venerdì 11 maggio 2012

STEFANO TASSINARI. IL SUO RICORDO IN UN'OPERA STRAORDINARIA.

 
Il Vento contro... oggi come ieri.
 

La scomparsa di Stefano Tassinari, amico e compagno, rappresenta una grande perdita non solo per la nuova letteratura italiana, ma anche per una sinistra "eretica" impegnata in una critica priva di dogmatismi. L'impegno culturale di Stefano andava al di là di facili analisi finalizzate a rassicurare, a trovare le ragioni stantie di antiche appartenenze.
Un esempio della sua vivacità intellettuale e della sua capacità di scavare con acume nella storia della sinistra, riportando all'attualità del dibattito fatti ed eventi lontani solo in apparenza, è un suo romanzo straordinario: Il vento contro.

La storia di Pietro Tresso: grande dirigente comunista, tra i fondatori del PCd'I nel 1921, espulso dal partito nel '30 dagli "svoltisti" filo-staliniani di Togliatti e perseguitato sia dal nazismo che dai suoi ex compagni fino alla sua morte, avvenuta in circostanze poco chiare nel '43 nei pressi di un campo partigiano dei Maquis, nei dintorni di Queyrières, Alta Loira, prigioniero della componente staliniana (che va detto era stradominante) e sottoposto a umiliazionie vessazioni.
Stefano, senza fare tante analisi preconcette, descrive il clima di scontro politico violento nel movimento comunista di quegli anni. Lo fa in modo letterario, scavando nell'animo e nelle intime convinzioni e passioni dei protagonisti, facendo emergere quelle tare che hanno viziato il movimento comunista stesso.
Ne viene fuori un quadro di straordinaria attualità. Un contributo prezioso per chi volesse togliersi il comodo e rassicurante salvagente di un sistema-partito per interrogarsi sul serio su cosa significa essere comunisti e agire da comunisti.

Troppo spesso si è confuso l'imprinting autoritario insito nell'esperienza comunista della forma partito, del centralismo democratico, con la necessità di cooptare e di dirigere il partito in condizini di clandestinità. Una forma mentis e una metodologia organizzativa e di gestione del partito, del rapporto tra partito e masse, tra avanguardia e classe che è proseguita anche in normali condizioni di legalità.
Sarebbe opportuno fare i conti con questo modo di essere e organizzarsi, di agire e di rapportarci come comunisti, comprendendo che gli eretici degli anni '70 hanno dovuto subire con il PCI di Berlinguer la stessa logica criminalizzante degli eretici di allora.
Una contraddizione che sento fino al midollo, poiché non posso non vedere come questo partito, con i suoi dirigenti e militanti, sia stato l'anima e la forza propulsiva della Resistenza.
Una questione che non si esaurisce al solo stalinismo. Nell'impianto trotzkiano, infatti, non ravviso differenze particolari sulla questione del partito. Una questione che non può essere feconda nel ripensare un essere comunisti, se l'affrontiamo con i vecchi schemi dell'epoca (terza e quarta internazionale...).
Sono schemi che celano la complessità della questione e della storia dei comunisti. Senza giustificare o demonizzare gli eventi più perversi e ignobili, come la fine di un grande compagno come Pietro Tresso.

Se andiamo a vedere l'ontologia dello stalinismo e del partito "ortodosso", soprattutto oggi, a fronte degli stalino-liberisti che attaccano i movimenti autonomi di massa (vedi lo scontro del PD con il Movimento NoTav), la scelta di riprendere i ragionamenti e l'esperienza eretica dell'Autonomia Operaia, è molto importante. 
Il tema dell'autorganizzazione, come forma protagonismo democratico e sociale dal basso, che esercita contropotere, che mette in discussione l'autoritarismo nella sua essenza di regime, di partito, che mette in pratica forme conflittuali di autonegazione di classe (di sé) "del lavoro salariato" che sia determinato dal capitalismo privato, welfariano, neoliberista o da un capitalismo di stato "socialista", è una questione di forte attualità.


Oggi vediamo un ex-PCI interno a un PD, che usa gli stessi schemi del centralismo democratico, della cooptazione, della sovradeterminazione, delle gerarchie burocratiche. I manifesti con il "concluderà il comp. senator. on. cav." mi hanno sempre messo i brividi. E ancora oggi mi fa venire i sudori freddi vedere Fassino da Floris riproporre la divisione tra quelli che hanno capito tutto e fanno politica, la nomenclatura da una parte e i polli d'allevamento dall'altra, il parco buoi elettorale, che diviene antipolitica quando inizia ad autorganizzarsi e ad agire al di là degli schemi imposti da uno stalinismo pseudo-liberaldemocratico.
Di questi orpelli, la sinistra di classe, comunista deve liberarsi concretamente. Il che non impedisce di vedere tutto il valore dei gappisti, di un Barontini, la funzione antifascista e il ruolo che ha avuto il PCI nella guerra popolare di Liberazione dal nazifascismo. E' la nostra storia. Metabolizziamola: di questa storia ne siamo parte, eretici o no. Ma poi riprendiamo anche e soprattutto le nostre esperienze più straordinarie e illuminanti di comunisti rivoluzionari che ci vengono dalla stagione dell'autonomia, la nostra forza libertaria nell'organizzazione rivoluzionaria strutturata, il nostro produrre progetto nell'autorganizzazione, il nostro essere nel movimento in un processo propulsivo dal basso, di essere nelle realtà di fabbrica e del territorio, il nostro rifiuto dell'organizzazione del lavoro salariato che sia capitalista o socialista, del mito del lavoro che inchioda i proletari alla loro condizione di salariati che molto ha a che vedere con il ruolo del partito, la gerarchizzazione, l'irrigimentazione.

Non esistono percorsi lineari. Deve esistere la capacità di essere materialisti dialettici nell'analisi, nell'autocritica e nell'elaborazione di una teoria e di una prassi rivoluzionarie all'altezza dei tempi e delle condizioni storico-sociali.
L'eresia della sinistra rivoluzionaria autonoma e di classe negli anni '70 ruppe la gabbia in tutti i sensi. E oggi questa necessità di rottura ontologica (esistenziale, direi) è ancor più attuale di ieri.
"Il vento contro" di Stefano Tassinari resta un contribuito per tutti i comunisti rivoluzionari e per la sinistra in generale. Per evitare i soliti "santini rossi" della storia, tanto comodi per ritrovare un'identità fittizia.
Grazie Stefano. Riposa in pace.

Nessun commento:

Posta un commento