venerdì 12 agosto 2011

IL VALORE DI UNA LOTTA.


Quando una lotta assume caratteri e finalità universali, ossia pertiene la liberazione da un regime odioso e afferma i diritti di una società nella sua interezza, questa è una lotta di grande valore.

E' preziosa sia per chi la conduce, che per chi non vi partecipa. Persino per chi la contrasta e sta dall'altra parte della barricata. E i comunisti, soprattutto la tradizione politica italiana, annoverano episodi di lotta di questo tipo. Si può dire che questi siano alla base del movimento comunista (pur con tutte le sue contraddizioni e diversità)

Lo abbiamo visto con la politica del PCI nella Resistenza, che ha ben interpretato la questione sostanziale della guerra partigiana: la liberazione dal fascismo e dal nazismo e la ricostruzione del paese nella democrazia e nel protagonismo sociale delle classi popolari e della società italiana tutta.

Lo abbiamo visto in specifico con la difesa delle fabbriche e delle infrastrutture da parte dei lavoratori e delle formazioni partigiane, di fronte alla canaglia nazifascista in rotta, nelle giornate dell'insurrezione generale nell'alta Italia.

Lo abbiamo visto nel '68 e negli anni '70, con movimenti che volevano nella loro ingenua velleità essere alla base di una riappropriazione sociale collettiva di vita, di ricchezza sociale, di saperi, di espressioni e comportamenti non normati. Che volevano dare una visione diversa della rivoluzione oltre gli schematismi del mito del lavoro e del "sacrificio operaio", di una collocazione rivendicata come socialista nel sistema dello sfruttamento.

Movimenti che hanno perso ma solo in apparenza, dopo battaglie sociali che hanno sedimentato nella società processi di liberazione femminile, di conquiste di diritti laici come il divorzio e l'aborto. Che dopo viaggi carsici, vanno ponendo anche oggi le basi per una rinnovata critica politica dell'esistente e l'esigenza di un'autonomia di classe dai tempi e condizioni di vita imposte dal sistema economico-sociale attuale.

Tutto questo si chiama patrimonio storico di stagioni di lotta lungo decenni e decenni. E un denominatore comune essenziale è il valore di questo patrimonio, riassumibile, al di là dei singoli paradigmi ideologici nell'affernazione di diritti universali al benessere e alla felicità della cittadinanza. Nella difesa del bene comune, che i lavoratori, i cittadini, ieri come oggi, riconoscono anche nelle strutture produttive di proprietà del padronato.

Una coscienza profonda dell'appartenenza dei beni alla società e un senso di giustizia nella loro amministrazione, che definisce quello che è l'imprinting della società civile. In questi ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria malversazione da parte di comitati d'affari più o meno occolti e collusi con i peggiori poteri mafiosi, tra corruttele e gestione criminale della cosa cosa pubblica. Abbiamo visto i perversi meccanismi di spostamento e appropriazione di ricchezza sociale, frutto di una spregiudicata voracità che non ha eguali e confini.

Come un rubinetto aperto e inarrestabile, dopo il crollo del mondo diviso in due, i centri di potere finanziario sono andati ben oltre l'usuale accumulazione di capitale mediante le usuali regole di realizzazione di profitto nella produzione capitalistica e nel mercato della compravendita di merci.

Una nuova forma di deliquenza in rete, legalizzata, tollerata, favorita dalle oligarchie e dai centri di potere del capitale ha inaugurato la nuova era delle bolle speculative, dell'insider trading.

Di colpo interi paesi vengono colpiti nel fianco più esposto: il debito pubblico, in un dissanguamento senza fine di risorse sociali, di ricchezza prodotta da una comunità intera. Con governi addomesticati a queste nuove regole, con classi politiche che rappresentano vere e proprie succursali di poteri più alti e sovranazionali, che continuano a versare caraffate di acqua (denaro nostro) negli scolapasta dei mercati finanziari, litigando semmai sullla forma e il colore delle caraffe.

Ma questo per dire che il senso del collettivo, del bene comune e quindi della cittadinanza e del paese ce l'hanno non gli speculatori chi li appoggia nel nome di falsi interessi nazionali. Ma ce li ha ora come allora, chi si ribella a questo meccanismo perverso, comprendendo che i boscaioli voraci stanno tagliando il ramo sul quale siamo poggiati tutti, loro compresi.

Il mondo sta arrivando a una svolta. Nel declino e nella decandenza del sistema capitalistico a dominanza USA, si vanno affacciando sullo scenario internazionale altri attori, probabilmente meno anarchici sul piano della gestione economica, meno liberisti, ma comunque portatori di un ordine economico non dissimile da quello del capitalismo occidentale. Con punte inquietanti sui diritti del lavoro come in Cina.

Alle diverse tendenze del capitalismo (altro che Cina socialista!), del nostro blocco geopolitico e degli altri che vanno emergendo, occorre opporre un movimento di lotta che, nel crollo imminente del grande banco economico globalizzato, che nella caduta delle mediazioni e nella fuga dalle proprie responsabilità nazionali e civiche a parte di governi e opposizioni organici gli uni agli altri, sappia riproporre il bene comune e l'interesse generale, quello autentico, di fronte al mondo.

Un movimento che veda i comunisti come motore politico della trasformazione. Un passo più avanti, ma non uno di più, nel processo di liberazione da questo potere finanziario e di casta, nella gestione di una transizione a una società più matura, non più basata sui profitti e sullo sfruttamento per ottenerli, ma sulla centralità dei cittadini e del loro benessere, su un'umanità priva di muri d'odio, di discriminazioni sociali, etniche, religiose, culturali, che le divisioni in classi della società generano incessantemente.

Questa dissoluzione dei patti sociali, del keyneismo nelle sue varie salse, nei paesi del centro imperialista rappresenta un punto di non ritorno, un'incognita alla quale anche le forze della critica radicale a questo sistema economico-sociale stentano a dare il volto a un nuovo sistema, a prefigurarlo, al di là di vecchie e stantie ricette e modelli.

Ma dovranno farlo in fretta, perché la situazione può precipitare e Gramsci non parlava di disordine, bensì di un "ordine nuovo" che doveva nascere dai consigli operai di allora.

E questo è ancora un aspetto valido, per una parte della società che deve trascinare al cambiamento quelle parti meno coese attraverso un processo rivoluzionario, che è democratico e di forte partecipazione popolare dal basso. Altrimenti il cambiamento non si fa, o non è tale, si perde ancora una volta credendo di vincere.

Questo soggetto è ancora una volta la classe lavoratrice, con i suoi affastellati sociali nel non lavoro, nel lavoro precario, nel degrado della condizione femminile, nella clandestinità dei migranti. Il soggetto centrale, storico-sociale del cotruire un potere costituente dei cittadini dentro il solco del sistema democratico e costituzionale vigente, con la democrazia diretta e con quella parlamentare, due facce della stessa medaglia: il potere popolare.

Ancora una volta sarà una sinistra di lotta a dover gestire uno scontro sociale che porti a una svolta e a un'alternativa. Ma dovrà farlo a partire da un sentire comune e non con voli pindarici situazionistici e autoreferenziali.

Quando saremo nelle piazze e nelle fabbriche, quando presidieremo la nostra terra, i nostri quartieri, quando occuperemo le sedi delle istituzioni in una grande, vasta e gioiosa protesta pacifica, torniamo con la mente ai lavoratori della Pirelli e della FIAT nel 25 aprile del 1945. Comprenderemo meglio che siamo lì per tutti. Anche per i ciechi distruttori in giacca e cravatta della convivenza civile e del futuro dei nostri figli.


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