venerdì 29 luglio 2011

GENOVA PER NOI... GENESI DELL’AUTONOMIA POLITICA DI CLASSE




Ho molta stima per Jacopo Fo e le domande che si fa su il Fatto quotidiano non sono certo peregrine. Il tema della nonviolenza nelle manifestazioni di massa della sinistra e del pacifismo s’intreccia con l’autodifesa militante delle medesime. Le lotte sociali presuppongono da sempre la legittimità dell’autodifesa, così come l’azione politica di massa che si traduce nell’occupazione delle terre, delle fabbriche, nel sabotaggio e nel boicottaggio della macchina guerrafondaia dell’imperialismo e così via.

Pratiche che ne segnano la storia, quella delle classi popolari che si oppongono all’egemonia spesso violenta e autoritaria delle classi egemoni, del capitalismo anche nei sistemi democratici parlamentari, che lottano per affermare diritti, sino alla lotta rivoluzionaria stessa per una nuova società.
In questo solco c’è l’esperienza dei movimenti operai e contadini, delle organizzazioni sindacali e delle leghe dei lavoratori, e come non citare la grandi lotte sociali degli anni ’60 nell’occidente capitalistico? Come non citare addirittura le lotte non certo di paradigma marxista o anarchista, come quelle del gandhismo o degli afroamericani di Luther King?


Proprio sulla base di una visione più generale – secondo me necessaria – delle esperienze storiche e politiche dell’antagonismo di massa, non sono d’accordo con le conclusioni a cui Jacopo Fo arriva su Genova.
Jacopo Fo si pone il problema della criminalizzazione del movimento, quindi della necessità di calibrare iniziative meno invasive, come manifestare senza cercare di invadere la zona rossa. Dimostrando così una visione un po’ ingenua dello scontro politico. Perché provocatori e black blok esistono e operano a prescindere dal modo di porsi sulla piazza di un movimento.
Non voglio dire che l’attacco ai manifestanti ci sarebbe stato lo stesso. E non voglio nemmeno evitare la necessità di isolare quei soggetti che con la loro violenza politica priva di construtto rovinano i movimenti stessi. Tutt'altro!

Ma se vediamo la cosa su un piano politico più generale, la criminalizzazione a mezzo media e le azioni dell’avversario di classe vengono messe in opera comunque.
Il regime punta comunque a colpire e devitalizzare le forze politiche autonome, non inquadrabili in un "normale e normato" svolgimento del confronto tutto interno al sistema politico vigente.

La conclusione a cui arriva Jacopo Fo è che il movimento a Genova ha perso. Io sono convinto invece del contrario. Innanzi tutto perché una lotta ha senso per il suo valore politico, e su questo c’è coincidenza con Fo: il contrasto alle politiche neoliberiste e di sfruttamento messe in atto dal capitalismo internazionale e dai suio establishment è un denominatore comune. Ma una lotta ha senso anche e soprattutto se rappresenta una crescita politica dei soggetti che la fanno. La maturità politica dei movimenti attuali (vediamo proprio in questi giorni la forte e consapevole resistenza del movimento no TAV, il suo carattere fortemente politico) ha un passaggio importante proprio con Genova.

Se un movimento o una forza politica non si abbandona a condotte autoreferenziali come il crearsi una “riserva indiana” che non comunica con il resto dei soggetti sociali, o autodistruttive come la lotta armata in un contesto sociopolitico più o meno democratico-parlamentare, una lotta che mette in campo una forza di massa coesa e politicamente omogenea, pone le basi per passaggi più avanzati. Le pone perché una crescita dell’organizzazione di massa e dell’azione che sposta pesi politici nel paese crea coscienza della propria forza materiale e, a una crescita del movimento, l’azione consente di riassestarsi su un piano ancora più avanzato di consapevolezza e di incidenza nella politica del paese.

A Genova, il “movimento dei movimenti” ha messo in campo la sua radicalità. Da allora sono finiti i ragazzi del ’95, delle scarpette da ginnastica, le varie pantere, le lotte frammentarie e limitate per contenuti degli anni ‘80 e ‘90. E’ nata un’opposizione politica a un sistema di potere capitalistico globale e globalizzante, che del resto non poteva non generare come risposta una critica politica globale al sistema stesso.

A Genova si è capito col sangue versato nel sacrificio di migliaia di attivisti dalla Diaz a Bolzaneto, nelle piazze genovesi, e nella morte di Carlo, che rispondere è possibile. Rispondere con una narrazione diversa che diviene patrimonio politico acquisito, memoria storica. Una risposta politica che si è fissata con forza anche nelle generazioni successive di militanti anticapitalisti e del pacifismo. Che è entrata nei sepolcri imbiancati dei partiti della sinistra.
Quello che è passato nel paese è che le manifestazioni genovesi non erano episodi genericamente eversivi, semplicemente e linearmente criminalizzabili secondo gli schemi calogeriani di vent'anni prima, ma lotte sociali, di popolo per un’alternativa sociale al sistema di spartizione del mondo messo in atto dai grandi. Non una coscienza comunista compiuta, ma comunque una visione progettuale omogenea di società libera dalla rapina delle multinazionali sul bene comune, dallo sfruttamento selvaggio dei popoli del terzo e quarto mondo e dei giovani, dei lavoratori dei centri metropolitani dell’occidente avanzato, in preda alla precarizzazione e alla disoccupazione.


In questo, a Genova si è vinto. E il testimone in queste settimane è stato passato in Val di Susa. Le forze migliori dell’antagonismo sociale e delle lotte dei decenni passati hanno capito benissimo che l’alternativa a questo stato di cose non è praticabile su un mero terreno militare. Le decine di compagni che non ci sono più e di incarcerati duranti i cicli di lotte degli anni ’70, sono lì a dimostrarlo. Che c’è una Costituzione formale che va fatta vivere come Costituzione materiale di una società scevra da diseguaglianze e autoritarismo di classe. Che la forza democratica, di democrazia diretta delle classi popolari che si danno organizzazione e iniziativa politica è più fortie di qualsiasi disinformazione, velina, provocazione.

A Genova si è esercitata autonomia politica dei soggetti, in modo intelligente, maturo. Perché anche i tentativi di forzare la linea rossa non erano basati su atti violenti. autocelebrativi. Lo stesso Fo parla di gomma piuma. E allora di che parla? Che forse perché in Birmania l’esercito spara se vai in piazza e sei un "delinquente politico" a prescindere, i monaci buddisti e le opposizioni al regime non devono scendere in piazza? E’ un esempio lontano da altri ben più facili ma tremendamente comunisti...
Ma eloquente.

In concreto: sappiamo che un’autoconvocazione come hanno fatto gli indiñados spagnoli nelle nostre piazze italiane non avrebbe storia. Non durarebbe due giorni. Poi interverrebbe la polizia manu militari. Oggi nel nostro paese c’è un regime di destra, Jacopo Fo stesso ce lo ricorda. Ma nel suo ragionamento non dovremmo far nulla, dovremmo sederci in riva al fiume e aspettare il cadavere politico del regime. E la politica che incide la farebbero ancora una volta le forze borghesi.
Per troppi anni in Italia abbiamo visto al centro della scena politica i rappresentanti del sistema boghese, le cricche in lotta tra loro, senza esclusione di colpi nell’editoria e tv e il popolo di sinistra coma “massa di manovra” degli uni contro gli altri.


Genova ha dato una sterzata, che si vede bene oggi. E si chiama autonomia politica delle organizzazioni e delle realtà di classe e di opposizione reale, concreta a questo regime economico-sociale e politico. Ha indicato la strada, caro Jacopo. A Genova non c’è stata una battuta d’arresto, una decrescita delle forze di opposizione, ma per dirla militarmente, abbiamo avuto una testa di ponte politica da cui non si è più retroceduti.
E più il movimento cresce e diviene di massa, più l’azione incide, più la consapevolezza della propria forza materiale cresce, più le lotte che occupano, bloccano, boicottano, mettono in ginocchio la controparte, la costringono a scelte che poi pagano in termini di consenso. Si spostano rapporti di forza tra classi, tra forze politiche in lotta. Questa crescita è "potere contro" ... il potere costituito. Il contropotere trae la sua forza dalla classe per sé.

I tempi attuali lo esigono. Non dovrà esserci più tregua per le forze del capitale. Non danno alcun futuro a tutti noi. Noi non ne daremo a loro.

La lotta continua.

giovedì 28 luglio 2011

LA LEZIONE NORVEGESE


Che ci siano i soliti pompieri, affannati nel sostenere che gli attentati norvegesi siano opera di un pazzo, è solo un modo per sviare l'attenzione dal pericolo che le estreme destre europee rappresentano per la democrazia, quella sostanziale, reale, conquistata a costo di dure lotte e di una guerra di liberazione dal nazismo e dal fascismo.

Vediamo il perché.

Che Anders Behring Breivik abbia agito da solo o insieme a dei complici è importante per perseguire e disattivare un'eventuale rete terroristica cristiano integralista. Ma sul valore politico del gesto, al di là della presunta insanità mentale del Breivik, non v'è alcun dubbio. Il terrorista ha vissuto politicamente in brodo di coltura che è il medesimo in cui si riconosce Borghezio e con lui gran parte dell'estrema destra europea. E cosa propugna questo brodo? La lotta senza quartiere, la guerra all'Islam, alla laicità degli stati, al marxismo. In altre parole, più concretamente a una visione di società pluralista, basata sui diritti universali dell'uomo, sull'inclusione delle culture, delle religioni, delle sessualità, sulla valorizzazione delle diversità.

Nella paccottiglia ideologica delle destre estreme, che siano integraliste cristiane o neonaziste, o tutte e due le cose insieme, ci sono i germi di un totalitarismo fascista, basato sull'inimicizia e l'esclusione dell'altro, sulla supremazia di una casta di bianchi cristiani, di "migliori" che hanno il verbo e il vangelo dalla loro. Ci sono le visioni messianiche delle destre dittatoriali, quelle scorie oscure del Novecento che si credevano perse con la fine di quel secolo.

Ecco perché Borghezio va perseguito per le sue dichiarazioni a dir poco conniventi con la logica con la quale è nata la luicida follia di Breivik. In realtà aderenti al cento per cento. La gravità non sta solo e tanto nel gesto terroristico, ma nell'ideologia di sangue che vi fa da corollario. E Borghezio e quelli come lui non ne sono estranei.

Non facciamoci ingannare dal discorsino: Breivik muove da considerazioni giuste, ma poi compie un atto assurdo. Perché il filo di continuità di condotta tra ideologia neonazista, xenofoba, cristiano integralista e azione è qualcosa di tremendamente lineare. Se questi fossero al potere, cosa farebbero? Un assaggio lo si è avuto con le leggi sull'immigrazione in Italia. 18 mesi di galera vera e propria per chi arriva nel nostro paese clandestinamente.

Ed è indecente che Napolitano se ne esca con affermazioni a mio giudizio molto gravi, a favore del respingimento di chi arriva "illegalmente" (uso le virgolette, perché Napolitano dovrebbe spiegare quali siano le circostanze quotidiane, effettive, con le quali i nordafricani, curdi, ecc. possono giungere legalmente).

Posizioni istituzionali di questo tipo, rappresentano gravi aperture, nei fatti, a questa logica di aggressione ed espulsione dei migranti. E a questa destra non si può, non si deve concedere nulla.

Una grande battaglia di civiltà è iniziata. D'ora in poi, se diremo che un integralista islamico ha messo una bomba a Kabul o a Madrid, non potremo dire che un pazzo ha messo una bomba ad Oslo e assassinato a colpi di pistola decine di ragazze e ragazzi. Dovremo dire che l'ha fatto un integralista cristiano. Perché questo modo di agire il cristianesimo integralista produce. E questo è Breivik. Non altro. Al di là dell'esistenza di un piano organizzato e di un'organizzazione che lo attui, la matrice, il paradigma che ha originato l'atto terroristico non è alieno dall'atto stesso.

Un'ultima questione. L'attacco alla democrazia che accennavo all'inizio è data dal fatto che queste forze neonaziste et simili, sono da sempre al servizio di quelle parti di stato, della politica, della finanza, che si muovono per ridurre gli spazi democratici e le conquiste sociali delle masse popolari, che puntano a far diventare i cittadini dei sudditi. La destra estrema è funzionale al totalitarismo, quello vero, che riduce i diritti sociali in funzione dell'attuale divisione sociale del lavoro, che punta a stravolgere la Costituzione reale per limitare le libertà di espressione e gli spazi democrazia.

In Italia è dai tempi di Gladio, dello stragismo di stato e della strategia della tensione che è così. Se non tutta la verità giudiziaria è emersa, per colpa di una classe politica, con i suoi servizi deviati, che ha coperto, insabbiato, depistato, o sottovalutato il fenomeno, la verità storica del piduismo, del ruolo dei servizi statunitensi e delle forze reazionarie dentro la DC, i compiti funzionali dei vari Delle Chiaie, Freda, Ventura, Merlino, sono piuttosto chiari.

Bene farà pertanto la Norvegia a non cedere a tentazioni di controllo politico e sociale, nel nome dell'emergenza. Il premier e il suo partito laburista ha d'altronde capito bene i termini della questione. Trascinare la Norvegia in un clima emergenziale, fatto di leggi speciali, significa far vincere questi topi di fogna.

venerdì 15 luglio 2011

LA CRISI E CHI SOSTIENE QUESTO STATO DI COSE SONO Lo STESSO PROBLEMA


Con la manovra di Tremonti, pagheranno le fasce sociali più basse. Dai ticket sanitari ai tagli sulle agevolazioni fiscali, ai tagli alle pensioni e altro ancora, ancora una volta si va a mettere le mani nelle tasche già mezze vute non degli italiani, ma degli italiani meno abbienti.

Già l'iniquità di una scelta che non è (badate bene) obbligata, ma squisitamente politica, di campo, è ben evidente in questo dato: il 10% della popolazione italiana detiene il 45% della ricchezza complessiva, per cui non si capisce perché non si inizi a toccare le grandi rendite e i patrimoni delle fasce più agiate, perché non si toccano gli emolumenti e le agevolazioni dei parlamentari. Ma oltre a questo, è proprio la logica che è sbagliata. Le crisi, le speculazioni finanziarie le pagano sempre gli stessi. Gli utili da speculazioni e sul debito vanno alle banche e al sistema finanziario privato, mentre le perdite vengono socializzate.
Che sia crisi di sistema, che siano bolle speculative che alimentano la crisi stessa, le elite finanziarie e politiche non pagano mai dazio.

La politica stessa, di fronte al primato dell'economia neoliberista, ha perso i suoi ideali per arrivare ad essere semplicemente la funzione gestionale nella società e nelle istituzioni degli interessi privati delle lobbies economiche e delle multinazionali. Oggi è la politica che organizza e assicura ai potentati la grande spartizione.

Una politica che rivela il suo vero volto di fronte a situazioni come quella attuale. Non una posizione in controtendenza neanche dall'"opposizione". Sono tutti d'accordo con la logica del far fronte alla crisi senza mettere in discussione il sistema che l'ha originata.

Nessuno di questi signori, dal PD all'IdV, dice che la crisi è questo stesso sistema, che l'unico modo per uscirne è un cambiamento dei rapporti sociali forte, radicale e profondo, che veda i paesi europei e ogni paese in genrale uscire dal capitalismo che oggi si riproduce solo attraverso il più bieco sfruttamento dei lavoratori, sulla miseria come parametro del mercato del lavoro, sulla totale mancanza di rispetto e valorizzazione delle persone e dell'ambiente.



lunedì 11 luglio 2011

CHI PAGA?


Un paese, una comunità nazionale crea giorno dopo giorno la sua ricchezza. Al di là dell'iniquità con cui viene redistribuita, ogni giorno il lavoro di tanti cittadini, i loro risparmi fanno girare l'economia. Parliamo di consumi, stipendi, risparmi, benessere, speranze, progetti. Bene, un bel giorno, qualcuno già molto ricco, che secondo l'ignobile regola che dice che la moneta non ha confini, la merce un po' di più pagando in dogana, le persone invece hanno spesso anche i muri, decide di appropriarsi attraverso i giochi di borsa di gran parte queste ricchezze. E' così che è nata la questione greca, l'effetto scatenante di una politica monetaria che già a monte vincola popoli e paesi alle regole del debito pubblico e dei parametri draconiani per stare in Eurolandia. Oggi gli speculatori hanno deciso per l'Italia. Il colpo grosso che ha come bingo l'Europa intera, perché l'Italia non è la Grecia. Così accade in successione: le agenzie di rating, advisor internazionali indiscutibili perché qualcuno li vuole tali, riducono il rating italiano. E due settimane dopo iniziano le manovre sulle principali piazze borsistiche. I BPT si abbassano di valore e i titoli del mercato finanziario di Milano crollano. Ma tutto questo, badate bene, senza che nessun politico, nessun uomo di stato urli al complotto. Quattro valsusini o chi per loro che tirano due sassate sono dei "delinquenti", questi speculatori depredano i paesi e sono nella sacra legge del mercato finanziario. Che dietro ci siano intenzioni politiche di destabilizzazione dell'Europa mi pare piuttosto chiaro. Queste non sono sassate a poliziotti. Non sono neppure rapine in banca: ne preferirei duemila al giorno, noccioline in confronto ai capitali bruciati in borsa da queste manovre scellerate. Armano i caccia per bombardare Gheddafi, ma non assoldano killer per liquidare le teste di cazzo che smanovrano sulle tastiere dei loro Ibm cromati per mettercelo nel culo. La seconda opzione la capirei di più. Tanto alla fine chi pagherà? E' una domanda che esprime la quintessenza dell'eufemismo. Cane non mangia cane.

lunedì 4 luglio 2011

ANCORA UNA VOLTA...


Il copione è sempre lo stesso, come quello di undici anni fa. Abbiamo una mobilitazione popolare pacifica ma risoluta, fortemente partecipata, con decine di migliaia di dimostranti, cittadini, famiglie, studenti. Abbiamo poi, puntuali come l'agente delle tasse, dei non meglio qualificabili black bloc (non mi risulta che i valsusini parlino tedesco o chissà cosa) che arrivano e scatenano la guerriglia.
Abbiamo le forze dell'"ordine" (doveroso il virgolettato) che attaccano tutto e tutti, finendo col caricare anche chi black bloc non è. e colpendo il vero target: i manifestanti NO TAV. Il bilancio finale è di decine di feriti tra manifestanti e agenti di polizia. I
nfine abbiamo i veri destinatari del pacco regalo, i media, che il giorno dopo riportano gli espisodi enfatizzando la violenza di una minoranza di provocatori e riportando le dichiarazioni deliranti del mainstream politico, da Napolitano a Maroni, passando per Fassino.
Finalmente (per i destinatari) dek pacco regalo, sulla questione dei No TAV volano parole pesanti come "eversione", "terrorismo", "delinquenti", "tentato omicidio".

E' una tecnica collaudata, che tra i boschi di una valle che ha conosciuto gesta ben più nobili, come quelle delle Brigate Garibaldi durante la Resistenza, non poteva mancare. L'obiettivo è la delegittimazione del movimento NO TAV che, tra imbecilli con fionde e agenti anfetaminici, è ciò che interessa di più la cricca di regime, che su quest'opera inutile e devastante, che foraggia coi soldi nostri in modo bipartisan tutti i comitati d'affari sponsorizzati da puttanieri e baffini, ha puntato molto.


Alla luce di questo e altri "business" bipartisan, è ancor più inaccettabile il tentativo di criminalizzare qualsiasi espressione antagonistica ai disegni del predetto regime di casta e partitocratico (perché di questo si tratta, svegliati Vendola!).
Questo accade, black bloc o no, all'atto stesso che i NO TAV, bastonati ferocemente l'altro giorno da PS e CC, cacciati via dal presidio, passano a pratiche di autodifesa più che legittime della valle. Accade nel momento stesso in cui la lotta si allarga attraendo realtà di movimento, come i comitati aquilani, forze della sinistra di classe, ambietalisti, cittadini, iniziando a far paura a governo e "opposizione" PD, uniti nel solito inciucio.

E sulle pratiche di lotta, tra antagonisti ce lo si può dire: la chiave di lettura in generale non è violenza o non violenza. Perché c'è da chiedersi quale sia allora il confine tra provocazione e lotta. Il confine lo fa una pratica sociale che si legittima nella popolazione nel contesto in cui si produce. Come la Resistenza!
Per esempio, non c'è dubbio che in Grecia non mi metterei certo a stigmatizzare episodi di guerriglia sociale che hanno le loro ragioni e radici nella devastazione del sistema-paese ad opera di speculatori internazionali e banche europee, con la complicità di un "socialismo" ellenico al soldo di costoro.
Attenzione: non condivido (sono non violento), ma comprendo.
A volte l'autodifesa della propria esistenza e delle prospettve a una vita dignitosa, si può esprimere anche con mezzi estremi. Papandreu e tutto il mondo devono capirlo, con... un timbro di ricevuta un po' rovente, ne convengo, che il popolo greco non è disposto a subire povertà, indigenza, miseria.

Gli atti di violenza durante la manifestazione NO TAV del 3 luglio però, non li condivido e non li comprendo. Chi arriva da fuori con mazze e fionde, senza rapportarsi con il contesto politico, con il tessuto sociale, con il movimento di lotta, è solo un provocatore che, se genuinamente cretino e non al soldo di qualche servizio a caso, pensa che la guerriglia scateni la massa per far avanzare una non meglio precisata rivoluzione sociale.
Qualcuno insegni a questi imbecilli che la rivoluzione non è un pranzo di gala, dove vai con lo smoking dei fumogeni e le biglie d'acciaio. La tragedia dei valligiani che lottano per non far distruggere il loro territorio, va rispettata, non strumentalizzata.
E' una lotta democratica e civile. Come quella degli indignados spagnoli.

A volte la società civile, i settori sociali più colpiti dalle politiche dei potentati, possono anche passare in casi estremi a forme di lotta violenta, non per questo meno democratiche, comunque legittime e comprensibili. Ma ci passano loro, autonomamente, come patrimonio di lotta comunemente acquisito e dato per necessario dalle circostanze politiche della fase, del contesto. Non hanno bisogno di cattivi maestri. Mai.


Oggi in Italia, che non è ancora la Grecia, c'è bisogno di unità di tutti i settori sociali, di tutti i movimenti che si contrappongono allo scempio (che non è solo berlusconiano) del bene pubblico, alle politiche di rapina sui cittadini e di comando sul lavoro sempre più precario e privo di diritti. C'è bisogno di una via democratica a un'alternativa politico-sociale, di vere forme di democrazia di base che facciano sorgere dalle macerie della crisi dei partiti, oltre il marciume della partitocrazia, un progetto di altra società.


Dobbiamo dare valore alla lotta civile e non violenta, perché la società che deve nascere da questo verminaio attuale, è una società civile, non un terreno di caccia per nuovi Pol Pot o apprendisti stregoni della transizione. E' il prodotto di una cultura del conflitto saggia, che trae legittimità dalla forza del popolo, dalla sua coscienza.

Non la violenza di qualche nuovo esegeta di rivolte e guerriglie che neppure ha mai visto, c'è bisogno in questo paese, ma della forza del popolo. La forza che abbiamo visto con la grande manifestazione delle donne di "se non ora, quando?", la forza dei comitati popolari che nonostante l'ignavia del PD hanno saputo costruire la grande vittoria referendaria.

Abbiamo bisogno di democrazia a partire proprio da noi cittadini.
Qui, questo è il terreno dei comunisti. Perché questo esercizio del potere democratico dal basso, questa vasta partecipazione politica alla lotta, è esattamente l'autonomia di classe: operaia nel mondo del lavoro e del precariato, dei cittadini per il bene comune e il proprio territorio da Terzigno alla Val di Susa.

L'autonomia di classe crea coscienza diffusa, crea consapevolezza del proprio potere nella società: la classe in sé diviene classe per sé. Questo è il processo democratico che va favorito. A volte per cambiare il volto della storia ci vuole un niente, quando ci sono le condizioni storico-politiche. Guardiamo come in Spagna il presidio permanente della democrazia di base si sia creato e abbia riempito le piazze in poche ore.

Di contro, a chi pensa con quattro molotov di essere avanguardia e di tracciare una via, va detto: hai preso il peggio delle esperienze di lotta degli anni '70! Quanta arretratezza! Quanto schematismo massimalista!
Nell'era in cui le rivolte arabe viaggiano sui social network, che cazzoni quelli con le spranghe!

domenica 3 luglio 2011

PATRIMONIALE SUI POVERI


Il governo, nella figura di Tremonti, ha partorito le misure per "far fronte alla crisi". La bastonata riguarderà i ticket sanitari e in particolari le pensioni. Sui dettagli, rimando all'Unità.it.
In pratica si tratta di una patrimoniale sulle fasce sociali meno abbienti, che colpirà almeno 5 milioni di pensionati. Come al solito, chi non paga o paga percentuali irrisorie, sono le banche e i transatori finanziari d'alto livello.

Nell'Italia delle bande armate e dei colletti bianchi mafiose e camorristiche, delle associazioni per delinquere negli appalti, delle P4, del mangia mangia, dello sperpero di denaro pubblico, le rendite, i privilegi corporativi e delle lobbies non vengono neppure scalfiti. Il malaffare ormai è diventato una pratica bipartisan. Ne è d'esempio l'affare Pronzato, il PD coordinatore nazionale per il trasporto aereo, beccato con un sorcio da 40 mila euro in bocca e tutte le mazzette che stanno venendo fuori nell'entourage di D'Alema, amici e affini. E in questo contesto è difficile pensare a un'opposizione seria, incorruttibile, onesta nel versante del PD.

Il senso che pervade la grande massa, la gente che vorrebbe un cambiamento, soprattutto dopo gli ultimi esiti elettorali positivi e promettenti, è quello di uno scoramento profondo. Una cricca berlusconiana che non molla neppure di fronte agli scandali più allucinanti, neppure davanti a verminai che escono dalle inchieste giudiziarie e l'ignavia al limite della collusione di una classe politica incapace di porsi come alternativa, non lasciano tante speranze.
E poi, fosse anche un asse Montezemolo-Marcegaglia, quella parte di padronato che firma con i sindacati un accordo vergognoso, che dà l'imprimatur alla linea Marchionne nell'attacco ai diritti del lavoro, che possibilità ci sono per le masse popolari? Che garanzia darebbe agli strati sociali più poveri e colpiti dalla crisi, una coalizione del PD col terzo polo, come vorrebbe D'Alema?

Questo è lo scenario italiano al settimo mese del 2011, al giro di boa di un anno che sta rappresentando la risocssa della società civile, la presa di coscienza diffusa dell'essere governati da una banda di delinquenti con carta bianca. Potenzialità che rischiano di essere disattese e affossate da chi vorrebbe zittire la piazza per rappresentare il paese sano nei salotti che contano. Tra un accordo sottobanco e l'altro, tra una spartizione e l'altra.

E allora, l'immagine di una Grecia sempre più in preda a una crisi devastante fa capo lino anche nella necessità di ricostruire una narrazione altra, autonoma, proprio a partire dalle pratiche di rottura conflittuale che il paese ellenico ci sta mostrando. Una volta si diceva che la rivoluzione passa dalla stretta porta della guerra civile. Oggi non si può che dire, e auspicarlo forte, che il cambiamento passa dalla ricostruzione di una politica autonoma dal basso, da un esercizio del potere democratico, ossia del popolo, nelle piazze, nei posti di lavoro, nei quartieri.