martedì 15 giugno 2010

LA BARBARIE


In apparenza, uno potrebbe pensare: ma cosa costa alla CGIL firmare l'accordo per Pomigliano? C'è la crisi, buona grazia che la Fiat e Marchionne riscoprano la necessità di non portare le produzioni all'estero, facciano la propria parte per l'economia nazionale e tentino di salvare la produzione di Pomigliano proponendo condizioni di lavoro concorrenziali a quelle di paesi come Slovenia, Romania o Cina.

In realtà, la questione è un'altra. Dietro la manovra della Fiat c'è tutta l'arroganza del capitalismo italiano, che s'approfitta della crisi per portare i rapporti contrattuali e di forza con i lavoratori sulla soglia della totale assenza di diritti e tutele. Questo accordo, che le solite sigle sindacali acquiescenti e vergognose hanno firmato, crea un precedente, anzi: il precedente. Apre la strada a un antico modo di gestire i rapporti di lavoro: quelli ottocenteschi del padrone delle ferriere. E zitti e mosca.


Cito da un post di Sinistra e Libertà: "... implementazione di 18 turni settimanali sulle linee di montaggio, 120 ore di straordinario obbligatorio, riduzione delle pause dagli attuali quaranta minuti a trenta per ogni turno, possibilità di comandare lo straordinario nella mezz’ora di pausa mensa per i turnisti, possibilità di derogare dalla legge che garantisce pause e riposi in caso di lavoro a turno, sanzioni disciplinari nei confronti delle Organizzazioni sindacali che proclamano iniziative di sciopero e sanzioni nei confronti dei singoli lavoratori che vi aderiscono, fino al licenziamento, facoltà di non applicare le norme del Contratto nazionale che prevedono il pagamento della malattia a carico dell’impresa".

L'attacco padronale punta a portare le condizioni di lavoro, la vita in fabbrica, a livelli cinesi. Questa è la civiltà del capitalismo italiano. Non una parola dalla Marcegaglia su come il governo Berlusconi stia smantellando diritti elementari come la libertà di parola e di stampa, come stia attaccando lo stato dal suo interno con la riforma della giustizia e la legge bavaglio. Non una parola da questo capitalismo cialtrone che vive da sempre e in modo parassitario sugli incentivi e le prebende di stato e, quindi, di noi tutti.

Anzi, marcegaglia e soci sono parte organica di questo disegno reazionario che porterà l’Italia ai livelli del Ruanda, che realizzerà la forma storica e possibile di fascismo in una società occidentale nell'epoca in cui la crisi strutturale del sistema crea forti incertezze in tutti i paesi a capitalismo avanzato.

Oggi in Italia non c'è più innovazione, elettronica. Non solo sull'energia, ma anche su molti prodotti dipendiamo dall'estero. E questi stronzi chiacchierano nelle loro Cernobbio, si mettono tuti d'accordo per massimizzare i profitti strizzando il limone quasi avvizzito. Da una parte la finanza, dall'altra la grande industria. E in mezzo i corrotti di stato che appaltano, i boiardi delle stock option salate. Tutto co i nostri soldi. Tutto con la rapina legalizzata.

Questo è il capitalismo italiano da sempre. E oggi, con il governo piduista di Berlusconi, trova il suo terreno più propizio.

Nucleare e modello produttivo e di consumo che mette al centro il petrolio, sono i punti di una politica miope, suicida, basata solo sull'interesse immediato di pochi speculatori. L'accordo di Pomigliano si inscrive in questa politica, in questa logica.


La resistenza della CGIL a questa porcata è più che doverosa, ma occorre precisare una questione. La sinistra sindacale sconta decenni di inciuci contrattuali e di patti scellerati nel nome di non meglio precisati interessi nazionali. Sono gli anni della triplice, quelli che hanno smantellato il patromonio storico di lotte operaie dal dopoguerra in poi. Il risultato di questa politica autolesionistica, che seguiva l’approdo neocentrista del centro-sinistra, è ben evidente. L’incapacità di avere una propria proposta aternativa in materia di politica economica, la debolezza politica di fronte a una destra che dilaga nel paese anche in materia di lavoro.

Oggi la sinistra sindacale gioca di rimessa, opera un mero e timido resistenzialismo rivendicazionista. Non trova sponde in una sinistra di lotta e alternativa che oggi è pressoché inesistente.

E in questa battaglia in particolare, raccoglierà il ludibrio di un’opinione pubblica che non ha chiavi di lettura diverse dalla vulgata neo-liberista che fa passare tranquillamente i sacrifici per la gente come male inevitabile (vedi Grecia) e le plusvalenze dovute agli azionisti e al potere finanziario come elemento intangibile. Un diritto naturale alla rapina.

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