sabato 8 maggio 2010

IL PERICOLO EUROPEO E' LA DITTATURA MONETARISTA DELLA FINANZA

Un pirla sbaglia a digitare sul computer, batte tre zeri in più e le borse crollano. Sembra un comic movie stile Mounty Phyton e invece è la realtà. A questo siamo arrivati nell’era della finanziarizzazione globalizzata di ogni ambito dell’economia.

Troppi derivati ancora in giro ma non è tanto questo. Non è che se non ci fosse stata la bolla speculativa dei mutui subprime, scoppiata nel 2008, il sistema dei mercati finanziari sarebbe stato il modo corretto di gestione dell’economia mondiale e dei paesi, delle comunità di nazioni come l’Europa.

I fatti della Grecia dimostrano, non solo quanto interi assetti geo-economici siano alla mercè di abili speculatori, che spesso queste crisi siano pilotate per spostare assetti e poteri di moneta, ma che il monetarismo e il neoliberismo in sé non funzionano nella governance dei paesi e dei mercati comuni. Anzi, proprio il come è nata l’Europa con Maastricht, come questa si regga sulla finanza e non sui i diritti sociali, come i paesi siano accomunati dalla moneta e dal credito e non da regole e meccanismi di democrazia sociale condivisi, è la questione da porre a Bruxelles.

È più importante la stabilità bancaria degli investitori, spesso non in sintonia con parametri che indicano il livello di benessere delle popolazioni come l’occupazione e i salari, o una soglia di vita decente per i cittadini greci, o spagnoli, o portoghesi, o italiani?

A questa questione, le risposta data anche dalle forze socialiste e socialdemocratiche è monetarista. Si basa sul punto di vista delle banche e dei poteri della finanza. Quindi Papandreu, socialista, accetta i diktat dei partner europei e del FMI, dopo essere stato strangolato dagli "investitori" sui titoli greci, ormai spazzatura. E così taglia le pensioni, ammazza le tredicesime, aumenta l’IVA, dà maggiori facoltà alle imprese di rendere precaria l’occupazione, di licenziare. In questo non v’è differenza tra una ricetta socialista e una di destra.

Quello che sta facendo lui, lo farebbe un governo socialdemocratico tedesco, un PD in Italia, o uno Zapatero in Spagna.

Lo stesso Bersani, appena ieri, criticava il governo di non fare abbastanza per il PIL, confermando di abbracciare la vecchia visione: aumento del PIL uguale aumento del benessere sociale. Confermando a quale carro si attacca la sua visione dell'economia. Con un po' di vis demagogica sul lavoro.


Il problema vero è quello di togliere il primato della gestione economica alla finanza, con tutti i suoi criteri basati sulla scollimazione del valore della moneta dal valore dell’economia, con la sua necessità, sempre prioritaria su tutto il resto, di creare profitti dal credito. La questione vera è quella di un reale controllo dei flussi finanziari da parte dei governi, a favore di politiche che rilancino l’occupazione, che stabiliscano regole sindacali e contrattuali condivise, anche di protezionismo di fronte a economie extracomunitarie come quelle della Cina, che sono competitive perché si reggono sulle sfruttamento selvaggio.

In questo senso la politica deve tornare a dominare un’economia sempre più impazzita e preda di gruppi di potere che hanno l’arbitrio di creare crisi in date aree.


Questo e altro deve fare la sinistra. Come prendere in considerazione il grande tema della decrescita e di un’economia che tiene conto dell’impatto ambientale. Non solo per un fatto etico, ma anche di futuro vivibile per le prossime generazioni, di costi che abbiamo sin da oggi a livello sanitario, con le conseguenze che le malattie da inquinamento hanno sulla popolazione, o i costi per disastri ambientali e dissesti ecologici. Più in generale, costi dati anche da un modello consumista, che spreca, distrugge. Anche nelle economie di mercato si può pensare a un mercato diverso, non selvaggio, dove al primo posto viene il bene comune, la tutela delle risorse, il benessere della comunità nel suo complesso. Questi devono essere i parametri che sostanziano una politica economica di sinistra.

Parlare ancora di crescita del PIL è una sonora cavolata. Il PD si propone ad alternativa nel paese con questi vecchi arnesi economico-ideologici, falsamente "tecnocratici", basati su un liberalismo frusto e inattuale.


Se l’Europa si regge su parametri monetaristici, se la cura per la Grecia è la miseria nera per milioni di cittadini ellenici, Papandreu avrebbe dovuto avere il coraggio di sganciarsi dal sistema, dal debito, con una bella “cura cubana” rispetto al FMI. Fanculo i debiti. Non per questo sarebbe stato meno europeista. Ma più vicino ai problemi del suo popolo in agonia, questo sì.

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