sabato 31 dicembre 2011

SUL POPULISMO "DEMOCRATICO"


Con la caduta di Berlusconi e l'arrivo del governo Monti, gli antiberlusconiani di ferro, che hanno svelato fatti e misfatti del cavaliere e della sua corte, hanno cambiato registro.
Tutta la critica politica dei vari Travaglio, Feltri, Padellaro, il giornale "il Fatto quotidiano" si è smorzata in un stiamo a vedere interlocutorio.

Di fatto, nel corso berlusconiano si era sviluppata una destra "perbene", che vedeva nei costumi poco morigerati del cavaliere e negli intrecci con poteri occulti e con la criminalità organizzata, un attentato a una visione tutta ordine e sicurezza.
La vulgata parte appunto dai vari Travaglio, allievi di Montanelli, per arrivare ai Saviano e compagnia cantante.
Santoro chiudeva e impacchettava il prodotto, dandogli una veste "di sinistra". E infatti, molti di sinistra ci sono caduti. Ma il ritornello di questi signori sulla crisi economica, oggi qual è? Che le misure adottate dal governo andavano prese, criticando semmai alcuni aspetti della "medicina", ma non la medicina in sé. Per costoro il mercato "ha fiducia o meno" nell'Italia, esattamente come tutti gli economisti del mainstream della dittatura finanziaria, come se non fossimo alle prese con manovre speculative dai tratti fortemente politici, ma a tanti paperoni (a paperopoli evidentemente), che si fidano o no del sistema Italia.
In questa fase dunque la destra neoliberista "sana" rivela la sua visione vera della società, mantenendo sacche di pluralismo dialettico interno, giornalismo indipendente, ma poco utile ai processi sociali di antagonismo agli oligopoli finanziari e ai gruppi capitalistici dominanti.
E' auspicabile che l'abbaglio preso da tanti di sinistra venga riconosciuto e in fretta, visto che occorre dotarsi di strumenti di critica politica seri.

Un altro ambito populista, complementare a quelli de "il Fatto" è il grillismo. Un versante più "militante" che ha goduto anch'esso di fortune, non di lettori, ma elettorali alle amministrative, durante il governo Berlusconi. A parte l'istrionismo e le scelte individuali discutibili del suo guru Beppe Grillo, anche questo ambito si fonda su una politica "di buon senso", con forti tratti di partecipazione popolare dal basso e di difesa della democrazia (astratta, ben s'intende), che però sono rimasti sulla carta. E già l'istrione viene fuori con discorsi ambigui su Monti, un personaggio che devasterà il paese molto più di quanto ha fatto Berlusconi, perché lo farà con scienza economica e coscienza del suo appartenere alla Trilateral e al Bilderberg.
Altro mito disvelato e altra forza politica depotenziata con il dopo Berlusconi.

C'è poi una terza variante, di sinistra, ma che non vuole esserlo perché vuole proporsi come oltre la destra e la sinistra. Ed è quella di Giulietto Chiesa e la sua Alternativa, un gruppo che conta come lo stronzio in percentuale minima in una bottiglia d'acqua minerale.
Intendiamoci, a differerenza della altre due entità prima descritte, l'analisi di Chiesa su quanto sta accadendo sul piano economico-sociale de ambientale è largamente condivisibile. Ma non si comprendono bene le conclusioni pratiche e identitarie di questo gruppo, che bypassa i soggetti politici esistente nel panorama della sinistra anticapitalistica, per rivolgersi direttamente a non meglio definibili cittadini. E infatti manca una seria analisi dei soggetti sociali che dovrebbero portare avanti un processo di alternativa globale al capitalismo. Si danno evidentemente per scontate le categorie generiche di lavoratori, donne, ecc.
Probabilmente questa genericità, e più a monte uno snaturamento di un'identità politica originaria, è alla base dell'inerzia nelle situazioni, dell'incartamento organizzativo fatto di continue scissioni, e nel contempo di una sorta di snobismo elitario verso altre realtà che non se la passano certo meglio e su cui giustamente andrebbe steso un velo pietoso.

Esaurito questo breve panorama sulle realtà che hanno dato linfa vitale a un democraticismo antiberlusconiano col paraocchi e a una critica demagogica da "mi piace" su lp'effebi di Report e della Gabanelli, si tratta di ripensare seriamente a un progetto politico che rivendichi senza mene reducistiche un essere comunisti e di sinistra. Senza questo nucleo forte non può darsi un fronte più vasto di critica al capitalismo e alle politiche neoliberiste egemoni.
Lo so anch'io che le parti di società che vanno coinvolte in una lotta politica che tra breve sarà protagonista del forte e ampio conflitto sociale alle porte, sono eterogenee e hanno un impriting di altre culture politiche. Ben vengano. Ma senza un soggetto comunista che interagisca con queste, senza un'organizzazione politica delle situazioni più mature della classe, sarà difficile dare gambe lunghe a un progetto unitario e uno sbocco al conflitto sociale verso una vera alternativa al capitalismo.

venerdì 30 dicembre 2011

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (2a parte)

Il sistema capitalista globale è arrivato a un punto di crisi che non è più gestibile con le forme statali, di welfare pre-esistenti nelle sue aree centrali, come l'Europa, gli stessi Stati Uniti. La falsa uscita che gli esecutivi asserviti alle esigenze di ricapitalizzazione dei centri finanziari, della speculazione, impongono ai propri paesi come Grecia, Spagna, Irlanda e la stessa Italia, non è atro che la continuazione di una spirale economica destinata a impoverire con la recessione i ceti medi e popolari, a dismettere o trasferire in mercati più convenenienti per il costo del lavoro parti importanti dell'economia produttiva, condannare al precariato intere generazioni, smantellare ogni servizio di protezione sociale.

Una spirale però che è tendenzialmente orientata a uno sviluppo infinito dell'accumulazine capitalistica, quando in realtà le risorse energetiche del pianeta si stanno assottigliando, quando il riscaldamento terrestre e le devastazioni forestali, il perseverare sull'idrocarburo che definisce un modo di produzione e consumo dissennato, il saccheggio dei beni comuni come l'acqua e la terra ad essa connessa, disegnano uno scenario di autodistruzione, insieme al pianeta e al suo eco-sistema, della comunità umana intera come l'abbiamo conosciuta sino ad oggi. Uno "sviluppo" che apre a un'era di guerre per il controllo geoeconomico delle risorse, alimentate dalla speculazione finanziaria, con un fronte esterno di rapina neocolonialista dei popoli e interno, nei centri dell'imperialismo, di comando finanziario che calpesta i sistemi democratici, le forme di rappresentanza fin qui avute nei paesi cosiddetti a democrazia parlamentare rappresentativa del capitalismo avanzato.
La tendenza che si disegna da qui a prossimi anni è di affermazione di una dittatura finanziaria attraverso il debito pubblico e il mantenimento di tutti i punti di crisi data dalla deregolamentazione finanziaria mondiale e dalle tare genetiche di sovranità economica della zona Euro, che svuota dall'interno le democrazie, lasciando come gusci vuoti le carte costituzionali, o rimodulandole in fnzione della centralità delle politiche finanziarie ormai indiscutibili da parte dei cittadini e delle organizzazioni sociali e sindacali che offrono una resistenza al neoliberismo selvaggio. Il pensiero unico è diventato sistema unico. Non un "grande fratello", certo, ma la partita politica vera si gioca tra interessi finanziari e corporativi confliggenti, la regressione del "citoyen" è verso quella di suddito, mentre le caste politiche e le lobby finanziarie sono le nuove classi "nobiliari". Una regressione che ci porta verso nuove forme di assolutismo politico "pre-francese", dentro un quadro di modernità che seleziona di default e incessantemente i flussi e gli scambi utili alla riproduzione sociale ed economica del sistema, quindi le relative libertà necessarie, e inibisce i processi di liberazione differenziati (questa differenziazione crea problemi nella costruzione di un soggetto plurale ma unificato in fasi di conflitto sociale di bassa intensità) che si innescano con lo scoppiare delle contraddizioni nei singoli ambiti dei rapporti economici e sociali.
In questo modo i bisogni e i diritti della gran parte della popolazione restano fuori da questa partita. I mass media hanno la funzione di utilizzare figure retoriche e spettacolarizzare i casi, ma solo per far rientrare nell'immaginario collettivo (sedimentandolo a livello di opinione pubblica) ciò che è stato espulso dall'agenda di regime.
C'è di nuovo che questa tendenza alla concentrazione dei poteri e di svuotamento delle democrazie storiche, "resistenziali", nate dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, unita al rullo compressore dei desiderata economici dell'oligarchia finanziaria internazionale, alla caduta delle mediazioni "welfariste" crea anche le condizioni nei paesi del centro capitalistico occidentale, le condizioni per la deflagrazione di un vasto conflitto sociale.

Va detto però, che la grande crisi finanziaria attuale non è all'origine della crisi di sistema del capitalismo. Ne acellera le conseguenze, ne allarga la portata, certo. Ma il nucleo della crisi parte dagli anni '70, e si configura come crisi strutturale e assoluta di sovraproduzione di capitali e di merci, che il sistema finanziario gonfiato e "drogato" non riesce più a tenere negli ambiti del controllo strutturale dell'intero sistema economico-sociale. L'altro aspetto della crisi di sistema, lo abbiamo già menzionato pertiene la finitezza delle risorse del pianeta e il degrado-distruzione dell'eco-sistema.

In sintesi, l'indebolimento economico strutturale dell'imperialismo occidentale rispetto all'emersione di nuovi attori, nuove potenze (Cina, Russia, Brasile, ecc.) e nuovi mercati (vedi l'America latina), l'esplosione di tensioni sociali nei propri centri metropolitani, dovuti alla già vista caduta dei patti sociali e all'impoverimento delle classi popolari, della maggioranza delle popolazioni urbane, apre sì a risposte guerrafondaie nelle aree contese e nevralgiche del mondo e a nuovi totalitarismi nei "salotti di casa", ma apre anche a nuove possibilità di ripresa dei processi rivoluzionari sia nel centro che nella periferia del sistema capitalista globale.
L'Italia sarà uno dei punti focali del conflitto. Con l'aggravante (per il comando capitalistico) che il nostro paese, non è l'Islanda, ma è una delle prime potenze economiche al mondo, per cui un suo cambiamento radicale nelle politiche economiche e nella sovranità politica e sociale è gravido di sviluppi molto veloci e a effetto domino nell'intera caena imperialista (per usare un vecchio ma efficace termine).

Più in generale:
a. la crisi sistemica del capitalismo se non viene risolta a livello mondiale nel superamento di questo stesso sistema, andremo alla rovina del pianeta e della comunità umana;
b. non è detto che la crisi sistemica del capitalismo sfoci meccanicamente e automaticamente in questo cambiamento: la debolezza del sistema verrà gestita con politiche sempre più autoritarie e guerrafondaie, poiché fuori dall'orizzonte dell'accumulazione di capitale e del profitto per le classi egemoni e i centri di potere non esiste altra dimensione del vivere;
c. quindi non è detto che "l'assalto di classe al cielo" della sinistra anticapitalista, all'interno di dinamiche conflittuali fisiologicamente non più emendabili e riducibili a patti sociali con il regime capitalistico, possa riuscire, "perché abbiamo ragione" (sinistra etica e soggettivista), "perché le condizioni ci sono tutte" (sinistra meccanicistica), "perché il mostro ha i piedi d'argilla e crolla da solo" (sinistra opportunista e attendista); diviene importante il progetto connesso alle dinamiche conflittuali nel loro complesso, insieme alle forme di sovranità popolare e di classe embrionali, di potere costituente reale, diviene essenziale intravedere gli elementi di autogestione sociale dell'esistenza e dell'esistente già possibili e che attraversano il conflitto. In altre parole occorre cogliere la complessità di questo processo, in considerazione del fatto che nel giustissimo concetto del 99% non abbiamo soggetti cristallizzati e che lo stesso "operaio sociale", il precariato è composto da mille figure, dove i cicli di produzione materiale e immateriale vivono connessi e all'interno di una meta-fabbrica diffusa nel territorio.

Da questo 99% occorre cogliere la ricchezza delle risorse, nell'autogestione dell'esistente, le potenzialità umane che ne scatiriscono, iniziando dei percorsi nello stesso spazio-mondo del sistema capitalistico, ma che generano nuova ricchezza sociale e che si appropriano di quella prodotta dal sistema stesso, che abbattono il valore lavoro del ciclo produttivo del capitale, che liberano energie per la collettività. Nel loro stesso essere c'è il virus corrosivo, c'è il processo che va poi ad esprimersi nell'atto politico di sovversione, nel punto di rottura insurrezionale. La riflessione deve portarci ad andare oltre le pure lotte resistenziali, per creare incessantemente nuove pratiche che portano ad accrescere la coscienza politica (classe per sé) e nel contempo a far cortocircuitare tutte le sinapsi del comando capitalistico.

L'immagine che ho scelto in questa sezione è quella della Place de la Concorde nella Parigi della rivoluzione francese. Perché la questione della democrazia investe il problema della fine della democrazia rapresentativa e il ritorno a un assolutismo che c'è sempre stato, che era celato nella rete di mediazioni sociali e negli psicofarmaci mediatici, ma che ora rivela a sempre più soggetti il suo vero volto. Per questo una battaglia per la difesa della Costituzione è una battaglia di retroguardia. Nuove forme di democrazia vanno sviluppate, come nuova sovranità complessa del 99%, come rifondazione di un processo costituente scritto nel processo rivoluzionario stesso, prima ancora che sulla carta. Esattamente come i nostri padri partigiani scrissero la Costituzione nelle Langhe, nelle città con i GAP, nella pianurizzazione dell'inverno del '44, con il ooro sangue, prima ancora che sulla carta.
Democrazia diretta e dal basso, autorganizzazione dele masse popolari nei processi di movimento: la legittimità costituente si costruisce così, nel fuoco delle lotte sociali.
Il "regicidio" è quello della scatola vuota e mistificata della democrazia rappresentativa, non più rappresentativa della popolazione nei fatti, e neanche più democrazia borghese, visto che una parte consistente di media e piccola borghesia terrorizzata fa parte del 99% estraneo ed espulso dai meccanismi decisionali del sistema capitalista.
Quindi non è più tempo di pluralismo, ma di pluralità soggettive costituenti che si fanno sovranità.
E le righe del Manifesto di Marx ed Engels si dipanano sempre più attuali nel corso delle ultime vicende della storia contemporanea.


mercoledì 21 dicembre 2011

PER UNA NUOVA POLITICA SINDACALE OPERAIA E UNA NUOVA LOTTA SOCIALE DI FASE.


Un commento su quanto Carlo Formenti avrebbe voluto dire a Landini se fosse venuto a Lecce.
L'articolo di Formenti su Micromega.
Formenti tocca il cuore della questione, riassumibile nelle ultime righe del suo intervento su Micromega: il futuro, se c’è, sta nell’attacco, nell’avvio di una lotta globale per lavorare meno/lavorare tutti, per strappare un reddito di cit...tadinanza che metta i lavoratori al ripario dei ricatti alla Marchionne, per ridistribuire le ricchezze che la finanza ha scippato alla società civile, per sbarrare la strada alla privatizzazione dei beni comuni, dall’acqua alla conoscenza condivisa in Rete." Si è aperta una fase in cui patti sociali, mediazioni per la stabilità del sistema no sono più possibili. Davanti a chi sta smantellando la nostra vita e il nostro futuro con la centralità del profitto, va opposta la centralità dei bisogni generali delle lavoratrici e dei lavoratori, delle cittadine e dei cittadini. Il profitto, non può più essere il parametro che regola i rapporti sociali, così come l'accumulazione e il modo di produzione capitalistici non possono più essere la modalità con cui la società si riproduce. Questi aspetti apparentemente economici sono fortemente politici. Nel concetto di "lotta globale" ci vedo non solo una internazionalità delle lotte popolari e di classe, il collegamento tra forze sociali confliggenti il capitalismo, ma anche una lotta che caratterizza il movimento come potere costituente, nella sua sovranità latente, sviluppata e realizzata. L'intervento di Formenti è fortemente leninista. Non so se era nelle intenzioni dell'estensore, ma lo sbocco ai suoi ragionamenti riprende i temi forti del potere operaio e popolare, della contrapposizione tra dittatura borghese (oggi finanziaria), che mostra il suo vero volto autoritario nel superamento della democrazia rappresentativa, della carta costituzionale, attraverso un indiscutibile comando dei poteri forti che esaustorano il potere costituito precedente e dittatura del proletariato, come forma democratica superiore in quanto afferma la sovranità di un blocco sociale da sempre maggioritario. Per tale ragione, nei paesi del centro imperialista occidentale, a partire da quelli più colpiti dall'attacco speculativo dell'alta finanza (Grecia, Italia, Spagna), si apre una fase pre-rivoluzionaria, in cui il concetto stesso di democrazia viene ridefinito attraverso processi sociali di autorganizzazione e autogestione, di democrazia diretta dal basso. Formenti invita a ripensare al sindacato come organizzazione operaia che si estende alle figure del lavoro precario, ai soggetti sociali che rivendicano condizione di esistenza materiale adeguate. Immediamente politico nel suo essere al contempo sociale. Pone la rottura dei cicli di produzione e della polverizzazione del lavoro a favore di una partecipazione al lavoro di tutti, lavorando meno. Quindi attacca alla base le condizioni stesse del profitto capitalistico. E' qualcosa d'altro rispetto al keyneismo. E' il superamento del sindacalismo "resistenziale" riformista per forme inevitabili di socializzazione, appropriazione di mezzi produttivi, ricchezza sociale, una produzione svincolata dai tempi e dai modi del capitale. Questa è la scelta coraggiosa da fare, che supera i limiti circoscritti della normale contrattazione dell'irriducibilità priva di sbocchi della FIOM. Con questi aspetti della contraddizione, i sindacati operai più combattivi dovranno fare i conti. E affrontare il tema dell'autonomia operaia e di classe nel cuore della crisi: i rapporto capitale/lavoro.

sabato 17 dicembre 2011

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (1a parte)



In rete stanno girando interventi molto interessanti sulla crisi e sul modo di dare una risposta a quella che ormai ha il carattere di un'involuzione della società capitalistica nella fine della democrazia rappresentativa.
Oltra al tema forte dell'insolvenza, ci sono dei tentativi originali di proporre percorsi possibili che ricreino livelli di vita dignitosi e decenti, forme di partecipazione popolare e comunitaria alla costruzione di un'esistenza altra possibile.
C'è chi parla di "esodo", di "strutture della sopravvivenza" e di "buoni" (una moneta complementare) come Francesco Berardi, Bifo, qui, o chi sottolinea il carattere di "potere costituente" delle più significative esperienze di lotta sociale e di autorganizzazione, come Toni Negri qui.
(In realtà Negri, come sempre, dà contributi fecondissimi sull'analisi dello stato, del capitalismo e delle lotte sociali)

Non è un caso che è proprio da quel vasto filone operaista e dall'autonomia in generale (Negri e Bifo ne sono due autorevoli rappresentanti), nascono le analisi più acute, che riportano all'attualità temi centrali dell'autonomia di classe come il "contro-potere" e la riappropriazione.
Che indubbiamente sul piano strategico rappresentano il processo marxiano della distruzione dei rapporti di produzione e sociali capitalistici nella socializzazione dei mezzi di produzione e delle forze produttive (comprese le risorse energetiche e i beni comuni di Madre Terra).

Detto per inciso, dalle rovine della tragica svolta militarista, nelle sue varianti fochiste o di autonomia del politico nell'uso delle armi, che ha dato l'accellerata alla fine spaventosa dell'antagonismo rivoluzionario sul finire negli anni '80, non è potuta nascere neppure una soluzione politica sulla prigionia. Tuttavia, come un'araba fenice, solo l'operaismo risorge con quella sua visione precorritrice del precario attuale, così ben delineata nell'operaio sociale, nella scomposizione della classe e nel decentramento produttivo.
E questo la dice lunga sui movimenti carsici della filosofia della praxis, come Gramsci definiva il marxismo come metodo d'analisi e di azione critica nella società borghese.

Chiuso l'inciso, divengono chiare alcune cose. Vediamole:
a) la fine dei patti sociali che avevano consentito la pace sociale nei centri dell'imperialismo, l'esistenza dei ceti medi produttivi e non e di aristocrazie operaie
b) la crescita e l'estensione di un proletariato sociale attualmente privo o scarso di un'identità di classe, una pauperizzazione di strati sociali di piccola e media borghesia, che le politiche di neoliberismo selvaggio in atto e di rapina costante della ricchezza sociale ad opera di cricche di banditi finanziari e dei loro complici di governo
c) la fine della democrazia rappresentativa borghese, con la concentrazione dei poteri decisionali nelle mani di circoli ristretti che agiscono fuori dalle istituzioni parlamentari; il cittadino torna ad essere suddito di un capitalismo sovranazionale e di lobby corporative, senza la possibilità di incidere sulla propria esistenza materiale e collettiva; muore la sovranità borghese, si chiude il ciclo lungo delle democrazie occidentali nato con la rivoluzione francese
d) la crisi sistemica, che è crisi di scarsità crescente delle risorse energetiche nel pianeta, di struttura sulla sovrapproduzione di capitali e di merci a cui si innesta la crisi da finanziarizzazione selvaggia, crisi politica di sovranità popolare persino nelle democrazie borghesi occidentali, crisi di esistenza materiale nell'impossibilità alla sopravvivenza per sempre più persone nel mondo, fenomeno che coinvolge anche i centri del capitalismo, apre alla possibilità del comunismo come movimento che abilisce lo stato di cose presente e che realizza una formazione economico-sociale più evoluta, basata sulla socializzazione; la crisi sistemica più in concreto apre a una fase di lotte sociali che si pongono IMMEDIATAMENTE su un piano di potere costituente, di appropriazione di ricchezza sociale, bene comune, mezzi di riproduzione sociale e di produzione di nuovo senso (la semiotizzazione di cui parla Bifo).

Questo in linee generali. Logicamente occorrono passaggi intermedi e si pone forte la questione della transizione. Ma ciò che muore è l'autonomia del politico in sé, in specifico per come si è posta nel sistema democratico rappresentativo, e il "riformismo" inteso come miglioramento a favore delle classi popolari dei meccanismi che regolano l'esistenza della formazione economico-sociale capitalista e delle sue istituzioni politiche e costitutive.
Del resto, nei socialismi e socialdemocrazie di partito, nei laburismi, il riformismo nella sua migliore accezione era morto già da tempo. In Italia questa morte si può datare addirittura sin dagli anni '70, con la politica dei "sacrifici" e l'attacco del PCI all'antagonismo sociale, all'"altro movimento".

Dalle considerazioni fatte per punti poc'anzi, discende la questione del potere costituente della classe e dei settori sociali che per condizioni oggettive si pongono come alleati nella fase e nella lotta contro il capitale finanziario e i suoi istituti reali di comando.
Il tema dell'insolvenza da solo è inadeguato a esprimere tutta la carica potenziale che lo sviluppo di un movimento antagonista può esprimere. A questo deve essere aggiunto il tema della riappropriazione comune dei mezzi di produzione, delle merci, del tempo, dei luoghi e degli spazi di socialità, dei momenti di vita liberata, dei beni e delle risorse presenti nei nostri paesi, di riconquista del territorio.
Un esempio, ma è solo un aspetto. Bifo parla di "
Ma l’appropriazione deve diventare il paradigma della prossima fase di espansione del movimento, manifestazione specifica dell’insolvenza. Insolvenza significa costruzione delle strutture della sopravvivenza (ristoranti popolari, case collettive, strutture di autoformazione) che ci permetteranno di sottrarci al debito materiale della miseria e al debito simbolico della solitudine, insomma ci permetteranno di cominciare a vivere.
Insolvenza significa anche rifiuto di pagare il debito simbolico che fa del capitale l’orizzonte insuperabile dell’azione sociale: rifiuto di subire e riconoscersi nella semiotizzazione finanziaria del mondo, sperimentazione di altre semiotiche, altre forme di organizzazione del territorio, della produzione, della vita quotidiana.
In particolare dobbiamo sviluppare quelle forme di azione, che già hanno cominciato a manifestarsi, che puntano a disarticolare lo strumento monetario, anello centrale della catena dello schiavismo contemporaneo. Occorre sperimentare forme di scambio indipendente dal dominio monetario." (Bifo "i buoni sono buoni, dalla sua pag fb)
Orbene, se immaginiamo a un ciclo produttivo liberato, possiamo pensare a una rotazione sul lavoro e a modalità diverse non di sfruttamento in questo ciclo mutuate dalle "forme di scambio indipendente dal dominio monetario".
(segue)