venerdì 30 dicembre 2011

L'ALTERNATIVA POSSIBILE (2a parte)

Il sistema capitalista globale è arrivato a un punto di crisi che non è più gestibile con le forme statali, di welfare pre-esistenti nelle sue aree centrali, come l'Europa, gli stessi Stati Uniti. La falsa uscita che gli esecutivi asserviti alle esigenze di ricapitalizzazione dei centri finanziari, della speculazione, impongono ai propri paesi come Grecia, Spagna, Irlanda e la stessa Italia, non è atro che la continuazione di una spirale economica destinata a impoverire con la recessione i ceti medi e popolari, a dismettere o trasferire in mercati più convenenienti per il costo del lavoro parti importanti dell'economia produttiva, condannare al precariato intere generazioni, smantellare ogni servizio di protezione sociale.

Una spirale però che è tendenzialmente orientata a uno sviluppo infinito dell'accumulazine capitalistica, quando in realtà le risorse energetiche del pianeta si stanno assottigliando, quando il riscaldamento terrestre e le devastazioni forestali, il perseverare sull'idrocarburo che definisce un modo di produzione e consumo dissennato, il saccheggio dei beni comuni come l'acqua e la terra ad essa connessa, disegnano uno scenario di autodistruzione, insieme al pianeta e al suo eco-sistema, della comunità umana intera come l'abbiamo conosciuta sino ad oggi. Uno "sviluppo" che apre a un'era di guerre per il controllo geoeconomico delle risorse, alimentate dalla speculazione finanziaria, con un fronte esterno di rapina neocolonialista dei popoli e interno, nei centri dell'imperialismo, di comando finanziario che calpesta i sistemi democratici, le forme di rappresentanza fin qui avute nei paesi cosiddetti a democrazia parlamentare rappresentativa del capitalismo avanzato.
La tendenza che si disegna da qui a prossimi anni è di affermazione di una dittatura finanziaria attraverso il debito pubblico e il mantenimento di tutti i punti di crisi data dalla deregolamentazione finanziaria mondiale e dalle tare genetiche di sovranità economica della zona Euro, che svuota dall'interno le democrazie, lasciando come gusci vuoti le carte costituzionali, o rimodulandole in fnzione della centralità delle politiche finanziarie ormai indiscutibili da parte dei cittadini e delle organizzazioni sociali e sindacali che offrono una resistenza al neoliberismo selvaggio. Il pensiero unico è diventato sistema unico. Non un "grande fratello", certo, ma la partita politica vera si gioca tra interessi finanziari e corporativi confliggenti, la regressione del "citoyen" è verso quella di suddito, mentre le caste politiche e le lobby finanziarie sono le nuove classi "nobiliari". Una regressione che ci porta verso nuove forme di assolutismo politico "pre-francese", dentro un quadro di modernità che seleziona di default e incessantemente i flussi e gli scambi utili alla riproduzione sociale ed economica del sistema, quindi le relative libertà necessarie, e inibisce i processi di liberazione differenziati (questa differenziazione crea problemi nella costruzione di un soggetto plurale ma unificato in fasi di conflitto sociale di bassa intensità) che si innescano con lo scoppiare delle contraddizioni nei singoli ambiti dei rapporti economici e sociali.
In questo modo i bisogni e i diritti della gran parte della popolazione restano fuori da questa partita. I mass media hanno la funzione di utilizzare figure retoriche e spettacolarizzare i casi, ma solo per far rientrare nell'immaginario collettivo (sedimentandolo a livello di opinione pubblica) ciò che è stato espulso dall'agenda di regime.
C'è di nuovo che questa tendenza alla concentrazione dei poteri e di svuotamento delle democrazie storiche, "resistenziali", nate dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, unita al rullo compressore dei desiderata economici dell'oligarchia finanziaria internazionale, alla caduta delle mediazioni "welfariste" crea anche le condizioni nei paesi del centro capitalistico occidentale, le condizioni per la deflagrazione di un vasto conflitto sociale.

Va detto però, che la grande crisi finanziaria attuale non è all'origine della crisi di sistema del capitalismo. Ne acellera le conseguenze, ne allarga la portata, certo. Ma il nucleo della crisi parte dagli anni '70, e si configura come crisi strutturale e assoluta di sovraproduzione di capitali e di merci, che il sistema finanziario gonfiato e "drogato" non riesce più a tenere negli ambiti del controllo strutturale dell'intero sistema economico-sociale. L'altro aspetto della crisi di sistema, lo abbiamo già menzionato pertiene la finitezza delle risorse del pianeta e il degrado-distruzione dell'eco-sistema.

In sintesi, l'indebolimento economico strutturale dell'imperialismo occidentale rispetto all'emersione di nuovi attori, nuove potenze (Cina, Russia, Brasile, ecc.) e nuovi mercati (vedi l'America latina), l'esplosione di tensioni sociali nei propri centri metropolitani, dovuti alla già vista caduta dei patti sociali e all'impoverimento delle classi popolari, della maggioranza delle popolazioni urbane, apre sì a risposte guerrafondaie nelle aree contese e nevralgiche del mondo e a nuovi totalitarismi nei "salotti di casa", ma apre anche a nuove possibilità di ripresa dei processi rivoluzionari sia nel centro che nella periferia del sistema capitalista globale.
L'Italia sarà uno dei punti focali del conflitto. Con l'aggravante (per il comando capitalistico) che il nostro paese, non è l'Islanda, ma è una delle prime potenze economiche al mondo, per cui un suo cambiamento radicale nelle politiche economiche e nella sovranità politica e sociale è gravido di sviluppi molto veloci e a effetto domino nell'intera caena imperialista (per usare un vecchio ma efficace termine).

Più in generale:
a. la crisi sistemica del capitalismo se non viene risolta a livello mondiale nel superamento di questo stesso sistema, andremo alla rovina del pianeta e della comunità umana;
b. non è detto che la crisi sistemica del capitalismo sfoci meccanicamente e automaticamente in questo cambiamento: la debolezza del sistema verrà gestita con politiche sempre più autoritarie e guerrafondaie, poiché fuori dall'orizzonte dell'accumulazione di capitale e del profitto per le classi egemoni e i centri di potere non esiste altra dimensione del vivere;
c. quindi non è detto che "l'assalto di classe al cielo" della sinistra anticapitalista, all'interno di dinamiche conflittuali fisiologicamente non più emendabili e riducibili a patti sociali con il regime capitalistico, possa riuscire, "perché abbiamo ragione" (sinistra etica e soggettivista), "perché le condizioni ci sono tutte" (sinistra meccanicistica), "perché il mostro ha i piedi d'argilla e crolla da solo" (sinistra opportunista e attendista); diviene importante il progetto connesso alle dinamiche conflittuali nel loro complesso, insieme alle forme di sovranità popolare e di classe embrionali, di potere costituente reale, diviene essenziale intravedere gli elementi di autogestione sociale dell'esistenza e dell'esistente già possibili e che attraversano il conflitto. In altre parole occorre cogliere la complessità di questo processo, in considerazione del fatto che nel giustissimo concetto del 99% non abbiamo soggetti cristallizzati e che lo stesso "operaio sociale", il precariato è composto da mille figure, dove i cicli di produzione materiale e immateriale vivono connessi e all'interno di una meta-fabbrica diffusa nel territorio.

Da questo 99% occorre cogliere la ricchezza delle risorse, nell'autogestione dell'esistente, le potenzialità umane che ne scatiriscono, iniziando dei percorsi nello stesso spazio-mondo del sistema capitalistico, ma che generano nuova ricchezza sociale e che si appropriano di quella prodotta dal sistema stesso, che abbattono il valore lavoro del ciclo produttivo del capitale, che liberano energie per la collettività. Nel loro stesso essere c'è il virus corrosivo, c'è il processo che va poi ad esprimersi nell'atto politico di sovversione, nel punto di rottura insurrezionale. La riflessione deve portarci ad andare oltre le pure lotte resistenziali, per creare incessantemente nuove pratiche che portano ad accrescere la coscienza politica (classe per sé) e nel contempo a far cortocircuitare tutte le sinapsi del comando capitalistico.

L'immagine che ho scelto in questa sezione è quella della Place de la Concorde nella Parigi della rivoluzione francese. Perché la questione della democrazia investe il problema della fine della democrazia rapresentativa e il ritorno a un assolutismo che c'è sempre stato, che era celato nella rete di mediazioni sociali e negli psicofarmaci mediatici, ma che ora rivela a sempre più soggetti il suo vero volto. Per questo una battaglia per la difesa della Costituzione è una battaglia di retroguardia. Nuove forme di democrazia vanno sviluppate, come nuova sovranità complessa del 99%, come rifondazione di un processo costituente scritto nel processo rivoluzionario stesso, prima ancora che sulla carta. Esattamente come i nostri padri partigiani scrissero la Costituzione nelle Langhe, nelle città con i GAP, nella pianurizzazione dell'inverno del '44, con il ooro sangue, prima ancora che sulla carta.
Democrazia diretta e dal basso, autorganizzazione dele masse popolari nei processi di movimento: la legittimità costituente si costruisce così, nel fuoco delle lotte sociali.
Il "regicidio" è quello della scatola vuota e mistificata della democrazia rappresentativa, non più rappresentativa della popolazione nei fatti, e neanche più democrazia borghese, visto che una parte consistente di media e piccola borghesia terrorizzata fa parte del 99% estraneo ed espulso dai meccanismi decisionali del sistema capitalista.
Quindi non è più tempo di pluralismo, ma di pluralità soggettive costituenti che si fanno sovranità.
E le righe del Manifesto di Marx ed Engels si dipanano sempre più attuali nel corso delle ultime vicende della storia contemporanea.


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