giovedì 23 febbraio 2012

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (6a parte)


DEMOCRAZIA E INSURREZIONE.


SUL CONCETTO DI RIVOLUZIONE.

Chi oggi lavora per cambiare questo stato di cose, non può non porsi il problema della rivoluzione, ossia di quel cambiamento che porta alla fine del dominio economico, politico e sociale di una classe, per mezzo dell'apparato statale e di altre istituzioni di controllo sociale e culturale e dell'avvento di un potere popolare da parte delle classi sociali precedentemente subalterne.

Nella storia dei movimenti operai e proletari e nella teoria politica dei partiti comunisti, ha dominato il punto di vista di Lenin: l'abbattimento dello stato borghese e l'instaurazione della dittatura del proletariato o delle classi rivoluzionarie nella centralità della classe operaia. Tutto il primo Novecento, in Europa, è costellato di insurrezioni armate operaie, da Reval all'Ottobre Sovietico stesso. L'insurrezione è la forma concreta che riassume dalla Comune di Parigi in poi, del 1870, la sollevazione popolare moderna contro la borghesia.

Così come nelle varianti marxiste terzomondiste, la teoria del foco guerrillero, dallo sbarco del Granma a Cuba ai tentativi di Guevara (l'ultimo in Bolivia nel 1967), alle varianti urbane dei Tupamaros e di altre organizzazioni, come l'M15 e Carlos Marighella in Brasile, tutto è ruotato su questo assioma: di una guerra di popolo e di classe che con carattere insurrezionale (guerra centrifuga) o di guerriglia nelle campagne e nelle montagne verso le città (guerra centripeta), punta a rovesciare lo stato borghese per instaurare lo stato operaio e/o dei contadini.
Su questa visione si sono potuti affermare partiti/eserciti che partivano spesso privi di un sostegno popolare per sedimentarsi nella classe, nel popolo, organizzandolo e dirigendolo nel processo rivoluzionario.

Il limite è stato quello di un'egemonia del partito sulla classe, che ha avvitato i processi rivoluzionari su loro stessi, anche e soprattutto nella fase transitoria al socialismo dopo la conquista del potere politico.
Questa impostazione, dell'avanguardia da cui nasce tutto, ha portato all'avventurismo, ben pagato nel nostro stesso paese, con l'esperienza della lotta armata, sia marxista-leninista (delle Brigate Rosse), che quella che rappresentava la prosecuzione di una guerriglia sociale diffusa dell'Autonomia Operaia e della miriade di gruppi armati negli anni ‘70.

Premetto subito che non è possibile separare l'aspetto tecnico-militare, oggi più politico e non certo militare (ci torno più avanti), dalla questione di come si formano un'organizzazione di classe e un programma rivoluzionario. Forme e contenuti coincidono.
Oggi possiamo dire che il marxismo-leninismo, nelle sue varianti storiche successive alla Rivoluzione d'Ottobre, non ha rappresentato tutte le potenzialità che potevano esprimersi nei processi rivoluzionari. Ha imbrigliato la forza creatrice e pervasiva della classe nelle griglie rigide di una burocrazia armata o successivamente di una burocrazia economica e d'apparato.

Questi sono conti che vanno fatti per comprendere che in una società globale, nelle metropoli dell'Occidente, ma anche in quelle dei paesi del terzo mondo, questa impostazione tattica, strategica, politica e metodologica è un'arma spuntata.

Con questo, non si vuole dire che lo spontaneismo è tutto e che non occorra un'organizzazione coesa, unitaria della classe, nelle lotte sociali parziali, come nello scontro politico decisivo. Ma è il modo di concepire il soggetto politico, l'avanguardia comunista che va radicalmente cambiato. E per farlo occorre partire dalla configurazione che assumono i conflitti sociali contemporanei.

Tutto si misura sostanzialmente nei rapporti di forza tra classi sociali. Si tratta di comprendere come si arriva al punto di rottura e al ribaltamento dei rapporti di potere. Non esistono regole generali e ogni situazione specifica ha le sue caratteristiche. Ma dovremmo imparare molto dalle sollevazioni delle popolazioni arabe che ci sono dirimpettaie nel Mediterraneo.

Chiariamo subito una cosa. Se decidiamo di superare gli schematismi e prendiamo il pensiero leniniano come un elemento guida dell'azione politica, la cosa migliore è quella di coglierne l'essenza e riportarla all'oggi. Senza ripetere in modo pappagallesco “antiche verità”.


LA RIVOLUZIONE E’ DEMOCRATICA E POPOLARE, O NON E’.

Ora come allora, la rivoluzione o è democratica e dal basso, o non è.

O è il prodotto, la sintesi e la cifra qualitativa (non solo quantitativa), di una democrazia diretta, di una maturità sociale diffusa, di un potere costituente dal basso, di un'autorganizzazione di massa, di una convergenza di molteplici soggettività e settori sociali su un programma rivoluzionario, di una comune che non può non trovare sbocchi per esprimersi e che pervade tutto il corpo sociale, fin'anco le istituzioni stesse del potere capitalista, oppure è un atto arbitrario destinato alla sconfitta, prima della presa del potere e, nell'ipotesi che ci sia un dopo, nel dopo.

Possiamo morire per mano del nemico certo, ma possiamo morire prima ancora per mano dei nostri limiti soggettivi.

Se guardiamo ai processi rivoluzionari a cavallo di questo secolo e di quello precedente, prendendo la parola "rivoluzione" limitatamente a un ribaltamento di rapporti di forza sociali e non "rivoluzione socialista o comunista", possiamo arrivare a tre classificazioni di tali processi:

A) Processi rivoluzionari che hanno avuto predominanti le contraddizioni interne ai ceti dirigenti e all'apparato statale stesso;
il caso dell'URSS e di gran parte dei paesi "socialisti", collassati al loro interno a causa di fattori esterni (internazionali) ed interni al sistema, dove certamente ha giocato un malcontento popolare diffuso ed endemico, che ha finito per corrodere le istituzioni stesse, le relazioni sociali normate del sistema stesso, pur senza un'opposizione sociale diffusa e operante;

B) Processi rivoluzionari che hanno avuto predominanti le spinte dal basso, popolari; abbiamo visto scorrere in tv le immagini della rivoluzione tunisina e delle sollevazioni che dall'Egitto allo Yemen hanno scosso il mondo arabo; in Tunisia l'apparato è crollato sotto queste spinte irresistibili;

C) un mix tra l'aspetto che riguarda il collasso istituzionale e quello che riguarda la sollevazione popolare auto-organizzata dal basso.
Quando in un sistema economico-sociale le mediazioni sociali non tengono più, cade il patto sociale, e le sue determinazioni politiche e culturali entrano in crisi a causa di clima di decadenza diffuso, a cui corrisponde una conflittualità sociale dilagante, si aprono nuovi scenari di radicale trasformazione sociale.

Ciò potrebbe disegnare gli sviluppi sociali conflittuali nei paesi dell’area europea-mediterranea, a fronte della crisi di sistema, già precedentemente trattata.
La Grecia in modo più imminente, ma domani la Spagna, il Portogallo, la stessa Italia. E inusitatamente del “centro dell’impero”, con le lotte OCCUPY statunitensi.

In questo caso è difficile prefigurare cosa potrà accadere e come. In che modo il potere costituente popolare dal basso scardinerà i meccanismi della riproduzione economico-sociale e gli apparati del controllo sociale. Se vi sarà un punto di rottura rivoluzionaria e una transizione a forme sociali collettivistiche oltre l'accumulazione capitalistica e lo sfruttamento del lavoro. Oppure se i movimenti insurrezionali andranno a porre forti limitazioni al potere capitalistico, ridisegnando un quadro costituzionale di democrazia allargata, sia sul piano politico che economico. In specifico un'Europa dei popoli, basata su un diverso equilibrio dei poteri.
Quel che è certo è che ormai l’area debole del vecchio continente sta diventando un laboratorio importante per il cambiamento rivoluzionario o comunque collettivistoco e anticapitalista.


Il precariato sociale, pur nella sua difformità da area ad area e da situazione a situazione, è la nuova composizione sociale nell’Occidente avanzato, in larga parte di forza-lavoro cognitiva, ma anche realtà di lavoro salariato operaio, che sta iniziando a esprimere la propria forza materiale, come elemento trainante sul resto della società. L’antagonismo non si esprime sul piano di una centralità di classe, ma su una autovalorizzazione diffusa dei soggetti.
Nel momento in cui l’attacco del capitale finanziario e dei gruppi di potere capitalistico si innalza, la miseria dilaga, e il conflitto sociale si estende e si acuisce, la rete orizzontale dei soggetti si estenderà a tutte le componenti sociali interessate a non proseguire un’esistenza in balia dei tempi e dei modi della riproduzione del capitale, della grande rapina del comune, del debito odioso e arbitrario. E il problema non sarà se e quando avverrà il punto di rottura delle soggettività con il capitale, ma come.


IL PIANO DELLO SCONTRO NON E’ MERAMENTE MILITARE, MA E' QUELLO DEL RAPPORTO TRA FORZA D’URTO DELLE CLASSI POPOLARI E CONTROLLO AUTORITARIO DELLA RIPRODUZIONE SOCIALE IN TUTTI I SUOI ASPETTI.

Tornando ai processi, come si può constatare in tutti e tre i casi, l'aspetto "militare" è inesistente, o molto limitato. Non è escludibile a priori, ma l'aspetto centrale nella contemporaneità, è nella forza di classe del popolo, è quella forza molecolare che nel villaggio globale del capitalismo si propaga attraverso la rete, si autorganizza, diffonde consenso al di là degli asfittici apparati mediatici di regime, corrode le strutture stesse del potere capitalista, cortocircuita i processi di accumulazione capitalistica, di appropriazione di ricchezza sociale, disobbedisce, autogestisce, si fa contro-stato, contropotere, potere costituente di una vita sociale che va oltre gli schemi imposti dal capitale globale.

In concreto, nel nostro paese, diviene persino sterile la polemica se la nostra Costituzione sia ancora valida oppure no. In concreto il potere costituente sussume anche i valori positivi di una carta creata da padri della nazione partigiani, perché quello che conta è una costituente che rimodella la società le sue relazioni in generale secondo la centralità del bene comune autogestito, del comune costituente e non del profitto e dell'estrazione privata e trasferimento di questo nelle disponibilità dei ceti ristretti del capitale finanziario, industriale e multinazionale, di una casta politica ormai omogenea nella gestione della res publica e collusa con i poteri criminali delle mafie, ben organici al sistema stesso.

La rivoluzione sociale proletaria è una lotta generale di democrazia, la più matura e la più giusta. Una battaglia sempre più necessaria.

Aprirsi a questa lotta significa portare i contenuti più maturi dell'autonomia di classe e dell'anticapitalismo nei settori dell'opposizione sociale che si riconoscono nell'attuale sistema democratico. Creare un fronte comune, una visione comune, un progetti comune, intervenendo nelle contraddizioni sempre più evidenti, presenti nelle basi delle organizzazioni politiche istituzionali.

Solo così si può portare sul terreno dell'autorganizzazione e dell'autonomia sempre più soggetti.

L’insurrezione è il momento più alto di democrazia esercitata dalla maggioranza del popolo. Su un muro di una piazza bolognese c’è scritto: “la legalità è illegale”. E’ precisamente così: la legalità non è un concetto asfittico, “fisso” e inamovibile, determinato dal legame con leggi “neutre”, ma è giustizia sociale e socialmente riconosciuta dentro un percorso di liberazione dalla tirannia salariata, debitoria, foriera di patologie e somatizzazioni.


ILLEGALITà DI MASSA COME LEGALITà COSTITUENTE.

Ma soprattutto la legalità, ossia quell’insieme di norme che costituiscono la base dell’esistenza e della coesistenza di una comunità, universalmente riconosciuta, non può più essere liturgia del controllo sulle esistenze stesse, ma riscrittura, in un processo di costruzione di un’altra società, delle modalità in cui avviene la condivisione tra soggetti, la solidarietà, la sovranità, il diritto di cittadinanza.
La questione della legalità e dell’illegalità di massa, dunque, non è solo un aspetto delle pratiche di lotta dei movimenti, ma uno dei fondamenti dell’ordine nuovo che si forma. Non tanto e non solo per gli inevitabili scontri di piazza e di violenza politica che si producono nel corso del conflitto sociale, ma per il processo di riappropriazione di spazi, di tempo liberato, cicli di produzione e dinamiche della riproduzione sociale, di merci e derrate, di ricchezza sociale, da parte del movimento del potere costituente in formazione.


CRIMINALITà DI STATO CONTRO SOLIDARIETà SOCIALE.

La legalità borghese è diventata fredda legge del più forte, nella fase più acuta del più selvaggio neoliberismo. Il processo costituente è nuova legalità, basata sulla solidarietà sociale, è calda legge della cooperazione solidale.
Dal capitalismo globale della dittatura finanziaria, non si può che uscire così. In tal senso, va sottolineata l’intuizione di Franco Berardi Bifo, quando afferma “... l’urgenza di mettere in moto il processo di ricomposizione sociale della forza lavoro cognitiva sperimentando nella rivolta la complicità affettuosa dei corpi, raggelati da decenni di virtualità e di competizione precaria” (Franco Berardi Bifo La sollevazione, pag. 122).

A parte la categoria un po' estemporanea di “complicità affettuosa”, il concetto di "solidarietà" (preferisco definire così la qualità delle relazioni alternative ai rapporti unilaterali, biechi, dogmatici che regolano la vita sociale nel regime del capitale, a cui allude Bifo), aggiungerei che abbiamo davanti un avversario che non esita nell’assassinio, nella guerra, nel terrorismo di stato, spacciando il suo sistema per democratico e persino “pacifico”.
Non abbiamo bisogno di costruire terrorismi speculari a quello dominante di regime, tribunali "del popolo", lubianke e vopos ai muri di cemento. Di più: non possiamo. Pena: lo snaturamento del processo di liberazione stesso. I servizi segreti, le mafie, i bombardamenti di civili, li lasciamo ai difensori della “legalità fredda”.

La nostra sarà la vittoria della società civile, quella autentica, non quella che ha in testa Napolitano, tutta acquiescente alle politiche di un governo eletto da nessuno, o eletto dalle caste partitocratiche.

Si tratta di una nuova Resistenza, dunque. Perché anche i partigiani erano banditi per il regime del tempo. Ma hanno saputo ricostruire un tessuto sociale connettivo, una solidarietà sotto i ferri delle torture e sotto le fucilazioni sommarie. Con un’etica che era la cifra del progetto stesso di Liberazione: senza torture come quelle dell’avversario, ma con una lotta senza tregua legittima, in condizioni di occupazione nazi-fascista.
A noi, nell’era del fascismo finanziario, non ci aspetta nulla di diverso. Cambia il carattere della “guerra”, ma la guerra sociale che in modo subdolo non ci è già stata dichiarata dal nemico (con forte coscienza di sé, coscienza di classe oppressiva, spregiudicata), dobbiamo solo annunciarla a chi fino ad oggi non l’ha riconosciuta, a chi non sa fare altro che competere tra simili, partecipare con disperazione alla guerra tra poveri.
E’ una lotta diversa per forma rispetto a 68 anni fa, diversa anche per il tipo di nemico. Ma il concetto è identico.

Pietà l’è morta. Democrazia borghese pure.

Vinceremo con la nostra umanità, che temprerà la nostra irriducibile forza di massa. La nostra capacità di costruire solidarietà, umanità, inclusione, gestione comune, riappropriazione sacrosanta di ciò che è della collettività, prodotto da noi, risorsa comune.

Il laboratorio creativo e conflittuale del potere costituente dal basso sta iniziando. Le lotte sociali in Grecia, Puerta del Sol in Spagna, Occupy Wall Street, Oakland ecc., sono solo le prime avvisaglie.

Un solo commento su ciò che molti epigoni dell’operaismo sostengono con il concetto di “tumulto”. Con una parola che riassume la questione: endemicità. Da aggregazioni temporanee conflittuali non nasce un progetto, ma un riprodursi acefalo di antagonismo aprogettuale, che sfocia inevitabilmente in una sorta di illegalità “in gabbia”, nell’uso “riformatore” di questa, nel quadro delle compatibilità sociali, di una lotta dal basso che non si alza forte. Che non si solleva.
Più che esaltare le manifestazioni di una conflittualità estemporanea, si tratta di darle un forte peso specifico per spostare rapporti di forza e con un’organizzazione stabile dal basso e “in progress” dell’esistenza e della lotta.

Non di semplici assalti ai forni si tratta. Ma ancora una volta, e questa volta con tutta la consapevolezza che le cose possono cambiare sul serio, di assalto al cielo.

Kalispera.


[appunto uno]
Rappresentanza.
Non esiste più. La partitocrazia e i sindacati corporativi sono parte del regime. Così come dopo il ’43 si creavano le formazioni partigiane Garibaldi, Matteotti, GL, ecc. e i partiti antifascisti rappresentavano la nuova società nascente, così oggi si può, anzi si deve parlare di una pluralità di posizioni politiche di varie tendenze, al di fuori dei partiti dell’arco post-costituzionale (PD e IDV inclusi), unificate su un programma generale, di cui l’opzione comunista non è detto che sia egemone. Se non si capisce questo, si continuerà a fare i gruppettari massimalisti. Dalla società italiana emergeranno posizioni politiche molto differenziate, ma tutte volte a resistere al neoliberismo selvaggio.
Occorre prepararsi a questo, senza pensare che per il solo fatto di “aver ragione” le masse ci seguiranno. Ci sarà anche da combattere sul terreno sociale contro il populismo di destra, reazionario, neonazista e leghista.


[appunto due]
le condizioni.
Le condizioni per uno sviluppo rivoluzionario sono:

1. Rotture sociali insanabili nella società, dovute a un immiserimento delle condizioni di vita della classe e delle masse popolari. Non a caso ciò avviene in concomitanza con crisi strutturali di sistema profonde, di guerre. La semplice ideologia non ha mai prodotto rivoluzioni, ma tutt’al più qualche tumulto momentaneo ed episodico.
In queste fasi abbiamo una polarizzazione delle classi in conflitto, con uno spostamento sul piano delle condizioni di vita di interi strati sociali intermedi (proletarizzazione, indigenza) verso il proletariato e uno stato di precarizzazione.

2. Di conseguenza l’attitudine delle masse a mettersi in gioco per cambiare la società in modo radicale e a sostenere il peso dello scontro con lo stato, la repressione di alto livello.

3. L’unità delle forze rivoluzionarie attorno a un progetto comune, una forte coesione anche sul piano dell’organizzazione e del coordinamento.

4. Un ampio consenso attorno alle forze rivoluzionarie da parte delle masse proletarie e popolari. Il clima rivoluzionario che attraversa anche culturalmente la società intera.

5. Una neutralità, se non una diretta simpatia dei ceti medi e di una parte della borghesia di regime stessa verso la rivoluzione e i rivoluzionari. Anche in questo caso: il clima rivoluzionario che attraversa culturalmente la società intera.

6. Un apparato statale e di polizia, dell’esercito, indebolito e attraversato dalle contraddizioni di classe e dalle tematiche del conflitto sociale.

7. Delle condizioni esterne che impediscano o ritardino i più che probabili interventi esterni di paesi alleati, o interventi opportunistici di potenze avversarie al nemico di classe, interessate a modificare il quadro strategico dell’area.

8. Legato al punto sette: l’internazionalizzazione del conflitto sociale, ossia l’estensione a tutta un’area economico-sociale di paesi del processo rivoluzionario, che spinge sulla difensiva (ogni stato si sgrugna con le sue...) gli apparati statali.
Nel caso attuale (crisi dell’Eurozona nella crisi sistemica del capitalismo globale), appare molto chiaro come i destini dell’Italia sono legati a quelli della Grecia, della Spagna, del Portogallo, sino al centro e nord Europa.

Se manca anche una sola di queste otto condizioni, la rivoluzione fallisce.
Ciò non significa lasciar perdere. Il potere costituente della classe può anche attestarsi in una “guerra di posizione” che capitalizzi la forza d’urto sociale raggiunta in conquiste politiche (costituenti), economiche, sui diritti, ecc. Un’avanzata sul terreno dei rapporti di forza tra classi, a favore delle masse proletarie e popolari.
I migliori riformisti sono sempre stati... i rivoluzionari. Mai stato vero il contrario.

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