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venerdì 19 agosto 2011

IMPARARE DALLA NOSTRA STORIA.


Cito due punti dell'intervento di G. Marinos, membro dell'Ufficio Politico del Comitato Centrale del KKE al 12° IMCWP - Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai - 3-5/12/2010 - Tshwane - Sudafrica

"Siamo in opposizione al Partito della Sinistra Europea, in cui la Die Linke tedesca svolge un ruolo di primo piano, perché difende l'Unione europea imperialista e dipende da essa. La sua strategia socialdemocratica di gestione del sistema che promuove con l'assistenza del capitalismo alle campagne diffamatorie contro l'URSS e il socialismo edificato nel 20° secolo, da una posizione anticomunista e antistorica, diffonde confusione tra i lavoratori e impedisce lo sviluppo della coscienza di classe politica." (...) "Per questo motivo il doloroso rovesciamento del socialismo in Unione Sovietica e negli altri paesi socialisti, e in tutti i cambiamenti controrivoluzionari causati dalla corrosione opportunista, non modificano il carattere della nostra era quale epoca di transizione dal capitalismo al socialismo."

Il perché di questa citazione è presto detto. Senza sminuire i meriti del KKE nella battaglia sociale anticapitalista in Grecia, quale forza interna e propulsiva del movimento operaio e di classe, la prima domanda che mi viene spontanea è: ma non abbiamo imparato nulla dalla nostra storia? Ci sono ancora forze politiche comuniste che ritengono l'URSS un'esperienza progressista, di liberazione umana dal lavoro salariato e di affermazione della classe operaia, dele masse contadine e della società intera dallo sfruttamento capitalista?

Se non si capisce il legame indissolubile tra libertà democratiche e civili, in cui l'URSS-Patto di Varsavia ed esperienze analoghe non hanno certo brillato, e lo sfruttamento dei lavoratori in un sistema che si basa ancora sull'appropriazione di lavoro umano a favore di un'elite o un'oligarchia in questo caso di stato, non si va tanto in là. Così come la visione del partito comunista come partito unico e la sua forma partito "classica". Abbiamo visto che questo ambito, pur di massa finché vuoi, è stato espressione tutt'al più momentanea della democrazia diretta dei lavoratori e della masse popolari.

Dobbiamo capire il perché poi questa "forma partito" sia diventata nei fatti esattamente come qualsiasi forza politica borghese egemone in un sistema capitalista qualsiasi, nel limitare questa democrazia sociale e di classe, nell'irregimentare nel nome del socialismo le masse operaie e contadine in una realtà politica che ha una sola linea. Le situazioni di eccezionalità (aggressioni imperialiste esterne, controrivoluzioni interne, necessità di sviluppo economico, ecc.) non sono giustificazioni, perché un processo riviluzionario si troverà sempre in una situazione di eccezionalità, ma più in dettaglio, perché non esistono giustificazioni, pena: lo snaturamento della rivoluzione comunista stessa.

Esistono pertanto nella sinistra due tendenze profindamente erronee: la prima, quella che nel nome di "sacri principi" (sacralizzare in modo laico?), non fa in conti con la storia e si schiera spesso con i peggiori tiranni semplicemente perché "antiperialisti" (non era Stalin che sosteneva che l'emiro che si contrappone all'imperialismo è alleato del movimento operaio? Raccontiamo questa storiella alle donne nei regimi intergralisti islamici! E se il partito comunista siriano mi dice che in Siria c'è un processo riformista contrastato da forze islamiste, mi metto a ridere... il riformismo dei carri armati, grazie, già visto). Sono i CONSERVATORI. Anche in Italia ci sono segmenti politici che si rifanno all'ortodossia comunista, e vedono per esempio la Cina come paese socialista, considerandola un modello o esperienza di uno sviluppo del comunismo. Aberrazioni da iperanalismo cattedratico. Orfanismo alla ricerca del vecchio papà.

Parlo per esempio dell'Ernesto, di cinarossa.org e dei vari gruppuscoli filocinesi. Occorre avere il coraggio di affermare che costoro ostacolano la liberazione della classe operaia e delle classi popolari sfruttate divenendo funzionali alle forze borghesi e ai capitalisti, che in Cina di grassi affari ne fanno eccome, a discapito dei lavoratori cinesi totalmente privi di diritti sindacali (ma è socialismo, compagni!). Perché non vedono come la Cina, al di là delle loro stravaganti considerazioni da arrampicata sugli specchi, sia retta da un'oligarchia di sfruttatori, che la limitazione delle libertà democratiche e civili è organica al supersfruttamento con salari da fame dei lavoratori industriali e agricoli. Che le aree in cui non vi è ricchezza sociale non sono un limite da colmare nello sviluppo economico, ma sono esattamente funzionali al profitto capitalistico delle multinazionali che vanno a sfruttare la manodopera in quel paese. Forse che gli operai cinesi sono diversi da quelli nostrani? Qui giustamente si urla come aquile a ogni attacco padronale, e là?

La Cina è un grande carcere a cielo aperto a servzio completo per gli sfruttatori del pianeta.

So che la parola che sto per dire farà accapponare la pelle a chi pensa ancora al socialismo del '900 come a un'esperienza positiva: pluralismo. Si può pensare a una società di transizione che non limita le libertà che nascono dal popolo, dalla classe, ma le amplifica. Non parlo di una banale democrazia borghese, che oggi sta andando verso un fascismo imperiale ed economico, con un capitalismo sempre più in crisi.

Questo è autoritarismo ammantato di democrazia, ma in realtà c'è il controllo dei media, il monopolio della forza e della giustizia. In pratica c'è l'egemonia delle reti canaglia, dele lobbies. E qui gioca la seconda tendenza erronea, già fuori dalla sinistra stessa: i TRADITORI. Sono quelli che hanno sposato questo sistema così com'è e appoggiano tutto: rapporti tra capitale lavoro, spoliazione della ricchezza sociale nel nome dei mercati, guerre di rapina e quant'altro. In Italia la maggior forza di costoro è il PD. Un asse che va da Bersani a Di Pietro, passando per il populista Beppe Grillo.

E dentro questo solco ci sono anche certi INNOVATORI, ossia quelle soggettività politiche che partendo talvolta da considerazioni anche giuste sull'arretratezza di una politica comunista "ortodossa", finiscono però col buttare via l'acqua sporca col bambino, approdando a un mero appiattimento politico come le socialdemocrazie e quella "sinistra" filocapitalista del tutto interna al pensiero unico imperialista.

Tendono a confondere la democrazia borghese con la democrazia in generale, pensano che non possa esistere altra forma democratica, non comprendono che la battaglia sociale per i diritti dei lavoratori e delle masse popolari va inquadrata in una lotta politica per l'abolizione delo sfruttamento, degli attuali rapporti tra capitale e lavoro. Tradiscono gli ideali e la prospettiva stessa del comunismo e finiscono con l'essere le mosche cocchiere del capitale e dei traditori. Vendola e il suo protagonismo che ha ridotto la politica a una versione pseudo-libertaria del culto della persona, è sulla "buona" strada.

Dobbiamo trovare dunque una strada nuova, senza abarbicarci ai vecchi modelli. Come sarà il cambiamento che vogliamo? Di primo acchito, mi viene spontaneo dire: così come abbiamo reso illegale il fascismo per Costituzione, andrebbero resi illegali anche lo sfruttamento delle persone, il monopolio dei media, l'esistenza di cricche di regime che agiscono al di sopra dei dettami costituzionali stessi.

Questo è un buon punto di partenza per comprendere che la democrazia, il pluralismo deve avere dei paletti. E' la "conditio sine qua non" per sviluppare una democrazia pluralista con al centro un sistema legislativo di diritti dei lavoratori, dei cittadini che deve restare INTANGIBILE. Un ambiente "naturale" per portare la società verso il comunismo, verso l'abolizioni dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, quindi delle classi sociali (il che non significa "tutti uguali", ma questo è un altro discorso).

Tra questa configurazione politico-costituzionale che ho messo in piedi col puro buon senso (credo) e il partito unico c'è una differenza abissale. Quest'ultimo è l'altra faccia dello sfruttamento capitalistico e dell'autoritarismo. Dietro il mito roboante del socialismo e del suo partito, c'è stata e ahimè credo che ci sarà ancora in forme più o meno "rinnovate", una casta "da dacia con piscina".

Ma più in concreto, andando più dentro la struttura dei rapporti sociali, va ripresa la visione forte dell'operaismo e dell'autonomia operaia, che è autonomia (negazione, abolizione) dallo sfruttamento capitalistico e dalle sue forme di controllo politico e sociale, è autovalorizzazione proletaria che non esalta il suo essere in quanto tale (elemento comune a tutti i riformismi e le ortodossie), ma punta alla propria abolizione di soggetto alienato nel processo lavorativo e nella sua riproduzione in quanto essere funzionale agli schemi di vita e realzioni imposti dal sistema capitalistico. E questo vale sia a est che a ovest! Questo vale tanto più oggi che il capitalismo non assicura più neppure il salario come mezzo di mera sopravvivenza della forza-lavoro. Nel momento in cui la finaziarizzazione ha reso simbolico e immateriale il valore e concreta la rapina di beni e ricchezza scociale, in flussi inconsulti di capitali che ci stanno portando verso il default dell'econmia mondiale.

Ritrovare un'autonomia di classe significa sabotare tutti i meccanismi del comando capitalistico, far saltare il banco, invadere le strade e le piazze, occupare i i luoghi di lavoro e i luoghi della nostra esistenza sul territorio. Significa non pagare il debito, significa riappropriarsi di quanto appartiene alla collettività, al di là della giustizia borghese. Significa autogestione senza che un capetto venga a dirci cosa va fatto, sostituendosi meramente al padrone. Significa una testa un voto e revocabilità immediata delle rappresentanze direttamente da chi le ha elette, così come sottolineava Marx nella Comune di Parigi.

Si capirà dunque, quanto sia angusta la forma partito che molti compagni ripropongono come un mantra nostalgico.

No al lavoro salariato in quanto tale, sì alla ricomposizione del soggetto umano in un'attività non alienata, ma ricomposta in una dimensione liberata dai tempi del profitto e dalle modalità alienanti per ottenerlo. Al centro è il cittadino, la persona e non il profitto, né per fini privati, nè per piani quinquennali del cazzo (che sono poi falsamente sociali).

E' ovvio che questa è una linea generale che attraversa tutte le mediazioni dovute alle fasi storico-politiche e alle condizioni economiche possibili. Ma è la condizione essenziale per rinnovare il comunismo, "il movimento che abolisce lo stato di cose presente" da un punto di vista autenticamente di classe e oltre le formazioni economico-sociali basate sulle classi. Quel punto di vista che Marx sosteneva essere e diventare universale in un processo rivoluzionario.

Il Marx rivoluzionario era quello dei Grundrisse.



sabato 9 aprile 2011

ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA


Berlusconi, pericolo per la democrazia, non solo italiana.
«Per avere una vera democrazia, dobbiamo cambiare l'architettura istituzionale». Le ultime esternazioni di Berlusconi sulla Costituzione e su una strana concezione di libertà, danno la misura del pericolo per le nostre istituzioni, che rischiano uno stravolgimento senza precedenti nella storia repubblicana. Ma anche del pericolo per le democrazie europee, perché l’Italia rappresenta da anni un laboratorio per le destre eversive del nostro continente. E se questa battaglia in atto verrà vinta da Berlusconi, si aprirà un pericoloso precedente per l’intera Europa comunitaria e per i sistemi democratici in genere.

Libertà a senso unico.
Berlusconi parla di libertà. Libertà di avere una privacy, quindi attacca le intercettazioni e i controlli di polizia giudiziaria che, peraltro, con la scusa della lotta al terrorismo, continuerebbero nei confronti di chi viene considerato eversore dell’ordinamento costituito, leggi: i movimenti antagonistici e le loro realtà organizzate. E la libertà di vivere un vita dignitosa, di lavorare, di non morire sul lavoro, di non trascinarsi in un’esistenza precaria priva di prospettive? Questa libertà ovviamente non rientra nella concezione della libertà di Berlusconi. Così come non rientra la libertà di manifestare il proprio dissenso alle iniziative del premier e di un bel numenro di personalità dello Stato e dei partiti. Ogni giorno, infatti, assistiamo a una litania di bastonate e arresti verso chi urla slogan, chi srotola uno striscione nei luoghi dove il regime si autocelebra.

Il laboratorio reazionario italiano.
Dalla proposta di abolire il reato di ricostituzione del partito fascista alla costituzione della guardia nazionale sul modello statunitense ma in chiave anti-immigrati, dall’attacco alla laicità dello stato, della ricerca scientifica e della scienza medica alle misure contro i migranti, al tentativo di stravolgere gli equilibri tra poteri dello stato, vedi l’attacco alll’autonomia di organi dello Stato come la magistratura, l’Italia rappresenta da anni un laboratorio per le destre più reazionarie e xenofobe. Fino a che punto si può arrivare a concepire un regime autoritario in un paese interno a un’area di sistemi democratici moderni ed evoluti? è quello che sicuramente si stanno chiedendo nel resto dell’Europa le più diverse forze politiche. Con interesse le destre estreme, con preoccupazione le forze democratiche soprattutto della sinistra.

Il disarmo dell’opposizione e il piano autoritario neopiduista.
Questo dunque è lo scenario italiano, con tutte le sue ricadute oltre i nostri confini. Ma chi dovrebbe fare opposizione, in realtà non ha minimamente la misura, il polso di ciò che sta accadendo. Non ne comprende la posta in gioco. Perché quando un Bersani dice che Berlusconi vuole cambiare la Costituzione per non essere processato, significa che il PD non ha compreso o sottovaluta il fatto che Berlusconi è parte di un disegno reazionario che è nato con le stragi del ’92 a Falcone e Borsellino. Un progetto che altro non è che la prosecuzione del piano di rinascita democratica della P2. Con le stesse forze che hanno manovrato negli anni più bui del golpismo e della strategia della tensione sin dagli anni ’60 del secolo scorso.

L’ignavia e gli anticorpi.
Di fronte alla politica vergognosa di un’opposizione inesistente, che con la sua ignavia può favorire un fine legislatura berlusconiano che stravolgerà le istituzioni repubblicane, che ci darà una democrazia autoritaria e populista, il paese ha pur tuttavia degli anticorpi. Ha una società civile spesso criminalizzata dai media dei poteri forti. Di fatto non difesa e sostenuta dal PD stesso.
La barriera al piano autoritario in atto è la piazza, sono le mobilitazioni ancora frammentarie, ma pur vaste di milioni di cittadini che tornano all’azione politica e alla lotta. La parola è quindi alla democrazia diretta nelle sue forme di autorganizzazione dal basso. Un’autonomia politica che può sembrare apolitica, ma che invece ha una forte valenza democratica, in quanto controtendenza operante alla devastazione sociale, economica, culturale e istituzionale delle destre reazionarie di regime.

Democrazia e socialismo.
Su questa autonomia che basa la propria identità sulla Costituzione formale e reale, sulla storia democratica del nostro paese, si fonda il futuro del paese stesso.
Alle forze democratiche spetta il compito di rimettere al centro lo stato di diritto, i diritti e l’esercizio della democrazia reale. Alla sinistra di classe invece, il ruolo di spingere il paese, nel solco di questa resistenza democratica all’involuzione autoritaria, verso forme più avanzate di democrazia economica e di uguaglianza sociale, di diritto al benessere per tutti e al lavoro, di tutela dell’ambiente e delle risorse della collettività.

venerdì 6 novembre 2009

7 NOVEMBRE 1917




Se ne parla poco, ma io la voglio ricordare, la Rivoluzione d'Ottobre. Non per nostalgia. Sappiamo bene quali mostri abbia partorito. Sappiamo come il primo stato operaio e contadino, la prima grande esperienza di rivoluzione democratica e socialista nel '900, nell'era della contemporaneità, si sia avvitata in una dittatura di partito, nell'esercizio di un potere antidemocratico e totalitario da parte di una burocrazia che era altro dalle classi sociali che avevano agito nel 1917.Io comunque voglio ricordarla, perché se la rivoluzione francese ha rappresentato la nascita delle democrazie liberali occidentali, e ha avviato alcuni dei fondamentali cambiamenti nel campo dei diritti civili e politici, l'uguaglianza dei cittadini nella società, la fine del potere assolutista delle vecchie classi nobiliari e delle monarchie, la Rivoluzione d'Ottobre, dal canto suo, ha rappresentato l'esperienza per eccellenza che ha messo in discussione il modo di produzione capitalistico, dal punto di vista delle classi salariate.
Perché punto centrale della critica marxista al pensiero liberale borghese è e sarà sempre il fatto che la liberaldemocrazia può semmai arrivare a una redistribuzione meno iniqua della ricchezza sociale, può tutt'al più garantire alcuni diritti a una buona qualità della vita alle classi meno abbienti. Sul piano sistemico può sviluppare una politica economica keynesiana volta a garantire i profitti sulla base di provvedimenti che aumenti le possibilità di consumare, può utilizzare i servizi sociali come valvola di sfogo delle tensioni sociali, i cosiddetti ammortizzatori. ma non mette in discussione il sistema stesso, la società che riproduce le ineguaglianze perché c'è una parte della società, delle classi egemoni che si appropria del lavoro altrui, delle risorse, del bene pubblico. Che crea e ricrea incessantemente le condizioni dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, un sistema che divide l'umanità in classi, ceti, corporazioni, consorterie.Il grande messaggio della Rivoluzione d'Ottobre è proprio questo. Sono ancora comunista non perché nostalgico di un sistema totalitario che ha avuto in spregio gli ideali stessi del comunismo (e la Cina tutt'oggi è la manifestazione evidente di questo). Ma perché penso che così come sia aberrante non coniugare il socialismo a una reale sovranità popolare, a una democrazia che sia esercizio di libertà di pensiero e di espressione politica, religiosa e culturale dei cittadini, quindi di un sistema politico pluralista, è altrettanto aberrante pensare che le nostre democrazie occidentali siano democrazie compiute senza una vera democrazia economica. Non può esservi rivoluzione socialista e comunista senza democrazia. Non può esservi vera democrazia senza esercizio anche della sovranità economica del bene comune, delle risorse, sulle attività umane, da parte dei cittadini.Rivoluzione francese e d'Ottobre sono entrambe importanti. E di entrambe vanno presi gli aspetti che pongono l'accento sull'eguaglianza sociale, che affrancano l'intera società dallo sfruttamento e dalla tirannia di pochi o molti che siano. 


mercoledì 23 settembre 2009

RIFORME O RIVOLUZIONE?


Oggi la questione è mal posta. In primo luogo tutti parlano di riforme. La riforma è diventato un luogo comune buono per tutte politiche. Anche la legge sui respingimenti è definita "riforma". E la rivoluzione ha una carica utopica che non pertiene più il luogo della politica. Come tema interno alla sinistra, alla sua politica e alla sua storia, riforme e rivoluzione rappresentavano le due opzioni che dividevano il movimento internazionale del socialismo, sin dall'Ottocento. E poi l'Internazionale comunista da quella socialista. Riformismo era diventato successivamente un campo del tutto interno ai sistemi capitalistici, all'interno delle democrazie rappresentative. In Italia, con il PCI, da Togliatti e dal dopoguerra in poi, si è sviluppato in varie visioni di sviluppo progressivo al socialismo. Una rivoluzione fatta di riforme progressive verso il socialismo. Il riformismo si è poi staticizzato in una supina accettazione di un punto di vista borghese dominante. Gli esiti del percorso progressivo del PCI sono sotto gli occhi di tutti.

Di contro, i rivoluzionari del dogma leninista, dal maoismo al trotzkismo, contrapponevano la rivoluzione alle riforme. Che fosse "culturale" cinese o "permanente" quartinternazionalista. La rivoluzione ha attraversato anche i gruppi e le organizzazione della sinistra rivoluzionaria delle due grandi ondate: '68 e anni '70. Con una progettualità incapace di fare politica seriamente, di costruire, proporre, contrapporre, in relazione dialettica con la realtà storica di quei periodi tragici e straordinari. Potere Operaio- Autop, Lotta Continua, ecc.

In questa nuova fase storica, la questione posta in questi termini, a mio modo di vedere, non ha più senso. Una politica di riforme forte, va a scalzare gli attuali assetti politici, economici e sociali. Sposta i rapporti di forza. E' quindi rivoluzionaria. Battere i poteri forti e aprire a una stagione di riforme politiche ed economiche, significa trasformare dei contropoteri che vivono nella società sulle contraddizioni del capitalismo, in poteri costituenti di una nuova società. In questo senso è rivoluzione. Ma in un contesto fortemente partecipativo, nell'ambito del nostro assetto democratico è riforma. Per troppo tempo la sinistra si è nascosta dietro concetti sterili, ossificati. Validi nel momento storico in cui furono teorizzati e praticati. Ma tutti da verificare poi. Nelle costituzioni, nelle carte che fondano le democrazie occidentali, dalla Rivoluzione Francese in poi, passando per il suffragio universale, esistono tutti gli elementi per costruire una società pluralista, democratica, ma al tempo stesso rivoluzionaria e socialista. Potrà sembrare la mia un'eresia. Ma pur dando tutto il valore che ricopre ancora oggi la Rivoluzione d'Ottobre, il primato di rivoluzione epocale va a quella francese. Anche da un punto di vista di classe. Rivoluzione di diritti, di libertà economiche e sociali, che possono essere viste da una pluralità di punti di vista. Forse è nell'assolutizzazione dell'Ottobre che vive nelle pieghe del movimento comunista il mostro del totalitarismo.

DEMOCRAZIA E...



Ragionamenti che tutti possono capire. Tutti possono capire come la seconda Repubblica sia nata nel sangue dei servitori dello Stato coraggiosi. Borsellino, Falcone. Quella parte di Stato che voleva sconfiggere le mafie, battere questa cancrena che sta invadendo come una lebbra ogni interstizio dela società.

È una questione economica, perché i profitti “puliti” si intrecciano a queli sporchi. È una questione culturale e morale, lo vediamo in questi giorni in cui il governo dà un colpo di spugna ai reati fiscali e penali di un’élite che se ne fotte dei problemi del paese, della crisi, la generazione dei senza dio, senza patria, che usa dio e la patria, per soddisfare appetiti sempre più grandi.

Ma di fatto, se vogliamo portare il ragionamento ai massimi sistemi, abbiamo una società capitalistica, della globalizzazione, un sistema di riprodurre raporti sociali ed economici sempre più iniquo, che distrugge le risorse del pianeta, che crea divari sempre più abissali tra ricche élite e classi sociali, (prsino quelle medie) in crisi. Abbiamo un capitalismo pseudo-democratico, su cui si innestano, anzi di più: al quale sono organici poteri criminali che guidano la finanza, la politica e i mezzi d’informazione (vedi l’era Bush per quanto riguarda gi USA).

Le collusioni di Berlusconi con la mafia, che hanno portato alla trattativa con essa, sono state alla base della nascita dell’attuale sistema politico. Sono parte integrante di un modo di gestire l’economia. Con un’imprenditoria colpevole di non aver saputo dare un impegno civile alla propria attività, una classe industriale di parassiti, pronti a ricevere prebende dallo stato, pronti a spostare le produzioni all’estero e scaricare i costi del degrado e della miseria di cui sono resonsabili, a tutta la collettività. E l’innovazione? E una politica industraile di sviluppo del Mezzogiorno? Di che interessi nazionali parla la Marcegaglia? Perché il gruppo dirigente del PD li sostiene, si fa partigiano d cordate discutibili nel mondo industriale e delle banche? Con quali criteri D’Alema discerne tra gli uni e gli altri? Sono le zone d’ombra di una politica spregiudicata, di quella dell’inciucio, di Rete 4 lasciata a Berlusconi (in cambio di cosa, Violante? Ce lo devi ancora dire...).

Per cui viviamo un paradosso: le contraddizioni tra capitale e lavoro (o non lavoro) sono sempre più forti, ma la questione fondamentale è la questione democratica. L’intellettualità che si ribella lo fa su questioni etiche. Travaglio ne è un esempio. Non è certo un uomo d sinistra, è un montanelliano convinto. Eppure l’onesta, chi mette al centro il bene comune del paese, oggi è il discrimine. Dal’altra parte ci sono le caste, c’è la faccia di bronzo dei governanti e de falsi oppositori che decidono di questioni fondamentali come la guerra. A La Russa non servono argomentazioni per giustificare il perdurare della presenza dell’esercito italiano in Afghanistan, a FARE LA GUERRA. A Ranieri del PD, di prima mattina su Rainews 24, serve solo dire che l’opinione generalizzata nel paese, contraria alla presenza in Afghanistan è semplicemente utile per orientare meglio la politica di intervento. Sottinteso c’è che questa opinione non incide sull’aristocrazia politica che non rappresenta nessuno e deve solo cogliere gli umori del paese per fare oi quello che gi pare. Ecco dove sta la questione democratica. Grande come un bubbone. È un modo di gestire il potere e di amministrare la res publica che ricorda sempre di più una dittatura, dove i cittadini diventano sudditi al di là della primarie di facciata.

Una forza politica di sinistra in Italia, che sia realmente tale, deve fare i conti con la questione democratica. Ma nessuna forza di sinistra o centrosinistra se ne rende conto. Neppure una sinistra radicale incapace di fare i conti con i propri limiti, che sopravvive in ceti politici che non rappresentano nulla e nessuno, non può cogliere la questione. Ha nel suo piccolo il germe della casta politica che decide in nome di ideali pur lodevoli, ma non corrispondente a un reale rapporto organico con i referenti sociali. Perchè questo rapporto può nascere solo dalle lotte sociali. La lotta politica che sia tale è autorganizzazione, è il prodotto storico, di congiuntura di un percorso di base. Ecco l’essenza di un lavoro di massa ben fatto, l’ontologia stessa della militanza politica che abbi,a la dignità e la funzione di essere tale.

Poi c’è la questione degli interessi materiali, sempre di parte, che si intende portare avanti. Gli ex-PCI hanno perso questa funzione storica e politica. Tralascio aspetti importanti come la laicità della res publica e di altre questioni politiche non certo irrilevanti. Disattese dal gruppo dirigente fin qui succedutosi nel PD e ragione degli strappi e delle diaspore a sinistra. È la questione fondamentale del SOCIALISMO. Chi sposta l’asse delle sue referenze all’ambito del capitale fnanziario, Passera, Bazoli, ecc. E di capitale, Colaninno, ecc., non ha più nulla a che fare con gli interessi materiali delle classi sociali economicamente subordinate a questo sistema.


Democrazia e socialismo sono inscindibili.


QUESTIONE DEMOCRATICA.

La prima vive nella lotta per affermare le libertà civili, di partecipazione alla vita politica, alla produzione di informazione da parte dei cittadini, di espressione delle idee, di riconoscimento e valorizzazione di ogni identità clturale, sessuale, religiosa. È pertinente alla difesa di un contesto comune, che definire Stato è riduttivo, un portato di valori e regole acquisite nato dalla Resistenza e che vive nella Costituzione. Pluralismo, sovranità del popolo attraverso il Parlamento. Quindi, la lotta al potere mediatico e al piano piduista che si sta affermando nel paese, espresso dall’attuale governo Berlusconi, complice la debolezza di pensiero e talvolta la collusione di una falsa opposizione, la lotta ai fondamenti stessi della seconda Repubblica, nata dalla mediazione tra poteri dello Stato deviati e mafie, rapresentano il fronte su cui raccogliere forze politiche e intellettuali (che già si stanno muovendo) non necessariamente di sinistra. È tattica leniniana pura nel rapporto con i “menscevichi”. Ci sono parti di società che sono altro da una visione cattolica del mondo, che vedono nella laicità delle istituzioni un valore insopprimibile, che vedono nei media la possibilità di avere un servizio per la gente basato su un pluralismo rappresentativo delle diverse sensibilità e paradigmi politici che vivono nella società. Che rimettono al centro il Parlamento sovrano. La Costituzione diventa costituzione materiale, vissuta e sostenuta nella lotta democratica per difendera la Costituzione stessa, che geneticamente ha tutto ciò che serve.


SOCIALISMO.

Il secondo, in particolare, oggi è portatore di un bene comune, risorse naturali, sociali, del lavoro e dell’attività umana più in generale che rendono attuale la questione marxiana di centralità di classe. Di fronte alla decandenza di un sistema globale sempre più preda di lobbies voraci (vedi le bolle speculative), dove la guerra e la rapina sono alla base della sua riproduzione, il socialismo come progetto forte, si carica di questioni non più rinviabili, legata al modo di produrre società, quindi anche all’ecosostenibilità di un modello economico e sociale. Questo ambito è pertinente alla ricostruzione di un progetto politico DI CLASSE forte nel paese e a una forza unitaria alternativa e di sinistra. Non significa dittatura del proletariato e lotta assoluta al capitalismo. Significa affermare una politica economica e sociale di governo che rappresenti l’egemonia di questi settori sociali in uno Stato e in una governace della res publica che tuteli di default il diritto a una vita dignitosa e al benessere collettivo. E questo si può fare solo se lo Stato riesce a controllare i gangli vitali dell’economia reale, le risorse. Una tutela di queste ultime. Solo se lo Stato sposta il baricentro della distribuzione della ricchezza sociale. Nè la destra, né il centro-sinistra si sono mai posti questo problema. Si sono mai posti da questo pnto di vista. Cartina di tornasole con un esempio concreto: entrambi accettano e sostengono l’assioma ignobile del “stiamo uscendo dalla crisi economica, nonostante i problemi di occupazione che avremo anche nel 2010”. No, non stiamo uscendo dalla crisi. Questa è una visione basata sugli indicatori di borsa. I parametri di una forza di sinistra sono: la crisi ci sarà finché ci sarà disoccupazione e miseria. Non è questione di lana caprina: la cosa fa un’enorme differenza. Distingue una visione pseudo-generalista (in realtà di classe capitalista...), da una dichiaratamente e giustamente di classe, quindi socialista.

È oggi che mangiamo, che respiriamo, che beviamo l’acqua, che amiamo. Non domani. È oggi che dobbiamo pensare ai nostri figli. Non domani. Un recupero crediti ha diritto di pignorare i debiti di chicchesia e i cittadini non hanno diritto di decidere sul bene comune come l’acqua, l’aria, non hanno diritto di pretendere in quanto cittadini di vivere in una società che gli garantisca un livello di vita accettabile? Socialismo si tratta di spostare la politica da un faslo e indistinto diritto generale, in realtà diritto capitalista, a un diritto veramente generale, perché garantisce un’esistenza dignitosa a tutti. Questo deve essere centrale nella politica della sinistra. E anche in questo caso nella Costituzione Repubblicana c’è tutto quello che serve.