sabato 21 maggio 2011

IL VENTO DELLA RIVOLUZIONE


Hanno invaso le piazze delle città spagnole con presidi permanenti che preannunciano di non smobilitare neppure per le amministrative. Sono le migliaia di giovani senza futuro, si fanno chiamare los indignados. La rivoluzione dei gelsomini dalle terre del nord Africa attraversa il Mediterraneo e sbarca nella penisola iberica. E' una rivoluzione civile, democratica, che non usa armi (se facciamo un'eccezione, la Libia), ma che avanza richieste semplici, oserei dire "umane": un futuro di lavoro, una soglia minima di benessere, un'eguaglianza nei diritti, un ridimensionamento dei poteri e dell'arroganza dei potenti, che siano dittatori come Mubarak, Ben Alì o Assad, o che siano banche e lobbies finanziarie che bruciano la vita delle persone assieme ai soldi che finiscono nei buchi neri delle loro bolle speculative artefatte.

C'è aria di democrazia dal Medio Oriente all'Europa. Perché questa lotta generalizzata per i diritti, il lavoro, l'uguaglianza assume due caratteristiche importanti:

– il suo essere oggettivamente contro il neoliberismo, questa globalizzazione selvaggia che divarica sempre di più le società al loro interno tra pochi ricchi da una parte e classi allo stremo della miseria e di una vita di stenti dall'altra, che separa l'economia reale, che è la vita della gente nel lavoro, nelle relazioni di vita, dalla finanza di carta e di byte, sempre più avulsa dalla realtà delle donne e degli uomini, delle aziende, delle professioni e delle famiglie;

– il suo essere profondamente, visceralmente universale, a differenza di chi manovra dall'alto facendoci credere di farlo per un non meglio definitivo interesse generale, che al di là della giacchetta conservatrice o socialdemocratica che indossa, adotta più o meno le stesse misure: dalla Grecia di Papandreu e dalla Spagna di Zapatero, socialiste, alla Francia di Sarkozy e alla Gran Bretagna di Cameron, centrodestre.

E' una rivoluzione che non fa sconti, arriva dove ormai la sopportazione a questo sistema delirante per i suoi meccanismi ha superato ogni limite.

E' una rivoluzione per tutti, per i paesi che sin'ora hanno rappresentato la feccia lavoratrice, manodopera a basso costo da usare in loco o da esportare come ricatto salariale e di condizioni di lavoro nei mercati dell'Europa sempre meno opulenta. Per i paesi "più evoluti", che vedono un'allargamento impressionante della miseria, dell'indigenza, della disoccupazione, del precariato, un impoverimento delle classi medie.

E' una rivoluzione che non ha confini, perché puoi anche fermare il migrante sul bagnasciuga di Lampedusa, ma poi l'idea di un protagonismo popolare che può rompere i giochi e gli schemi di una politica che non è più democratica, travalica ogni muro, ogni mare e accende nuovi fuochi ovunque la prateria è secca e arida nei rapporti sociali, nel precariato, nell'alienazione delle periferie misere e squallide.

E' una rivoluzione che segna i limiti di un'Europa nata male, sotto il segno del monetarismo che diventa usura costante sui paesi membri, che devasta le economie, che calpesta i diritti che si reggono su una soglia di vita decorosa, sulla spesa sociale, sulle garanzie nel lavoro, nella sanità, nell'istruzione. L'Euro è una moneta che non può essere l'unico metro per definire gli stati membri, chi è virtuoso e chi no. Anzi non può esserlo affatto.

E in quest'area di decadenza, di un "impero romano" che stenta sempre di più a tenere a bada i barbari fuori dai suoi confini, che difende le cittadelle finanziarie e dei quartieri bene, vediamo bene che siamo già sotto l'ultimo degli imperatori, un Romolo Augustolo che riassume i diversi volti dei governanti attuali. Statue di pietra che crollano nei regimi e che presto crolleranno anche nelle cosiddette democrazie parlamentari.

E' solo questione di tempo.

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