martedì 18 dicembre 2012

IN CONCLUSIONE...


Il percorso di questo blog si conclude con la fine dell’anno. Tre anni di articoli in cui sono partito da posizioni “costituzionaliste”, a causa soprattutto dalla mia lontananza da un dibattito e da una condivisione di idee, analisi, pratiche. Lontano da ogni contesto di lotta.
Posizioni poi, che via via si sono sviluppate nella ripresa d’un filo rotto percorso anni fa: l’autonomia di classe, la democrazia diretta, il comunismo. La riconsiderazione del pensiero principe della sinistra rivoluzionaria: l’operaismo.
Da sempre sono comunista e da sempre la mia casa è proprio la sinistra rivoluzionaria. Nei post dell’ultimo anno e mezzo emerge con riflessioni e analisi questo mio portato di valori e di vissuto, in concomitanza con  la svolta selvaggia, spietata del neoliberismo, la bolla speculativa e poi il golpe euroimperialista di Napolitano e Monti.

Proprio per questo, questo blog deve fare spazio ad altro. Umanità futura ricorda un po’ la rivista anarchica Umanità Nova, o una sorta di ecumenismo buonista, progressista. Come se invece il pensiero negativo non fosse stato elemento fecondo nella sinistra marxista eterodossa.
Altro e oltre. Nel mio essere al crocevia di un’utopia possibile e di un’un eternalizzazi del sistema capitalistico anche nelle sue varianti socialiste, di affermazione della classe proletaria in quanto classe schiava anche di sé stessa.
Ho portato questi interrogativi meta-epocali nella situazione contingente, riprendendo il filo rosso dell’imprintig comunista ben evidenziato dallo stesso Marx: la Comune di Parigi. Più che l’Ottobre sovietico, leninista, di rapporti sociali cristallizzati in uno stato operaio nel rapporto partito classe, alla cui ombra nascevano le nuove caste del comando sul lavoro salariato, più che la Rivoluzione russa, dicevo, è la Rivoluzione francese e ancora poi la Comune parigina a essere la genesi del pensiero comunista libertario della sinistra rivoluzionaria. Nella triade Liberté Egalité e Fraternité. Libertà dal lavoro salariato, dallo sfruttamento per il profitto, e libertà dal potere borghese pseudo-democratico per un comunismo che è democrazia diretta e costituente. Uguaglianza nei diritti universali della persona, egualitarismo nel superamento delle classi sociali, e con esse delle differenze che polarizzano miseria, povertà da una parte e ricchezza sfrenata e rendita parassitaria dall’altra. Debito e credito.
Infine fratellanza come superamento di ogni barriera culturale, etnica e religiosa, per un mondo senza muri e frontiere, fatto di condivisione e solidarietà tra esseri umani, popoli e generi.

Ma oltre a questo, ho ripercorso lo stato dell’arte dell’analisi marxiana più precisa e acuta sulla crisi che sta attraversando il sistema mondo del capitale in questo inizio millennio. Ho pertanto dato carne e sangue all’ossatura ideale del pensiero critico e universale comunista.
Ho riconosciuto nella crisi di sovraccumulazione del capitale la linea di tendenza che va divaricando forze produttive dai rapporti di produzione, l’eccedenza produttiva espressa dal lavoro vivo come massa critica di una trasformazione comunista rivoluzionaria della società capitalistica.
Una crisi sistemica che rappresenta l’approdo di una evoluzione della sovraproduzione di capitali e di merci, che tra gli anni ‘70 e gli anni ‘80, segnava l’inizio della fine del keynesismo dello stato piano e l’avvio del neoliberismo dell’era reaganiana con le delocalizzazioni, la scomposizione e precarizzazione di classe, le privatizzazioni, l’irruzione del debito e della finanziarizzazione del potere capitalistico e dei suoi dispositivi di realizzazione dei profitti e di divisione sociale del lavoro.
Dispositivi di comando e di massimizzazione dei profitti a discapito delle condizioni di vita, di lavoro di classi sociali che vanno dalla classe operaia a ceti medi sempre più devastati dalle politiche neoliberali. Il che dimostra la vitalità aggressiva che il capitale mette in campo nell’era della globalizzaizone, della competizione globale e del declino dell’area imperialista occidentale relativa allo sviluppo di nuove potenze crescenti come i BRIC.

Il capitale sfrutta la propria stessa crisi per trovare inedite forme di realizzazione di profitto. Il che ci dice che difficilmente avremo un crollo del capitalismo stesso e che molto dipenderà dall’evolversi della lotta classe e dal ruolo dell’elemento cosciente comunista.

In questa epoca di crisi sistemica, l'aspetto rilevante tendenziale dagli anni '70 in poi è l'eccedenza produttiva. Eccedenza produttiva di capitale fisso e variabile nel ciclo produttivo come crisi di sovraccumulazione di capitale. Eccedenza produttiva di lavoro vivo intesa come crescita di una massa critica, che il capitale finanziario e industriale utilizza come esercito industriale di riserva, forza lavoro a basso bassissimo salario, precarizzata nei processi di lavoro.
Il capitalismo, come sistema mondo nei suoi poli egemoni d'Occidente, ha risposto alla crisi di sovraccumulazione con la scomposizione di classe, l'attacco ai salari, la precarizzazione dei cicli di lavoro, la delocalizzazione dei cicli produttivi in aree a bassa o nulla sindacalizzazione, con un costo del avoro molto più basso di quello dei centri economico-sociali del capitalismo.
Ha risposto infine con il neoliberismo monetario, che ha collocato la finanza a dispositivo di comando sull'organizzzione e la divisione sociale del lavoro, e di conflitto interborghese tra poli geopolitici del capitale e tra nazioni interne ai poli stessi come in Europa, nel ridisegnare delle egemonie e dei ruoli specifici nella catena imperialista occidentale.
In particolare, nei paesi dell'Occidente capitalistico, l'attacco alla composizione di classe, le privatizzazioni di industrie, utilities, beni comuni, l'esproprio degli istituti del comune, di ricchezza sociale sulle popolazioni con gli attacchi al debito sovrano, non solo rappresenta un'enorme distrazione di profitti dalle economie nazionali verso il capitale finanziario delle company transnazionali operanti nei mercati finanziari e nelle scelte di politica industriale delle multinazionali ad esse collegate. Ma rappresenta un processo di riduzione dell'eccedenza produttiva espressa in lavoro salariato, in piccola e media impresa produttiva e commerciale, in subordinazione generalizzata del lavoro al capitale. Un po' come nella fase di formazione del caputale moderno, si può parlare (e se ne parla) di un'accumulazione originaria che crea i soggetti subordinati del lavoro salariato, la massa di riserva che contribuisce a mantenere bassi i salari e condizioni di lavoro che ci riportano indietro di secoli, con una forza lavoro impiegata altamente flessibile per precarietà del lavoro, per estensione della giornata lavorativa, per intensità e ritmi di lavoro.

A finire in pezzi nell'ultimo decennio ("grazie" anche alla creazione della moneta unica che impedisce ai singoli paesi due cose: la creazione di moneta sovrana e la svalutazione competitiva), a partire dai paesi deboli dell'Eurozona: Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, è stato il welfare, che resta attivo e finanziato dagli stati nella sua funzione di warfare, di economia di guerra.
A finire la sua funzione di sostegno alla domanda interna attraverso gli alti livelli salariali e di reddito è stata la ricetta keynesiana, che ha determinato con il welfare state le politiche economiche delle potenze imperialiste, a democrazia rappresentativa o addirittura totalitarie come nazismo e fascismo dagli anni '30, durante la seconda guerra mondiale, nella ricostruzione economica delle aree distrutte dal conflitto, e in tutto il ciclo espansivo della ripresa economica mondiale.

In particolare, occorre soffermarsi sugli elementi che nella crisi sistemica del capitalismo costituiscono in nuce, la possibilità di una distruzione del sistema stesso, degli apparati di comando statale ed economico. Elementi che ruotano attorno alla valenza e alla potenzialità dell'eccedenza produttiva e del lavoro vivo più in generale come massa critica all'interno di una forte polarizzazione tra una maggioranza della popolazione ridotta a nuove forme di povertà e indigenza e una classe élitaria legata a questo processo di crescita della rendita parassitaria e della cattura e redistribuzione iniqua della ricchezza sociale, che trasforma la morfologia stessa delle società a capitalismo avanzato, facendo saltare i patti sociali e costituzionali su cui si era sviluppata la vita ecnomica e politica degli ultimi settantanni.

Sgombro il campo da uno dei cavalli di battaglia dell'operaismo vecchio e nuovo (a cui non ho mai creduto): questa eccedenza produttiva, così come il lavoro vivo fordista un tempo, dell'operaio massa, non sono e non possono essere immediatamente valorizzazione operaia, non creano coscienza e organizzazione rivoluzionaria di classe, non sono nell'epicentro delle scelte politiche ed economiche del capitale. In altre parole, la crisi e la sua possibile soluzione non nasce dal rapporto conflittuale capitale/lavoro, ma dalle condizioni dell'accumulazione capitalistica. Dalle contraddizioni sociali e in particolare dai rapporti sociali dentro i cicli del lavoro, si produce una conflittualità diffusa, ma solo come effetto oggettivo e soggettivo di un processo economico con le sue ricadute sociali e sulle condizioni di vita e di lavoro, non come causa soggettiva del medesimo processo.
Questo è un ritornello che l'operaismo ripete da sempre: dall'operaio massa all'operaio sociale, fino al lavoratore cognitivo. Al di là di un ciclo espansivo o di una crisi di sovraccumulazione o sottoconsumo. Sarebbe un grave errore dare delle valenze egemoni e immediatamente confliggenti a un soggetto individuato come strategico per il processo di produzione e riproduzione del capitale, quando poi, oltre tutto, conflittualità non significa immediatamente antagonismo di classe.

Un altro campo da sgombrare è la pia convinzione che settori interni alla sinistra hanno nel ritorno possibile a un welfare, magari grazie al ritorno a una moneta e a un debito pubblico sovrani.
La competizoine globale tra poli capitalistici (e l'Eurozona ne è il prodotto più evidente, nella costruzione di un'egemonia economica tedesca supportata dalla potenza nucleare francese), non lascia prigionieri. La crisi di sistema impone la sola strada possibile alle potenze capitalistiche per mantenere una catena egemonica (il blocco NATO) nei confronti di altre aree emergenti, BRIC in primis: il neoliberismo e l'economia di guerra. Il dollaro delle cannoniere in senso letterale e dell'artiglieria pesante delle agenzie di rating. La guerra vera e propria come controllo geostrategico delle aree vitali dell'idrocarburo e del gas, dei flussi di risorse energetiche, del'acqua, bene sempre più prezioso e delle risorse estrattive. La guerra finanziaria come neoliberismo e monetarismo selvaggi.
In  tutta questa situazione l'unico welfare che regge, come accennavo, è l'economia di guerra, il sostegno pubblico ai complessi militari industriali.

Il passaggio a una moneta sovrana per i paesi europei relegati a "maiali importatori" dalla politica dominante tedesca e la conseguente ricreazione di un debito sovrano sorretto dalla stampa della moneta stessa, non è elemento sufficiente. Perché sia come paesi ridotti a "contoterzisti" a basso salario nella produzione di beni e servizi determinati altrove, a Francoforte e a Bruxelles, sia come paesi fuori dall'Eurozona, la competizione globale non fa comunque prigionieri. Se non si affronta il tema della socializzazione dei mezzi di produzione come processo di liberazione dai tempi e dai modi della riproduzione del capitale nelle sue forme neoliberiste e di un'economia mista (inizialmente) a forte controllo statale (popolare), ossia la questione della sovranità reale, concreta, sulla gestione dell'economia e della società di un paese, ma meglio: di un insieme di paesi, avremo sempre una classe dirigente espressione del nostro capitalismo storicamente familista e parassitario, che si sostituirà nel comando sulla produzione sociale e sulla cattura di ricchezza sociale, bene comuni, utilities, al potere sovrastatale dei centri oligarchici europei.
Il neoliberismo è una ricetta che fa gola a ogni soggetto delle élite capitalsutiche e finanziarie, soprattutto se non vogliamo cadere in vagheggiamenti nazionalistici di sapore togliattiano su una presunta positività di una parte del capitale italiano.

Dunque possiamo tranquillamente sostenere che la crisi sistemica, se non fa presagire crolli (e viene utilizzata dal capitale per massimizzare i profitti nella guerra tra potenze, tra soggetti capitalisti, centri di potere finanziario), non riporta gli orologi della storia al punto culminante dei cicli espansivi e del keynesismo "sociale". Tutt'altro.
C'è odore di guerra imperialista nelle ultime scelte di politica economica. Il nodo irrisolto tra la Germania in particolare e gli USA, sospeso negli anni della ricostruzione post-bellica e della divisione nelle due Germanie, oggi riaffiora nella guerra economica e finanziaria, con attori spesso trasversali, ma tutti interni alla contraddizione economica e alla competizione tra poli imperialisti tra le due sponde dell'Atlantico.
La guerra affiora come tendenza possibile sul piano dei poli imperialisti e delle macro aree economiche, degli altri mercati, quelli emergenti, e attualmente si manifesta come sbocco economico (realizzazione di profitti nel warfare) e come spostamento di equilibri geostrategici, nei singoli conflitti per interposta potenza, nelle aggressioni militari spacciate per "missioni umanitarie", come proseguimento della politica monetarista con mezzi militari.

Ecco, questa analisi complessiva è ciò che consegno alla conclusione di questo blog.

Al di là dei tempi di ogni singolo paese del fronte sud dell'Eurozona, entriamo in una fase in cui la nostra Costituzione diventa carta straccia di fronte alla nuova governance europea, al super stato e ai vari super Mario di governo o della BCE.
Le popolazioni dei PIGS, i ceti sociali salariati, precari, quelli medi aggrediti da una vasta proletarizzazione, nella realtà concreta della vita quotidiana e della vita politica nazionale, sono stare espropriate in questi ultimi anni di tutti e tre i riferimenti che hanno costituito le pietre miliari dell'emancipazione sociale dagli ancien régime e di controllo dei nuovi poteri forti delle classi dominanti capitalistiche del Novecento in poi. Liberté, Egalité e Fraternité.
Ci hanno ridisegnato un territorio e delle relazioni sociali, tra gruppi, cominità e tra individui, totalemente desolidarizzate cone istituzioni dello stato allo sbando o impazzite, prìve di senso e di scopo sociale nelle loro politiche fiscali, sul lavoro, sulla previdenza, sull'istruzione.
Il populismo sembra essere l'unica risposta, per altro demagogica, di campanile, wxenofoba se non fascista dichiarata, a un europeismo imbecille che attraverso l'intero centro-sinistra. Un europeismo che è privo di Europa sociale, ma costituito di un'europa monetaria ed economica taylor made sui centri di potere del capitale a partire da quello del Nord Europa.
Dirigenti del centro-sinistra che fanno la fila per entrare nel Bilderberg. Quando il neolibersimo imperante che ci sta devastando la vita, è stato architettato già qualche decennio fa da un organismo che rappresenta il mondo del capitalismo dominante da New York a Tokyo, da Parigi a Londra, da Roma a Berlino: la Trilateral. Di cui il Bilderberg ne è una frazione piuttosto influente. La democrazia rappresentativa è un orpello, si sosteneva: non consente decisioni rapide ed efficienti. Il potere democratico dei popoli andava svuotato e consegnato alle oligarchie della fnanza e del capitale multinazionale. E così è stato fatto. Questo è il sostrato politico che ha dato vita al governo Monti: un governo non eletto dal popolo e voluto fortemente dai poteri della troika europea, con la benedizione degli investitori della City di Londra e d'oltre oceano.
Non parlare di questi temi sopra accennati, non farne critica politica e sociale e, al contrario: accettare questo punto di vista, la punta di diamante del pensiero unico, significa cancellare l'opposizione politica dal Parlamento e dalle istituzioni repubblicane, dalle pubbliche amministrazioni.

In questo momento storico, prioritario è costruire sull'unificazione delle lotte di classe, operaie e studentesche, dei precari, dei migranti, delle donne, dei cittadini che difendono il proprio territorio dagli scempi e dalle speculazioni di regime, delle minoranze di genere, un fronte unico anticapitalista. Antiliberista perché anticapitalista e non antiliberista e basta. Che comprenda che solo l'internazionale delle lotte sociali, può infliggere colpi mortali al sistema di dominio del capitale. Sia con le premesse di una fase insurrezionale, sia con la forza materiale di classe che sposta equilibri e costringe il capitale e lo stato borghese a contraddizioni interne e aun indebilimento delle sue politiche e del suo comando.
Un fronte che abbia come progetto l'insolvenza e un audit popolare sul debito odioso, la fuori uscita dall'Eurozona dei apesi del fronte sud e una moneta sovrana solidale e l'avvio di rapporti economici di solidarietà tra paesi nel solco dell'ALBA latino americana. La sovranità popolare, degli istituti consiliari costituenti (la Comune) e degli organismi da essi eletti, sul sistema bancario, sulla grande industria e sui settori strategici dell'economia come l'energia, le telecomunicazioni, l'istruzione, la sanità, i trasporti. L'inibizione delle speculazioni finanziarie nazionali ede stere a favore di un'economia nazionale che veda centrali l'utilità e il benessere sociale, con un reddito di cattadinanza e una rivoluzione dei tempi e dei modi del lavoro (lavorare meno, lavorare tutti).

Alla massa critica in tendenziale fermento, del lavoro vivo precario, eccedente, espulso dai cicli di lavoro, vanno collegate attraverso la lotta di classe, e insieme a questa architettura progettuale, antiche e ancora attuali narrazioni libertarie e liberatorie.

L'ideale comunista, così storpiato dalle élite di partito e dai loro regimi socialisti che producevano insieme al plusvalore il totalirismo del lavoro salariato reiterato all'infinito, deve tornare con tutta la sua potenza rivoluzionaria sulle labbra e sulle bandiere, nelle teste e nei sogni di milioni di persone.
Liberarsi come classe salariata dalle condizioni del lavoro salariato e abolire così le classi sociali, muoversi per abolire lo stato di cose presente, per distruggere le catene di una macchina statale sempre più aliena alla vita dei cittadini, liberare il valore d'uso dai rigidi e infernali modi e tempi di produzione del valore di scambio. Unirsi nell'uguaglianza rispetto ai diritti e nelle diversità culturali, etniche, di genere. Affratellarsi distruggendo muri e frontiere, fisiche e nelle nostre teste.

Un processo storico e sociale che è già esistente ora, se lo facciamo vivere come valore, come stella polare davanti al nostro timone. Vive nei processi riappropriativi di luoghi, relazioni, beni comuni, ricchezza sociale, cicli di lavoro. Vive nella democrazia diretta costituente, nel consiliarimo delle esperienze di fabbrica e autogestionali. Vive persino nella difesa e nell'affernazione di una società di transizione, dove il costituente, la Comune, può adottare integralmente i principi costitutivi della nostra Carta, nella dialettica immanente tra costituito ideale e costituente materiale. Il punto ideale e reale al tempo stesso, dove si incontrano i partigiani di ieri e la nuova Resistenza di oggi.

Il Comunismo, porca miseria! la semplicità difficile a farsi. Ma è possibile farla sin da adesso.