domenica 30 ottobre 2011

RENZI, IL ROTTAMATORE DELLA SINISTRA.


A Palazzo Vecchio ci sta un vecchio, anche se giovane, anche se si spaccia per giovane, per il nuovo che avanza. Matteo Renzi, sindaco di Firenze, il giovane asino che scalcia per Bersani, ha le idee chiare, chiarissime: sulla questione FIAT si schiera con Marchionne e contro la FIOM, in tema di privatizzazioni non è secondo a nessuno, vedi l'ipotesi di cessione a privati dell'azienda trasporti fiorentina, e sui tagli ai servizi sociali è in concorrenza con i peggiori tagliatori, lo sanno bene i dipendenti del Maggio musicale, i precari degli asili nido. Per non parlare poi dell'eco-sistema e dell'inquinamento: oltre a essere un rotamatore è anche un inceneritore alla Piana e via dicendo.

In realtà, tutto quello che questo nuovo istrione della politica di palazzo, questo Pieraccioni del ciclone anti-bacucchi vuole è un po' più di spazio nel suo partito.
Raglia alla generica luna del cambiamento, il somaro, ma con i piedi ben piantati sulla terra degli equilibri dentro il Pd.

Ma sbaglia chi pensa che la tenzone veda vecchi da una parte e nuovi dall'altra. Quello di Renzi, come recita uno slogan indovinato è "il vecchio che avanza". Perché le privatizzazioni, gli spezzatini ai danni dei lavoratori dei servizi, esistono da anni. Le conoscono molto bene a Bologna, con il continuismo, anzi peggiorismo del tandem Merola-Frascaroli. Il peggio che avanza.

Da qui si comprende bene non solo il "nuovo" che emerge dal Pd, ma anche il nuovo trasformismo vendoliano, lirico ed evocativo a parole, in svendita nei fatti. Questo sì un mutamento antropologico, nell'equilibrio neoromantico di stronzate populiste di sinistra.

Questi uomini forti, capaci solo di perpetrare il verminaio di prebende e appalti, di complicità coi poteri forti delle pubbliche amministrazioni del centro-sinistra, vanno affossati. Bene hanno fatto i lavoratori e i cittadini in lotta davanti alla Leopolda, nei giorni della convention renziana.
La distanza tra una sinistra doverosamente anticapitalistica, della democrazia partecipata dal basso e questa non sinistra di burocrati, andrà marcata sempre di più.

venerdì 28 ottobre 2011

ANCORA SULLE TRE POSIZIONI


Avevo accennato alle tre posizioni dentro la sinistra (PD escluso che sinistra non è). In effetti queste corrispondono esattamente alle tre presenze nel corteo del 15 di ottobre: chi voleva fare una sfilata innocua, chi voleva sfasciare lo sfasciabile senza alcun criterio e obiettivo politico e chi voleva invece affrontare polizia e carabinieri in modo non violento ma autodifeso per accamparsi in una piazza adiacente ai palazzi del regime.

Quest'ultima posizione è secondo me la più corretta. Occorre che il movimento non sia espressione di forze politiche che pensano già a capitalizzare la sua dimensione e ampiezza a fini elettorali, a uso e consumo dei nuovi burocrati alla Vendola. Per questi il movimento deve essere un entità innocua e del tutto compatibile ai giochi politici delle segreterie. Non deve mordere.
Occorre anche che non si avviti su se stesso tra violenze inconsulte e spaccature.

E' necessario un movimento che si riappropri degli spazi sociali e poliyici, se li riprenda con la sua forza e inizi a far capire a se stesso e alla società che la questione è chi comanda nella società, nei posti di lavoro, nelle istituzioni. Quando la democrazia rappresentativa diviene una vasta cancrena provocata da un golpe bianco strisciante, che oggi ha il suo culmine nel "comissariamento" del governo e dell'opposizione, della democrazia stessa da parte dei centri di potere finanziario, deve entrare in campo l'unico antidoto a questo processo autoritario di imposizione bipartisan della macelleria sociale: la democrazia diretta, l'autonomia di classe.

Queste sono la forma più avanzata di rispetto e riaffermazione dei diritti sociali, politici e costituzionali dei cittadini, dei lavoratori e delle masse popolari in generale.

lunedì 24 ottobre 2011

NO TAV


La lotta dei cittadini della Valsusa è ormai diventata una battaglia democratica e di civiltà che riguarda tutti gli italiani. Nella sostanza, ma anche nelle forme, come esempio di partecipazione popolare e di movimento al basso.
Ripercorriamone in breve i punti sostanziali.

In Val di Susa, da parte di lobbies bipartisan (dalle cooperative alle imprese in odore di mafia) è in atto un progetto di grande opera inutile, dannoso, in aperto contrasto con la popolazione locale e rappresenta una dei più grandi sperperi di denaro pubblico, soldi nostri, di noi cittadini.

Inutile perché il flusso su rotaia verso la Francia dell'attuale linea non è tale da implicare una seconda linea: basta la linea già esistente.

Dannoso perché i lavori diffonderanno elementi altamenti inquinanti per la popolazione (come l'amianto) e creeranno un vero e proprio scempio paesaggistico e dell'eco-sistema.
E' in aperto contrasto con la popolazione: questo aspetto è ormai molto evidente. Con nessuna forza politica dal PD alla destra, che si sia posta il problema di indire regiolare referendum (sanno che lo perderebbero a furor di popolo).

Rappresenta uno sperpero di soldi nostri, un mangia mangia dei soliti attori della rapina di pubbliche risorse e fondi, su cui tutta la partitocrazia si ritrova sempre regolarmente d'accordo, confidando sulla nostra ignoranza e inerzia.


A questi quattro aspetti di sostanza se ne aggiunge un quinto ben più inquietante: quello della provata presenza in appalto di aziende legate alle organizzazioni criminali. Sono questi interessi imprenditoriali sia indubbia che di dubbia legalità, ad aver dato vita a una delle peggiori prevaricazioni sulla popolazione locale, da che è nata la Repubblica Italiana.
Una questione che riguarda tutto il paese, perché è una questione di democrazia.

Come i governanti e i falsi oppositori si inchinano ai must della finanza internazionale e impongono ai cittadini ricette che nascono nelle stanze di poteri sovranazionali ed extra-costituzionali-parlamentari, così impongono gli interessi di consorterie dagli appetiti indomabili alle popolazioni locali, in nome di una collettività nazionale.
La rapina della ricchezza sociale sulla pelle di chi dovrebbe decidere, in quanto diretto interessato delle opere in programma.


Ecco perché la lotta NoTav è un esempio per tutto il paese, un'esperienza importante, così come importante è vincerla. Perché sarebbe la vittoria dell'autodeterminazione dei popoli nei propri territori, sarebbe la vittoria della democrazia diretta e la riproposizione della sovranità popolare, in mancanza di meccanismi e dell'uso di leggi che cisono e che servirebbero ad esercitare costituzionalmente questa democrazia popolare, ma che la casta partitocratica se ne guarda bene dall'utilizzare.


E' un esempio anche di rivoluzione dal basso, di contropotere che spazza via le logiche ribellistiche inconcludenti, tipiche di una estrema sinistra schizoide, che abbiamo visto all'opera a Roma il 15 ottobre.
I NoTav vinceranno prché loro sono i valligiani, la maggior parte, perché sono lì, sulla loro terra, perché quindi ogni domenica e ogni santo giorno saranno presenti, perché quindi se il potere economico che sta dietro questa speculazione e questo governo, o i futuri governi di destra, di centro o pseudo-sinistra vorranno fare andare avanti il cantiere, avranno dei costi di gestione dell'ordine pubblico astronomici.


I NoTav vinceranno senza l'uso sistematico della violenza perché sono il popolo. Perché sono i cittadini di un paese la cui parte sana, non certo minoritaria, conosce la democrazia e le sue regole. E non ci sta a farsela scippare da una classe politica bipartisan di veri mentecatti.
Sarà una lotta dura, una lotta lunga, ma alla fine i NoTav prevarranno, aprendo la strada alle battaglie sociali imminenti sui temi forti della vita e del futuro di tutti noi.
Qualità della vita e prospettive di un futuro migliore scippate dai poteri forti e da logiche finanziarie ed economiche prive di alcun senso politico che consideri la comunità e i cittadini stessi, il lavoro, la salute, l'istruzione, la cultura.

Sbaglia quindi, chi vede la questione della Val di Susa come un aspetto a sé stante, slegato dalla grande lotta che si sta sviluppando in questa epoca di miseria e macelleria sociale.
I lor signori se ne accorgeranno presto, molto presto.

I "PORTATORI DI DEMOCRAZIA".


E così, grazie Napolitano, grazie Bersani: siamo serviti. Il massimo esponente della "rivoluzione" libica, senza neppure aspettare regolari e democratiche elezioni, ha messo le mani avanti: alla base della nuova costituzione e quindi del'ordinamento giuridico del "paese liberato" ci sarà la sharia, ossai il corano.

Dai siti al qaedisti giungono i primi plausi all'annuncio. Così avremo a due passi da casa un bell'Afghanistan con talebani in dotazione. Optional: qualche bomba in futuro se ci comportiamo male.

Lo si sapeva sin dall'inizio: alla NATO capitanata in questa "bella giocatina" da Francia e Regno Unito non importava una Libia democratica. Interessava mettere le mani sul petrolio e sul gas della Jamahiria. Quindi, andando oltre al mandato di un ONU totalmente asservito all'impero occidentale, andando oltre i compiti di mantenimento di una fly zone, la NATO ha operato bombardamenti a tutta gallara, con vittime civili quali soliti "danni collaterali". Ha diretto dall'esterno un putsch contro un regime totalitario finché si vuole, ma laico.

Un'operazione iniziata utilizzando gli zimbelli storici dei servizi statunitensi, britannici e occidentali in genere: i terroristi di Al Qaeda, la più grande invenzione al servizio della politica terroristica dell'impero nel mondo e al proprio interno (vedi l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono).

E questo, con le dichiarazioni di Jibril, è il risultato. A riprova del fatto che ai paesi della NATO in genere non importa una beata fava di portare la democrazia nel mondo (già di per sé, la sola intenzione, anche fosse lodevole, maschera un logica di sovranità imperialista sul pianeta).

Un risultato che rivela anche nel cosiddetto centro-sinistra nostrano, che si era messo subito l'elmetto, non solo una vocazione ben collaudata dai tempi della Yugoslavia alla guerra, ma anche un'idiozia politica che di sicuro la vecchia DC e il PSI d'un tempo non avrebbero avuto.

Perdita di influenza nell'area, quindi perdita di commesse e petrolio e gas a costi più alti, non più da partner principale (che non siamo più), una polveriera islamista a sovranità nazionale dall'altra parte delle nostre coste. Devo proseguire?

Siamo solo all'inizio, ma finché non si affermerà nel nostro paese una politica autenticamente pacifista, basata sul dialogo, sulla diplomazia, ripudiando la vocazione tutta anglosassone dell'imperialismo occidentale all'egemonia armata sui popoli, all'azione bellica spregiudicata su aree strategiche del mondo, finché non ci saranno forze democratiche che sosterranno la scelta più giusta da fare (soprattutto in tempi di capitalismo selvaggio come questo) USCIRE dalla NATO, uscire da questa congerie di ladroni e criminali genocidi (purtroppo legittimati dall'ONU e dal Tribunale dell'Aja), non solo saremo complici di crimini finalizzati al potere e al profitto dei centri di potere finanziario e dei complessi militari industriali dominanti nell'impero occidentale, ma subiremo le conseguenze sanguinose interne ed estere di questa logica del terrore, del complotto e del rovesciamento golpista.

Mediti Vendola sui suoi compagni di strada.



(Immagini presa da Aurora, Bollettino di informazione internazionalista)

venerdì 21 ottobre 2011

LE TRE OPZIONI.


Sui fatti del 15 ottobre si può stare a discutere quanto si vuole, ma il punto è che la sinistra radicale italiana, quella che contrasta il sistema capitalistico e che idealmente aspira a una società socialista , al comunismo, vede in campo oggi tre opzioni.
Può sembrare una riduzione, uno schematismo, ma la questione, secondo me, sta così:

A. la prima opzione è quella che si colloca dentro il centro sinistra e che considera indispensabile un'alleanza con forze politiche come il PD e l'IdV, che si riconosce nelle primarie del centro-sinistra e che si limita a influenzare quella che è una linea politica dominante di questo assetto, del tutto interno alle logiche e alle ragioni dei centri di potere finanziario e capitalistico; io la definirei la falsa opzione; dentro questa opzione ci sono SEL, i Verdi, i Comunisti Italiani, la sinistra sindacale CGIL con la FIOM e in larga misura Rifondazione Comunista, che sta con un piede in due scarpe, la sua crisi, la sua scissione e la sua emorragia di militanti degli scorsi anni è stata data proprio dalla sua incapacità di costruire un soggetto esterno a questa palude ambigua, a questo contesto che serve solo a riprodurre segreterie e un ceto politico burocratico, cianciando di rivoluzioni e lotte operaie

B. la seconda opzione, la più estrema, rappresenta solo se stessa, non si pone il problema di comunicare a tutta la classe e riproduce liturgie e vecchie pratiche autoreferenziali; ha preso il peggio dell'esperienza degli anni '70: non la violenza come molti cianciano ripetendo il disco vendita dei media di regime, ma l'autoghettizzazione riguardo il resto dei movimenti e delle realtà sociali e sindacali, il volere sovrastarli senza alcuna dialettica che non sia quella della totale mancanza di riconoscimento delle altre soggettività, un'autorappresentazione di se stessi e basta, quell'estremismo tanto combattuto da Lenin e dai comunisti in genere, che non solo non porta da nessuna parte ma riduce la conflittualità a uno scontro militare, a una guerriglia permanente, al di là delle fasi e dei contesti; in questa opzione ci sono le teste pensanti che hanno preparato i fatti del 15 ottobre, interni a quell'area eterogenea e tutto sommato poco definibile dei centri sociali;

C. le terza opzione è quella di chi si pone il problema di ricostruire una sinistra anti-capitalistica nel movimento operaio e sindacale, nei movimenti in generale, che tiene ferma la barra del timone verso un'alternativa politico-sociale al capitalismo, verso una rivoluzione comunista e che lavora ogni giorno per costruire il soggetto politico dentro la classe; che ha capito che fare le mosche cocchiere del PD è controproducente, e che si tratta semmai di fare leva sulle contraddizioni interne al centro-sinistra, inevitabili con lo sviluppo della crisi, del disagio e della macelleria sociale, poiché PD, IdV e centro moderato rappresentano (non solo politicamente, ma per costituzione, ontologicamente) l'alternativa filocapitalistica al terzo polo e alla destra reazionaria berlusconiana, non certo un'alternativa popolare per i settori sociali subalterni, quindi è qui che casca l'asino e che cascherà sempre di più; in questo ambito si muovono una miriade di forze comuniste, le USB, i COBAS, Sinistra Critica, ma soprattutto il meglio che sta emergendo dai movimenti, in un dibattito disorganico che tuttavia attraversa tutta la sinistra radicale, comprese parti della FIOM e della sinistra CGIL, compagni di Rifondazione e dei Comunisti Italiani inclusi.

È a questa terza opzione alla quale occorre guardare e sulla quale è necessario lavorare con metodo. L'unità dei comunisti deve diventare un appello vero, forte, ma soprattutto trasversale a tutte le realtà che sono in lotta. Quindi, nel lavoro politico, di massa, la costruzione di un fronte unitario anti-capitalistico deve essere all'ordine del giorno non oggi... ieri. Un fronte ampio che comprenda realtà di movimento non necessariamente comuniste, ma comunque in lotta anche solo su terreni specifici, contro i vari aspetti della politica neoliberista dei governi e delle false opposizioni.

Qui mi fermo, perché da dire ce ne sarebbe e non poco, su quali forme di organizzazione politica, su come intervenire per favorire autorganizzazione e democrazia diretta nelle realtà operaie e sociali in lotta, nei movimenti. Soprattutto su una piattaforma unitaria, su un progetto politico in grado di aggregare parti importanti della società italiana. Aspetti che non sono conseguenti all'intenzione di costituire un percorso unitario dei comunisti, ma una doverosa e urgente premessa.

Un'ultima cosa. Al di là di ogni scimmiottamento estemporaneo, che da farsa può trasformarsi in tragedia, non certo in processo rivoluzionario, il vero cuore dell'esperienza e della teoria politica dell'operaismo e dell'Autonomia Operaia, può vivere solo dentro un processo concreto di autorganizzazione della classe, di crescita dell'autonomia di classe. Il contropotere è democrazia diretta nei luoghi di lavoro e nel territorio, è occupazione di spazi, è laboratorio permanente di esperienze di autorganizzazione, pratiche e forme organizzate che vanno estese a tutte le soggettività, a tutti i cittadini, a tutto il corpo sociale: quel famoso 99% di cui oggi si parla, al di là dei muri ideologici e religiosi. Questo progetto deve funzionare come altra e possibile società, come città futura.
Tutto l'opposto di un riconoscimento e un'internità acritici di una democrazia rappresentativa completamente svuotata delle sue funzioni e della reale partecipazione popolare, foglia di fico di un regime bipartisan che è diretta espressione ed emanazione della troika finanziaria europea e dei veri sovrani della società: i centri di potere del capitale finanziario. Ma anche del tutto diversa da un'ottusa e inconcludente autoreferenzialità.



L'ORDINE OCCIDENTALE.




Nella mia mente scorrono le scene partigiane di un'Italia liberata nell'aprile del '45. Uomini e donne che in modo civile, dopo una lotta sanguinosa, spietata contro l'occupazione hitlero-repubblichina, riconsegnavano agli italiani un paese civile. La difesa delle fabbriche, delle infrastrutture, la cattura dei nemici, tutto aveva l'ordine e la correttezza di un esercito rivoluzionario che rappresentava a pieno diritto la democrazia nascente. Le forze politiche, il CLN, che avevano condotto la guerra di liberazione, rappresentavano il meglio della società italiana, le intellettualità più fervide, la nuova classe dirigente.
Il movimento partigiano non ha mai usato la tortura, non è mai stata folla disumana di esseri deliranti col mitragliatore.
Queste scene libiche, ci dicono che qui siamo al prodotto più fedele al'impero NATO, figlio della contemporaneità e del declino dell'impero stesso (come stiamo vedendo nei suoi paesi centrali scossi dalla crisi): il terrorismo di Al Qaeda e dei servizi segreti, con tutta la sua corte di zimbelli locali con licenza di macellare avversari e civili.

Nella Libia "liberata", dietro le grida forsennate "allah u akhbar", nei macelli di massa, torture ed esecuzioni sommarie (non ultima quella di Gheddafi: questo video fa vedere gli ultimi istanti del despota nella mani di nuovi barbari, forse peggiori di lui) che questo sedicente CNT, fantoccio della NATO, sta perpetrando contro gli avversari, non c'è nulla di una liberazione democratica della società civile libica. Ci sono il caos, l'integralismo islamico che avevamo già visto all'opera in Iraq, ci sono i mercanti che venderanno ai loro sponsor stranieri, "benedetti" dall'ONU, petrolio e gas libici.

Dietro questi massacri c'è il solo modo in cui la NATO, quell'insieme di potenze che ha fatto della guerra esterna e delle macellerie sociali interne le uniche modalità in cui si esprime la sua "democrazia", porta i suoi interessi nel mondo.
Dietro questi massacri c'è il nuovo ordine nell'area e i nuovi padroni del petrolio nord-africano: Francia e Regno Unito.
Non c'è democrazia. Non c'era prima, non c'è adesso.

lunedì 17 ottobre 2011

ESTREMISMO, MALATTIA INFANTILE DEL COMUNISMO.

Nulla di nuovo sotto il cielo. I rivoluzionari che si autorappresentano, che confondono l'avanguardia politica con le masse, il soggetto rivoluzionario con i movimenti e che quindi dimostrano incapacità nel relazionarsi con i movimenti stessi, si bastano a loro stessi in liturgie inconcludenti, ebbene questi sono affetti da estremismo.


Una malattia della sinistra rivoluzionaria e del movimento comunista già ben descritta da Lenin novant'anni fa e passa. E io che leninista lo sono sempre stato e lo resto, valuto i fatti di Roma con questi parametri.


Non stigmatizzo la violenza. La guerra è storicamente la prosecuzione della politica con mezzi violenti e la violenza politica può essere nelle sue forme di guerriglia urbana una delle pratiche di massa dei movimenti. Se la violenza viene adottata dalla grande borghesia attraverso gli apparati polizieschi dello stato e dall'imperialismo attraverso truppe di élite che con mezzi militari sofisticati aggrediscono le popolazioni civili e le guerriglie di mezzo pianeta, non vedo perché non la debbano adottare in date corcostanze storico-politiche la classe operaia e le masse popolari in generale, sotto la direzione delle avanguardie politiche.
È così per la lotta di liberazione del popolo palestinese e per tante altri focolai di lotta popolare nel mondo.

Ma detto questo, gli errori politici di alcuni spezzoni dei centri sociali che hanno attaccato in piena manifestazione banche, agenzie del lavoro e quant'altro sono sostanzialmente due, no proprio tattico-politico, l'altro strategico:
1. l'aver alzato lo scontro in un contesto che era fatto non di "compagni di strada" avvezzi all'autodifesa militante, ma di famiglie e attivisti pacifici, mettendo a rischio l'incolumità della stragrande maggioranza dei manifestanti. Ciò è avvenuto perché appunto non c'è alcuna intenzione da parte di questi di lavorare nel movimento, ma solo di autocelebrarsi come duri e puri. Sono altro e lo si può ben desumere qui. Hanno sancito così la loro esternità al movimento stesso, proprio nella loro autorefernzialità che non riconosce diversità, una pluralità che è inevitabile in ogni ambito di autoragnizzazione e di movimento e che ne costituisce la ricchezza peculiare e non l'oggetto di polemiche di "parrocchia". Si sono posti o come rappresentanti di una frustrazione esistenziale fine a se stessa o come avanguardie senza masse, come componente minoritaria che rimette in scena in modo frusto e acritico, stupido e anacronistico quelle radicalità di prassi e autorganizzazione che avevano un senso politico negli anni '70, ma che oggi sono del tutto improponibili; e qui veniamo alla questione strategica.
2. Riusciremo a fare avanzare questo movimento globale, che interessa ormai paesi in via di sviluppo, come paesi a capitalismo avanzato, solo se lavoreremo allo sviluppo di forme di democrazia sociale, diretta, di partecipazione popolare dal basso di tutte la parti più mature delle classi popolari colpite dalla politica monetarista e dal capitalismo selvaggio dei banchieri e del grande capitale. Questo è il compito dei comunisti: arrivare a Piazza San Giovanni per costituire come a Madrid e a New York un presidio permanente, una mobiltazione permanente che si estenda a tutte le città. Le forme di lotta sono un di cui. Non trascurabile, poiché la vittoria politica non è legata a uno scontro militare contro gli apparati del regime borghese, ma a una conflittualità diffusa e a un movimento di massa vasta che rompe gli argini della "pace sociale" e sconvolge le istituzioni stesse dell'autoritarismo imperante. E' un vasta lotta democratica, non un "abbattimento dello stato borghese".

Per queste ragioni le pratiche di guerriglia messe in campo da spezzoni di centri sociali e gruppi di dubbia provenienza, sono esattamente l'opposto di ciò che deve essere e fare questo movimento. Nei contenuti e nelle forme.
Nella realtà dei fatti, questi "guerriglieri" hanno fatto il gioco della polizia, quindi del governo e della casta partitocratica, del potere bipartisan che dicono tanto di voler combattere. Tutti questi signori di regime avevano paura di un presidio permanente e della sua estensione in altre realtà terittoriali del paese. Pertanto, al di là delle estrenazioni criminalizzatrici di facciata, hanno visto questo fallimento del corteo con estremo sollievo.
Bersani, Vendola e soci potranno così dividere i "buoni" dai "cattivi" e sostenere che solo un'opposizione ragionevole, tutta interna al verminaio istituzionale e partitico che sostiene le politiche dittatoriali della troika finanziaria europea, può raccogliere questa domanda sociale di cambiamento.

Un bel servizio fatto al falso riformismo della pseudo-opposizione, contro una reale autonomia operaia e di classe. Complimenti.

(PS.: nella foto, automobili in fiamme, che potevano essere di chiunque: anche di un operaio...)

venerdì 14 ottobre 2011

15 OTTOBRE 2011: SI APRE UNA LOTTA EPOCALE!

Siamo alla vigilia di una giornata mondiale che sicuramente cambierà il corso della storia. In decine di città in tutto il pianeta, tanta gente scende in piazza, o rafforza e prosegue la mobilitazione contro i signori della rapina finanziaria, contro i governi che la sostengono, per dire basta, il debito pubblico lo paghino coloro che l'hanno provocato.

Non è una delle solite manifestazioni, internazionali come avevamo visto ai tempi della guerra all'Irak o all'Afghanistan. Stavolta nella coscienza civile dei popoli, delle cittadinanze, c'è la consapevolezza che questa è la madre di tutte le battaglie, che decide del futuro di queste e delle prossime generazioni, che non è possibile lasciare le nostre vite, il bene comune, le risorse del pianeta, la vita civile, il lavoro, l'attività umana per come l'abbiamo conosciuta sino ad oggi nelle fauci voraci di un capitalismo finanziario che non conosce altra legge che quelle del profitto fine a se stesso. Un mostro che ci sta distruggendo il futuro.

Una verità elementare che hanno compreso le sinistre radicali di sempre, certo, ma che si va diffondendo velocemente anche la gente comune, cattolica o buddista, o priva di ideologie, di ogni estrazione sociale e culturale, atea o religiosa. Questo è il dato nuovo. La gente comune delle società del capitalismo avanzato, parti consistenti delle opinioni pubbliche che sino ad oggi hanno garantito il consenso nelle società di mercato più avanzate, coloro che sono stati sempre definiti "consumatori", hanno la forte percezione di essere dentro una spirale che porta alla fine della civiltà umana, della convivenza sociale e civile, al declino dell'Occidente capitalistico, delle democrazie liberali. Una fine che avviene nel completo inattivismo e nella complicità delle forze politiche che da destra come da sinistra hanno governato questo consenso, questa convivenza. Una fine sancita da un patto sociale ormai sgretolato.
Tutto questo ormai è chiaro a moltissimi cittadini, operai o impiegati, negozianti o artigiani, parasubordinati e studenti, mentre le condizioni barbare, selvagge dello sfruttamento capitalistico "neocoloniale" di un colonialismo portato "in casa", del degrado da bidonville, dell'indigenza "africana", irrompono nelle società opulente, che diventano opulente ormai per sempre meno soggetti e categorie sociali.


Paradossalmente si pone all'ordine del giorno il cambiamento strutturale, dunque rivoluzionario della società attuale. L'alternativa è la barbarie, è la guerra per la spartizione di quello che resta delle risorse del pianeta, l'acqua, il petrolio, è la rapina a tutti i livelli ad opera di un capitalismo di derivazione anglosassone duro a morire, che ha molto meno da proporre come modello economico-sociale persino di una galera a cielo aperto come la Cina.

Non se ne vogliono andare. E nel loro delirio di onnipotenza, l'unica cosa che fanno è rastrellare capitali, profitti sempre più esigui a causa dell crisi economica di sovraproduzione di capitali e di merci, mantenere il controlo geopolitico di aree del mondo con la guerra. La guerra infatti è l'altra faccia della medaglia di questa politica monetarista di saccheggio della ricchezza sociale prodotta nei paesi, dalla popolazione, dai cittadini. Il controllo e l'accentramento finanziario, questa anarchia apparente che ha in realtà solidi registi nei cartelli dei maggiori operatori finanziari, ha bisogno del controllo militare dei punti caldi e strategici dl pianeta.

Ma la ruota sta girando, perché il dato nuovo è che il capitalismo, quello che anche i soggetti in lotta meno coscienti definiscono genericamente "questo sistema economico e finanziario", non è più in grado di gestire la società, la sua crisi è proprio la crisi del neoliberismo, della dittatura selvaggia del mercato.
Dopo la falsa onnipotenza liberale del keynesismo, spazzato via negli anni '80 con le politicheneoliberiste delle amministrazioni Reagan e Tatcher (e oggi impossibile), non c'è più nulla oltre al delirio delle borse, alle speculazioni coperte acriticamente ciclo finanziario dopo ciclo finanziario, dagli interventi statali.


La ruota sta girando perché le cittadinanze stanno pagando questa ferocia cieca del dominio telematico dei numeri e delle partite di conti, sradicata e avulsa dagli specifici contesti comunitari e nazionali, con una sempre più vasta e irreversibile impossibilità di sopravvivere. E queste condizioni empre più diffuse e implacabili creano coscienza critica embrionale, contrarietà viscerale a questa ingiustizia permanente, sistemica, portano a una prima ricerca anche solo impulsiva e compulsiva di uno sbocco a questa macelleria sociale. Creano antagonismo endemico, che può trasformarsi in qualcosa d'altro solo se cessano le condizioni di questo inferno.

Ecco perché domani è un giorno importante. Perché per la prima volta nel mondo risuonerà la narrazione irreversibile che dice: "da adesso in poi noi ci solleviamo". La mobilitazione permanente, magari con alti e bassi, ma costante e destinata a crescere.
Il 15 ottobre 2011 è il vero inizio di una rivoluzione sociale internazionale che non conosce ideologie, ma soprattutto che non riconosce più l'ideologia del profitto fine a se stesso. E' la morte della politica ufficiale, è l'avvento di una democrazia diretta, partecipata, plurale, ricca di storie soggettive e di aspirazioni collettive che ripartono dall'essere umano, dalle emozioni, dal diritto alla felicità, dalla sovranità sociale degli individui, al di là dei conti in banca, del danaro a strozzo, delle religioni, delle etnie, delle culture, delle sessualità, dei generi. E' l'io umano ricomposto nell'unico modo in cui può esserlo ontologicamente: un "noi" non più retoricamente strumentale all'egocentrismo del potere, ma condizione della ragione e dell'esistenza dell'umanità come entità sociale.

E' contropotere, non potere speculare al potere borghese imperialista. Per questo non servono dittature del proletariato (anche se il proletariato è parte centrale del processo), sarebbero controproducenti; e non sono opportune (e mai lo sono state) le egemonie di partito nella riproposizione della separatezza meccanica della politica dal popolo, ancora una volta riproposta magari con una bandiera rossa a effige.

Non sono neppure vincenti guerre civili, scontri militari contro un regime borghese che epocalmente è assurto alla quintessenza del potere di distruzione di massa, di sparizione dell'umanità con i mezzi della guerra.
Sarà lunga, non sarà facile: abbiamo di fronte un nemico spietato, ma il campo di battaglia, lo spazio vitale è il medesimo tra noi e loro: i rapporti sociali, il territorio, i mezzi di produzione, la vita civile, la democrazia rappresentativa, ambiti in cui un movimento non violento ma determinato può infliggere colpi mortali ai profitti, al consenso, ai meccanismi di rappresentanza, alle elite borghesi e alle caste partitocratiche che sin'ora hanno governato con false democrazie.


E' la vera democrazia, l'autentica sovranità popolare che come convitato di pietra si affaccia in questo terzo millennio. Mai come oggi è chiaro a sempre più persone come democrazia e res oeconomica siano indissolubilmente collegate, anzi: siano un tutt'uno come questione dirimente la sopravvivenza della specie umana, del pianeta, non solo delle comunità sociali.
Proprio ora che i centri del potere finanziario, la troika BCE, FMI e Banca Centrale Europea o la Federal Reserve, dettano la politica economica ai paesi, rivelando il loro totalitarismo, che è la dittatura dei profitti e di chi li ottiene, questa verità è chiara come il sole del mattino a sempre più persone.


Il 15 ottobre allora, è un chiamarsi a battaglia di una comunità internazionale e civile, che inizia a riconoscersi come soggetto trasversale e molteplice, nelle diversità, ma con un unico denominatore comune: la fine della logica selvaggia del profitto per il profitto e l'avvento di una società con al centro le persone e la loro felicità, il loro benessere, con al centro i beni comuni, le ricchezze sociali e culturali prodotte dall'attività umana con l'ingegno, la passione e l'amore, una libera koinè con al centro le speranze, i desideri, i progetti degli individui e delle comunità e dei paesi, come diritti inalienabili.

Alla lotta!






venerdì 7 ottobre 2011

INEVITABILMENTE SI ARRIVA AL DEBITO...




E' successo che il delirio fiscale dell'Agenzia delle Entrate e le conseguenti cartelle con sanzioni e more ben oltre i limiti dell'usura hanno inizito a colpire anche i soloni del lavoro dipendente, la sinistra ultracipputiana, fino alle frange più radicali.
E' di un mese fa l'occupazione della sede provinciale di Equitalia a Mestre, da parte dei centri sociali, che sono andati a pignorare simbolicamente i mobili di questo ente privato che specula sulle disgrazie e i problemi a pagare di milioni di cittadini, quelli che denunciano correttamente ma non ce la fanno a pagare.

Persino i centri sociali, dalle parole di Valentini Pavin Cacciari qui, nella summenzionata giornata di lotta parlano di aziende che chiudono, di strumenti di lavoro pignorati, di partite IVA che pagano in modo sporoporzionato e se non pagano scattano le ganasce fiscali, le ipoteche, tutto questo oltre ai pensionati e ai lavoratori dipendenti.
(Per capire cosa bolle in pentola nella sinistra radicale, è utile anche: http://www.zic.it/anche-a-bologna-occupiamobancaditalia/?utm_source=twitterfeed&utm_medium=facebook)

Il buon senso di chi tutti igiorni si trova a gestire un'attività, porta a dire che il sistema fiscale italiano è fatto per colpire non i veri evasori, ma chi paga le tasse, vuole pagare le tasse come è giusto che sia, ma non ce la fa. E' un sistema fiscale che fa vivere bene solo chi evade, chi fa del nero, con la perversa presunzione che tanto in questo paese di furbi, dal bunga bunga facile, TU EVADI a prescindere. Per cui paghi e paghi e se ritardi, con sanzioni, more e quant'altro.

Ma oggi, che viviamo la crisi finanziaria più devastante, come modalità in cui si manifesta la crisi strutturale del capitale, crisi di sovraproduzione di capitali e di merci, questo meccanismo di rapina, spoliazione, saccheggio dei beni e del risparmio di milioni di cittadini a favore della speculazione, con la complicità fiscale e politico-economica degli stati, diventa un meccanismo ancora più perverso. Ora che la globalizzazione ha portato a spostare interi cicli produttivi nelle aree del mondo dove più bassa è il costo della manodopera, assistiamo a una deindustrializzazione e a un conseguente degrado delle aree metropolitane che sino ad oggi erano definibili del capitalismo avanzato o centri del capitalismo. Dagli Stati Uniti all'Europa, al Giappone.

Ma i parametri già iniqui di un fisco sordo, che è una delle cause della morte di centinaia di migliaia di aziende (molte chiudono per debiti con l'INPS, nonostante la presenza di ordini da evadere... lasciando a casa le maestranze!), restano uguali, volutamente, con criteri bipartisan. Perché quello che accomuna un fiscalista delirante come Tremonti, che ferma il paese per spostare bruciare ricchezza sociale nei mercati finanziari, nel debito senza fine e un Bersani che "deve far quadrare i conti" comunque, è la completa adesione a un totalitarismo economico che caratterizza il ruolo delle reali istituzioni di potere della Comunità Europea: organismi eletti da nessuno de cittadini dell'unione, che dettano le agende politiche ed economiche degli stati in crisi e dei paesi membri in generale.

Saluto quindi con sollievo e vivo apprezzamento le scelte politiche della sinistra radicale, del sindacalismo di lotta, dalla FIOM e Cremaschi ai centri sociali e a tutti gli attori che hanno colto seppur in modo tardivo, uno degli aspetti che carattetizzano le nuove forme di precarioato e di schiavitù sociale ai dettami del debito pubblico, della rapina finanziaria e del fisco. Aspetti legati tra loro.

Da decenni la sinistra italiana, anche quella di classe e più attenta alle problematiche della classi popolari e ai lavoratori, non fa più da traino nelle lotte sociali a livello internazionale. Conclusosi l'ultimo grande ciclo di radicalità conflittuale negli anni '70, oggi si va a rimorchio degli indignados spagnoli e di quelli statunitensi.

Oggi negli States, vasti strati di popolazione colpiti dalla crisi, realtà politico-sociali di diversa estrazione ideologica, si sono unite nella lotta contro un nemico che hanno saputo individuare molto bene: Wall Street e la banca centrale. Hanno capito che lo stato americano, come tutti gli stati del blocco imperialista occidentale, privatizzano i profitti e socializzano le perdite, che salvano le banche ma non i cittadini, che persino le classi medie, già devastate dalla crisi, ne fanno le spese, in un sistema di welfare che ormai non esiste più, o è destinato a sparire nei paesi dive la crisi è più forte.

La sinistra italiana ci è arrivata dopo, ma vivaddio ci è arrivata. E questa scelta di campo, come la manifestazione del 15 ottobre, con le realtà politico-sociali che si riconoscono nella parola d'ordine "noi il debito non lo paghiamo", sarà la chiave di volta per una risposta del resto inevitabile da parte dei più vasti strati sociali alla caduta del welfare, alla fine dei patti sociali che avevano alimentato corporativismi, aristocrazie operaie, una pacificazione sociale che aveva contraddistinto la fine del Novecento in Europa e nelle società "opulente".
La rapina del risparmio è l'altra faccia della medaglia di un attacco selvaggio e spietato alle condizioni di lavoro, alla contrattazione con il famigerato articolo 8 del nuovo DL. Dobbiamo diventare tutti precari e lavorare alla "cinese".

Benevenuti nella lotta di classe, dunque. Oggi abbiamo l'occasione straordinaria di riunificare più settori sociali e della produzione capitalistica contro lo spettro di un capitalismo finanziario selvaggio che non ha più alcun legame con i territori di riferimento e che può spostare (e lo sta facendo) il baricentro delle sue attività di drenaggio di profitti, i suoi mercati, gli alti livelli di consumo e benessere, dove più gli fa comodo.

Oggi, paradossalmente, a fianco dei lavoratori dipendenti, dei salariati precari, abbiamo potenzialmente categorie sociali, classi medie, piccola borghesia produttiva e imprenditoriale, che si contrappone alla speculazione finanziaria.
Già nel biennio '43-'45, la classe operaia aveva a fianco nella lotta alla peste nazifascista gran parte della società italiana. Per altre ragioni, in contesto diversissimo. Ma oggi quello che prima era "società dei due terzi", con un terzo e ancor meno in una povertà "protetta", diviene 2/3 al contrario, dove i due terzi in via di pauperizzazione, senza tutele e con sempre meno ammortizzatori, non sono per nulla protetti.

La prospetiva rivoluzionaria in una formazione economico-sociale si crea nel momento in cui la maggior parte della società non ha più nulla da perdere. Certo occorrono le sovrastrutture ideologico-progettuali, politiche e culturali delle socggettività rivoluzionarie, ma sapere se una fase è matura per un cambio rivoluzionario o no, è molto importante.

Le avanguardie sociali, più che i grumi di un passato politico, da segreteria di partito, hanno ben compreso che la rapina quotidiana e l'usura che il fisco ed Equitalia mettono in opera contro i cittadini, le imprese, i precari, i lavoratori, le partite iva azzannate dall'INPS, sono parte del grande saccheggio del capitale finanziario, complice lo stato, alla popolazione.

Non pagare il debito significa sostenere i punti della piattaforma di questo movimento, principalmente moratoria sul debito pubblico sul modello dell'Islanda. Ma significa anche moratoria su quella sterminata selva di cartelle con sanzioni, che accrescono il debito dei cittadini oltre misura, che hanno lo scopo di fare bingo con le loro case, con i loro capannoni, con i loro strumenti di lavoro e autovetture. In altre parole di trasferire ricchezza sociale e risparmio dei piccoli privati a una ristretta classe parassitaria di boiardi che si autopremia con ricche stock option, a una casta di politicanti bipartisan che deve mantenere i propri carrozzoni di nani e ballerine con i surplus estorti a chi le tasse cerca di pagarle.

Un taglio delle sanzioni e delle more, una sospensione a chi dimostra di non potercela fare a pagare, la riforma di un fisco e dei meccanismi di pagamento che vada a colpire la vera evasione, le ricchezze nere e lorde di sangue della criminalità, i profitti dei più ricchi con patrimoniali, che ristabilisca delle fasce di contribuenti, con una soglia sotto la quale non si paga o si paga una tantum, che accetti sospensioni per le PM che dimostrano di mantenere costanti livelli occupazionali, che investono su forza-lavoro, sull'innovazione, che rispettano i contratti e lo statuto dei lavoratori. Un'impignorabilità della prima casa soprattutto.





mercoledì 5 ottobre 2011

FASCISMO EUROPEO.


Hanno iniziato con gli arresti di 12 attisti del M15 spagnolo a Barcellona. Ora, la notizia dell'arresto per istigazione al terrorismo del rapper Pablo Hasel a Madrid. Che lo stato spagnolo si avvalga di leggi rimaste dal franchismo è solo un dettaglio.
In realtà la Spagna di Zapatero dimissionario, dove nell'arco costituzionale e parlamentare ci sono forze che dovrebbero ritenersi "democratiche", risponde alle lotte democratiche, civili, di massa, sempre meno minoritarie nel paese, col terrorismo fascista di stato.

Questa è oggi la Spagna. E lo è l'Europa. Un sovra-governo di banchieri messi al potere reale della Comunità Euriopea senza elezioni, che impongono con la violenza dei singoli stati sui lavoratori e i cittadini, dalla Grecia alla Spagna, i loro diktat. E chi si ribella a questo, non con bombe, attentati, omicidi, ma con la mobiltazione pacifica dal basso, partecipata, con la discussione, con la critica civile, viene tacciato di terrorismo o apologia.

Ma terroriste sono sempre di più le forze di regime, che da destra o da pseudo-sinistra ripetono la litania del capitale finanziario multinazionale: io speculo, voi pagate. Rendite private e debiti socializzati.
Terrorista è chi non dà alcun futuro ai giovani, a chi riduce, se non azzera, le possibilità di una vita decorosa a milioni di cittadini. Chi reprime con la violenza e il carcere le giuste e sacrosante proteste contro la politica unica, il pensiero unico di questo grande regime fascista europeo che si va affermando con prepotenza e arroganza contro i popoli, contro le classi popolari del nostro continente.