domenica 3 giugno 2012

RIFLESSIONI EMILIANE SUL TERREMOTO.


Il terremoto in Emilia, al di là delle solite retoriche sul popolo laborioso e sul lavoro, rivela ancora di più la tara profonda che attraversa le società dominate dal sistema capitalistico e dal neoliberismo in questa lunga fase post-keynesiana.
Diversi sono i punti della riflessione. Uno è sicuramente quello del crollo, insieme ai capannoni delle "eccellenze" artigianali e delle PMI dei distretti biomedicale, agroalimentare, tessile, ceramico, ecc., del mito del modello emiliano-romagnolo. Si scopre l'acqua calda: che il decentramento produttivo, l'alta flessibilità di riconversione delle piccole imprese della nostra regione si regge su infrastrutture inadeguate e su forza-lavoro ipersfruttata.
L'alto numero di vittime tra i lavoratori si siega con la realtà dei capannoni fatiscenti, costruiti senza le più basilari norme di sicurezza anti-sismica, operai costretti al lavoro senza opportuni controlli, o comunque acquiescienti di fronte alle richieste dei loro padroncini di tornare al lavoro per rispettare le consegne.
Dove non era giunta la crisi, il terremoto rompe la pace sociale tra capitale e lavoro per troppo tempo imperante in distretti economici che hanno campato su manodopera migrante per massimizzare i profitti, sulla conduzione familiare, sulla precarietà stagionale.
Per non parlare della politica edilizia e abitativa degli ultimi decenni, che ha creato sfollati in un contesto in cui per esempio in un paese come il Giappone, non toccherebbe case e infrastrutture e non sconvolgerebbe la comunità nepure per un secondo.
Il correre di uomini di governo, pubblici amministratori, sindacalisti, nelle zone del sisma, ha lo scopo di recitare un unico mantra: fatalità con qualche responabilità specifica da accertare e lavoro come elemento cementificante delle crepe sociali prodotte.

Quanto stridono allora i tanti episodi di solidarietà e cooperazione che la gente schietta e genuina della nostra terra mette in opera nelle tendopoli, tra gli sfollati, nella piena integrazione dei migranti, se raffrontati con le frasi di rito e la retorica di chi parla di aiuti e poi fa leggi che lasceranno senza copertura finanziaria chi resterà senza casa nei terremoti futuri!

E' da questa cooperazione spontanea che dobbiamo ripartire per ricostruire un tessuto connettivo sociale, di relazioni e di legami che nulla ha a che vedere con le stanze distanti di una politica assente nei fatti.

Un altro punto di riflessione è l'incompatibilità ormai giunta a livelli intollerabili, di questo sistema con la natura. Non esiste la fatalità. Esiste il caos totale della res publica, che diviene ordine solo nella quadratura dei conti e nella repressione dell'antagonismo sociale.
Non c'è più spazio per il welfare, per piani e servizi finalizzati al benessere e al bene comune. Esiste la grande rapina al treno della nostra vita e del nostro futuro, spacciata per necessari sacrifici. C'è spazio solo per la politica dissennata che segue le dinamiche irrazionali e privatistiche del "recupero crediti" del potere finanziario sovranazionale e dell'appropriazione banditesca legalizzata dei beni, delle risorse e degli spazi della comunità. C'è spazio per il dissesto idro-geologico e la cementificazione selvaggia, alla cazzo, a seconda degli interessi clientelari e mafiosi, di cui la TAV è l'esempio più emblematico.
Il nostro paese è sotto l'attacco dei centri finanziari anglosassoni, insieme ad altri paesi della comunità europea, e tutti questi mentecatti di regime fanno di tutto per nasconderlo. Altrimenti sarebbe l'insurrezione subito. Domani faranno fatica a evitarla.

Questi signori: la classe politica e i "tecnici" di regime della Trilateral, non eletti da alcun cittadino nascondono un fatto elementare: ciò che sta accadendo è che  sistematicamente e illegittimemente viene sottratto alla comunità e che finisce nei forzieri informatici della Morgan Stanley o della Goldman Sachs, dovrebbe essere esattamente la ricchezza sociale che occorre per costruire case e infrastrutture adeguate al benessere, alla socialità e alla sicurezza dei cittadini.
Ce ne sarebbe già abbastanza per trasformare il malcontento in rivolta sociale aperta: un vero terremoto antropologico, ma solo per qualcuno. E questo è precisamente ciò che dobbiamo fare come parte consapevole, matura e cosciente della società. Prima che il  terremoto epocale da crisi sistemica: quello del crollo imminente dell'Eurozona e della grecizzazione del Sud Europa devasti definitivamente le nostre vite e il nostro ambiente.
Il sisma emiliano, come quello de L'Aquila, come quello giapponese e come tutti gli altri: vogliamo prenderli come avvertimenti di Madre Terra? Avvertimenti certo casuali, ma che non devono rimanere inascoltati. Perché siamo in balia di una banda di ignobili banditi legalizzati.


Dobbiamo ripensare a un modo diverso di rapportarci con la natura e tra di noi. Non possono essere i profitti e i mercati finanziari a determinare le agende di chi dovrebbe amministrare la cosa pubblica su mandato dei cittadini. Abbiamo visto che non ci può essere conciliazione, mediazione, tra chi spende miliardi di euro per opere inutili, dannose e contrarie alla volontà dei cittadini della zona (e non solo loro) come la TAV, tra chi sperpera miliardi nostri per l'acquisto di caccia militari dagli USA, e non interviene sulla fasce sociali deboli, sulle vittime delle calamità naturali, e non non investe nelle opportune opere di risanamento del territorio e delle infrastrutture e chi invece con buon senso invoca questi interventi.
Il problema non è la natura che, alla fine, nonostante le misure che puoi adottare, fa il suo corso. Già attenuare gli effetti sarebbe il "minimo sindacale" che puoi aspettarti da un paese civile. Ma lor signori, niente.
Il problema sono questi furbi da furbizia miope e imbecille che, con o senza il nostro voto, agiscono senza alcun senso dell'umano, della collettività.
Pezzi di merda che fanno le parate del 2 giugno per rivendicare, diciamolo, il dominio violento dello stato, il monopolio della forza e della governance post-costituzionale dell'élite politica, economica e militare sul resto della società.
Vanno spazzati via. Senza rimendio.

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