mercoledì 25 aprile 2012

Aldo dice 26x1, ogni giorno. LA NUOVA RESISTENZA.





Nella giornata della Liberazione, il 25 aprile, il modo migliore per celebrare la Resistenza è continuare la lotta iniziata dai nostri padri 69 anni or sono.
Oggi siamo chiamati a una Nuova Resistenza perché il sistema che ci ha retto dal dopo guerra ad oggi sta collassando, sempre più incapace di garantire una sopravvivenza dignitosa ai popoli e alle classi popolari e salariate. Non solo incapace: cieco nel massacro sociale che compie, nella sua reiterazione, delirante default, di rullo compressore, garante per algoritmi (come sostiene giustamente Bifo) dei flussi di ricchezza in forma di danaro ai centri della speculazione, banche e multinazionali finanziarizzate. Cieco e delirante di un lucido delirio, di fronte alla devastazione che sta provocando nei corpi sociali, nelle prospettive di vita fagocitate dalla logica del debito e dei suoi diktat sui soggetti e sulle comunità.

Dobbiamo tornare nelle fabbriche, nelle piazze, nei quartieri, in ogni momento della nostra vita individuale e della vita collettiva a lottare per un futuro liberato dall'oppressione sempre più selvaggia del neoliberismo e dalla guerra che sta pervadendo ogni ambito dei rapporti sociali. Una guerra non dichiarata, com'è nello stile dei dominatori che attaccano paesi e bombardano popoli spacciando la rapina per progresso e il sangue sparso per democrazia esportata.
Dietro concetti come "rigore" e "crescita", c'è tutto il peso di disegni politici che di neutrale non hanno nulla: l'attacco ai diritti del lavoro, ai diritti sociali, alle condizioni di vita della popolazione a partire dal proletariato, operai, lavoratori salariati, giovani precari, pensionati, donne, è di fatto una vera e propria guerra sociale priva di sbocchi positivi: quello che ci stanno togliendo, le conquiste avute dal dopoguerra per tutta la fase lunga dello sviluppo dell'accumulazione capitalistica post-bellica, ci tornerà più, non ci sarà crescita. Il capitalismo di guerra è anche macchina di guerra interna. 

In particolare, dobbiamo prendere atto che il patto costituzionale nato nel '47 e che ha fatto da corollario alla pace sociale nei paesi della cordata capitalistica dell'Occidente NATO e dell'Europa, con tutte le sue politiche di welfare, di diritti e tutele dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli NON ESISTE PIU'. Oggi la governance è in mano a organismi sovranazionali in capo alle élite finanziarie dominanti.
Il nostro futuro dobbiamo ridisegnarcelo noi. E costerà sangue e repressione. Questo intervento che segue vuole solo essere una piccole riflessione sul panorama tragico che ci avvolge, introducendo alcuni cncetti importanti per affrontarlo.


LO SCENARIO DI CRISI. L'INVOLUZIONE DEL CAPITALISMO, IL DECLINO.

Non credo ai corsi e ricorsi storici. Penso piuttosto che il sistema capitalistico abbia nella guerra una tendenza che pertiene le sue crisi di sovrapproduzione di capitali e merci. Un'opzione sempre presente nelle politiche del capitale, dei sui esecutivi di governance nazionali o di blocco (vedi la NATO). Può essere una guerra tra potenze imperialistiche, aperta e dispiegata, come nel caso delle due guerre mondiali del secolo scorso, oppure può essere una condizione permanente per mantenere o alterare aree di influenza, risorse energetiche, materie prime, rapporti di forza tra potenze imperialistiche. In questo caso, abbiamo interventi bellici diretti contro lo "stato canaglia" di turno, gestiti dai media e dalle forze di regime, "neocon" o "dem", come "missioni umanitarie", o guerre per procura come i grandi genocidi africani (Sudan i Congo per esempio). Dalla seconda guerra mondiale in poi, si può dire che questa situazione fatta di guerre e di conflitti nelle aree calde del globo, sia stata una costante. Anche quando la configurazione dei sistemi politici, economico-sociali, si è andata modificando sul finire del secolo con il crollo del socialismo reale, il sistema capitalistico ha evidenziato la guerra come modalità di riproduzione del sistema stesso, dei rapporti di dominio del capitale sul lavoro, del capitale sulla riproduzione sociale nelle diverse aree del pianeta, come altra faccia delle transazioni finanziarie, come l'unico welfare che si mantiene inalterato nell'epoca stessa del neoliberismo selvaggio, quello dei complessi militari industriali. Di dominio del capitale sul piano semiopolitico, con l'imposizione etico-sociale, attraverso i media, di valori meno lineari del bellicismo patriottico fascista e nazista, ma molto efficaci attraverso la falsificazione della realtà (le ragioni della guerra) e di chi attacca e difende (civiltà delle democrazie liberali contro integralismi).
Oggi però è cambiata la "qualità" della crisi. Quando si parla di crisi di sistema ci si riferisce a una crisi strutturale che cambia passo e diviene irreversibile. Quando un sistema si basa su una crescita infinita che non è più possibile: nell'accumulazione di capitale, nella valorizzazione della forza-lavoro, nella crescita dei profitti, nel rapporto con le risorse del pianeta che vanno ridimensionandosi fino alla scomparsa, questo sistema è di fatto già in declino. Il problema è che gli artefici non lo sanno e si ostinano a riprodurre lo stesso modello di produzione e di consumo, lo stesso approccio sull'impatto ambientale delle forze produttive e dei rapporti di produzione, forzano sul terreno della finanziarizzazione le dinamiche di realizzazione dei profitti, giungendo a un'economia drogata, dove il capitale finanaizario, in proporzione a quello industriale, è molto più ampio, crese a dismisura e, tra bolle che scoppiano e "cure da cavallo" che portano a recessioni, saltano le mediazioni sociali, la convivenza civile fin qui avuta, pur con tutte le sue contraddizioni.
Oggi assistiamo all'avvento di manovratori prezzolati come Papademos e Monti, cavalli di razza provenienti dalle scuderie del capirale finanziario dominante. Scostano l'autista e prendono il volante. La vecchia politica muore come governance e resta come distribuzione di appalti, clientele, cariche nel nostro Comune, nelle PA. Siamo alla prima fase, quella del "ghe pensi mi" in salsa di wall street o franco-tedesca.
Poi ci saranno le truppe d'assalto su chi oserà "fiatare". Poi ci sarà la risposta selvaggia, il ritorno al campanile, razzista di una reazione che prenderà in mano la bandiera dei cittadini, tutti attorno al campanile, per sparare all'immigrato "che ruba il lavoro" e allo stato "che gli dà la casa".
Ma c'è e ci deve essere una terza opzione: quella della società civile che non crede più alle favole dei pifferai della Goldman Sachs, ma neppure al populismo forcaiolo della scorciatoia padana o pseudo-comunitarista stile Forza Nuova.
Perché questo declino, se non trova una strada alternativa al capitale, internazionalista e solidale, sarà pieno di conflitti, totalitarismi e soprattutto di guerra esterna e interna.
Partiamo proprio dalla guerra.


 LA GUERRA E' NELLE COSE, FINCHE' CI SARA' IL CAPITALISMO.

La guerra c'è ma non la si definisce in quanto tale. C'è, ma non la si vede nella sua tragicità per le popolazioni che la subiscono. Questo affinamento della guerra prolungata, di bassa intensità, per procura, per mezzi tecnologici dall'alto, è il risultato del percorso che la politica bellica, insista nel capitale e nel suo comando politico, ha fatto in decenni di deterrenza nucleare. Oggi la risposta che i centri del potere capitalistico si danno alla crisi del capitale, è un insieme di misure volte alla massimizzazione dei profitti nel rapporto capitale lavoro, nel controllo delle varianti politiche internazionali sui processi di delocalizzazione produttiva, nella finanziarizzazione dell'economia (D-D') e nella guerra come distruzione di capitali e di merci eccedenti costante (e altrui), come imposizione di un un'organizzazione e divisione sociale del lavoro, come esproprio e rapina di risorse e materie, come controllo di aree e flussi commerciali, come forte influenza sull'andamento dei mercati finanziari. Non è un caso che anche nei paesi più in crisi, il bilancio per la "difesa" viene persino incrementato. Persino il commercio di armamenti imposto: vedi una Germania e una Francia che bastonano il can che affoga greco, dopo che gli hanno imposto l'acquisto di aerei da combattimento per 13 (credo se ben ricordo) mld di euro! Pertanto, la realtà che ci troviamo davanti vede nella guerra la dominante della politica del capitale, de suoi esecutivi, dei gruppi monopolistici e multinazionali dominanti (vedi la Trilateral e il Bilderberg). Così come hanno pensato bene di far implodere con la crisi del debito pubblico i sistemi a democrazia rappresentativa, concentrando le decisioni di governance generale a pochi organismi sovranazionali (a livello europeo, per esempio e che ci riguarda da vicino) e ad alcuni gruppi di potere informale, i think tank, i "tecnici", già nei primi paesi (Grecia e Italia in primis), certamente la guerra sociale come "missione umanitaria" per il pareggio di bilancio, il massacro sociale a fin di bene, è l'ulteriore passaggio per consolidare il golpe delle élite finanziarie nell'architettura delle relazioni tra paesi e tra esecutivi di governo. Mettere in Costituzione il pareggio di bilancio significa affermare l'insostenibilità di qualsiasi politica che metta in discussione la centralità dei mercati, ossia l'appropriazione del bene comune, della ricchezza sociale da parte di questi gruppi finanziari. Sicuramente, per fare questo, la macchina di propaganda, i centri di produzione e orientamento del consenso sono già al lavoro. A suo tempo, per attaccare senza dichiarare guerra, determinati paesi, i centri di potere USA e NATO si sono mossi delegittimando i governi avversari (non entro nel merito del carattere politico spesso reazionario e fascista di tali regimi, è irrilevante per il ragionamento che faccio). L'avversario diviene un criminale, la guerra è operazione di polizia internazionale con l'avallo del Tribunale dell'Aja.


LA GUERRA SOCIALE NON DICHIARATA

Ecco, oggi, nella guerra sociale ai movimenti d'opposizione, la criminalizzazione passa nell'accusa di "antipolitica"... "eh, fa antipolitica, dunque non mi ci rapporto!" Questa operazione di delegittimazione è organica alla guerra sociale non dichiarata alle realtà dell'antagonismo politico-sociale. Il caso più eclatante è il movimento NoTav, ma anche il 5 Stelle (anche qui, su Grillo non entro nel merito) subisce questo trattamento. Con la caduta dei patti sociali, non essendo più questo il piano di governance del comando del capitale, la pace sociale diviene guerra sociale, senza riconoscere l'avversario perché non vanno fatti prigionieri, non devono esserci mediazioni. E qui vendo al "Nuovo Soggetto Politico". Se ci limitiamo a difendere ciò che non c'è più: i patti sociali e con essi l'impianto costituzionale che ha fatto da sfondo e stimolo alle politiche di redistribuzione della ricchezza sociale, di tutele e potere contrattuale operaio, di salari che definivano il livello di controllo dal basso delle organizzazioni della sinistra e del sindacato, le aristocrazie operaie e i ceti medi che costituivano la base sociale dominante del patto, il welfare come politica economica dello stato-piano, ossia: del mondo occidentale, e italiano dopo la seconda guerra mondiale, la nostra sarà una battaglia di retroguardia. Per carità: compagni che si mettono il fazzoletto rosso e nel bel ricordo della Resistenza ci parlano di Costituzione, sono comunque romanticamente alleati naturali. Ma il punto è un altro: costruire qualcosa di nuovo, che sia alternativo a tutto ciò che c'è stato sin'ora. Partire dal disagio sociale che serpeggia per riappropriarci di reddito, di beni comuni, per liberare energie e soggetti dal comando, dal lavoro e dal tempo del capitale. Non ci sono socialismi che torneranno a prezzare il lavoro salariato.


LA LIBERAZIONE DAL CAPITALE COME REALTA' PERVASIVA NELLA NOSTRA VITA.

Dobbiamo riprenderci la nostra vita facendo saltare in tutti modi gli schemi dell'accumulazione capitalistica, dei profitti. Liberare la società da quella che è oggi più che mai una peste: il declino inesorabile del sistema capitalistico. Lo hanno capito anche gli esegeti del denaro. Perché sarà un declino non certo indolore. Abbiamo esempi di autogestione operaia nel mondo, abbiamo esempi di gestione del comune, di cooperazione tra soggetti, parti della società. La parole chiave, non solo nella ricorrenza del 25 aprile, è LIBERAZIONE. E' un atto creativo che difficilmente può essere collocabile in un mero "attacco al palazzo". Ma la nostra presenza nei movimenti deve trovare senso, in base ai livelli conflittuali dati, proprio in un progetto di liberazione che si configurerà in una miriade di pratiche, probabilmente individuabili nel momento steso che si produce conflitto e alterità nei desideri e nei progetti di vita. Per questo, la presenza comunista (è un termine che mi piace ancora) vive in una rivoluzione culturale dal basso.
Forse oggi l'egemonia gramsciana si realizza così. Un pezzo di rete divelto in Valsusa è un muro che crolla, è un fatto culturale, non solo politico. Il lavoratore che non ha speranza di riavere il suo lavoro e che capisce che il reddito di cittadinanza è un DIRITTO, soprattutto davanti a chi il reddito ce l'ha da parassita, nella rendita da denaro per denaro, è un passaggio culturale, un antidoto al mito del lavoro, all'autocelebrazione proletaria. E' inutile che ci giriamo attorno. Dobbiamo pensare alla transizione, perché la transizione è già in atto. La pipa di Lama e i sacrifici di Amendola devono uscire dalla storia dei movimenti sociali e sindacali. Cosa faranno gli imminenti e auspicabili consigli operai e popolari che si formeranno nella lotta, dal basso? Come si eserciterà la democrazia diretta? Si può parlare di potere costituente se si torna sempre su un potere costituito che non c'è più, o che è in cancrena?

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