sabato 29 gennaio 2011

LA RIVOLUZIONE ALLE PORTE.


Dicono che i paesi del Mediterraneo del sud siano le porte d'accesso all'Europa. Da sempre sono i luoghi dove passano merci, saperi, flussi culturali. Così è da millenni. Ecco perché è importante capire cosa accade in questi paesi e che ricadute ci possono essere in Europa, a partire dall'Italia.

Quello che sta accadendo in Tunisia, Egitto e in altri paesi del bacino mediterraneo e del Medio Oriente, ci fa capire cosa sia una rivoluzione. La forza di un popolo che spazza via tutto, che utilizza ogni mezzo, internet, i telefonini, il tam tam quartiere per quartiere per una lotta senza quartiere. E in questo contesto non c’è potere che tenga. Gli ultimi dispacci dicono che la famiglia di Mubarak è già all’estero. Come un’onda la rivoluzione si propaga di paese in paese, perché i popoli traggono subito insegnamento dalle esperienze degli altri popoli.

Nell’era della globalizzazione, quello che sembra essere uno status quo indissolubile, si sgretola, le alleanze si sfarinano. Gli USA che hanno avuto per decenni alleati comodi come i rais arabi di Egitto e Tunisia, d’un tratto si accorgono del pericolo per gli equilibri internazionali e passano ai moniti: Obama intima a Mubarak di dare democrazia al popolo. Ma l’Occidente stesso ha goduto per decenni di queste tirannie. Oggi pertanto, non può chiamarsi fuori con patetici appelli alla convivenza civile. Il giochino della rapina globale ammantata di civilizzazione tecnologica non funziona più. Iniziano i popoli arabi, a chiedere il loro diritto a una società meno diseguale, dove si è liberi di associarsi ed esprimere opinioni. La stessa democrazia che l’Occidente decanta e profonde a piene mani dalle sue cannoniere, ora deve essere concessa sul serio. Non la falsa democrazia blindata dei fortilizi NATO in Afghanistan, ma la democrazia delle organizzazioni sindacali legali, del pluralismo vero. E noi, abituati a vedere un mondo arabo oscuro, permeato di integralismo islamista, vediamo folle di giovani tunisini ed egiziani chiedere pane e lavoro, libertà e diritti. Le sorprese della storia.

Ma attenzione. Quello che oggi accade in questi paesi apparentemente lontani per cultura da noi europei, ma così vicini nel condividere il medesimo mare, non è così alieno in un contesto italiano, di forte crisi sociale e politica, dove affiornao spinte disperate e arroganti a un autoritarismo autoreferenziale, che non vede coesa in questo sforzo neppure tutta la borghesia finanziaria. In questo contesto di scontro aspro tra pezzi di stato, di subbuglio sociale, di caos sempre più eretto a norma, ha ragione Massimo Cacciari, di pre-guerra civile, la rivoluzione è veramente alle porte. Perché anche qui masse di giovani, di lavoratori, di precari, di artigiani e commercianti alla canna del gas stanno perdendo la pazienza. La misura è colma lo diciamo noi, non i tirapiedi di Berlusconi, arroccati nell’ultima difesa, dopo che persino Gelli li ha buttati in culo.

Ma tra le rovine del berlusconismo occorre far emergere altre forze sociali, che scavalchino quei cani morti dei “democratici” e che pratichino una democrazia vera, quella che oggi è l’unica possibile: la democrazia diretta. Marx e Lenin chiamavano la democrazia diretta “dittatura del proletariato”, intendendo “dittatura” nel suo significato originario di governo eccezionale e transitorio. In questo caso popolare. Oggi la democrazia diretta come transizione a una società civile che applica in toto la carta costituzionale, oltre i poteri criminali e finanziari, le malversazioni, le corruttele, i cartelli dell’energia e della finanza, è una fase storica e un processo politico di autogoverno sociale auspicabile e realizzabile. L’unico che possa bloccare i cambi di potere che mantengono le stesse caste al potere dal dopoguerra ad oggi.

sabato 22 gennaio 2011

FAHRENHEIT 451 IN SALSA VENETA.


Su proposta dell'assessore provinciale di Venezia, Raffaele Speranzon (PdL), vanno sparendo dalle biblioteche pubbliche e scolastiche dei 44 comuni della provincia veneziana, le opere di autori come Carlotto, Evangelisti, Masali (per saperne di più, vai qui, qui e qui), rei di aver sottoscritto alcuni anni fa un appello per la liberazione di Cesare Battisti. L'assessore Elena Donazzan spiega: «Non è un'imposizione, ma un invito alle scuole a respingere quello che ritengo un messaggio diseducativo da parte degli scrittori che hanno firmato la petizione a favore di Battisti. Un invito, ripeto, a non adottare i testi degli scrittori firmatari dell'appello e a non coinvolgerli in confronti o dibattiti pubblici finché non tolgono il loro nome dalla petizione del febbraio 2004».
Fosse anche lontanamente ammissibile in simile provvedimento per la ragione addotta da esponenti berlusconiani e leghisti, non si spiega allora anche la sparizione delle opere di Saviano, che quell'appello non l'ha firmato, anzi: si è sempre schierato a favore dell'estradizione dello scrittore perseguitato (così io lo considero, insieme a gran parte dell'intellettualità mondiale, Vargas per prima).

Su questa questione occorre essere chiari. Quando qualcuno inizia a "mettere al rogo" dei libri e all'indice degli autori, qualsiasi ragione possa avere, sottolineo qualsiasi, significa che una società sta andando verso un totalitarismo, verso un regime fascista. Punto.
Io non impedirei neanche la stampa e la pubblicazione del mein kampf di Hitler. Questa è la democrazia. La verità è che questi provvedimenti, ricordano i roghi nazisti dei libri: provvedimenti che hanno preannunciato l'avvento del nazional-socialismo.

Ma quello che più mi sconvolge è la totale assenza degli intellettuali, degli artisti, scrittori, registi, di fronte a questo evento, che si sta consumando nel più totale silenzio, nella più abietta acquiescenza.
Non parlo dei politici. Quelli mi fanno schifo già da tempo, dirigenti del PD in testa. Gente che non difende i lavoratori, vedi le vicende di Pomigliano e Mirafiori. Figuriamoci la libertà d'espressione. Forse aspettano che Calderoli o Borghezio si mettano la divisa di Goebbels, facciano il saluto romano e diano di lanciafiamme alla Costituzione. Allora sì, l'evidenza lo esige...

A questi imbecilli della difesa dei diritti de loartri e d'artri tempi, ricordo la storia del pompiere di Fahrenheit 451, romanzo del grande Ray Bradbury, che alla fine, tra un focherello e l'altro, vide la sua di casa andare a fuoco.

venerdì 21 gennaio 2011

IO NON MI SENTO ITALIANO.


Ma cosa ci vuole per far dimettere un presidente del consiglio che ci fa vergognare di essere cittadini italiani, che sta screditando il nome dell'Italia in tutto il mondo?
Intendiamoci. Non ne faccio una questione sessuale. La moralità non passa attraverso le scelte, le pratiche e i gusti sessuali di una persona. La questione è sul fatto che solo sul sospetto di reati come la concussione e la prostituzione minorile, reati che a un cittadino italiano normale comporterebbero svariati anni di carcere, una carica dello stato avrebbe il dovere e la responsabilità di dimettersi per andare a difendersi davanti ai magistrati.
Inoltre è pur vero che è moralmente abietto utilizzare con logica da mercimonio delle ragazze, fare festini, ossia avere atteggiamenti nella vita privata che espongono la propria condotta a critiche, gossip e che danno un'immagine indecente del massimo governante agli occhi del mondo.
Qui sta l'immoralità, il venir meno degli obblighi che una personalità dello stato ha nei confronti di noi cittadini.
In privato Berlusconi, se non delinque andando con minorenni e pagando puttane, può farsi dare in culo anche da sei africani. L'importante è che non lo faccia esponendo lo stato e il governo a una crisi di credibilità, che non lo faccia coi nostri soldi di contribuenti (le auto di polizia accompagnavano a casa l'harem delle sue troie nel residence da dove ora le sbattono via a calci in culo) e che non dia segno di incoerenza, sostenendo le crociate oscurantiste e omofobe del Vaticano e poi comportandosi da puttaniere impenitente.

Poi però va detto che il degrado a cui questa classe politica di regime ha condotto il paese, i disvalori che sono passati, il ruolo degradante della donna, la corruzione e l'evasione delle tasse come esempio di italica furbizia, le ingiustizie che vedono i potenti non pagar mai dazio e i subalterni sostenere col sangue e il sudore, in solido, questa casta di lenoni decadenti, sono tutti fattori di una situazione che sta decisamente passando il segno.
Una situazione di eccezioanalità che ha spiazzato democristi di lungo corso riciclati, prelati, le associazioni imprenditoriali che ora vedono con preoccupazione le ricadute dell'affair Berlusconi come crisi politica che va ad aumentare sui mercati finanziari e nell'economia in genrale gli effetti nefasti della crisi di sistema.
In un momento in cui tanto si dovrebbe fare e velocemente per contrastare le ondate speculative che guidano l'andamento della crisi finanziaria e di conseguenza economica, ci troviamo non solo una classe politica neoliberista al potere, che è anche una cricca corrotta e corruttrice, amica dei poteri criminali e mafiosi.
E quello che è peggio è l'assuefazione che permea le coscienze anche di chi è contro. Non vedo masse oceaniche mobilitarsi per sbloccare questa situazione. Vedo un Bersani, che per dirla alla Vauro si fa le pippe.
Ma questo è vero ed è quello che passa nella società civile. Per questo Berlusconi continua a starsene lì.

giovedì 13 gennaio 2011

I MIRINI DELLA PALIN


Ve lo immaginate? Se qui in Italia qualcuno avesse messo dei mirini su delle località riferite a personaggi politici, che so: Berlusconi, Chicchitto, Cota, tanto per non fare nomi, sarebbe stato denunciato. Se poi un terrorista avesse agito, la galera per quel qualcuno sarebbe stata inevitabile.
Per Sarah Palin invece no: tutto normale. La massima rappresentante dei Tea Party USA, la forza politica più forcaiola e strapagata dai repubblicani e dai potentati di estrema destra statunirensi battezza un'avversaria politica, la democratica Gabrielle Giffords ed altri vari con dei bei mirini, avviene la strage di Tucson e nessuno, anche della nostra stampa embedded, che riconosca il fatto che la Palin è la mandante morale della strage di Tucson.

Leggete cosa c'è scritto sull'immagine che ho sopra riportato: noi abbiamo indicato il problema... vi aiutiamo a prescrivere la soluzione. Così chiaro che per il giovane Jared è stata come una chiamata alle armi. Nei paesi arabi si chiama fatwa.
A cosa è servita la marcia indietro della Palin, togliere la pagina dei mirini, fare una penosa e tardiva dichiarazione contro la violenza? Indubbiamente l'azione di uno squilibrato ha favorito l'autogoal della destra repubblicana. Ma io voglio soffermarmi sull'indulgenza e la mancanza di condanna da parte della stampa del clima d'odio che la destra semina. Là negli USA come qui in Italia. I fucili padani in primis.

Voglio rimarcare il peso e le due misure dei nostri mezzibusti e giornalisti vari. Come nel caso delle scritte torinesi sul referendum padronale di Mirafiori, sul ricatto ignobile di Marchionne. Cosa dicevano? Cose del tipo: sono i cinesi che devono avere i nostri diritti e non noi che dobbiamo esserne privati come i cittadini e i lavoratori di quei paesi dove lo sfruttamento è selvaggio e privo di diritti e tutele. Scritte molto più democratiche degli accordi osceni del sindacalismo giallo e venduto, tornato in auge per aiutare la Fiat e i poteri forti, il governo e le destre a cancellare un secolo di conquiste sociali e del lavoro.
Sulle scritte c'è una stella? Ah, sono le bierre.

Ribalto allora la questione. Questo livore, questa caccia alle streghe, è il modo che hanno i poteri forti per attaccare qualsiasi forma di opposizione vera ai loro disegni di liberismo selvaggio e incontrollato. Questi elzeviri da pennivendoli di mestiere sono degli attacchi al diritto di espressione e alla democrazia. Sono tanti mirini neanche tanto metaforici contro chi si organizza, contro quella parte di classe cha ha una coscienza politica critica e la manifesta. Legittimano la cancellazione del diritto di rappresentanza in fabbrica. E quando muore un diritto è cosa paragonabile alla morte di una vita umana.


I CAPPONI DI RENZI


Evidentemente non ci si rende bene conto di quale sia la posta in gioco con il referendum di Mirafiori e di quale ruolo stia giocando la Fiat (si parla sempre di Marchionne, ma rendiamoci conto di chi sono gli attori in questo scenario, gli interessi, i poteri del capitale finanziario che si stanno muovendo...).
In gioco ci sono i diritti del lavoro conquistati in oltre un secolo di lotte democratiche e sociali, un'idea di società e di democrazia basata su contrappesi che rendono meno diseguale il sistema capitalistico, verso un liberismo ancora più selvaggio e senza regole.
Il ruolo della Fiat è quello di fare da apripista a un capitalismo che non avrà più remore e barriere nel ridurre ogni ambito del vivere civile agli interessi privati e di ceto di chi ha il potere vero nel paese.

E in questo gioco, che gioco non è, ma è tragedia, vengono fuori gli imbecilli, come Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, che rivela una volta per tutte quale sia la vera pasta con cui sono fatte le nuove generazioni di politici del centro-sinistra. Il quale sostiene che una volta tanto che la Fiat investe in Italia, dire no non significa essere di sinistra e avere ragione. E si accoda al Berlusca nel benedire il sì che verrà estorto ai lavoratori di Mirafiori.
Dietro il pragmatismo dell'ineluttabilità dei conti, si cela la caduta verticale di valori. Dietro il fare bene il proprio compito c'è nella migliore delle ipotesi il cretinismo di chi non ha null'altro da proporre che una gestione dell'esistente secondo l'agenda di chi mena le danze da sempre. Nella peggiore la complicità (nella cinica disinvoltura) con i ceti dirigenti del paese. Al primo cittadino fiorentino il pranzo ad Arcore sarà piaciuto.

La questione vera è duplice: a sinistra non esiste un'idea di alternativa economico-sociale al neoliberismo selvaggio. E questo dà spazio alle anime candide come Fassino e Renzi, vecchi e nuovi aedi di un falso riformismo.
E di conseguenza non c'è una forza politica che rappresenti gli interessi generali del lavoro dipendente, del precariato, della disoccupazione, del sommerso. Ma neppure dei ceti produttivi, quelle sacche di lavoro autonomo e di piccola imprenditoria falcidiate sia dalla crisi che dalla indistinta e burocratica pressione fiscale.

Il PD rappresenta in Italia, nelle sue correnti interne, il fallimento del riformismo. Con una sostanziale differenza rispetto ai socialismi europei. Che questi ultimi hanno fallito cercando di conciliare i conti della serva con i connotati sociali di riferimento. Il PD invece è andato ben oltre, raffigurandosi come forza del tutto interclassista, in un modernismo di facciata che accoglie tutte le peggiori ricette neoliberiste. Merda ideologica che difficilmente troverebbe consensi in Francia e in Spagna, per esempio.

PD e sinistra radicale, divise nelle posizioni di fondo, si trovano entrambe spiazzate di fronte all'offensiva delle destre. La prima per totale acquiescienza alle logiche del neoliberismo, la seconda perché puramente resistenziale. Priva di dinamismo verso le nuove espressioni di antagonismo e partecipazione sociale (ed econonica!!!). Sono i due capponi che vanno in pentola alle prossime politiche.

Da queste sconfitte inevitabili del nostro movimento operaio (inevitabili perché manca il soggetto politico di classe che rappresenti appunto la classe, perché la FIOM è un sindacato e sta facendo da partito d'opposizione, con tutti i limiti del caso), da questa situazione che giungerà al collasso della convivenza civile, nascerà qualcosa di nuovo. Almeno si spera. Che non è neppure nelle passeggiate torinesi di Vendola.
La forza antagonistica della classe, la sua autonomia politica, l'autorganizzazione dal basso, si incaricheranno di mandare un bacione a Firenze.

lunedì 3 gennaio 2011

BUON ANNO, SI FA PER DIRE...


Quest'anno inizia con un Marchionne che ricatta i lavoratori di Mirafiori: o si accettano le condizioni imposte, che escono dalle regole dei diritti del lavoro, o la Fiat va ad investire altrove. Persino la neosegrataria CGIL Camusso prescrive alla FIOM di accettare il diktat che cancella un intero secolo di conquiste sociali e che aprirà la strada a nuove forme di sfruttamento selvaggio della classe operaia e del lavoro dipendente.

Inizia con le risposte rabbiose del governo e dei soliti esponenti della pseudo-opposizione, alla decisione sovrana di uno stato, il Brasile, nel non concedere l'esgtradizione a Cesare Battisti. Una canea forcaiola che dà per assodata la colpevolezza dello scrittore, tutti insieme appassionatamente in un teatrino osceno di cappi e corde, fiaccole e cappucci. Non si sa se del Ku Klux Klan o della P3.

Inizia con le ultime misure di Tremonti in materia fiscale, che renderà più difficile la vita a chi non riesce a pagare le tasse, perché nega corcostanze importanti di compensazione: i soldi li vogliono tutti e subito, poi si discute, poi te li ridanno, forse ma forse, a babbo morto. Ciò provocherà centinaia di migliaia di esecuzioni e pignoramenti, intasamento di pratiche nelle già ingolfate cancellerie dei tribunali, un aumento dei dannati della tassa sovrumana, mentre i grandi pescecani e i megafurbi coperti dai santi partiti, che su questo sono tutti bipartisan, continueranno a non pagar dazio. Magari ci sarà un altro scudo fiscale. Il loro pagare poco o nulla è condizione del pagare di più per la maggior parte dei piccoli imprenditori e dei lavoratori autonomi. Bello schifo.

Inizia, poi, con aumenti ingiustificati di gas, assicurazioni, autostrade e quant'altro: guarda caso di tutti i prodotti e servizi erogati da autentici cartelli di profittatori, che da decenni ci rapinano con coperture governative. Un'autentica mafia, peggiore di quella classica, perché autorizzata di fatto dallo stato e non indagata dalle varie autority.

Inizia con una miseria sociale tra le più spaventose, con un aumento della cassa integrazione, dei licenziamenti, delle nuove povertà. Anche i ceti medi si ritrovano a saltare per aria: famiglie in bancarotta e salti di pasto ben prima dei venti giorni mensili.

Inizia con un'instabilità internazionale, con guerre ignorate dove l'Occidente prende sempre parte per ragioni di rapina e quasi sempre coperto dall'ONU, o con guerre sponsorizzate dai maggiori importatori di petrolio e benedette da media embedded privi di scrupoli e obiettività. Se il terrorismo islamico cresce, se aumenta l'odio verso i cristiani, verso l'Occidente c'è una causa ben precisa, che le nostre Tv spacciano per effetto, per risposta di un terrorismo che forse è arrivato dal pianeta papalla.

Inizia con il prosieguo del declino di Europa e Stati Uniti (anche se ora la Comunità Europea conta un membro in più, sai te...), di fronte all'avanzata economica dei paesi asiatici, Cina, India e Russia in primis, che ci stanno invadendo di merci a bassissimo costo, merda varia che passa da voragini come il porto di Napoli, mentre noi per vendere là dobbiamo esibire certificazioni e disciplinari da pignolo svizzero. Una produzione esternalizzata che vede complici i nostri peggiori gruppi imprenditoriali e multinazionali, che contribuiscono alla disoccupazione qui da noi, con costi sociali e sanitari che non pagheranno mai, che prendono i soldi e scappano come la Fiat e l'Omsa, tanto per non fare nomi.
Un declino dettato anche dal forte potere cinese, ormai padrone di dollari, titoli, proprietà, in un'invasione ultraimperialistica di un comunismo (così da noi definito) che ci ripaga con la stessa moneta.
Una crisi strutturale determinata dallo spostamento degli assetti internazionali della produzione capitalistica, dalla nascita di nuovi poli economici lontanissimi da noi e quindi da nuove e potenti piazze finanziarie che dettano l'agenda delle scelte economiche ed energetiche strategiche, dove NATO e Stati Uniti possono solo contrastare questo sviiluppo e questo spostamento geoeconomico con una politica militare di espansione nelle aree di forte presenza dell'idrocarburo, come il Medio Oriente, Irak, Iran e Afghanistan in primis.
Una crisi accelerata e resa più devastante dalla speculazione finanziaria che non guarda nulla e nessuno. Interi paesi crollano come carte di di un castello che si credeva indistruttibile. Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna a rischio e tra breve l'Italia, che ha il debito pubblico più vertiginoso d'Europa, e che quando cadrà farà un tonfo così forte da lasciare nei secoli gli echi della miseria più nera, in una crisi infinanziabile dai partner dell'euro, Germania in testa.

Ecco, questo è l'inizio d'anno. L'unica possibilità concreta che abbiamo, anche se dolorosa, probabilmente sanguinosa, è passare attraverso la stretta porta di un conflitto sociale di vaste proporzioni. Uno scontro che butti all'aria tutti i santini scacciaconflitto che i vari Fassino, Bocchino e merdaccia varia, agitano da soloni del nulla nelle loro giaculatorie mediatiche. Che spazzi via questa casta di intoccabili e il loro teatrino dei pupi che spacciano per sistema democratico.
Uno scontro che faccia emergere la gente, marxianamente leggi: la classe e le sue soggettività in lotta. Tanto, con questi politici di lungo corso, sappiamo già dove stiamo andando a finire. E nel magma sordo del rancore sociale, tutto può accadere. La soluzione autoritaria è dietro l'angolo. Ma a questo punto, sarà bene tentare il tutto per tutto.
Tanto come abbiamo vissuto negli ultimi 40 anni del secolo scorso, noi occidentali non ci vivremo più.