martedì 18 dicembre 2012

IN CONCLUSIONE...


Il percorso di questo blog si conclude con la fine dell’anno. Tre anni di articoli in cui sono partito da posizioni “costituzionaliste”, a causa soprattutto dalla mia lontananza da un dibattito e da una condivisione di idee, analisi, pratiche. Lontano da ogni contesto di lotta.
Posizioni poi, che via via si sono sviluppate nella ripresa d’un filo rotto percorso anni fa: l’autonomia di classe, la democrazia diretta, il comunismo. La riconsiderazione del pensiero principe della sinistra rivoluzionaria: l’operaismo.
Da sempre sono comunista e da sempre la mia casa è proprio la sinistra rivoluzionaria. Nei post dell’ultimo anno e mezzo emerge con riflessioni e analisi questo mio portato di valori e di vissuto, in concomitanza con  la svolta selvaggia, spietata del neoliberismo, la bolla speculativa e poi il golpe euroimperialista di Napolitano e Monti.

Proprio per questo, questo blog deve fare spazio ad altro. Umanità futura ricorda un po’ la rivista anarchica Umanità Nova, o una sorta di ecumenismo buonista, progressista. Come se invece il pensiero negativo non fosse stato elemento fecondo nella sinistra marxista eterodossa.
Altro e oltre. Nel mio essere al crocevia di un’utopia possibile e di un’un eternalizzazi del sistema capitalistico anche nelle sue varianti socialiste, di affermazione della classe proletaria in quanto classe schiava anche di sé stessa.
Ho portato questi interrogativi meta-epocali nella situazione contingente, riprendendo il filo rosso dell’imprintig comunista ben evidenziato dallo stesso Marx: la Comune di Parigi. Più che l’Ottobre sovietico, leninista, di rapporti sociali cristallizzati in uno stato operaio nel rapporto partito classe, alla cui ombra nascevano le nuove caste del comando sul lavoro salariato, più che la Rivoluzione russa, dicevo, è la Rivoluzione francese e ancora poi la Comune parigina a essere la genesi del pensiero comunista libertario della sinistra rivoluzionaria. Nella triade Liberté Egalité e Fraternité. Libertà dal lavoro salariato, dallo sfruttamento per il profitto, e libertà dal potere borghese pseudo-democratico per un comunismo che è democrazia diretta e costituente. Uguaglianza nei diritti universali della persona, egualitarismo nel superamento delle classi sociali, e con esse delle differenze che polarizzano miseria, povertà da una parte e ricchezza sfrenata e rendita parassitaria dall’altra. Debito e credito.
Infine fratellanza come superamento di ogni barriera culturale, etnica e religiosa, per un mondo senza muri e frontiere, fatto di condivisione e solidarietà tra esseri umani, popoli e generi.

Ma oltre a questo, ho ripercorso lo stato dell’arte dell’analisi marxiana più precisa e acuta sulla crisi che sta attraversando il sistema mondo del capitale in questo inizio millennio. Ho pertanto dato carne e sangue all’ossatura ideale del pensiero critico e universale comunista.
Ho riconosciuto nella crisi di sovraccumulazione del capitale la linea di tendenza che va divaricando forze produttive dai rapporti di produzione, l’eccedenza produttiva espressa dal lavoro vivo come massa critica di una trasformazione comunista rivoluzionaria della società capitalistica.
Una crisi sistemica che rappresenta l’approdo di una evoluzione della sovraproduzione di capitali e di merci, che tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, segnava l’inizio della fine del keynesismo dello stato piano e l’avvio del neoliberismo dell’era reaganiana con le delocalizzazioni, la scomposizione e precarizzazione di classe, le privatizzazioni, l’irruzione del debito e della finanziarizzazione del potere capitalistico e dei suoi dispositivi di realizzazione dei profitti e di divisione sociale del lavoro.
Dispositivi di comando e di massimizzazione dei profitti a discapito delle condizioni di vita, di lavoro di classi sociali che vanno dalla classe operaia a ceti medi sempre più devastati dalle politiche neoliberali. Il che dimostra la vitalità aggressiva che il capitale mette in campo nell’era della globalizzaizone, della competizione globale e del declino dell’area imperialista occidentale relativa allo sviluppo di nuove potenze crescenti come i BRIC.

Il capitale sfrutta la propria stessa crisi per trovare inedite forme di realizzazione di profitto. Il che ci dice che difficilmente avremo un crollo del capitalismo stesso e che molto dipenderà dall’evolversi della lotta classe e dal ruolo dell’elemento cosciente comunista.

In questa epoca di crisi sistemica, l'aspetto rilevante tendenziale dagli anni '70 in poi è l'eccedenza produttiva. Eccedenza produttiva di capitale fisso e variabile nel ciclo produttivo come crisi di sovraccumulazione di capitale. Eccedenza produttiva di lavoro vivo intesa come crescita di una massa critica, che il capitale finanziario e industriale utilizza come esercito industriale di riserva, forza lavoro a basso bassissimo salario, precarizzata nei processi di lavoro.
Il capitalismo, come sistema mondo nei suoi poli egemoni d'Occidente, ha risposto alla crisi di sovraccumulazione con la scomposizione di classe, l'attacco ai salari, la precarizzazione dei cicli di lavoro, la delocalizzazione dei cicli produttivi in aree a bassa o nulla sindacalizzazione, con un costo del avoro molto più basso di quello dei centri economico-sociali del capitalismo.
Ha risposto infine con il neoliberismo monetario, che ha collocato la finanza a dispositivo di comando sull'organizzzione e la divisione sociale del lavoro, e di conflitto interborghese tra poli geopolitici del capitale e tra nazioni interne ai poli stessi come in Europa, nel ridisegnare delle egemonie e dei ruoli specifici nella catena imperialista occidentale.
In particolare, nei paesi dell'Occidente capitalistico, l'attacco alla composizione di classe, le privatizzazioni di industrie, utilities, beni comuni, l'esproprio degli istituti del comune, di ricchezza sociale sulle popolazioni con gli attacchi al debito sovrano, non solo rappresenta un'enorme distrazione di profitti dalle economie nazionali verso il capitale finanziario delle company transnazionali operanti nei mercati finanziari e nelle scelte di politica industriale delle multinazionali ad esse collegate. Ma rappresenta un processo di riduzione dell'eccedenza produttiva espressa in lavoro salariato, in piccola e media impresa produttiva e commerciale, in subordinazione generalizzata del lavoro al capitale. Un po' come nella fase di formazione del caputale moderno, si può parlare (e se ne parla) di un'accumulazione originaria che crea i soggetti subordinati del lavoro salariato, la massa di riserva che contribuisce a mantenere bassi i salari e condizioni di lavoro che ci riportano indietro di secoli, con una forza lavoro impiegata altamente flessibile per precarietà del lavoro, per estensione della giornata lavorativa, per intensità e ritmi di lavoro.

A finire in pezzi nell'ultimo decennio ("grazie" anche alla creazione della moneta unica che impedisce ai singoli paesi due cose: la creazione di moneta sovrana e la svalutazione competitiva), a partire dai paesi deboli dell'Eurozona: Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, è stato il welfare, che resta attivo e finanziato dagli stati nella sua funzione di warfare, di economia di guerra.
A finire la sua funzione di sostegno alla domanda interna attraverso gli alti livelli salariali e di reddito è stata la ricetta keynesiana, che ha determinato con il welfare state le politiche economiche delle potenze imperialiste, a democrazia rappresentativa o addirittura totalitarie come nazismo e fascismo dagli anni '30, durante la seconda guerra mondiale, nella ricostruzione economica delle aree distrutte dal conflitto, e in tutto il ciclo espansivo della ripresa economica mondiale.

In particolare, occorre soffermarsi sugli elementi che nella crisi sistemica del capitalismo costituiscono in nuce, la possibilità di una distruzione del sistema stesso, degli apparati di comando statale ed economico. Elementi che ruotano attorno alla valenza e alla potenzialità dell'eccedenza produttiva e del lavoro vivo più in generale come massa critica all'interno di una forte polarizzazione tra una maggioranza della popolazione ridotta a nuove forme di povertà e indigenza e una classe élitaria legata a questo processo di crescita della rendita parassitaria e della cattura e redistribuzione iniqua della ricchezza sociale, che trasforma la morfologia stessa delle società a capitalismo avanzato, facendo saltare i patti sociali e costituzionali su cui si era sviluppata la vita ecnomica e politica degli ultimi settantanni.

Sgombro il campo da uno dei cavalli di battaglia dell'operaismo vecchio e nuovo (a cui non ho mai creduto): questa eccedenza produttiva, così come il lavoro vivo fordista un tempo, dell'operaio massa, non sono e non possono essere immediatamente valorizzazione operaia, non creano coscienza e organizzazione rivoluzionaria di classe, non sono nell'epicentro delle scelte politiche ed economiche del capitale. In altre parole, la crisi e la sua possibile soluzione non nasce dal rapporto conflittuale capitale/lavoro, ma dalle condizioni dell'accumulazione capitalistica. Dalle contraddizioni sociali e in particolare dai rapporti sociali dentro i cicli del lavoro, si produce una conflittualità diffusa, ma solo come effetto oggettivo e soggettivo di un processo economico con le sue ricadute sociali e sulle condizioni di vita e di lavoro, non come causa soggettiva del medesimo processo.
Questo è un ritornello che l'operaismo ripete da sempre: dall'operaio massa all'operaio sociale, fino al lavoratore cognitivo. Al di là di un ciclo espansivo o di una crisi di sovraccumulazione o sottoconsumo. Sarebbe un grave errore dare delle valenze egemoni e immediatamente confliggenti a un soggetto individuato come strategico per il processo di produzione e riproduzione del capitale, quando poi, oltre tutto, conflittualità non significa immediatamente antagonismo di classe.

Un altro campo da sgombrare è la pia convinzione che settori interni alla sinistra hanno nel ritorno possibile a un welfare, magari grazie al ritorno a una moneta e a un debito pubblico sovrani.
La competizoine globale tra poli capitalistici (e l'Eurozona ne è il prodotto più evidente, nella costruzione di un'egemonia economica tedesca supportata dalla potenza nucleare francese), non lascia prigionieri. La crisi di sistema impone la sola strada possibile alle potenze capitalistiche per mantenere una catena egemonica (il blocco NATO) nei confronti di altre aree emergenti, BRIC in primis: il neoliberismo e l'economia di guerra. Il dollaro delle cannoniere in senso letterale e dell'artiglieria pesante delle agenzie di rating. La guerra vera e propria come controllo geostrategico delle aree vitali dell'idrocarburo e del gas, dei flussi di risorse energetiche, del'acqua, bene sempre più prezioso e delle risorse estrattive. La guerra finanziaria come neoliberismo e monetarismo selvaggi.
In  tutta questa situazione l'unico welfare che regge, come accennavo, è l'economia di guerra, il sostegno pubblico ai complessi militari industriali.

Il passaggio a una moneta sovrana per i paesi europei relegati a "maiali importatori" dalla politica dominante tedesca e la conseguente ricreazione di un debito sovrano sorretto dalla stampa della moneta stessa, non è elemento sufficiente. Perché sia come paesi ridotti a "contoterzisti" a basso salario nella produzione di beni e servizi determinati altrove, a Francoforte e a Bruxelles, sia come paesi fuori dall'Eurozona, la competizione globale non fa comunque prigionieri. Se non si affronta il tema della socializzazione dei mezzi di produzione come processo di liberazione dai tempi e dai modi della riproduzione del capitale nelle sue forme neoliberiste e di un'economia mista (inizialmente) a forte controllo statale (popolare), ossia la questione della sovranità reale, concreta, sulla gestione dell'economia e della società di un paese, ma meglio: di un insieme di paesi, avremo sempre una classe dirigente espressione del nostro capitalismo storicamente familista e parassitario, che si sostituirà nel comando sulla produzione sociale e sulla cattura di ricchezza sociale, bene comuni, utilities, al potere sovrastatale dei centri oligarchici europei.
Il neoliberismo è una ricetta che fa gola a ogni soggetto delle élite capitalsutiche e finanziarie, soprattutto se non vogliamo cadere in vagheggiamenti nazionalistici di sapore togliattiano su una presunta positività di una parte del capitale italiano.

Dunque possiamo tranquillamente sostenere che la crisi sistemica, se non fa presagire crolli (e viene utilizzata dal capitale per massimizzare i profitti nella guerra tra potenze, tra soggetti capitalisti, centri di potere finanziario), non riporta gli orologi della storia al punto culminante dei cicli espansivi e del keynesismo "sociale". Tutt'altro.
C'è odore di guerra imperialista nelle ultime scelte di politica economica. Il nodo irrisolto tra la Germania in particolare e gli USA, sospeso negli anni della ricostruzione post-bellica e della divisione nelle due Germanie, oggi riaffiora nella guerra economica e finanziaria, con attori spesso trasversali, ma tutti interni alla contraddizione economica e alla competizione tra poli imperialisti tra le due sponde dell'Atlantico.
La guerra affiora come tendenza possibile sul piano dei poli imperialisti e delle macro aree economiche, degli altri mercati, quelli emergenti, e attualmente si manifesta come sbocco economico (realizzazione di profitti nel warfare) e come spostamento di equilibri geostrategici, nei singoli conflitti per interposta potenza, nelle aggressioni militari spacciate per "missioni umanitarie", come proseguimento della politica monetarista con mezzi militari.

Ecco, questa analisi complessiva è ciò che consegno alla conclusione di questo blog.

Al di là dei tempi di ogni singolo paese del fronte sud dell'Eurozona, entriamo in una fase in cui la nostra Costituzione diventa carta straccia di fronte alla nuova governance europea, al super stato e ai vari super Mario di governo o della BCE.
Le popolazioni dei PIGS, i ceti sociali salariati, precari, quelli medi aggrediti da una vasta proletarizzazione, nella realtà concreta della vita quotidiana e della vita politica nazionale, sono stare espropriate in questi ultimi anni di tutti e tre i riferimenti che hanno costituito le pietre miliari dell'emancipazione sociale dagli ancien régime e di controllo dei nuovi poteri forti delle classi dominanti capitalistiche del Novecento in poi. Liberté, Egalité e Fraternité.
Ci hanno ridisegnato un territorio e delle relazioni sociali, tra gruppi, cominità e tra individui, totalemente desolidarizzate cone istituzioni dello stato allo sbando o impazzite, prìve di senso e di scopo sociale nelle loro politiche fiscali, sul lavoro, sulla previdenza, sull'istruzione.
Il populismo sembra essere l'unica risposta, per altro demagogica, di campanile, wxenofoba se non fascista dichiarata, a un europeismo imbecille che attraverso l'intero centro-sinistra. Un europeismo che è privo di Europa sociale, ma costituito di un'europa monetaria ed economica taylor made sui centri di potere del capitale a partire da quello del Nord Europa.
Dirigenti del centro-sinistra che fanno la fila per entrare nel Bilderberg. Quando il neolibersimo imperante che ci sta devastando la vita, è stato architettato già qualche decennio fa da un organismo che rappresenta il mondo del capitalismo dominante da New York a Tokyo, da Parigi a Londra, da Roma a Berlino: la Trilateral. Di cui il Bilderberg ne è una frazione piuttosto influente. La democrazia rappresentativa è un orpello, si sosteneva: non consente decisioni rapide ed efficienti. Il potere democratico dei popoli andava svuotato e consegnato alle oligarchie della fnanza e del capitale multinazionale. E così è stato fatto. Questo è il sostrato politico che ha dato vita al governo Monti: un governo non eletto dal popolo e voluto fortemente dai poteri della troika europea, con la benedizione degli investitori della City di Londra e d'oltre oceano.
Non parlare di questi temi sopra accennati, non farne critica politica e sociale e, al contrario: accettare questo punto di vista, la punta di diamante del pensiero unico, significa cancellare l'opposizione politica dal Parlamento e dalle istituzioni repubblicane, dalle pubbliche amministrazioni.

In questo momento storico, prioritario è costruire sull'unificazione delle lotte di classe, operaie e studentesche, dei precari, dei migranti, delle donne, dei cittadini che difendono il proprio territorio dagli scempi e dalle speculazioni di regime, delle minoranze di genere, un fronte unico anticapitalista. Antiliberista perché anticapitalista e non antiliberista e basta. Che comprenda che solo l'internazionale delle lotte sociali, può infliggere colpi mortali al sistema di dominio del capitale. Sia con le premesse di una fase insurrezionale, sia con la forza materiale di classe che sposta equilibri e costringe il capitale e lo stato borghese a contraddizioni interne e aun indebilimento delle sue politiche e del suo comando.
Un fronte che abbia come progetto l'insolvenza e un audit popolare sul debito odioso, la fuori uscita dall'Eurozona dei apesi del fronte sud e una moneta sovrana solidale e l'avvio di rapporti economici di solidarietà tra paesi nel solco dell'ALBA latino americana. La sovranità popolare, degli istituti consiliari costituenti (la Comune) e degli organismi da essi eletti, sul sistema bancario, sulla grande industria e sui settori strategici dell'economia come l'energia, le telecomunicazioni, l'istruzione, la sanità, i trasporti. L'inibizione delle speculazioni finanziarie nazionali ede stere a favore di un'economia nazionale che veda centrali l'utilità e il benessere sociale, con un reddito di cattadinanza e una rivoluzione dei tempi e dei modi del lavoro (lavorare meno, lavorare tutti).

Alla massa critica in tendenziale fermento, del lavoro vivo precario, eccedente, espulso dai cicli di lavoro, vanno collegate attraverso la lotta di classe, e insieme a questa architettura progettuale, antiche e ancora attuali narrazioni libertarie e liberatorie.

L'ideale comunista, così storpiato dalle élite di partito e dai loro regimi socialisti che producevano insieme al plusvalore il totalirismo del lavoro salariato reiterato all'infinito, deve tornare con tutta la sua potenza rivoluzionaria sulle labbra e sulle bandiere, nelle teste e nei sogni di milioni di persone.
Liberarsi come classe salariata dalle condizioni del lavoro salariato e abolire così le classi sociali, muoversi per abolire lo stato di cose presente, per distruggere le catene di una macchina statale sempre più aliena alla vita dei cittadini, liberare il valore d'uso dai rigidi e infernali modi e tempi di produzione del valore di scambio. Unirsi nell'uguaglianza rispetto ai diritti e nelle diversità culturali, etniche, di genere. Affratellarsi distruggendo muri e frontiere, fisiche e nelle nostre teste.

Un processo storico e sociale che è già esistente ora, se lo facciamo vivere come valore, come stella polare davanti al nostro timone. Vive nei processi riappropriativi di luoghi, relazioni, beni comuni, ricchezza sociale, cicli di lavoro. Vive nella democrazia diretta costituente, nel consiliarimo delle esperienze di fabbrica e autogestionali. Vive persino nella difesa e nell'affernazione di una società di transizione, dove il costituente, la Comune, può adottare integralmente i principi costitutivi della nostra Carta, nella dialettica immanente tra costituito ideale e costituente materiale. Il punto ideale e reale al tempo stesso, dove si incontrano i partigiani di ieri e la nuova Resistenza di oggi.

Il Comunismo, porca miseria! la semplicità difficile a farsi. Ma è possibile farla sin da adesso.

lunedì 15 ottobre 2012

NESSUNA ADESIONE ALLE PRIMARIE!




Man mano che questo governo va avanti, diviene sempre più chiaro come sia uno strumento diretto della speculazione finanziaria, i cosiddetti "mercati finanziari" così sensibili alle politiche economiche dei governi. Infatti, rigore significa solo una cosa: tagli a pensioni, tfr, tasse sui cittadini, accise sulla benzina, una rapina costante, misura dopo misura, che aggrava ogni giorno di più la miseria, la precarizzazione, che fa chiudere aziende e libere professioni. Un trasferimento di ricchezza dai cittadini a coloro che hanno i titoli di stato, le grandi banche, i centri di potere finanziario europei e anglosassoni che hanno dettato l'agenda al governo Monti. Un processo economico-finanziario che non vede alcuna fine e che non è affatto una ricetta per uscire dalla crisi. Che è anche processo reazionario, perché nel nome di un'"economia neutrale", "misure dei tecnici" chiamati da Napolitano e dai partiti, corrode diritti acquisiti, esautora la democrazia come l'abbiamo conosciuta dal dopoguerra ad oggi, basata su procedure costituzionali che sono state fatte saltare qui come in Grecia.

E Bersani oggi che dice? Si mette una medaglia: Monti l'hanno voluto loro del PD, come se questo massacro sociale fosse la cura necessaria per l'avvento di un chissà quale welfare a marca pidina, con l'appoggio di Vendola & C.
Le dichiarazioni di oggi, dalla pompa di benzina paterna, dovrebbero essere benzina sul fuoco delle lotte sociali, non certo un viatico per un'opposizione completamente allineata ai dettami della finanza.
Oggi va di moda il "come sostengo i bisogni della gente, la qualità della vita", senza disturbare il manovratore. Un'assurdità, una cretineria che solo chi non ha neppure la cifra e la statura politica del peggior Berlinguer, quello dell'Unità nazionale con la DC, solo un nano della politica può affermare senza un minimo di pudore e ritegno.
E Vendola, sottoscrivendo il patto per le primarie, Monti o non Monti nel testo, ha dimostrato di essere totalmente supino a questa logica oscena di sostegno "da sinistra" agli appetiti dei finanzieri. Nel nome dell'Europa, come ciancia Napolitano, ci stanno preparando le future porcate. E con la peggiore politica economica neoliberista, sta passando la guerra: non una parola di dissenso verso la presenza militare italiana nei teatri di conflitto come l'Afghanistan. Come se fossimo lì sul serio per portare la pace. Con un'Europa comunitaria e una NATO che hanno appoggiato le scelte guerrafondaie delle potenze appartenenti ad esse, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, in Iraq, in Afghanistan, in Libia, nel quadro dell'affermazione dei complessi militari, industriali e dei gruppi finanziari occidentali nell'area medio-orientale.
Per questo, il Nobel alla CE ha il volto osceno dell'arroganza militarista verso altri popoli e della prepotenza dei gruppi monopolistici sulle cittadinanze e sui popoli d'Europa portati alla miseria, alla precarietà e alla disoccupazione.

Ma c'è un altro aspetto, che pertiene più propriamente la democrazia reale. Il PD, Vendola e IdV (quest'ultimo anche se fuori dal contesto, almeno per il momento), hanno preso a modello le primarie statunitensi. Al "popolo di sinistra" si chiede in buona sostanza di scegliere un candidato, il leader di turno, secondo il culto del politicantismo del salotto e delle personalità. Questa volta c'è anche una carta da sottoscrivere (che è tutto un programma...). Per cui si compra a scatola chiusa l'uomo, quello che si intende fare... senza alcun dibattito vero, ma senza neppure alcun legame con la società, che ricordiamolo, è fatta sì di cittadini che mettono una croce ogni tot anni, ma anche di soggettività e di movimenti che costituiscono le autentiche istanze della politica, nascoste e censurate quando confliggono con le politiche degli stati maggiori della partitocrazia.
Essere di sinistra, allora e al contrario significa, ancor più oggi con la fine dei partiti di massa che esprimevano nel dopoguerra l'andamento della lotta sociale, politica e di classe, le grandi visioni del mondo, riportare i cittadini e i lavoratori alla politica attraverso la lotta democratica dal basso, la democrazia diretta, il passaggio a una fase costituente dell'antagonismo sociale. Fuori dagli strumenti del consenso e dell'adesione politica attraverso la delega in bianco, che sono tutti del controllo borghese sulla classe.
Le primarie sono solo una farsa per dare l'imprimatur a quanto già deciso dalle segreterie. E poco importa se vince Bersani, Renzi o Vendola. Il manovratore non sarà disturbato e l'alternanza tra forze omologhe nel campo neoliberista dominante sarà assicurato.
Ecco perché è necessario disertare le primarie, boicottare questo esercizio di falsa democrazia. 

Dietro i vari protagonisti delle primarie, dunque, c'è questo denominatore comune, che deve portare il cosiddetto popolo di sinistra alla diserzione dai seggi delle primarie.
A sinistra deve nascere qualcosa d'altro. Qualcosa che non sarà maggioritario all'inizio: non abbiamo ancora una situazione greca o spagnola. A volte occorre agire come i nostri antifascisti sotto il fascismo, senza volere ovviamente sostenere che la situazione è la medesima, ma il clima di caccia alle streghe (vedi Val di Susa) c'è tutto. Qualcosa che non sarà facile costruire, che comporterà repressione ai vari livelli, perché le intelligence dei singoli stati si stanno coordinando e facendo tesoro delle specifiche esperienze: la polizia europea è già una realtà.
Ma qualcosa che è inevitabile per come si sta sviluppando la situazione politica italiana ed europea. E ineludibile per chi si pone come produttore e veicolo nelle masse di coscienza e conoscenza critiche. Non si può eludere il problema della costruzione di un soggetto politico antagonista che non sia la somma elettorale di partitelli che esprimono gruppi dirigenti orfani del Parlamento. Che non sia la fuga in avanti con linguaggi incomprensibili ai più, di spezzoni di intellettualità alla ricerca autoreferenziale di un proprio spazio.
Lo scontro imminente può e deve essere affrontato sul terreno proprio dei movimenti autoaffermativi, ma non basta. Gli agitatori movimentisti si sono sempre frantumati davanti alla forza poliziesca, hanno segnato stagioni, ma non hanno mai sfondato le porte del Palazzo d'Inverno.
Il soggetto politico, può e deve (per parafrasare la Luxemburg), interagire con l'autoattività delle masse, che è potere costituente, ma non può non porsi come organizzazione rivoluzionaria popolare e di classe.
Se i comunisti non affrontano seriamente questo tema all'ordine del giorno, il rischio è quello di andare alla battaglia in ordine sparso, senza sintesi progettuale, senza organizzazione. E saremo noi stessi i responsabili di una possibilità mancata, o di un massacro conflittuale annunciato.

Il processo democratico e rivoluzionario va governato e orientato alla sconfitta epocale del capitalismo giunto alla sua barbarie più oscena: il neoliberismo selvaggio e di guerra.
Non ci sono scorciatoie. Solo assunzione di responsabilità.
Questo non significa ricostruire anacronistici partiti comunisti di vangelo m-l, ma trovare le modalità opportune per collegare le parti più avanzate dei movimenti antagonisti a un livello di organizzazione politica e su una piattaforma generale, la cui agenda progettuale deve porre all'ordine del giorno il reddito di cittadinanza universale, l'insolvenza nei confronti dei "mercati finanziari" e l'avvio di una procedura popolare (audit) di debito odioso, il ritorno a una moneta sovrana transnazionale (se sono più paesi ad avviare processi democratici costituenti), il controllo popolare statale su banche, fondazioni, sulla cassa deposito prestiti e la loro socializzazione, la socializzazione dei principali comparti dell'economia: dall'energia alle comunicazioni, una vera riforma del marcato del lavoro secondo i parametri del lavorare meno, lavorare tutti, a salario adeguato al costo della vita, la costituzione di procedure democratiche legislative che portino la democrazia diretta, dal basso a scalzare la partitocrazia, i corporativismi, le cricche di regime.
Su una piattaforma del genere ci possono stare gran parte delle componenti della sinistra di classe. Pone aspetti di socialismo e di transizione al comunismo.
Su un programma di questo tipo deve articolarsi un vasto movimento riappropriativo di beni, spazi, processi produttivi e distributivi, servizi alla persona, di cooperazione tra soggetti della produzione economica, della riproduzione sociale.
A noi comunisti spetta il compito di costruire il soggetto politico, l'avanguardia di classe che porta la direzione del colpo dentro le lotte sociali contro il governo e chi lo sostiene, espressioni delle politiche neoliberiste e imperialiste nel nostro paese e causa prima della miseria, della disoccupazione, del debito sociale e privato per milioni di cittadini, lavoratori, giovani, pensionati.
Tutto il resto, sono esercizi accademici privi di veri agganci con le realtà sociali e inciuci tra gruppetti.
Dobbiamo tornare a sognare una società possibile, libera dallo sfruttamento, dalla guerra, dall'oppressione, dall'oscurantismo religioso integralista, quindi laica. Una società dei diritti universali e della democrazia reale, partecipata dal basso, secondo le migliori esperienze del collettivismo, come la Comune di Parigi. Perché oggi il sogno è oggi possibile in questo snodo di crisi capitalistica strutturale e sistemica.
Tutto questo non esiste da Rifondazione Comunista e dal PdCI Sinistra Popolare in poi. In questi soggetti che si proclamano comunisti, c'è tutt'al più un riformismo fumigoso, una difesa di bandiera degli interessi dei lavoratori, ma senza un programma rivoluzionario che sia in grado di unire la classe e i suoi alleati congiunturali: i ceti popolari, la piccola borghesia massacrati dalle politiche neoliberiste di pauperizzazione sociale, di precarizzazione e di debito.
Sono quelle forze politiche che ci portano costantemente a sostenere "da sinistra" il PD, nelle elezioni politiche come in quelle amministrative.

D'ora in poi occorre che sia chiaro che centrali per lo sviluppo della lotta di classe sono i processi conflittuali e di movimento che sorgono dalle contraddizioni sociali poste dalla crisi capitalistica. Che essi costituiscono il processo popolare costituente di un ordine nuovo in nuce.
Deve essere chiaro che il PD non è una forza di sinistra, ma del capitale, che non promuove riforme per i lavoratori e per le classi popolari, ma fa da sponda alle politiche neoliberiste. E il vendolismo ne è una componente organica.
Non esiste più una sinistra istituzionale degna di questo nome. L'unica via per lo sviluppo di una sinistra alternativa è l'autonomia di classe, è l'opzione rivoluzionaria per il comunismo.

Con questo non si vuole dire che la lotta in parlamento e la partecipazione alle elezioni siano da rifiutare per principio. Però l'attuale storia dei conflitti sociali nei paesi a capitalismo avanzato insegna che sono i movimenti a fare politica, ossia a incidere sui rapporti di forza tra classi, a spostare gli equilibri politici su cui si regge il potere capitalista: occupy USA, indignados spagnoli, movimenti popolari greco e portoghese, primavere arabe. Non certo gli sparuti gruppi parlamentari che potrebbero essere eletti con la benevolenza e il "do ut des" dei rappresentanti di una parte del regime di classe: PD e compagnia cantante.

Per questa ragione vanno rifiutate le "sponde" che i soliti soloni di turno, con non poca demagogia, offrono ai movimenti in cambio di voti.
Autonomia di classe, autorganizzazione, consiliarismo nelle nuove forme che si avvicendano attualmente nel panorama politico dello scontro sociale: accampate, autogestioni di fabbrica "argentine", processi autogestionali che stanno vivendo un nuovo impulso oggi, dopo una sopravvivenza difficile dagli anni '80 in poi. Sindacalismo di base anticorporativo. Sono queste le coordinate di lavoro dei comunisti rivoluzionari.

giovedì 27 settembre 2012

L'INSURREZIONE TRANSNAZIONALE E' ALLE PORTE.


Le notizie che arrivano dalla Spagna, il Parlamento spagnolo circondato da una massa di cittadini spagnoli che invocano la democrazia e la repubblica, che chiedono al governo Rajoy di andarsene, le cariche brutali della olizia, i deputati costretti a uscire scortati, ovviamente sono state messe sotto tono dai nostri media.
Se poi nelle stesse ore c'è il calo delle borse, i media, dopo le prime notizie che legano la fuga degli speculatori dai titoli europei all'incertezza del recupero dei crediti data dalla conflittualità spagnola, poi correggono il tiro cianciando, come su Radio Capital (Gruppo Repubblica... house organ di regime) di paura per la recessione spagnola: come se questa fosse una novità e come se al contrario non siano le politiche recessive del neoliberismo a garantire il flusso di danari nelle casse dei creditori blasonati, franco-tedeschi o anglosassoni, banche, fondi e compagnia cantante.
E il giorno dopo? Sciopero generale in Grecia, con scontri feroci. Ed ecco Eu e FMi che si dividono su come gestire la restituzione dei debiti greci: una dilazione i primi, che pensano a una situazione che precipita, una ristrutturazione del debito i secondi, che come tradizione vuole, già sperimentata sui popoli del terzo e quarto mondo, esigono il guidardone, senza stare tanto a guardare a questioni come la stabilità, cosa che riguarda gli europei.

Ma il dato di fondo che va letto da queste vicende e dalle risposte date dagli esecutivi e dai centri di comando del capitale d'occidente, è duplice.

Uno: i governi dell'oligarchia politico-finanziaria cominciano ad avere paura, perché sanno che quello che sta avvenendo in Spagna, in Grecia, e che le proteste non meno vaste a Lisbona di qualche giorno fa, che hanno imposto il governo portoghese la sospensione di una legge che imponeva ennesimi tagli ai servizi sociali alla popolazione, sono le avvisaglie di una situazione insurrezionale in tutto il sud Europa.
Il neoliberismo, ossia l'economia del debito che impone in Europa un imponente trasferimento di risorse e ricchezza sociale dalle cittadinanze agli speculatori, che sottrae salari, reddito, lavoro a decine di milioni di persone, ha svuotato le democrazie costituzionali, ha ridotto i sistemi parlamentari a semplici parlatoi sul nulla e i governi a meri esecutori di politiche decise altrove, nelle stanze dei centri di potere oligarchico.
I tumulti spagnoli, greci e portoghesi, sono comunque la miccia di una situazione esplosiva, un conflitto destinato a propagasi in altri apesi, non ultimo l'Italia.
Di questa situazione di rapina da parte dei potentati e di uso criminale della loro crisi ormai anche qui, sempre più cittadini e lavoratori ne hanno coscienza. Inevitabili gli sviluppi anche in Italia.
L'insurrezione transnazionale potrà essere l'epilogo nel fronte sud dell'Europa, con forti ripercussioni anche in Francia e in Gran Bretagna, in altri paesi ancora, fino al cuore stesso del potere capitalistico europeo: la Germania.
La rivoluzione è un'onda che si propaga e le masse (la primavera araba è l'ultimo dei tanti "insegnamenti" della storia) imparano velocemente. Ci sono giorni che valgono secoli. E oggi siamo sull'orlo di un forte cambiamento economico-sociale. I nostri nemici lo sanno già. E molto dipende anche da noi.

Due: i tumulti, le forme di sciopero selvaggio, l'occupazione dei luoghi del potere e delle decisioni, il sabotaggio finalizzati all'ingovernabilità e alla caduta di consenso, sono la strada giusta.
Solo così si possono creare contraddizioni nel campo avverso e aprire la situazione politica a nuovi scenari, incidere sui rapporti di forza.
Il programma minimo è nelle cose: non pagare e avviare un audit poplare di debito odioso verso la finanza che ha esautorato le democrazie rappresentative, ricostruire una sovranità costituente e popolare che parta dalle forme di democrazia dal basso, diretta, le uniche espressioni della politica realmente partecipate dai cittadini e democratiche.
Da qui, va da sé che solo con il controllo democratico dei cittadini e dei lavoratori con nuove istituzioni repubblicane sui gangli vitali dell'economia, dei mezzi di comunicazione, delle reti in cui passano i flussi di informazioni vitali per la riproduzione sociale, con la cooperazione, al nazionalizzazione di banche e utilities portanti, con nuove forme di attività collettivistica nel campo della produzione e dei servizi (a partire da quelli alla persona, alle infrastrutture). Un  controllo democratico sul mercato con la creazione di una moneta sovrana al servizio del comune e non delle banche.
Alla sottrazione crescente di ricchezza sociale, di beni comuni, di salari e reddito, occorre rispondere con una richiesta molto semplice: reddito di cittadinanza per tutti. Il diritto a una vita dignitosa e felice, prima ancora di qualsiasi prifitto e plusvalenza.
Un programma così uccide di fatto l'era del profitto. I più non ne piangeranno la sua dipartita mai troppo presto prematura.

Solo così è possibile uscire da un'era di guerra sociale dei più forti contro i più poveri, contro i proletari e i ceti medi proletarizzati, da un'era di guerra diffusa nel pianeta, per la tutela e l'affermazione del dominio imperialista sulle risorse energetiche, sul mercato del lavoro, contro gli altri attori dell'economia mondiale (Cina, Russia, ecc.), contro il declino del dollaro e dei centri dell'economia occidentale. Una situazione di barbarie prmanente e di catastrofe militarista, ambientale, alimentare, di caduta delle conquiste democratiche raggiunte nel Novecento, a cui il neoliberismo ci ha portato.

Il ruolo di una sinistra che sia veramente tale, è quello di favorire con ogni mezzo le forme di aggregazione costituente delle masse popolari, lavorare per collegare i movimenti, per riunificare su un progetto politico condiviso tutte le realtà sparse dell'antagonismo di classe, a livello internazionale. Il sio ruolo è quello di contrastare, isolare e battere le opzioni populiste e reazionarie, che sotto la bandiera dell'antieuropeismo nazionalista cercano (vedi Alba Dorata in Grecia) di instaurare governi fascisti e xenofobi: un'eventualitò molto vicina soprattutto in una fase di caos e di forti tensioni sociali.

Il terreno del confronto tra forze di sinistra, dunque, non parte da patetici cartelli elettoriali (il PdCI è in pole position per unirsi al PD...), ma da un progetto di potere costituente che sia punto di riferimento reale nei movimenti di massa.
Non è più tempo di tessere e di conte (se mai lo è stato).
E' tempo di distruggere la gabbia del neoliberismo con la forza del popolo che si autorganizza e che irrompe sulla scena politica devastando i progetti e i dispositivi di comando del regime oligarchico finanziario.
I comunisti devono porsi al servizio e alla testa al tempo stesso di questi movimenti.

sabato 22 settembre 2012

E APRIAMOLA 2

Chiedo venia, non sono un filosofo e non ho la laurea. Per cui mi limito a fare analisi che descrivono quello che vedo nella società, con un po' di letture e di documentazione. E ovviamente i fondamenti base del marxismo, che poi è il mio punto di vista. Quello che una volta era in voga definire le potenti lenti del materialismo storico e dialettico.

La mia considerazionde sul clientelismo e la criminalità organizzata come uno degli elementi di freno a una sacrosanta rivolta sociale come quella spagnola o greca, non vuole certo essere un verso al cretinismo antiberlusconista dilagante. Tutt'altro.
Se qui in Italia non capiamo che questa non è una "zona d'ombra", ma un dispositivo di "cattura del comune" vero e proprio, non andiamo alla sostanza della questione, ossia quanto questo aspetto incida.

Cosa crediamo alla favoletta (questa sì tipica dell'armamentario ideologico populista, qualunquista, manichea, che attraversa grillismo, travaglismo, pidismo e compagnia bella) del politico che si imberta i soldi e chi s'è visto s'è visto?
Con l'economia del debito (mi piace l'impianto definitorio e descrittivo di Lazzarato), nel nostro paese c'è una forte polarizzazione tra fasce sociali beneficiarie di ricchezza sociale, sempre più ristrette, con un ceto medio devastato e in più piccola parte ricomposto su altre modalità di rendita (fine del piccolo risparmiatore) e fasce sociali sempre più vaste, soggette al peso del debito, alla precarizzazione selvaggia, all'etica e alla condizione dell'utente che perde diritti sociali, alla salute, all'istruzione, al reddito indiretto nei servizi alla persona, diventando debitore integrale. I servizi diventano debiti, il lavoro diventa massimizzazione di pluslavoro a condizioni salariali in busta o a partita IVA falsa roidotte all'osso.
Ma nel primo caso va incluso anche tutto ciò che gira attorno al sistema di corruzione, appalti, all'intergrazione tra mafia e stato, criminalità organizzata e capitale: una fetta di PIL piuttosto consistente. Per esempio, il sistema dei partiti, o i sistemi di governance nelle pubbliche amministrazioni, non sono dei semplici contesti in cui operano ladri che rubano alla collettività: questa è la storiella morale che nasconde il fatto ben più importante, questo è un sistema di distribuzione del reddito, di creazione di rendite, ha una sua base sociale che vive di questo e una massa più in basso che vive nel ricatto e nella precarietà, nel poter avere un appalto, una commessa, un posto temporaneo.
Questi sistemi sono dispositivi che generano consenso attraverso clientele, pratiche illegali come la corruzione, ma anche il ricatto su segmenti classe lavoratrice iperprecarizzate. Rappresentano un modello di gestione del potere amministrativo, ma anche un'efficiente organizzazione e divisione sociale del lavoro, un dispositivo di comando sulla forza lavoro, sugli utenti e sul territorio. Guardiamo, altro esempio, alle cooperative bianche o rosse che siano, quelle che decidono del futuro stesso dei "board di governance" delle PA. Sono diventate così potenti che i giochi si sono ribaltati: le amministrazioni sono i loro comitati d'affari, così come lo sono e di altri soggetti consorziati che si gestiscono il potere locale, il potere sulla res publica, sul comune.

Quindi, compagni, ritengo che la mia analisi non sia "marziana", ma del tutto marxiana e non va svalutata nel gorgo dei luoghi comuni. Certo, è semplicemente abbozzata, con molte pecche probabilmente. Ma basta sforzarci di vedere ciò che accade nei nostri contesti di vita e di lavoro per capire e tentare un'analisi. Spinoza e Focault aiutano, ma non sono a Borgonuovo di Sasso.
Se non comprendiamo in specifico questo, rischiamo di ragionare per categorie astratte.
Davvero pensiamo che basti aver individuato nuove e discutibili centralità nella classe, e le sempiterne e revisioniste "posizioni erronee in seno al popolo" (il socialismo novecentesco) per far quadrare il cerchio?
Troppo facile, troppo semplice. Forse occorrerebbe mettere la stessa vis che si impiega per dare metaletture generali dell'"impero", nell'analisi concreta della situazione concreta.
Quando Formenti nel suo contributo parla di un post-operaismo a rimorchio dei movimenti anarchici, registra anche il ritardo in cui versa l'analisi e l'organizzazione dell'autonomonia di classe nel nostro paese. Si può e si deve discutere di questo.

Oltre al fattore prima descritto, ci sono altri aspetti che stanno ritardando (ritardando, non bloccando, capiamoci) una rivolta sociale diffusa organizzata. Uno è legato anche (non solo ovviamente) a questo dispositivo di cattura del comune e di organizzazione del lavoro sopracitato: la frammentazione del corpo di classe, la sua scomposizione.
Un altro ancora è l'aspetto ideologico di cui fa cenno Negri, ma come elemento culturale diffuso nella sinistra nel quadro di una situazione più generale che deriva da una ragione più ampia e "operaista": la sconfitta del movimento antagonista negli anni '70, che ha interrotto pratiche, coscienze, conoscenze, formazioni organizzate, collettivi e soggettivazioni rivoluzionarie. E' rimasto un fluire carsico di queste soggettivazioni (vedi centri sociali e altre aree dell'antagonismo), ma flussi portanti sono stati interrotti dalla repressione delo stato, dal cambio neoliberista che obbligava l'autonomia di classe a salti di qualità. Che non sono stati fatti, poiché era venuta meno la forza sociale d'urto e l'intelligenza collettiva per compierli adeguatamente.
Negri forse si riferisce all'egemonismo del pensiero post-marxista ortodosso (dal berlinguerismo al PD), già debole e parte del pensiero unico neoliberista (che con l'avvento delle nuove tecnologie mediatiche e del comando ideologico e spettacolare... non dico berlusconiane sennò accendo automatismi critici avulsi, ha ammazzato definitivamente l'egemonia culturale della sinistra che esisteva nel dopoguerra), si è amalgamato ad altre forme di pensiero prevenuto, facile,  costitundo il bagaglio culturale di certa insofferenza qualunquista. Dentro facebook non abbiamo che esempi che ci infestano le palle da mane a sera.
E, sempre Negri, si riferisce alle forme di autorappresentazione liturgica del vetero sindacalismo della triplice, incorporato nel comando della produzione, nel sistema di comando più in generale del capitale, proseguono come zombie (calpestate spesso dal capitale, dalla FIAT), travolte in non poche circostanze da antagonismi di fabbrica, sociali, che però non trovano sponde, soggettività coese e porgettuali in grado di far scoppiare la luxemburghiana scintilla del'organizzazione comunista di massa.
E Negri parla anche di un socialismo novencentesco che permane nei partitini e partitelli della sinistra che tenta di essere neoistituzionale, i maggiori artefici dell'inesistenza di un soggetto politico serio.
Ma tutti questi fenomeni, a mio modo di vedere, sono secondari e residuali. Dov'è la forza sociale del PD? Nei salotti televisivi c'è poca massa critica. E dov'è il forte movimento operaio sindacalizzato, che per il socialismo isola gli untori? E dove la sinistra di classe? Più impegnata a guerre di bottega che a ricostruire un percorso collettivo e un progetto politico unitario anticapitalista e di potere costituente di classe.

Sono i movimenti del conflitto sociale ad avere aperto spazi di sviluppo di soggettività e di elementi di programma minimo che spiazzano tutta questa merda del passato.
Ecco perché parlo di "autostrada" per una sinistra rivoluzionaria che voglia davvero porsi sul terreno di un lavoro politico serio. Una SR che, ammettiamolo, è inesistente sul piano politico, del soggetto.

Ma in conclusione, tranquilli, la rivoluzione ci sarà e la rivolta è nell'aria. I dispositivi formali o informali di disciplina e controllo del capitale sul proletariato e le classi popolari, i soldi e le modalità di esistenza e di riproduzione sociale dei sistemi camorristici e mafiosi sulle popolazioni del mezzogiorno, i sistemi clientelari emilo-toscani rosso-bianchi, non fermeranno l'occupy italiana. Che non sarà nelle forme di occupy e non sarà solo italiana. I movimenti cresceranno anche e nonostante tutto il loro spontaneo armamentario della mitologia del lavoro e della Costituzione, a dispetto della nostra spocchia intelettualoide da Cassandre dalla lingua complessa  e spesso indecifrabile ai più.

Ma occorre cambiare passo. 

Occorrono inchieste serie sulla s/composizione di classe, che non parlino solo di alcune tendenze e non della complessità. Occorre affrontare i nostri punti deboli, uno importante su tutti: il modo di produzione capitalistico nella sua fase post-fordista ci mette davanti a una classe polverizzata. Bello il tentativo di dare una veste cognitiva alla "cosa", una lettura della classe che parta almeno da un bandolo della matassa. Ma è un cul de sac. Non esiste solo il Teatro Valle. E l'irruzione degli operai dell'Alcoa sulla scena politica nazionale, con il loro "armamentario" da mitologia lavoristica della sopravvivenza scompagina un po' il quadretto, visto che Marikana è molto lontana.

Quindi, scusate compagni, ma manca ancora il soggetto politico che agisce sulla totalità e la complessità della classe, dei settori sociali che in varie modalità sono subalterni allo stato, al capitale, che subiscono le politiche neoliberiste: quel 99% (percentuale simbolica, non effettiva, non sto a fare i conti qua...), di cui una vasta percentuale non ha ancora capito che è in atto una guerra sociale nei suoi confronti da parte di "90 milioni di persone, (...) vero e proprio “blocco sociale” (che) opera sui mercati di Borsa «come un partito informale ma solidissimo, in grado di determinare l’andamento dell’economia e di condizionare in modo determinante la politica»" (Gattei, la Germania contro tutti, carmillaonline.com)
Per tornare a stravolgere gli assetti del comando e a sviluppare autonomia proletaria, la classe va presa tutta. Tutto il pacchetto, compagni. Pacchetto ideologico novecentesco e costituzionalista incluso, mettere le mani nella merda, please. La battaglia politica va affrontata. Altrimenti finiamo con il ricostruire riserve indiane ai margini... dell'autostrada.





sabato 8 settembre 2012

E APRIAMOLA, LA DISCUSSIONE.


Su questo sito:

Qualche questione sullo stato dei movimenti: apriamo la discussione"

Ci sono spunti piuttosto interessanti per un dibattito interno al movimento antagonista sulle prospettive di una ripresa di un ciclo di lotte sociali autonome e di cambiamento radicale, rivoluzionario della società capitalistica. Con un occhio particolare alle esperienze di Occupy e alla situazione italiana.
Pertanto consiglio la lettura dell'inervgento di Negri, prima di affrontare le mie considerazioni.

Come sempre Toni individua della questioni importanti, ma su altre sono meno persuaso.
Giustissime le considerazioni sui centri sociali, almeno certi, che hanno fatto dell'autoreferenzialità e dell'"autoimprenditorialità", del localismo, la loro bandiera.
Sorvolo sull'annnosa questione del "lavoro materiale" e "immateriale" e sulla centralità del lavoro cognitivo (le figure del lavoro salariato sono molto più complesse, frammentate e inoltre è fuoriviante cercare delle centralità oggi), che meriterebbe una trattazione a parte.
In buona sostanza non credo che occupy non abbia attecchito in Italia a causa della tradizione "socialista" novecentesca che permea la sinistra, partitini e partitelli inclusi. Penso piuttosto che in Italia ci siano vasti e radicati “ammortizzatori sociali” illegali, criminali, clientelari, come l'economia sommersa, il clientelismo e il familismo nelle pubbliche amministrazioni, le mafie che gestiscono pezzi fondamentali dell'economia, anche quella emersa e legale.
Il che significa: lavoro e rendita, quindi reddito. In Spagna non  mi risulta un tasso così elevato di evasione, di corruzione e di collusione tra pubblico e malaffare, mafie, consorterie e cricche corporative con tutte le loro cordate e corti dei miracoli. 
Ciò costituisce un vero e proprio "modello produttivo", di riproduzione sociale, di ripartizione della ricchezza sociale.
Inoltre in Italia con la crisi, la precarizzazione, la flessione del lavoro dipendente "garantito" si riduce l'aristocrazia operaia e impiegatizia: la base sociale storica dell’”eurocomunismo”, dei sindacati. Si sgretola la composizione storicamente data dal dopoguerra agli anni '80  del ceto medio,  che si restringe anch'esso e si ricompone all’interno di questa zona d’ombra ed è per questo che la "socialdemocrazia" e il post-democristianesimo variamente di marca “sinistra DC” (l'impasto di cui è fatto il PD) cercano altri referenti e trovano più facile assecondare gli appetiti finanziari e appaltatori dei grumi forti di potere, coop incluse, che cogestiscono con i poteri mafiosi, ciellini il pubblico, i servizi, il territorio. Nel PD le "anime candide" muoiono sotto i colpi dei faccendieri, che ora hanno campo libero, perché i voti li vanno a rastrellare da chi beneficia o vive il ricatto del reddito e del salario redistribuito nelle forme sopra citate. Ecco il perché dell’inciucio ABC, ma più strutturalmente, la ragion d’essere dei partiti di regime, l’ontologia della casta politica in sé.
Il sistema spartitorio dei servizi e delle opere pubbliche dentro l'asse coop "rosse" e Compagnia delle Opere, per esempio, ha modellato una struttura salariale, di sfruttamento della forza lavoro, creando un regime di precarizzazione da una parte e di riformulazione della gestione del comune dall'altra, godendo di una continuità dei cicli di produzione dei servizi e del cemento e godendo di crediti privilegiati.
Un modello produttivo che crea consenso, acquiescienza, nel ricatto di chi può esercitarlo da una posizione dominante.
La precarizzazione crea dipendenza in tutti i sensi. La redistribuzione del reddito a partire da ambiti di lavoro garantito di medio alto livello e di rendita più o meno occulta, nel caso del management, diffonde consenso.

Se non vi fossero questi ammortizzatori reali, avremmo sicuramente anche qua un forte e generalizzato scontro sociale. Pensare che il freno sia l’imprinting socialista e comunista novecentesco è dare un’interpretazione soggettivista dello stato dell’arte italiano della lotta di classe.
Altro che egemonismo del socialismo novecentesco! (un'egemonia persa anche nel mondo della cultura e dell'arte con l'avvento del berlusconismo e l'omologazione degli "intellettuali" al pensiero unico). L’autonomia di classe e l’antagonismo verrebbero fuori anche con le vecchie contraddizioni, perché la lotta di classe va oltre gli elementi soggettivi che possono influire ma non stabilire il grado del conflitto.
Ci dovremmo pertanto misurare con l’ultrademocraticismo legalitario, costituzionalista, con quelle aree politiche che pensano ancora al costituito ormai morto e consunto e non al costituente. Ci dovremmo misurare con l’etica del lavoro e capire in che modo far emergere la comune rivoluzionaria che va oltre il lavoro salariato, oltre il rapporto capitale/lavoro, che affermi l’era del reddito di cittadinanza universale, di una riproduzione sociale un funzione del soggetto collettivo e non dei profitti (qualunque destinazione abbiamo) e del privato. 
Ma questa è una battaglia politica per linee interne, all’interno di chi vuole rimettere al centro il welfare, i beni comuni, la vita della collettività. Dovremmo e dovremo trovare una piattaforma comune e un terreno comune di iniziativa, di offensiva di classe.
Le forze dell'autonomia proletaria avranno a che fare con un "costituzionalismo" sano e molto spesso ingenuo. Si troveranno davanti masse di lavoratori che vedono nel lavoro l'unica prospettiva per la propria esistenza, elemento di dignità soggetiva.
Che si fa? Ci si avvita dentro le sacche di lavoro cognitivo in lotta?
Pensare che esperienze come il teatro Valle siano il prodotto di una forza sociale centrale nel conflitto di classe è fuorviante. E i milioni di lavoratori nelle imprese produttive, della grande industria ma anche delle PMI? E i lavoratori autonomi, spesso forza lavoro salariata con unico datore?
Ancora una volta viene da pensare che fabbrica, università e scuole, più o meno grandi concentrazioni del lavoro come ospedali, teatri, il territorio nelle questioni che spingono alla mobiltazione vasti settori di cittadinanza (No Tav), siamo il punto di partenza, dove la classe si ritrova quotidianamente o su questioni eccezionali, dove quindi è più facile mettere in moto un'intelligenza collettiva, forme di autorganizzazione e di lotta.
L'autonomia riparte da qui, sempre.

La questione vera è il lavoro comunista per favorire la formazione di dinamiche riappropriative e di gestione del comune. Questo è programma immediato e generale insieme, gestibile al di là delle visioni "socialiste". Formazione dei consigli, autogestione, riappropriazione, autonomia e contropotere in definitiva: sono aspetti che sono sempre emersi nel percorso della lotta di operaia e di classe. Semmai siamo noi autonomi, che vediamo ancora una vecchia linea di demarcazione tra movimento operaio (sveglia, il PCI non c'è più!) e altro movimento operaio. Oggi le nostre proposte hanno davanti un'autostrada.
Poi ci saranno partiti veterocomunisti che partono dal solito progettino. Ma perché, un audit sul debito con la FIOM non va bene? Sarà l'autonomia proletaria  a forzare l'orizzonte ponendosi come soggetto che lavora sulla potenza della classe, della sua autorganizzazione, della sua riappropriazione di ricchezza sociale. Sarà la dialettica interna all'opposizione sociale e alla sinistra di classe a ridefinire rapporti di forza, direzione del processo rivoluzionario.

Per concludere, due parole su OCCUPY.
E’ vero: occupy ha vinto perché ha riformulato l’orizzonte della politica rivoluzionaria, il protagonismo dei movimenti di massa. Usando “vecchi” termini, a cui mi sento ancora legato, ha riposto al centro dell’anticapitalismo e dei movimenti proletari la democrazia diretta, l’autorganizzazione, quell’autoattività delle masse tanto cara a Rosa Luxemburg. Quel farsi potere della classe, che è autonomia e contropotere.
Occupy lo ha fatto con nuovi linguaggi e nuovi stilemi dell’agire, dell’aggregarsi. Prendiamone spunto, ma in Italia la questione avrà forme sue, originali. Questo sì, proprio a causa di un fattore K duro a morire.

venerdì 24 agosto 2012

35 ANNI DALLA PARTE DEL POTERE E CONTRO I MOVIMENTI ANTAGONISTI.

Bologna, 11 marzo 1977, l'assassinio di Francesco Lorusso nasce da una provocazione di mazzieri di Cielle alla facoltà di Anatomia, i quali aggrediscono alcuni compagni del Movimento (nella foto Vestrucci di Cielle con una spranga in mano). Molti compagni giungono successivamente e si radunano davanti ad Anatomia per protestare, arrivano anche polizia e carabinieri. Da lì le cariche e i proiettili assassini a Francesco.


''C'e' il sospetto che a Rimini si applauda non per cio' che viene detto. Ma solo perche' chi rappresenta il potere e' li', a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione. Quell'omologazione da cui dovrebbe rifuggere ogni giovane. E che rischia di trasformare il Meeting di Rimini in una vetrina: attraente, ma pur sempre autoreferenziale''.
Non lo dice un comunista o un esponente della sinistra radicale: questa frase è i un articolo dell'ultimo numero di Famiglia Cristiana, che rappresenta i paolini, una parte del mondo cattolico (vasta) che vede l'intreccio tra politica, affari e cattolicesimo con non poca preoccupazione.
E ne ha ben donde dall'essere preoccupata perché il potere della CdO, Compagnie delle Opere, il grande sistema economico di Comunione e Liberazione, è vera e propria holding parla con le cifre: 70 miliardi di euro, 35 mila aziende e professionisti, una crescita del 10% ogni anno, principali partner sono Bombardier, Finmeccanica, Sai e Intesa Sanpaolo, con "amicizie" nei poteri forti come quella con Corrado Passera, spesso impresentabili come Cesare Geronzi, Corrado Passera, Ettore Gotti Tedeschi, solo per citarne alcuni.
Questa idra che poco profuma di santità e molto di affari, appalti, clientele, da anni è al centro della gran parte delle transazioni clientelari in tutta Italia. Ha accumulato un potere e appoggi in tutti i centri di potere che fanno l'economia nel nostro paese.
Questo potere viene usato per orientare politicamente il paese, ma in particolare il mondo cattolico su temi fondamentali come l'etica scientifica e i diritti della persona, tra cui il diritto all'eutanasia, la sperimentazione con le staminali, la fecondazione assistita, le unioni gay.
Proprio su quest'ultimo tema e proprio in questi giorni, hanno tuonato i ciellini dagli spalti del Meeting di Rimini:"Le unioni gay sono un male per l'umanità".

è di fronte a questo colosso reazionario e oscurantista che sinistra e forze laiche avrebbero dovuto concentrare la critica politica, che un sindacato come la CGIL avrebbe dovuto contrastare le condizioni contrattuali vergognose dei lavoratori, la loro precarizzazione, i loro salari talvolta addirittura di 5 o 6 euro all'ora, frutto della privatizzazione selvaggia dei servizi nei principali centri metropolitani del centro e del nord Italia, degli appalti concessi da amministrazione spesso anche di centrosinistra alle imprese voraci della CdO. In questi anni il centro sinistra da una parte attaccava il berlusconismo perché ostacolava la possibilità di un'andata al governo del PD, ma dall'altra non si toccavano i poteri forti della reazione. Anzi ci si facevano e ci si fanno tutt'ora ottimi affari.

“Se vuole rifondarsi, la sinistra deve partire dal retroterra di Cl. La vera sinistra non nasce dal bolscevismo, ma dalle cooperative bianche dell’800, il partito socialista arriva dopo, il partito comunista dopo ancora. E i movimenti del Sessantotto sono tutti morti, solo l’ideale lanciato da Cl negli anni Settanta è rimasto vivo, perché è quello più vicino alla base popolare, è lo stesso ideale che è alla base delle cooperative, un dare per educare”. A parlare così è Pierluigi Bersani. E’ l’agosto del 2003, quando l’attuale segretario del Pd è responsabile economico dei Ds e viene accolto con scrosci d’applausi dal popolo di Cl al Meeting di Rimini.
(il Fatto Quotidiano)
Oggi questo signore è a capo del maggiore partito di opposizione. I risultati di questi ultimi anni?
Sempre dal Fatto Quotidiano:
Se poi si vuol trovare l’atto fondativo di un patto tra mondo ciellino e sinistra, il primo passo di un lungo cammino insieme, si deve risalire ancora più indietro nel tempo: al luglio 1997, quando nasce Obiettivo Lavoro, agenzia per fornire lavoro temporaneo. A fondarla sono, insieme, la Lega delle cooperative e la Compagnia delle opere, coop rosse e ciellini. Ne diventa presidente Pino Cova, ex segretario della Cgil Lombardia e della Camera del lavoro di Milano, amministratore delegato è Marco Sogaro, della Cdo.Ma sono gli affari a dare sostanza concreta ai progetti “alti”. Coop rosse e imprese della Cdo si spartiscono ormai tranquillamente molti appalti pubblici. A Milano, il nuovo ospedale di Niguarda nascerà con le strutture realizzate dalla coop Cmb di Carpi e i servizi gestiti da aziende della Compagnia delle opere. I motori delle due centrali, quella bianca e quella rossa, si stanno già scaldando anche per i lavori dell’Expo 2015: già pronte le coop Cmb, Unieco e Ccc. Anche il monumento al formigonismo, il nuovo grattacielo sede della giunta lombarda, è nato dalla stessa alleanza: Infrastrutture lombarde, la potentissima stazione appaltante controllata dalla Regione di Roberto Formigoni, per Palazzo Lombardia ha assegnato appalti anche a Cmb di Carpi e a Ccc di Bologna, oltre che all’Impregilo di Massimo Ponzellini, a Pessina, a Cile e a Montagna Costruzioni, azienda socia della Cdo e presente nel suo consiglio direttivo.Le coop sono ben piazzate anche negli appalti del nuovo polo fieristico di Rho Pero (Cmb di Carpi) e del Portello (Cmc di Ravenna). Ma il sistema è pervasivo e nazionale, se è vero che funziona, per esempio, anche a Vicenza: il nuovo ospedale di Santorso sarà tirato su da Summano Sanità, società formata insieme da coop (anche qui Cmb) e Cdo.
Un vero proprio grumo di interessi, spartizioni, clientele, appalti pilotati, con soldi pubblici, quindi nostri.

Si comprende allora il perché il PD guardi al centro come asse portante della sua politica. Molti interessi da parte delle sue cricche economiche, cooperative in primis. Si capisce la sua politica sul lavoro. è notorio che la politica contrattuale e salariale delle cooperative "rosse" non è diversa da quella accennata prima delle coop bianche e delle aziende dellla CdO.
Due sistemi che si spartiscono il welafre che va a pezzi, che "ha bisogno" di tagli. Tutto questo ci nostri soldi e a discapito dei lavpratori e dei citadini. Perché vi sarete accorti di come i servizi alla persona, per esempio, siano sempre più indecenti.
Si comprende il perché in Italia non vi sia una politica di opposizione, né nelle grandi questioni come  l'occupazione, l'istruzione, le pensioni, e il PD stia appogiando un governo non eletto da nessuno, gestito da un uomo dei poteri finanziari statunitensi e mondiali (Goldman Sachs, Trilateral), né nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e delle governance locali. Il PD, d'altra parte, è con i poteri forti perché le sue consorterie e i suoi uomini più influenti sono parte del sistema di gestione clientelare che s'innerva in ogni ambito della governance amministrativa.
Vicende come quella di Penati a Sesto San Giovanni, o della cooperativa del fratello di Vasco Errani presidente della Regone Emilia Romagna, non sono casi isolati, ma una modalità consolidata di spartizioni, prebende, fino ad arrivare a un uso illegale della cosa pubblica.
Dalla destra post-piduista ai poteri forti del clerico-fascismo, dal cooperativismo e dal sistema bancario "di sinistra" ai sistemi criminali delle mafie, si può facilmente individuare una geografia dei poteri in tutta la penisola, isole comprese. Dove il confine tra la spartizione semilegale della cosa pubblica e il controllo mafioso su parti dell'economia locale è veramente labile.

Ma a questo punto occorre ricostruire una narrazione della critica politica e sociale a questo stato di cose. Perché nei media e nel mondo della cultura (salvo qualche rara eccezione) non ve n'è traccia. Così come, di conseguenza, non v'è traccia di una soggettività politica che sia in grado di tradursi in opposizione forte, organizzata a questo sistema antidemocratico diffuso come una piovra nel tessuto sociale e civile del paese.
La resistenza sindacale della FIOM e di parti della CGIL nel mondo del lavoro è per questo un'anatra zoppa perché non ha sponde politiche ma crede di averle in una parte dell'avversario delle politche di redistribuzione equa e democratica della ricchezza sociale e del bene comune, perché non individua la questione e s ritrova priva di un progetto politico generale, che sia di alternativa politico-sociale, al neoliberismo e ai suoi frutti perversi di degrado della politica istituzionale e di uso clientelare e paracriminale del sistema amministrativo locale.
Così come i movimenti antagonisti, dal NoTav alle realtà di lotta che sorgono spontaneamente nel mondo del lavoro e nella società civile, non hanno sponde forti in una sinistra che sia soggetto alternativo e confliggente a questo sistema spartitorio e di gestione del potere.
Questa solitudine politica dei settori sociali che si organizzano dentro e fuori dalle organizzazioni storiche del movimento operaio, viene rincarata dalle scelte scellerate di SEL verso un sostegno aprioristico al PD, dall'isolamento delle forze politiche anticapitalistiche e comuniste come Rifondazione Comunista. Dall'incapacità o dall'indisponibilità di dare una lettura di classe secondo i  parametri dell'autonomia delle soggettività, della loro irriducibilità a questo sistema di potere pervasivo, secondo un ritorno al protagonismo dei movimenti, all'autorganizzazione, alla democrazia diretta costituente.

Per ricostruire un soggetto alternativo, occorre riprendere un discorso "antico", ma ancora molto attuale. Non è un caso che da sempre le forze politiche del cattolicesimo del socialismo e dell'eurocomunismo, e i oro attuali eredi, sparano ad alzo zero sulla storia e le ragioni della sinistra rivoluzionaria, dei movimenti antagonisti degli anni'60 e '70 e di quelli autogestionali dagli anni '80 in poi.
Se andiamo a vedere gli avversari politici del Movimento degli anni '70, delle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria di quegli anni, Autonomia Operaia e Lotta Continua in primis, ma in modo più diffuso le più diverse realtà del Movimento questi avversari sono stati sin dall'inizio sostanzialmente due: il PCI e Comunione e Liberazione. Non è un caso.
Due forze che si sono ritagliate la funzione politica di contrastare il Movimento e l'autonomia di classe: chi nelle università, chi dentro il movimento operaio, di criminalizzarlo e colpirlo attraverso la provocazione preordinata (vedere i fatti che sono culmnati l'11 marzo 1977 con la morte di Francesco Lorusso).

Il ciclo di lotte definibile come seconda ondata, dopo il '68, ossia: il periodo che va dal '75 al '79/'80, ha prodotto una ricchezza in cultura politica e in pratiche di lotta, tale da aver allarmato sia il potere democristiano che la forza politica che già allora usava la forza sociale e sindacale del movimento operaio per gestire forme di governance locale. di burocrazia di Stato e il proprio ambito imprenditoriale.
Si era agli albori del decenramento produttivo e la piccola e media impresa del tessuto produttivo emiliano-romagnolo andava costituendo un modelo produttivo per la realizzazione di valore e lo sviluppo della produttività nel controllo sul ciclo produttivo scomposto. Come vediamo, c'è continuità tra questo primo momento di comando "riformista" sulla forza-lavoro e il passaggio alla precarizzazione del neoliberismo totalmente assunta nell'ideologia del lavoro "socialista", dove resta solo l'involucro mitologico in un paesaggio produttivo segnato dal comando selvaggio, quasi schiavistico, del cooperativismo appaltatore di una pubblica amministrazione clientelare che fa da committente. Nella crisi della piccola e media impresa, in questi ultimi anni è li, nel pubblico privatizzato che il sistema PD-coop realizza la massimizzazione dei profitti privati. Nell'appropriazione del comune, nella gestione mafiosa (non è azzardato dirlo, se consideriamo la parola nel suo effetto estensivo in un ambiente sottoposto a leggi di "do ut des", di spartizione, ecc.).
Negli anni '70 però, a rompere le uova nel paniere, è stato questo movimento autonomo, trasversale nei vari segmenti di classe: dall'operaio massa dei poli industriali e della grande industria all'operaio sociale della riproduzione diffusa sul territorio. Un movimento nato come risposta all'inattivismo del PCI su questioni di carattere sociale e politico, un movimento proletario che individuava nell'analisi e nella prassi quegli elementi sopra descritti, mandandoli all'aria con una forza critica e materiale che non si vedeva da piazza Statuto, ma con maggore maturità e coscienza degli ideologismi dottrinari che hanno per esempio caratterizzato il Movimento Studentesco nel biennio '68-'69 e i vari gruppi m-l.
La critica sociale del Movimento degli anni '70 è stata non solo momento di rottura con le vecchie e nuove forme di comando statale e d'impresa, ma momento di ricomposizione su un progetto di rivoluzione sociale con un forte valenza riappropriativa: riappropriazione della vita, del tempo e del modo di essere in fabbrica e nel territorio, dell'autogestione, del politico come autorganizzazione, della cultura e del sapere, della merce e della qualità della vita, di un senso laico e libertario dell'esistenza dell'individuo. Tutto l'opposto del mito del lavoro, della fabbrica, del produttivismo socialista o socialdemocratico, o eurocomunista "berlingueriano". Tutto l'opposto di una società disciplinare a comune denominatore della visione capitalista e di quella socialista. Un'esplosione di radicalismo irriducibile nel cuore dell'Europa delle socialdemocrazie e dei laburismi, delle ortodossie "comuniste" ormai asfittiche a est come a ovest e legate allo stalinismo come modello di egemonia nella politica, nel lavoro, nel realismo culturale e scenografico di un sistema economico-sociale oltre cortina.
Il forte scontro tra forze oscurantiste del cattolicesimo reazionario e fascista (nel comprimere la liberazione dei corpi, delle identità, dei sessi), alleate naturali del capitale e di altre forze ormai reazionarie come il PCI, è stata la conseguenza di quesata esplosione, la risposta politica controrivoluzionaria a un processo rivoluzionario che andava nascendo nel paese europeo che più aveva forte l'imprinting della resistenza e dell'anticapitalismo.
Non è un caso dunque.

PCI e CL, queste forze reazionarie, nel corso di questi decenni, hanno capitalizzato la vittoria politica sul Movimento, iniziando incontrastate un'occupazione degli apparati statali, delel strutture dei media e dell'informazione con un esercito di think tank che hanno lavorato per rimuovere il concetto stesso di autorganizzazione e conflittualità sociale, sclerotizzando la politica a forme di rappresentanza eterodirette dall'alto.
Il Berlusconismo, che ha dato il colpo di grazia all'egemonia della sinistra sulla cultura, già in crisi dopo decenni di tv democristiana, è stato l'epilogo di un lavoro fatto dalle forze "cattocomniste" da diversi versanti (ma convergenti) che gli ha creato terreno fertile per l'ascesa.
Questi apparati politici e la loro pervasività manu militari con l'appoggio dele forze repressive e dello Stato, hanno costituito il sustrato su cui poi si è affermato il pensiero unico del neoliberismo.
Cosa è stata infatti al polituca del PCI dopo gli anni ' 70 se non la comleta adesione alle politiche dei fruppi capitalistici dominanti, sul lavoro, di diritti sociali e della persona, sull'istruzione e la cultura?
Sarebbe lungo e inutile qui produrre la lunga pletora di fatti. Quello che mi preme sottolineare è che l'opposizione sociale non può non ripartire da ciò che ha subito la grande cesura degli anni '80: l'autonomia di classe. Non per vezzo continuista: la situazione economca, politca e sociale è totalmente diversa da 35 anni fa. Ma per ridare alle masse popolari e ai movimenti che nascono spontaneamente nel conflitto sociale, settori sociali condannati all'oblìo politico e che subiscono il peso di questa crisi e l'assenza di soggettività, la possiblità di un ritrovato protagonismo politico nell'antagonismo al capitalismo neoliberista.
Oggi non c'è più la separazione tra "movimento operaio" e "altro movimento". Le forze politiche di regime (chiamiamole per quello che sono) non hanno più una base sociale che possa tenere alle scosse telluriche della devastante crisi che viviamo. Hanno cricche ristrette di burocrati che mantengono (finché possono) la pace sociale con la clientela, il ricatto, con la gerarchia delle spartizioni.
Non esistono più "aristocrazie operaie e impiegatizie" in un mondo del lavoro quasi totalmente precarizzato. Settori sociali garantiti che possano fare da base sociale (milioni di persone) ai partiti del regime spartitorio neoliberista e di rapina del bene comune. Esistono di contro "praterie infinite" per il lavoro politico rivoluzionario delle forze dell'antagonismo e dell'anticapitalismo. L'altro movimento, oggi, PUO' ESSERE Il MOVIMENTO.

Occorre rendersene conto al più presto per creare un soggetto politico che raccolga le più diverse pluralità dell'opposizione politica e sociale, che inizi a muoversi FUORI E CONTRO questo sistema di potere che ha esautorato la sovranità popolare consegnando il paese ai centri del potere finanziario in lotta tra loro: filoamericani e filotedeschi. Consegnando la governance a "esperti" in una visione univoca e autoritaria dell'economia, della politica, del sociale.
Solo l'autonomia proletaria e delle masse popolari subalterne, la rivolta sociale con pochi chiari punti sostanziali può riportare il convitato di pietra, il popolo, nell'agone dello scontro politico, può incidere sui rapporti di forza, oggi tutti sbilanciati a favore dei poteri forti del capitale.
In specifico: lottare contro verminaio delle coop "rosse" e bianche, denunciare la collusione con i burocrati sindacalisti della triplice, significa andare a toccare un nervo scoperto importantissimo: la gestione del comune.
Ovviamente non mi riferisco a tutte le cooperative. Sarebbe importante avviare un'inchiesta su questo sistema di potere per far ripartire nel settore dei servizi alla persona e nei settori interessati dalla ripartizione delle risorse finanziarie e delle politiche di gestione del comune (infrastrutture, sanità, istruzione, ecc.) lotte contrattuali sul salario e sulle condizioni di lavoro, sulla precarietà. Lotte sociali per strappare reddito indiretto a queste cricche, traducibile in qualità ed estensione dei servizi sociali.
Lotte riappropriative di spazi, servizi, strutture a livello locale perché la gestione del comune è lotta per il potere sociale, per poter decidere della nostra salute, della nostra istruzione. La crisi è una clava che il capitale usa per estorcere sempre di più ricchezza sociale e risorse della collettività. Può essere anche un'occasione per estromettere il capitale dai dispositivi di estorsione e cattura di ricchezza e beni.
Occupare e autogestire, scioperare, denunciare le spartizioni e la mala politica, unire lavoratori e utenti (che poi sono gli stessi cittadini nelle due forme diverse) nelle comuni battaglie, rendere impossibile la vita a chi usa i soldi pubblici per il solo profitto (altro che valori del cooperativismo!), gli strumenti da mettere in campo sono tanti. Con la forza popolare dal basso sarà possibile dare colpi forti e decisivi a questa cancrena del tessuto sociale.
La fase della rivolta sociale, della distruzione dei dispositivi di comando e di gestione eterodiretta dall'alto, della disattivazione delle sinapsi ideologiche del sistema delle gerarchie, è importante per realizzare la pars construens che è simultanea (non c'è un prima e un dopo): rimette in connessione le persone tra oro, ricrea una comune sociale, un senso di appartenenza, rompe le gabbie della supina accettazione del debito, del disservizio, del lavoro usurante, della paga di  merda.

sabato 18 agosto 2012

RIFLESSIONI SU MARIKANA: Il CAPITALE C'ENTRA ECCOME!



Rainews24, ossia il telegiornale che paragonato agli altri è della serie: "il più sano c'ha la rogna", alla fine del pezzo sulla strage di Marikana, recitava pressapoco così: la Lonmin (la multinazionale britannica proprietaria della miniera di platino) non c'entra.
La narrazione in pratica è: questi eventi sono il risultato di un forte scontro tra organizzazioni sindacali dei minatori e i capitalisti non c'entrano.

Oltre alla implicita vena razzista di questa considerazione, variante meno diretta del "sono negri incolti, gli dai un po' di libertà e si scannano tra di loro", va riaffermato con forza che è proprio vero l'opposto: nelle democrazie capitaliste, anche le più avanzate, il profitto viene prima di ogni altra cosa, delle condizioni di lavoro, della vita umana. E lo stato è il garante, il difensore di questo principio eretto a unico sistema che muove la società e, per questo intangibile.
Possiamo anche andare a vedere l'oggetto del conflitto aspro che ha contrapposto organizzazioni sindacali dei minatori tra loro (l'AMCU che vuole la triplicazione del salario e l'Unione nazionale dei lavoratori delle miniere, vicina alla Confederazione sindacale Cosatu e all'African National Congress), ma questo non ci serve per comprendere che i cuore della questione è il conflitto tra capitale e lavoro. Con buona pace di chi pensava che il superamento dell'apartheid e la nascita di una società democratica in Sud Africa portasse alla soluzione dei forti problemi sociali.
La miseria è rimasta, lo sfruttamento selvaggio pure, perché compagnie multinazionali come la Lonmin (la terza a livello mondiale nell'estrazione di platino) hanno mantenuto le loro proprietà, hanno conservato il loro dominio sulla forza lavoro, hanno imposto le loro condizioni di lavoro e di vita bestiali sugli operai.
Il che ci porta ancora una volta a confermare la validità dell'analisi marxiana delle società capitalistiche, dove lo Stato, in vari modi, nelle varie epoche, è lo strumento del dominio di classe del capitalismo sul resto delle classi sociali che, come in una scala gerarchica, hanno il posto che compete loro nella produzione sociale.

La nozione di democrazia, nella società classista del capitale, non può prescindere da questa realtà sociale e dalla configurazione dello stato in questo contesto storico. Non può prescindere al di là del grado di libertà civili e democratiche di cui una cittadinanza può godere.
Il Partito Comunista del Sudafrica, appena due giorni prima dalla strage, si appellava alle forze di polizia ponendole quali arbitri nel dirimere i forti contrasti interni al movimento dei minatori. Dimostrando così, ancora una volta, la miopia del comunismo di stretta osservanza ortodossa, staliniana, di fronte alle questioni dello scontro sociale tra capitale e lavoro.


La democrazia capitalista, che sia in Sudafrica o in Italia, in Germania o in Messico, in Russia o nelle Filippine, contiene il germe della repressione violenta sulle classi popolari e sui lavoratori, nel caso in cui questi innalzino il livello delle rivendicazioni sociali e del lavoro e, con esse, i livelli di autorganizzazione, di democrazia diretta, il livello dello scontro.
Dunque, la democrazia capitalista è totalitarismo mascherato, ma pur sempre tirannia.
Lo stiamo vedendo nella crisi generale, in cui i poteri forti legati ai centri finanziari, hanno iniziato a esautorare in Europa i governi, come in Grecia e nella stessa Italia con Monti.

Se vediamo le cose da questo punto di vista, capiamo bene come la disinformazione funzioni ormai "di default" su fatti come quello di Marikana. Il controllo sull'informazione è così totale che spesso non c'è neppure più bisogno delle opportune veline correttive. Questo è il modo in cui si manifesta il pensiero unico del capitale nel sistema dei media. Ormai in modo automatico, come un aereo che ha il pilota appunto automatico e in cui solo in certi momenti del volo necessita di correzioni volontarie.

I fatti di Marikana devono farci riflettere sulla traiettoria che può prendere lo scontro sociale anche qui da noi, nei paesi del sud Europa principalmente: quelli più devastati dalla crisi capitalistica, dove i think tank del capitale l'hanno già previsto: sollevazioni popolari sono imminenti.
Lo stato capitalista non fa sconti: chi tocca i piani del governo di turno, chi mette in discussione l'appropriazione privata di risorse, di beni comuni, di forza lavoro, dunque chi tocca i profitti, muore.
Comprendiamolo per creare organizzazione, per costruire un filo rosso, una continuità di progetto (insolvenza con audit popolare sul debito, reddito di cittadinanza universale, riappropriazione del comune ed esercizio di forme di cooperazione e autogestione liberate dai tempi e dai modi della riproduzione capitalistica) e di azione tra le varie lotte specifiche e tra soggetti, per fare il salto di qualità dell'internazionalizzazione delle lotte sociali, con la consapevolezza che possiamo vincere solo se il nostro attacco sociale viene portato in più paesi e in modo coordinato.
Questo è il lavoro politico da fare.