obbligazioni e quant'altro.

Per oltre un trentennio e passa abbiamo sentito il ritornello "privato è bello", che il mercato è il naturale regolatore dell'economia di un paese come del pianeta.
Balle, stronzate. Occorre un controllo da parte della collettività, quindi dello stato rispetto le scelte di politica monetaria e sul debito pubblico, sulla gestione delle risorse e dei beni comuni, sulla redistribuzione della ricchezza sociale. Invece questo accade solo sul prelievo fiscale, chissà perché, è?

Quindi, il cambio tanto auspicato dagli indignados e dai movimenti precari e dei lavoratori di tutta Europa, non può che basarsi su una rivoluzione del pubblico, dello stato, che esce dal primato dell'economia per entrare in quello della politica. Perché scegliere di dirotare soldi sulle fasce sociali più deboli è politica. Forse non risponde alle esigenze della borsa, ma a quelli dell'interesse collettivo sì.
Il privato si ferma dove subentra l'interesse collettivo che ci dice che prima viene la qualità della vita dei cittadini, poi e forse ma poi, il profitto.

Ecco perché la soluzione è il socialismo. Nelle forme possibili nell'epoca attuale, ovviamente, ma sempre di socialismo si tratta.
Tante analisi economiche servono a ben poco. I cosiddetti "tecnici" che piacciono alla destra come al centro-sinistra, devono lasciar posto alla politica. Non ai politici, alla politica: è altra cosa da questa partitocrazia che vive di corruzione, clientele, se non peggio, di criminalità mafiosa. E' la politica del bene comune, del primato dela collettività su ogni interesse privato.

Questo è un concetto che le orecchie dei vari Bersani non ascolteranno mai. No intiendo. Li faremo intendere noi, saldando i movimenti che stanno crescendo in Europa, da Atene a Madrid, passando per Roma e Parigi, con l'unico progetto politico possibile per riportare diritti di cittadinanza e qualità della vita, democrazia reale e difesa del bene comune e dell'eco-sistema: il socialismo.


martedì 14 giugno 2011

LA DEMOCRAZIA DIRETTA SPOSTA GLI EQUILIBRI POLITICI.


E' una vittoria della società civile, della democrazia di base. Che riporta i cittadini alla politica in un modo in cui la partecipazione popolare può esprimersi liberamente, direttamente: il referendum. Già nella grande manifestazione delle donne avevamo avuto una avvisaglia. Già nella nascita di comitati popolari e di espressioni politiche, “sindacali” di base si andava inverando una nuova storia, un nuovo racconto di questo paese. E questo andava di pari passo con la crisi del sistema berlusconiano, che tra scandali e inchieste della magistratura, per reggersi, doveva comprare onorevoli puttane, ricorrere ad atti arbitrari come lo spostamento dei referendum a data diversa da quella delle amministrative, come il tentativo di scippare quello sul nucleare agli italiani con falsi correttivi sulla legge che reintroceva le centrali nucleari alla faccia della pregressa espresione referedaria dei cittadini.
Dopo Fukushima, il nucleare diveniva un incubo per Berlusconi e per le lobbies che avevano lavorato a questo progetto.

Anche il Pd, che come si sa ha al suo interno nuclearisti e privatizzatori di varia specie, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e cogliere l'opportunità di indebolire il governo, annusando l'aria della slavina imminente. Ha cercato di cavalcare un movimento che ha scosso il paese dalle sue fondamenta e che ci dice in realtà che i comitati popolari, le associazioni della società civile, attraverso forme essenziali di esercizio di democrazia dal basso, possono modificare i rapporti di forza nella società, possono influenzare le stanze asfittiche della partitocrazia. Che attraverso la democrazia di base e solo attraverso essa i cittadini tornano alla politica.

Per questo, il 13 giugno resterà una data importante nella storia del nostro paese, un secondo 25 aprile, la liberazione delle coscienze rimaste inerti per decenni davanti alle narrazioni dominanti del berlusconismo, l'assunzione di una consapevolezza collettiva di poter mutare lo scenario politico, di poter influire sui destini del paese, di non essere più muti spettatori di scelte fatte da elite politiche ed economiche che non ci rappresentano.

Ma non solo. Questo voto così vasto, profondo è cosciente, non può essere liquidato come un “voto emotivo” davanti al dramma nucleare giapponese. Fukishima è stata la scintilla che ha dato fuoco alla prateria, ma gli eventi che si sono succeduti negli ultimi mesi, le elezioni e il referendum come epilogo di un processo in incubazione e che è emerso, danno la lettura di un paese reale ben diverso dai racconti di regime. Un paese fatto di giovani senza speranze, di dannati dell'imprenditoria piccola, familiare, che non ce la fanno, di ceti medi devastati dai debiti, di un mondo del lavoro precarizzato selvaggiamente, di espulsi dal lavoro in via definitiva, di cittadini che vedono il territorio e le risorse comuni messi in vendita come al mercato delle vacche, nel degrado e nell'inquinamento più selvaggio come in Campania.
Questa è l'altra faccia dell'Italia, quella vera, quella più vasta. Che ora sta prendendo coscienza di sé, del suo potenziale, del suo potere.

Così come ora la campana suona per Berlusconi, arrivato al capolinea. Certo, non si vende la pelle prima della sua fine, prima della fine concreta di governo in carica, ma le possibilità che questo governo superi il 2011 sono ormai esigue. La principale è emersa dalle urne di due appuntamenti elettorali, chiari, inequivocabili. Ma la seconda, non meno importante, è che questo governo ora è osteggiato da parti consistenti del capitalismo e della finanza italiane. Di fatto, dopo questo esito referendario, non può più garantire le plusvalenze derivanti da acqua e nucleare a realtà strategiche nel panorama economico del paese. Di fatto, la governance fin qui condotta, ha dato “il meglio” di sé nel risolvere i problemi di giustizia del presidente del consiglio, nel gioco osceno del salvare il re, fatto di bassezze di colpi di mano palesemente anticostituzionali, ha portato alla impresentabilità nel paese e nel mondo di Berlusconi. E con questa menomazione istituzionale, questa mancanza di credibilità politica, non si può governare.
Ma non è vero che il governo non ha fatto. Ha fatto eccome. Ma male e contro le aspettative di tutte le fasce sociali e categorie del lavoro e dell'imprenditoria. Iniquità, lobbismo, tagli lineari senza politiche intelligenti di sviluppo di alcuni ambiti primari del sistema Italia. Questo ragionamento serve per capire le forze politiche che si sono messe in moto con le manovre terzopoliste, ma anche l'altra faccia del voto alle amministrative e al referendum, che ci parla di parti sociali di cultura conservatrice che si sono staccate da quello che fino a ieri era il loro riferimento naturale.

Nella seconda ragione c'è un altro aspetto. Forse quello più decisivo: senza il placet del mondo cattolico in Italia non si governa. E in questo caso, per mondo cattolico intendiamo anche il Vaticano. La CEI in questi mesi si è espressa a più riprese sfavorevomente a Berlusconi, contrariata dalla condotta morale del premier. E anche su altri aspetti più politici: non era mai accaduto che alla vigilia di una consultazione elettorale, il Vaticano si esprimesse così apertamente contro le scelte del governo. L'appello di Ratzinger contro la scelta nucleare ha una valenza politica devastante per i giochi politici della coalizione givernativa.

La scelta di Berlusconi di ancorare gli esiti elettorali a un plebiscito sulla sua persona, di associare il governo di centrodestra alla sua persona, salvo poi fare una plateale marcia indietro ai primi risultati, hanno accelerato un processo di opposizione sociale trasversale e generalizzata.
A questo punto che succede? Che è solo questione di tempo, probabilmente poco. La Lega, in un remake della crisi di governo già vissuta ai tempi di Forza Italia, aprirà le danze. Questa alleanza con Berlusconi l'ha fatta perdere troppo nei suoi feudi del nord, dove ha perso città, dove c'èstata un'affluenza bulgara ai referendum. Il “basta prendere sberle” riassume tutto ciò che accadrà nelle prossime settimane.
Il PdL sta andando verso la dissoluzione. Non appena il governo cadrà, ci sarà la resa dei conti. Del resto la resa dei conti per spartirsi le spoglie tra i vari sudditi del del sovrano, di un'eredità politica sempre più pesante è già iniziata. A un certo punto diventerà una corsa col tempo, perché il terzo polo sta già affiorando, nonostante i suoi magri successi elettorali e il suo non protagonismo in quest'ultimo frangente politico. Raccoglierà le scorie della dissoluzione nell'ottica di una ricomposizione del centro-destra. Vivaddio di un polo conservatore di principi ispiratori costituzionali e democratici.

Questo processo va visto con favore, ovviamente. Ma non va sostenuto o addirittura visto dentro a un quadro di alleanze politiche come nel disegno di D'Alema emerso a Macerata. Il PD ha la pessima abitudine di raccogliere i favori elettorali di una sinistra di popolo, che poi va a consegnare alle forze e alle politcihe peggiori, neoliberiste, del capitale italiano. Fini, Montezemolo, Casini e soci, questo rappresentano.
E' quindi importante vedere questo successo della democrazia di base come un punto di partenza irriducibile alle strumentalizzazioni di palazzo. Anche quelle di “sinistra”. La forza maturata con i referendum su aspetti basilari come la salvaguardia del bene comune dagli appetiti dei pescecani di sempre, e un modello energetico alternativo, deve svilupparsi in più mature e incisive iniziative sociali, che mettano in discussione seriamente il “modello di sviluppo” imposto da un'oligarchia industriale e finanziaria che ha aderenti in tutto il quadro partitico istituzionale, almeno fino al PD.

Si è aperta una nuova fase politica nel paese, in cui diviene possibile cambiare aspetti strutturali della vita economica e sociale. E per questo, sarà bene non smobilitare, anzi, vigilare e proseguire nell'azione politica dal basso. Soprattutto perché ora, i pericoli più grandi per un'alternativa politico-sociale ed economica a questo modello di sviluppo, sono l'inerzia, il rilassamento dopo la vittoria da una parte, e dall'altra i tentativi di un'uscita dal berlusconismo in chiave neocapitalistica. Un asse terzo polo-PD che si va a impadronire della scena politica, a causa di un ceto dirigente democratico più attento alle voci dei comitati d'affari che a quelli popolari. Non dimentichiamoci che se siamo arrivati a questo punto è perché a dominare le scelte dei più diversi governi, tra inciuci ed alternanze a copia carbone, è stato un capitalismo che ha finanziarizzato l'economia, seguendo il mainstream monetaristico delle potenze economiche occidentali, con l'aggravante tutta italiana del parassitismo, del campare sui soldi pubblici e sul costruire fortune sulla ricchezza sociale e le risorse pubbliche del paese.

giovedì 9 giugno 2011

BATTISTI CASO CHIUSO. E SARA' IL CASO.


Stamattina, alle cinque ora italiana, un uomo dal volto stanco è uscito dal carcere della Papuda a Brasilia, dopo quattro anni di tira e molla tra governo italiano e quello brasiliano. La Corte Suprema brasiliana ha dato torto al ricorso dell'Italia e rimesso in libertà l'uomo più perseguitato dalla stampa e dall'opinione pubblica nostrana negli ultimi vent'anni. Il simbolo di una stagione di lutti e lotte, gli anni '70, su cui ancora in realtà non è stata messa una pietra sopra, non c'è stata una chiusura condivisa.

E' un volto che riassume bene la stanchezza che viene spontanea nel ripensare ad anni tragici, ben più complessi delle versioni demagogiche che vanno in voga a destra e a sinistra, con i forcaioli di sempre, quelli che avrebbero buttato via la chiave a Valpreda e basta, quelli che la P2 e lo stragismo sono stati una risposta a dir poco legittima al pericolo comunista e quelli che i morti in piazza, ai posti di blocco, la caccia alle streghe su tutto un movimento non sono mai esistiti, sono fatti neutri nella contabilità di una reazione dello stato al terrorismo e all'estremismo violento, che liquida la ricchezza delle istanze, le aspettative, le pratiche di rottura sociale e politica che un'intera generazione non certo venuta dal pianeta papalla ha posto in opera in quegli anni.Tragici eppure strordinari, come li definiscono Primo Moroni e Nanni Balestrini, gli anni dell'Orda d'oro.

Ma il mainstream mediatico e sostenuto da tutta la partitocrazia si è messo in moto, tra cartelli bipartisan al Parlamento Europeo che dichiarano Battisti un assassino, nella migliore tradizione del KKK e delle reazioni forcaiole più ottuse, e minacce di ritorsione, chiacchiere e fole, chiacchiere e spacconate, chiacchiere e distintivo. Come se l'Italia non avesse altri problemi da discutere nel luogo massimo della comunità europea e nel paese. Come se ognuno dovesse per una sorta di liturgia delirante dare il suo segno di isteria inconsulta, altrimenti "non sta bene".

Poco importa se negli altri paesi, quelli civili, come la Francia, le opinioni sono diverse e tutte con la medesima dignità. Poco importa che il fior fiore dell'intellettualità mondiale stia combattendo da anni perché a Battisti vengano riconosciuti i diritti a un processo regolare e non inquinato da pentiti ai limiti della demenza, in condizioni di contumacia (qui è possibile avere un'informazione esaustiva sul modo in cui è stato gestito l'affaire Battisti dai giudici italiani).

Che Battisti sia un assassino così come indubitabile era la fede nazista di Hitler, è un fatto che non lascia scampo ad altre opinioni, che criminalizza in Italia chiunque non la pensi così. Così assistevamo nei mesi scorsi alle liste di proscrizione sugli autori che avevano aderito agli appelli pro-Battisti mettendo all'indice i loro libri in tutto il Veneto, da parte di esponenti fascisti di Lega e PdL (perché fascisti sono con questa azione), e nel silenzio omertoso di un PD impermeabile a ogni ayttacco alla libertà di stampa che non sia una scorreggia contro Berlusconi.

In questo paese pietà l'è morta per una visione garantista autentica, che non siano i piagnistei arroganti di un presidente del Consiglio che smantella i dispositivi di indagine per inquinare le prove a suo carico in fatti di varia natura che ben conosciamo. Anche a sinistra i tifosi della magistratura osannano i magistrati a prescindere e su fb è un susseguirsi di pagine pro Borsellino, pro Falcone, pro De Magistris, che farebbero pure piacere, se questo fanatismo non celasse un giustizialismo acritico, una visione della legalità imbecille e astratta. Come se la lotta dei giusti, da Gandhi a Luther King e Rosa Parks, non avesse avuto come condizione per la giustizia sociale e per i diritti la violazione di leggi ingiuste e partiche politiche non sempre legali.

Ecco, questa la melma mefitica che sobbolle ai piedi di Battisti, che aleggia sulla sua vicenda. Ora però basta lo diciamo noi. Lo diciamo noi che abbiamo visto e compreso il dramma di un uomo che non è più un proletario armato. Forse per il comunismo sì, ma questo non è reato. O non lo è ancora. Il dramma di una persona che è stata strumentalizzata esattamente come i parenti delle vittime del terrorismo, per una ragione di stato che non ha proprio avuto ragione. O per lo meno non solo lui l'ha avuta. Un prigioniero, esule e poi ancora prigioniero e poi latitante e prigioniero ancora, che ha subito la persecuzione di una condanna mai rimessa in discussione. I giudici dell'epoca non potevano sbagliare. Il teorema deve esistere per sempre. E Battisti ne è la prova.

Ora però basta lo dice anche il tribunale di un paese sovrano: dopo un giudice, dopo l'allora Presidente del Brasile Lula, oggi anche la Corte Suprema, sei voti a tre. Un Brasile moderno e democratico, non un Brasile dei gorillas. Un paese civile. Quindi, il caso è chiuso. E' proprio chiuso. Il resto sono le chiacchiere della grande rappresentazione dei pulcinella e delle guardie.


(altre info: http://www.carmillaonline.com/)

domenica 5 giugno 2011

PER UNA POLITICA DEI COMUNISTI. LA TATTICA NEL NUOVO QUADRO POLITICO-SOCIALE


Io mi chiedo perché i comunisti non fanno i comunisti. Finiscono sempre per dividersi. C'è chi fa conventicole settarie nella migliore tradizione dell'estremismo o comunismo "di sinistra". O chi si burocratizza in politiche di palazzo, senza palazzo.

Vediamo allora quale sarebbe il da farsi.
Innanzi tutto, l'esempio più calzante, anche se apparentemente lontano, ma molto eloquente sul piano metodologico è il lavoro politico del PCI durante la Resistenza. Con tutti i vantaggi di un'azione politica alla luce del sole e nel pieno riconoscimento e adesione del contesto democratico vigente.

Quello che interessa è come sempre il rapporto tra avanguardia politica e classe, tra partito e masse, più in specifico tra soggettività comunista e movimenti.
Anche presupponendo una disunione tra forze comuniste, diviene vincente la costituzione di comitati popolari su tematiche specifiche e la partecipazione a quello già esistenti, dal lavoro all'istruzione, dai rifiuti all'acqua bene pubblico, dal pacifismo alle diversità di sesso.

Come riuscirono i comunisti a coordinare e sviluppare le lotte in fabbrica, ad arrivare agli scioperi del '43 nei poli industriali del nord Italia? Le condizioni oggettive ossia l'occupazione e la repressione nazifascista, unite alla miseria e alla fame alimentavano le condizioni soggettive sociali della lotta antifascista che si andava così diffondendo tra la popolazione come attitudine all'azione.

Così anche oggi, la crisi che sta dilagando e che non ha ancora toccato il picco "greco" in Italia, presuppone un lavoro di organizzazione politica di massa all'interno della realtà in cui vive, lavora e agisce "istintivamente", su tematiche specifiche la classe.

Lo scopo è estendere l'organizzazione dal basso delle avanguardie più coscienti è stringere allenaze con settori colpitio anch'essi dalla crisi (tenere presente dell'allargamento delle condizioni di immiserimento della classe media), in previsione della cr3scita di un movmento d'opposizione più vasto e della sua stabilizzazione. lavorare per questo per arrivare a degli stati generali ancora più maturi delle attuali lotte in Spagna. Essere i portatori attivi dell'esercizio della democrazia diretta, elemento imprescindibile per ridare corpo sociale a una democrazia corrotta e devastata dalla partitocrazia, dai comitati d'affari, dall'influenza trasversale del potere capitalistico sulla politica italiana.

Tra tutte le forze politiche comuniste oggi presenti nel paese, non ve ne è una che abbia questa cognizione lenin-gramsciana della lotta politica. Ma l'unica che può avere una forza d'impatto più incisiva è Rifondazione Comunista. Nonostante la perdita numerica e di autorevolezza, le scissioni, la non presenza in ambiti istituzionali a partire dal Parlamento.
Questo tracollo va vissuto come dei colpi subiti dalla repressione. Quanti partiti comunisti hanno poi avuto la forza di correggere gli errori tattici e politici e di fare tesoro dall'esperienza pregressa!

Comitati popolari, presenza nei movimenti, allargamento delle alleanze a settori che probabilemente non abbiamo mai sentito come affini, ma che probabilmente sul terreno della finanziarizzazione e del monetarismo imperante, di devastazione e impoverimento sociale possono svolgere un ruolo attivo di opposizione.

L'opzione vendoliana non ha gambe e crollerà sotto il peso delle contraddizioni politiche con il PD, non appena lo sviluppo poderoso di un ciclo di lotte sociali scombinerà le carte in tavola.
Il centro-sinistra può servire oggi per allargare spazi di democrazia sociale, ma non ha alcuna portata strategica nella politica italiana da un punto di vista di classe, di affermazione degli interessi sociali delle classi popolari.

CHE SALO' RESTI NELLE FOGNE


Ancora una volta dal PdL arriva la proposta di equiparare il trattamento pensionistico dei repubblichini di Salò a quello dei partigiani e dei soldati italiani che dopo l'8 settembre 1943 combatterono nell'esercito italiano, a fianco delle truppe alleate.

La motivazione, alquanto bizzarra, sarebbe perché il conflitto che oppose i militari della Repubblica Sociale Italiana alla Resistenza partigiana fu una guerra civile.

Già suona strano il fatto di mettere sullo stesso piano chi combattè per una società libera dalla dittatura fascista, dunque democratica e chi fu con il fascismo stesso. Infatti non mi risulta che le forze politiche antifasciste, dal PCI alla DC, passando per i liberali e gli azionisti, abbiano realizzato nel dopoguerra una repubblica socialista di stampo staliniano.

Ma poi è il concetto stesso di guerra civile a stridere, poiché il convitato di pietra di questo ragionamento è la presenza dell'esercito di occupazione nazista. Dunque la Resistenza armata al nazifascismo non fu guerra civile, bensì guerra popolare di Liberazione.

Sotto questa luce non c'è dubbio che i repubblichini sono stati considerati e sono tutt'ora da considerarsi traditori della patria.

Non facciamoci ingannare dalle frasi roboanti di un falso patriottismo. La realtà di Salò era la collaborazione sanguinaria con le truppe di occupazione tedesche. I repubblichini erano partecipi delle deportazioni di cittadini italiani, militari, ebrei, giovani buoni per il lavoro forzato in Germania. Sanguinaria perché le torture, gli eccidi sulla popolazione, la distruzione di case e borghi, i saccheggi sono state pratiche del nazifascismo, non dei partigiani. Pratiche tipiche di un esercito occupante di un regime totalitario.

Non che il concetto di patria (sono orgoglioso di essere italiano proprio grazie al Risorgimento e alla Resistenza), mi impedisca di avere una nozione più vasta di patria, ossia il mondo e di un sano internazionalismo che lega tutte le classi popolari oppresse e sfruttate del pianeta. Ma l'accusa di traditori della patria, ossia del popolo italiano, ai repubblichini ci sta tutta.

Non mi interessano i "casi umani" di Pansa, dove di notte tutte le vacche sono nere. Su questi non si fa ricostruzione storica e analisi politica. Su questi non si mantengono salde le ragioni della nostra democrazia, la genesi costituente della nazione, che unisce il nostro popolo, che lo ha fatto entrare in un contesto più vasto di modernità europea a testa alta, pur con tutte le contraddizioni della nostra storia. Pur con la strategia della tensione e i condizionamenti forti che ha avuto la nostra democrazia in decenni di regime democristiano, e tutt'oggi con il berlusconismo, volto osceno del piano di rinascita "democratica" di stampo liciogellista. Pur con i rischi di un ritorno indietro di settantanni sui diritti del lavoro, i diritti civili e di cittadinanza, che oggi sono più che mai incombenti, anzi, in atto.

Anzi, proprio per tenere la barra dritta a un processo democratico nell'economia, nel sociale, nella cultura e nei media, occorre contrastare queste mene revisionistiche. Fanno parte di un progetto di smantellamento selvaggio delle conquiste sociali e sindacali. Le parti migliori della società italiana, non è retorica, scrissero col sangue la storia futura del paese, le potenzialità di una democrazia che mette al centro il bene comune, che limita il potere privato sull'economia, nell'interesse collettivo, che rende tutti i cittadini uguali davanti alla legge, che ripudia la guerra perché è stata vissuta sulla pelle dei nostri padri ed è una barbarie che deve uscire dal consesso umano. Queste potenzialità difendiamole, ci sono ancora. Non buttiamole via con un riconoscimento postumo della peggior feccia della storia italiana.

UN BILANCIO DOVEROSO DEL DOPO ELEZIONI


Facciamo un bilancio sulle ricadute politche delle ultime elezioni amministrative e degli scenari che si aprono in Italia.
Con questa tornata elettorale vediamo un'avanzata delle sinistre in tutto il paese. Si prefigura il declino del berlusconismo e con tutta probabilità, se la partecipazione ai referendume del 12 giugno sarà vasta e si raggiungerà il quorum, il governo Berlusconi sarà ancora più in difficoltà, con rese dei conti interne, fughe neodemocristiane verso un nuovo centro con Casini (vedi la scelta di Scajola), sfaldamento della maggioranza comprata da Berlusconi a suon di denari e poltrone.

Ma questo successo non deve galvanizzare troppo la sinistra. Perché se andiamo a vedere le sue cause, queste non sono certo da attribuirsi a una buona politica di opposizione: il PD ha mancato tutti gli appuntamenti importanti, con una sequela di astensioni e defezioni in Parlamento, con l'ambiguità verso la questione del lavoro (vedi le posizioni contraddittorie sulla questione Fiat e le politiche sul lavoro dove amministra), con il legame inesistente verso i movimenti che si sono sviluppati autonomamente sulle più disparate questioni.
Dall'altra parte vediamo l'azzeramento sulla scena politica della sinistra radicale, cosa che non può essere imputata al solo oscuramento mediatico, che tanta parte comunque fa nel visibilità ai soggetti politici e sociali.
Vediamo un Vendola che esaurisce nei tatticismi e nei compromessi la sua vis iniziale nel popolo di sinistra e non viene seguito a Napoli alla prima tornata, avendo scelto Morcone, il candidato del PD.
Al contrario vediamo settori della borghesia italiana sganciarsi dal berlusconismo e in particolare gran parte del mondo cattolico, che non ha gradito le performance libertine (per usare un eufemismo, visto che qui si tratta di minori e di prostituzione) di Berlusconi. E questa contraddizione in seno al fronte clerico-moderato ha giocato in modo decisivo.
Inoltre, è fisiologico, ed è il male della democrazia rappresentativa, che chi sta al governo e prende decisioni impopolari, ne paghi poi le conseguenze. Ogni apprendista stregone che interpreta gli interessi del potere capitalistico, che sia socialista o conservatore, ne paga poi le conseguenze in consenso sociale ed elettorale. Lo si è visto in ultima battuta con Zapatero e le amministrative spagnole. Ancor prima con la Merkel, a fronte di una crescita tedesca del 4%, il che può sembrare un'incongruenza, ma poi andiamo a vedere quanto e come sono state colpite le fasce sociali meno abbienti germaniche.

Ma c'è un'altra causa, in parte legata al raginamento precedente. Vediamo una resa dei conti anche nel capitalismo italiano, con l'emergere di nuovi punti di riferimento alternativi alla gestione del gattopardo di turno, quello che è stato l'erede del potere democristiano.
E in questa resa dei conti si inserisce l'opzione neocentrosta del PD, capitanata da D'Alema, che con lo strombazzamento dell'alleanza alle provinciali di Macerata, lancia un segnale importante: no alle primarie, quindi no a una democrazia rappresentativa dentro il popolo di sinistra, si ad accordi e a politiche congiunte con il terzo polo, un santa allenaza con le parti non berlusconiane del capitalismo italiano, che mantenga i privilegi di sempre e le preferenze verso la finanza e l'industria parassitaria nostrane nelle scelte di politica economica. Con tutte le ricadute in compromessi e accordi che svendono questioni come la laicità, i beni pubblici e rilancino la solita gestione affaristica o di appalti al ribasso nelle amministrazioni locali. Insomma l'ingessatira dela democrazia italiana a favore dell'oligarchia politica ed economica che sta occupando da sempre le istituzioni e i gangli vitali dell'economia italiana.

Quindi c'è poco da esultare, ma c'è molto da fare rimboccandoci le maniche e vedere le prospettive di cambiamento che stanno affiorando e di cui l'esito delle amministrative e con tutta probabilità dei referendum ne sono solo un timido e prematuro segnale.
Il neocentrismo dalemiano da una parte e il tentivo vendolino di spostare l'asse della politica del PD verso forme più ampie e partecipate di politic rappresentativa e trasversale ai partiti, sono due opzioni divergenti, ed entrambe fallimentari.
La prima fallimentare per le classi popolari, che perdono quel poco che ancora c'era nel PD di sinistra e di democrazia partecipata, di centralità del lavoro, di pacfismo, di tutela del bene comune.
La seconda fallimentare per i movimenti, perché il vendolismo, questa mutazione camaleontiaca di alcuni postulati tipici e vitali per la sinistra radicale, questo stemperamento demagogico delle valenze politiche che costituiscono il cuore vero della sinistra d'opposizione che deve crescere se se vogliamo il cambio (per dirla alla spagnola), ossia l'anticapitalismo, ha dele gambe molto corte e già oggi vediamo i primi scricchiolii.

L'unica opzione possibile non può che partire da questi punti che riassumo in sintesi:
A) la crisi di sistema che sta devastando l'Europa e che ha colpito mortalmente paesi come la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo, toccherà in modo profondo anche l'Italia. Ne abbiamo tutti i sintomi e, tra breve il debito pubblico in crescita farà saltare il banco.
B) Le socialdemocrazie e i laburismi non costituiscono un'alternativa al neoliberismo e al monetarismo, alla politica finanziaria selvaggia che detta legge al di là del tipo di govrno che sia in carica. Le misure prese sono solo delle varianti di uno stesso quadro economico intangibile. L'abisso che separa l'economia reale e la vita dei cittadini, in particolare dei settori più disagiati, del mondo del lavoro dipendente e autonomo, del precariato, dalla finanziarizzazione dell'economia di carta e di speculazione di borsa è una questione che nessuna delle parti politiche in alternanza nei paesi europei mette in discussione. Alla fine le risorse finanziarie per chiudere i buchi e disattivare le bolle vanno sempre alla finanza, al sistema bancario, che oltretutto ne fa un uso ulteriormente speculativo. Lescelte del governo socialista greco e di quello spagnolo di Zapatero sono ben eloquenti. Anche in tempi di vacche magre, la scelta è sempre quella di cedere ai diktat del debito verso la banca centrale europea, il FMI, le banche dei paesi della comunità europea, accettando la devastazione sociale, la riduzione in miseria della maggior parte della popollazione, la svendita dei beni collettivi, delle risorse nazionali, delle società pubbliche che gestiscono settori vitali dell'economia di un paese.
Il nostro centro-snistra non farà diversamente. Vendola o non Vendola.
C) L'inasprimento inevitabile della crisi porterà a episodi di lotte sociali vaste, che il centro-sinistra non raccoglierà se all'opposizione e che reprimerà se al governo.
D) Ci attende un lavoro preparatorio nei movimento già esistenti, nei sindacati, nelle realtà di base di ogni tipo per creare organizzazione dal basso. Perché la democrazia diretta, il protagonismo politico dei soggetti in lotta e la partecipazione democratica dei lavoratori e delle più diverse realtà sociali del lavoro sarà l'unico percorso possibile per avviare un reale cambiamento della società italiana, nel quadro di un cambiamento internazionale dei rapporti di forza tra potere capitalistico della globalizzazione e del monetarismo selvaggio e classi popolari che subiscono l'implosione e i limiti del capitalismo giunto a questa fase di impossibilità di ulteriore sviluppo.