venerdì 19 agosto 2011

IMPARARE DALLA NOSTRA STORIA.


Cito due punti dell'intervento di G. Marinos, membro dell'Ufficio Politico del Comitato Centrale del KKE al 12° IMCWP - Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai - 3-5/12/2010 - Tshwane - Sudafrica

"Siamo in opposizione al Partito della Sinistra Europea, in cui la Die Linke tedesca svolge un ruolo di primo piano, perché difende l'Unione europea imperialista e dipende da essa. La sua strategia socialdemocratica di gestione del sistema che promuove con l'assistenza del capitalismo alle campagne diffamatorie contro l'URSS e il socialismo edificato nel 20° secolo, da una posizione anticomunista e antistorica, diffonde confusione tra i lavoratori e impedisce lo sviluppo della coscienza di classe politica." (...) "Per questo motivo il doloroso rovesciamento del socialismo in Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti, e in tutti i cambiamenti controrivoluzionari causati dalla corrosione opportunista, non modificano il carattere della nostra era quale epoca di transizione dal capitalismo al socialismo."

Il perché di questa citazione è presto detto. Senza sminuire i meriti del KKE nella battaglia sociale anticapitalista in Grecia, quale forza interna e propulsiva del movimento operaio e di classe, la prima domanda che mi viene spontanea è: ma non abbiamo imparato nulla dalla nostra storia? Ci sono ancora forze politiche comuniste che ritengono l'URSS un'esperienza progressista, di liberazione umana dal lavoro salariato e di affermazione della classe operaia, dele masse contadine e della società intera dallo sfruttamento capitalista?

Se non si capisce il legame indissolubile tra libertà democratiche e civili, in cui l'URSS-Patto di Varsavia ed esperienze analoghe non hanno certo brillato, e lo sfruttamento dei lavoratori in un sistema che si basa ancora sull'appropriazione di lavoro umano a favore di un'elite o un'oligarchia in questo caso di stato, non si va tanto in là. Così come la visione del partito comunista come partito unico e la sua forma partito "classica". Abbiamo visto che questo ambito, pur di massa finché vuoi, è stato espressione tutt'al più momentanea della democrazia diretta dei lavoratori e della masse popolari.

Dobbiamo capire il perché poi questa "forma partito" sia diventata nei fatti esattamente come qualsiasi forza politica borghese egemone in un sistema capitalista qualsiasi, nel limitare questa democrazia sociale e di classe, nell'irregimentare nel nome del socialismo le masse operaie e contadine in una realtà politica che ha una sola linea. Le situazioni di eccezionalità (aggressioni imperialiste esterne, controrivoluzioni interne, necessità di sviluppo economico, ecc.) non sono giustificazioni, perché un processo riviluzionario si troverà sempre in una situazione di eccezionalità, ma più in dettaglio, perché non esistono giustificazioni, pena: lo snaturamento della rivoluzione comunista stessa.

Esistono pertanto nella sinistra due tendenze profindamente erronee: la prima, quella che nel nome di "sacri principi" (sacralizzare in modo laico?), non fa in conti con la storia e si schiera spesso con i peggiori tiranni semplicemente perché "antiperialisti" (non era Stalin che sosteneva che l'emiro che si contrappone all'imperialismo è alleato del movimento operaio? Raccontiamo questa storiella alle donne nei regimi intergralisti islamici! E se il partito comunista siriano mi dice che in Siria c'è un processo riformista contrastato da forze islamiste, mi metto a ridere... il riformismo dei carri armati, grazie, già visto). Sono i CONSERVATORI. Anche in Italia ci sono segmenti politici che si rifanno all'ortodossia comunista, e vedono per esempio la Cina come paese socialista, considerandola un modello o esperienza di uno sviluppo del comunismo. Aberrazioni da iperanalismo cattedratico. Orfanismo alla ricerca del vecchio papà.

Parlo per esempio dell'Ernesto, di cinarossa.org e dei vari gruppuscoli filocinesi. Occorre avere il coraggio di affermare che costoro ostacolano la liberazione della classe operaia e delle classi popolari sfruttate divenendo funzionali alle forze borghesi e ai capitalisti, che in Cina di grassi affari ne fanno eccome, a discapito dei lavoratori cinesi totalmente privi di diritti sindacali (ma è socialismo, compagni!). Perché non vedono come la Cina, al di là delle loro stravaganti considerazioni da arrampicata sugli specchi, sia retta da un'oligarchia di sfruttatori, che la limitazione delle libertà democratiche e civili è organica al supersfruttamento con salari da fame dei lavoratori industriali e agricoli. Che le aree in cui non vi è ricchezza sociale non sono un limite da colmare nello sviluppo economico, ma sono esattamente funzionali al profitto capitalistico delle multinazionali che vanno a sfruttare la manodopera in quel paese. Forse che gli operai cinesi sono diversi da quelli nostrani? Qui giustamente si urla come aquile a ogni attacco padronale, e là?

La Cina è un grande carcere a cielo aperto a servzio completo per gli sfruttatori del pianeta.

So che la parola che sto per dire farà accapponare la pelle a chi pensa ancora al socialismo del '900 come a un'esperienza positiva: pluralismo. Si può pensare a una società di transizione che non limita le libertà che nascono dal popolo, dalla classe, ma le amplifica. Non parlo di una banale democrazia borghese, che oggi sta andando verso un fascismo imperiale ed economico, con un capitalismo sempre più in crisi.

Questo è autoritarismo ammantato di democrazia, ma in realtà c'è il controllo dei media, il monopolio della forza e della giustizia. In pratica c'è l'egemonia delle reti canaglia, dele lobbies. E qui gioca la seconda tendenza erronea, già fuori dalla sinistra stessa: i TRADITORI. Sono quelli che hanno sposato questo sistema così com'è e appoggiano tutto: rapporti tra capitale lavoro, spoliazione della ricchezza sociale nel nome dei mercati, guerre di rapina e quant'altro. In Italia la maggior forza di costoro è il PD. Un asse che va da Bersani a Di Pietro, passando per il populista Beppe Grillo.

E dentro questo solco ci sono anche certi INNOVATORI, ossia quelle soggettività politiche che partendo talvolta da considerazioni anche giuste sull'arretratezza di una politica comunista "ortodossa", finiscono però col buttare via l'acqua sporca col bambino, approdando a un mero appiattimento politico come le socialdemocrazie e quella "sinistra" filocapitalista del tutto interna al pensiero unico imperialista.

Tendono a confondere la democrazia borghese con la democrazia in generale, pensano che non possa esistere altra forma democratica, non comprendono che la battaglia sociale per i diritti dei lavoratori e delle masse popolari va inquadrata in una lotta politica per l'abolizione delo sfruttamento, degli attuali rapporti tra capitale e lavoro. Tradiscono gli ideali e la prospettiva stessa del comunismo e finiscono con l'essere le mosche cocchiere del capitale e dei traditori. Vendola e il suo protagonismo che ha ridotto la politica a una versione pseudo-libertaria del culto della persona, è sulla "buona" strada.

Dobbiamo trovare dunque una strada nuova, senza abarbicarci ai vecchi modelli. Come sarà il cambiamento che vogliamo? Di primo acchito, mi viene spontaneo dire: così come abbiamo reso illegale il fascismo per Costituzione, andrebbero resi illegali anche lo sfruttamento delle persone, il monopolio dei media, l'esistenza di cricche di regime che agiscono al di sopra dei dettami costituzionali stessi.

Questo è un buon punto di partenza per comprendere che la democrazia, il pluralismo deve avere dei paletti. E' la "conditio sine qua non" per sviluppare una democrazia pluralista con al centro un sistema legislativo di diritti dei lavoratori, dei cittadini che deve restare INTANGIBILE. Un ambiente "naturale" per portare la società verso il comunismo, verso l'abolizioni dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, quindi delle classi sociali (il che non significa "tutti uguali", ma questo è un altro discorso).

Tra questa configurazione politico-costituzionale che ho messo in piedi col puro buon senso (credo) e il partito unico c'è una differenza abissale. Quest'ultimo è l'altra faccia dello sfruttamento capitalistico e dell'autoritarismo. Dietro il mito roboante del socialismo e del suo partito, c'è stata e ahimè credo che ci sarà ancora in forme più o meno "rinnovate", una casta "da dacia con piscina".

Ma più in concreto, andando più dentro la struttura dei rapporti sociali, va ripresa la visione forte dell'operaismo e dell'autonomia operaia, che è autonomia (negazione, abolizione) dallo sfruttamento capitalistico e dalle sue forme di controllo politico e sociale, è autovalorizzazione proletaria che non esalta il suo essere in quanto tale (elemento comune a tutti i riformismi e le ortodossie), ma punta alla propria abolizione di soggetto alienato nel processo lavorativo e nella sua riproduzione in quanto essere funzionale agli schemi di vita e realzioni imposti dal sistema capitalistico. E questo vale sia a est che a ovest! Questo vale tanto più oggi che il capitalismo non assicura più neppure il salario come mezzo di mera sopravvivenza della forza-lavoro. Nel momento in cui la finaziarizzazione ha reso simbolico e immateriale il valore e concreta la rapina di beni e ricchezza scociale, in flussi inconsulti di capitali che ci stanno portando verso il default dell'econmia mondiale.

Ritrovare un'autonomia di classe significa sabotare tutti i meccanismi del comando capitalistico, far saltare il banco, invadere le strade e le piazze, occupare i i luoghi di lavoro e i luoghi della nostra esistenza sul territorio. Significa non pagare il debito, significa riappropriarsi di quanto appartiene alla collettività, al di là della giustizia borghese. Significa autogestione senza che un capetto venga a dirci cosa va fatto, sostituendosi meramente al padrone. Significa una testa un voto e revocabilità immediata delle rappresentanze direttamente da chi le ha elette, così come sottolineava Marx nella Comune di Parigi.

Si capirà dunque, quanto sia angusta la forma partito che molti compagni ripropongono come un mantra nostalgico.

No al lavoro salariato in quanto tale, sì alla ricomposizione del soggetto umano in un'attività non alienata, ma ricomposta in una dimensione liberata dai tempi del profitto e dalle modalità alienanti per ottenerlo. Al centro è il cittadino, la persona e non il profitto, né per fini privati, nè per piani quinquennali del cazzo (che sono poi falsamente sociali).

E' ovvio che questa è una linea generale che attraversa tutte le mediazioni dovute alle fasi storico-politiche e alle condizioni economiche possibili. Ma è la condizione essenziale per rinnovare il comunismo, "il movimento che abolisce lo stato di cose presente" da un punto di vista autenticamente di classe e oltre le formazioni economico-sociali basate sulle classi. Quel punto di vista che Marx sosteneva essere e diventare universale in un processo rivoluzionario.

Il Marx rivoluzionario era quello dei Grundrisse.



venerdì 12 agosto 2011

IL VALORE DI UNA LOTTA.


Quando una lotta assume caratteri e finalità universali, ossia pertiene la liberazione da un regime odioso e afferma i diritti di una società nella sua interezza, questa è una lotta di grande valore.

E' preziosa sia per chi la conduce, che per chi non vi partecipa. Persino per chi la contrasta e sta dall'altra parte della barricata. E i comunisti, soprattutto la tradizione politica italiana, annoverano episodi di lotta di questo tipo. Si può dire che questi siano alla base del movimento comunista (pur con tutte le sue contraddizioni e diversità)

Lo abbiamo visto con la politica del PCI nella Resistenza, che ha ben interpretato la questione sostanziale della guerra partigiana: la liberazione dal fascismo e dal nazismo e la ricostruzione del paese nella democrazia e nel protagonismo sociale delle classi popolari e della società italiana tutta.

Lo abbiamo visto in specifico con la difesa delle fabbriche e delle infrastrutture da parte dei lavoratori e delle formazioni partigiane, di fronte alla canaglia nazifascista in rotta, nelle giornate dell'insurrezione generale nell'alta Italia.

Lo abbiamo visto nel '68 e negli anni '70, con movimenti che volevano nella loro ingenua velleità essere alla base di una riappropriazione sociale collettiva di vita, di ricchezza sociale, di saperi, di espressioni e comportamenti non normati. Che volevano dare una visione diversa della rivoluzione oltre gli schematismi del mito del lavoro e del "sacrificio operaio", di una collocazione rivendicata come socialista nel sistema dello sfruttamento.

Movimenti che hanno perso ma solo in apparenza, dopo battaglie sociali che hanno sedimentato nella società processi di liberazione femminile, di conquiste di diritti laici come il divorzio e l'aborto. Che dopo viaggi carsici, vanno ponendo anche oggi le basi per una rinnovata critica politica dell'esistente e l'esigenza di un'autonomia di classe dai tempi e condizioni di vita imposte dal sistema economico-sociale attuale.

Tutto questo si chiama patrimonio storico di stagioni di lotta lungo decenni e decenni. E un denominatore comune essenziale è il valore di questo patrimonio, riassumibile, al di là dei singoli paradigmi ideologici nell'affernazione di diritti universali al benessere e alla felicità della cittadinanza. Nella difesa del bene comune, che i lavoratori, i cittadini, ieri come oggi, riconoscono anche nelle strutture produttive di proprietà del padronato.

Una coscienza profonda dell'appartenenza dei beni alla società e un senso di giustizia nella loro amministrazione, che definisce quello che è l'imprinting della società civile. In questi ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria malversazione da parte di comitati d'affari più o meno occolti e collusi con i peggiori poteri mafiosi, tra corruttele e gestione criminale della cosa cosa pubblica. Abbiamo visto i perversi meccanismi di spostamento e appropriazione di ricchezza sociale, frutto di una spregiudicata voracità che non ha eguali e confini.

Come un rubinetto aperto e inarrestabile, dopo il crollo del mondo diviso in due, i centri di potere finanziario sono andati ben oltre l'usuale accumulazione di capitale mediante le usuali regole di realizzazione di profitto nella produzione capitalistica e nel mercato della compravendita di merci.

Una nuova forma di deliquenza in rete, legalizzata, tollerata, favorita dalle oligarchie e dai centri di potere del capitale ha inaugurato la nuova era delle bolle speculative, dell'insider trading.

Di colpo interi paesi vengono colpiti nel fianco più esposto: il debito pubblico, in un dissanguamento senza fine di risorse sociali, di ricchezza prodotta da una comunità intera. Con governi addomesticati a queste nuove regole, con classi politiche che rappresentano vere e proprie succursali di poteri più alti e sovranazionali, che continuano a versare caraffate di acqua (denaro nostro) negli scolapasta dei mercati finanziari, litigando semmai sullla forma e il colore delle caraffe.

Ma questo per dire che il senso del collettivo, del bene comune e quindi della cittadinanza e del paese ce l'hanno non gli speculatori chi li appoggia nel nome di falsi interessi nazionali. Ma ce li ha ora come allora, chi si ribella a questo meccanismo perverso, comprendendo che i boscaioli voraci stanno tagliando il ramo sul quale siamo poggiati tutti, loro compresi.

Il mondo sta arrivando a una svolta. Nel declino e nella decandenza del sistema capitalistico a dominanza USA, si vanno affacciando sullo scenario internazionale altri attori, probabilmente meno anarchici sul piano della gestione economica, meno liberisti, ma comunque portatori di un ordine economico non dissimile da quello del capitalismo occidentale. Con punte inquietanti sui diritti del lavoro come in Cina.

Alle diverse tendenze del capitalismo (altro che Cina socialista!), del nostro blocco geopolitico e degli altri che vanno emergendo, occorre opporre un movimento di lotta che, nel crollo imminente del grande banco economico globalizzato, che nella caduta delle mediazioni e nella fuga dalle proprie responsabilità nazionali e civiche a parte di governi e opposizioni organici gli uni agli altri, sappia riproporre il bene comune e l'interesse generale, quello autentico, di fronte al mondo.

Un movimento che veda i comunisti come motore politico della trasformazione. Un passo più avanti, ma non uno di più, nel processo di liberazione da questo potere finanziario e di casta, nella gestione di una transizione a una società più matura, non più basata sui profitti e sullo sfruttamento per ottenerli, ma sulla centralità dei cittadini e del loro benessere, su un'umanità priva di muri d'odio, di discriminazioni sociali, etniche, religiose, culturali, che le divisioni in classi della società generano incessantemente.

Questa dissoluzione dei patti sociali, del keyneismo nelle sue varie salse, nei paesi del centro imperialista rappresenta un punto di non ritorno, un'incognita alla quale anche le forze della critica radicale a questo sistema economico-sociale stentano a dare il volto a un nuovo sistema, a prefigurarlo, al di là di vecchie e stantie ricette e modelli.

Ma dovranno farlo in fretta, perché la situazione può precipitare e Gramsci non parlava di disordine, bensì di un "ordine nuovo" che doveva nascere dai consigli operai di allora.

E questo è ancora un aspetto valido, per una parte della società che deve trascinare al cambiamento quelle parti meno coese attraverso un processo rivoluzionario, che è democratico e di forte partecipazione popolare dal basso. Altrimenti il cambiamento non si fa, o non è tale, si perde ancora una volta credendo di vincere.

Questo soggetto è ancora una volta la classe lavoratrice, con i suoi affastellati sociali nel non lavoro, nel lavoro precario, nel degrado della condizione femminile, nella clandestinità dei migranti. Il soggetto centrale, storico-sociale del cotruire un potere costituente dei cittadini dentro il solco del sistema democratico e costituzionale vigente, con la democrazia diretta e con quella parlamentare, due facce della stessa medaglia: il potere popolare.

Ancora una volta sarà una sinistra di lotta a dover gestire uno scontro sociale che porti a una svolta e a un'alternativa. Ma dovrà farlo a partire da un sentire comune e non con voli pindarici situazionistici e autoreferenziali.

Quando saremo nelle piazze e nelle fabbriche, quando presidieremo la nostra terra, i nostri quartieri, quando occuperemo le sedi delle istituzioni in una grande, vasta e gioiosa protesta pacifica, torniamo con la mente ai lavoratori della Pirelli e della FIAT nel 25 aprile del 1945. Comprenderemo meglio che siamo lì per tutti. Anche per i ciechi distruttori in giacca e cravatta della convivenza civile e del futuro dei nostri figli.


mercoledì 10 agosto 2011

RIOTS!


I ragazzi di Brixton vanno a fare shopping. Quell'attività quotidiana che solitamente alla gioventù britannica, autoctona o migrante di ultime generazioni è preclusa. La fanno a modo loro. Come a modo loro è ciò che esprimono del malessere per una vita priva di prospettive, tra tagli all'istruzione, un'esistenza in quartieri degradati, un'assistenza pubblica di merda: incendi, assalti, distruzioni di cose.

Non c'è dubbio che le violenze messe in opera da bande che colgono l'opportunità da un fatto tragico: l'assassinio di un ragazzo da parte della polizia, per fare razzia, sono azioni di microcriminalità diffusa. Ma le cosiderazioni sono tre:

1. La violenza teppistica di questi gruppi non scagiona dalle sue responsabilità questo governo e quelli passati laburisti. Loro hanno creato le premesse. Cameron cerca di salvarsi il culo dicendo che questi episodi sono solo frutto di criminalità, ma...

2. ... che lo si voglia o meno, questi episodi sono parte di una rivolta sociale in atto nel paese oltre Manica. Diversa dalle mobilitazioni forti, politicamente mature delle popolazioni arabe, degli indignados spagnoli o dello scontro sociale di piazza greco, violento, ma politicamente giusto, condivisibile e legittimo. Vicende lontane tra loro nella geografia e nelle modalità, nelle forme politiche o apolitiche, ma unite da un filo conduttore: le politiche di devastazione del tessuto sociale nel nome dei mercati finanziari che tutti i governi dell'Europa del monetarismo selvaggio, come gli stati arabi, bacini di manodopera a basso costo per il capitale occidentale, portano avanti in una concertazione internazionale condivisa tra oligarchie pseudo-democratiche e totalitarismi di varia natura, che ha il solo scopo di massimizzare i profitti, le plusvalenze di borsa, le speculazioni, gestendo la degenerazione delle politiche sociali, delle condizioni di vita di milioni di persone nel centro imperialista come nelle periferie. Ormai un operaio di Treviso, un precario di un call center romano e un dipendente di una cooperativa "rossa" sottopagato, sono molto più simili a un lavoratore del Cairo che a un architetto dei Parioli.

Quindi i fenomeni di ribellione sociale, cosciente o epidermica, sono sintomi e conseguenze di un ben più grave saccheggio, costante, quotidiano, legalizzato, ammesso e coperto dalle classi politiche politically correct: il saccheggio in giacca cravatta con iPad e connessione internet.

Sono la conseguenza della divisione sociale del lavoro, con i suoi vari livelli di costo del lavoro da area ad area, sono il risultato della politica neoliberista che assegna senza scampo a ogni popolo, settore sociale, tipologia di manodopera, un ruolo ben preciso. Non solo il lavoro in quanto tale, ma anche il degrado metropolitano è funzionale ai profitti, in un reticolo complesso di cause ed effetti che informa le società e i popoli che le vivono come gironi danteschi d'una follia delirante riconducibile alla massimizzazione dei profitti con ogni mezzo scientificamente studiato.

C'è qualcosa di nuovo nel mondo in Europa da una decina di anni a questa parte: quello che oggi chiamano pace sociale e concertazione è solo guerra alle classi proletarie e alla piccola borghesia urbana. Senza fare prigionieri. E' questo che imbecilli come Bersani e soci non hanno capito e credono di essere ancora nel film della solidarietà nazionale. Con una DC che cercava sempre una coesione nazionale per meglio governare.

A questa generazione di finanzieri, di società di capitali, di manager senza scrupoli non gliene frega nulla della concertazione, se non di quella illusoria cantata dai media. Sono gli Attila moderni e ce l'hanno a morte con chiunque si frapponga tra loro e il cash.

3. E quando la gestione delle conseguenze sociali di questa rapina costante del bene comune, della ricchezza sociale prodotta dalla comunità ha i suoi movimenti tellurici, non evita vere e proprie rivolte di piazza, sempre più vaste, di paese in paese, ci si rende conto di come stiamo arrivando al punto di rottura nell'intero sistema mondo: dopo il crollo del socialismo reale, il capitalismo è stato solo capace di predare il più possibile, in modo inconsulto, smodatamente vorace. Ma ora il declino è giunto anche per lui: vacilla l'imperialismo a dominanza USA, altri attori premono nello scenario internazionale: Cina, Russia, Sudafrica, India, Brasile. Ma anche al proprio interno, nelle mille pieghe del ventre della bestia scoppiano contraddizioni. Che sono sociali, di classe. I popoli, le classi sociali lasciate marcire davanti alle promesse vetrine di un lusso altrui, un proletariato e una piccola borghesia spolpati dei beni di una vita, spremuti e buttati nell'immondezzaio dopomuna vita di lavoro, giovani parcheggiati nel vasto esercito precario di un eterno stagismo sottopagato privo di mutuo prima casa, VENGONO A CHIEDERE IL CONTO.

La riappropriazione di ricchezza sociale, del nostro tempo di vita, del nostro futuro è un diritto sacrosanto. Basta solo intendersi sul concetto di diritto, giacché le leggi le fanno le classi egemoni a proprio uso e consumo. Pertanto, anche una rivolta inconsulta, micro-criminale e diffusa come quella inglese, pur odiosa per la rete di ricettatori agli angoli delle strade ancora messe a ferro e fuoco, per l'aggressione ai negozi di vicinato che ne fanno le spese, è perfettamente nel solco della riappropriazione. Senza consapevolezza e senza beneficio di un sensato criterio politico, che discernerebbe arrivando a colpire chi deve essere colpito per sua responsabilità manifesta.

Il punto è che di fronte all'ebetismo di una generazione politica ex di sinistra, che dei valori forti delle classi lavoratrici, dei suoi interessi ne ha fatto carta straccia per obbedire ai diktat della borsa e delle consorterie più potenti in questa società, occorre ricostruire un luogo della politica e dello scontro sociale. Sembra un lavoro titanico, perdibile nei mille rivoli dei particolarismi manichei di un'altra sinistra, questa non ex, ma comunque gruppuscolare, da stato maggiore nano, da aperitivo e da segreteria ristretta. Ma anche questo si potrà superare.

Perché l'allargamento dello scontro sociale, per come siamo messi oggi, può certo pagare un tributo nella disorganizzazione (e in Italia questo sarà più evidente che in Grecia) e nello spontaneismo, nel ribellismo epidermico e nella frammentazione. Ma se è uno scontro vasto alle soglie di un crollo delle mediazioni sociali ormai incontrollabile, non gestibile dai soliti pompieri, quello che in termini di organizzazione di classe si otterrebbe in anni di lavoro politico in altre fasi storiche, lo si raggiungerebbe in pochissimo tempo in questa.

Ma ci saranno dei compagni dell'autonomia di classe a Brixton?


lunedì 8 agosto 2011

LA MADRE TUTTE LE LOTTE.


Gli analisti e i commentatori vanno parlando di questa crisi, di cui stiamo avvertendo proprio in questi giorni le avvisaglie in Italia, come la "crisi perfetta". Governo e "opposizione" si scontrano a parole, ma hanno più o meno le medesime ricette: accettare la logica del debito, ossia della rapina sistematica che i centri fnanziari più o meno occulti fanno sulla ricchezza sociale, i redditi, le pensioni, il bene comune dei singoli paesi, senza cambiare le regole di un meccanismo sempre più perverso e devastante per i settori popolari della società, ma anche le le classi medie, ormai a "rischio di estinzione".

Ma la "crisi perfetta", questa volta dovrà fare i conti con la "madre di tutte le battaglie sociali". Perché, lo si è visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Spagna, le classi sociali che devono pagare per i banchieri e le agenzie di brokeraggio, per la casta dei politici e i comitati di malaffare, per i ceti parassiti: "i creditori", non ci stanno. Non ci staranno.
Invito tutti ad aderire a questo appello di Giorgio Cremaschi, quello che probabilmente oggi è l'esponente più autorevole della sinistra non solo sindacale. E' molto più di un appello: è una dichiarazione di irriducibilità, vitale e necessaria per la maggior parte della società, quella che non fa parte della roccaforte di privilegiati, sempre più sorda e delirante.

Perché ormai è molto chiaro che per qualsiasi ricetta sensata, la conditio sine qua non è la questione: o noi, o loro.
E noi non siamo più disposti a fare da carne da macello. In cinque punti, nei quali nessuno che si ritenga anche solo vagamente di sinistra non può non riconoscersi, c'è quello che serve per iniziare le ostilità d'autunno. Un'ossatura progettuale dalla quale partire per unificare le forze in un unico fronte di lotta. Da riempire di tanti altri contenuti e istanze.
L'altro pregio di questo appello di Cremaschi è la presa d'atto che il Centro-sinistra è l'altra faccia della medaglia del sistema neoliberista, dell'egemonia del capitale finanziario nel nostro paese, nell'Europa di Maastricht e dell'intero sistema-mondo.

Non è possibile un'alleanza tattica, una convergenza progettuale con chi sostiene la guerra dall'Afghanistan alla Libia, accettando fino in fondo le regole del neliberismo di guerra, le sue logiche.
Non è possibile un percorso comune con chi sta già discutendo su come consegnare risorse, danari, il bene comune agli appetiti bestiali e irrazionali del mercato, presupponendo tutt'al più la foglia di fico di una tiepida patrimoniale sulle rendite più grandi. Di chi si prepara fare come Papandreu e Zapatero.


Quando il gioco si fa duro, ne fa le spese l'opzione vendoliana, che era tutta incentrata sulla costruzione di un centro-sinistra con baricentro a sinistra, per un'alternativa economico-sociale al neoliberismo. Il problema del Pd è solo uno: quello di conquistare alla lotta comune il suo popolo, le compagne e i compagni più generosi, quelli meno compromessi e meno burocratizzati.

Gli altri, gli stati maggiori possono solo andare al diavolo. Altro che anti-politica! La politica, quella vera, partecipata, si ricostruisce dal basso, da una totale e completa autonomia politica delle forze che si vanno autorganizzando.
Autonomia dai partiti e partitini, compresi quelli della sinistra radicale, incapaci di realizzare quell'unità dei comunisti, delle forze della sinistra di classe e anticapitaliste che tanto è mancata in questi ultimi anni.


E' in questo scontro sociale (le vittorie elettorali e referendarie hanno rappresentato un'avvisaglia, una prova di forza, una presa di coscienza di questa forza potenziale nella società) che nasceranno i nuovi soggetti politici, in una pluralità ricca di valori e visioni del mondo che possono coesistere e rappresentare la "città futura", soggettività che non possono non coagire e interagire, pena: la devastazione sociale definitiva.

Le premesse per la spinta a un ribaltamento dei rapporti di forza nella società ci sono tutti.

Questo è il lavoro politico che ci aspetta.