lunedì 23 luglio 2012

RIVOLUZIONI FALSE E RIVOLUZIONI VERE. Riflessioni a ruota libera sulla vicenda siriana.



I. Siria. Ma quale rivoluzione d'Egitto!

Non si venga a dire che in Siria è in atto una rivoluzione contro un regime dittatoriale. Armi sofisticate date insieme a congrui finanziamenti da Qatar e Arabia, USA, Turchia, logistica turca e statunitense, militari siriani strapagati per disertare e combattere contro l'esercito siriano.
Questa guerra contro la Siria è stata voluta e pagata dall'imperialismo USA-NATO per contrastare le potenze emergenti, Cina e Russia in primis, nello scacchiere internazionale per il controllo delle risorse energetiche.

Le guerre moderne, del resto, si combattono così, sulla pelle dei civili. Anche la guerra in Libia contro la Jamahiria di Gheddafi, ha avuto sul terreno forze logistiche e on air d'aggressione aerea dell'imperialismo USA-NATO. Cambia la configurazione delle forze interessate: una Francia alla ricerca di un accesso privilegiato al greggio e al gas libici e a una supremazia sulla Germania con mezzi militari indiretti, basati sul controllo dei flussi a sud ovest delle risorse energetiche, o degli USA che dopo Afghanistan e Iraq intervengono sui confini dell'impero a est. Ma chi vuole la guerra deve essere un aspetto chiaro.

Due considerazioni. L'Occidente si serve di regimi reazionari e dittatoriali come Qatar e Arabia Saudita per preparare le aggressioni. Che poi l'inquilino della Casa Bianca sia un repubblicano o un  democratico, non fa alcuna differenza: le politiche di guerra sono bipartisan come le politiche economiche. Questo è così oltre oceano come a casa nostra.
Non sono due considerazioni da poco, perché evidenziano lo sviluppo di un processo autoritario sovranazionale che rende obsoleti i sistemi democratici nati con il secondo dopoguerra nell'Occidente.
Le aggressioni militari sono delle cartine di tornasole anche per la politica interna.

Parlare dunque di rivoluzione sociale riguardo l'attuale guerra civile in atto in Siria, significa mistificare ciò che in quel paese sta realmente accadendo. I media hanno tecniche di disinformazione ben collaudate: partono da una situazione di reale oppressione del regime, come è stato fatto con la Libia o l'Iraq, e da forze di opposizione brutalmente represse nel corso degli anni dalla polizia politica di Assad, per estendere questa configurazione politica alle realtà fantoccio di potenze esterne. Se in contesti come quello siriano, non è mai facile distinguere tra opposizione sociale e soggetti eterodiretti, mercenari, disertori corrotti, va detto che la direzione politica di guerre per procura come quella libica e siriana è a Washington, a Parigi o a Londra. Passando per Ankara e Ryad.
I cittadini che si oppongono, o le basi tribali come in Libia, sono solo gli “utili idioti” nella rete preparata e pagata dai servizi delle potenze occidentali e della Lega Araba.
Il risultato sarà la deposizione più o meno cruenta del dittatore ed elezioni politiche farsa in un quadro geopolitico e strategico voluto dai “benefattori” che non può essere messo in discussione.

In questo scenario fatto di mercenari, traffico di armi, droni, consiglieri militari e servizi segreti, c'è la variante islamista integralista, che i media occidentali mostrano come rischio per la democrazia artificiale spacciata per esigenza del popolo e come elemento culturale universale, buono a ogni latitudine e longitudine.
In realtà è dai tempi della guerra in Afghanistan contro i sovietici che l'integralismo islamista serve egregiamente l'Occidente, così come i regimi reazionari degli emiri e dei regnati della penisola arabica, che hanno la medesima matrice religiosa e culturale sunnita di Al Qaeda.
I primi lo fanno con il terrorismo degli zimbelli, eterodiretto, o comunque favorito da CIA ecc. come quando si dosa quanta acqua deve uscire da un rubinetto. I secondi come paesi alleati, mediante soldi, armi, diplomazia, servizi, compartecipazione alle aggressioni militari dirette.


II. Una vera rivoluzione, allora, com'è?

Abbiamo analizzato la situazione siriana per comprendere la differenza che intercorre tra una guerra civile eterodiretta da potenze estere e un processo rivoluzionario autentico.
In linea generale entrambi poggiano su condizioni socio-economiche e politiche determinate, di crisi. Ma un processo rivoluzionario autentico deve avere due sostanziali condizioni per essere tale:
    essere l'espressione diretta di una lotta sociale autonoma, interna o internazionale (quest'ultimo aspetto lo vedremo in seguito)
    esprimere un progetto di reale trasformazione economico-sociale che ribalti i rapporti di forza tra masse proletarie, popolari e capitale e avvii a una riproduzione sociale e governance popolari, autonome da qualsiasi interesse imperialista

Una considerazione politica. C'è da scommetterci che difficilmente paesi come Russia e Cina aiuterebbero processi rivoluzionari costituenti in Europa, o in aree del pianeta dove l'edificazione di nuovi sistemi sociali intaccassero gli enormi interessi economici, finanziari e di mercato che si intrecciano tra poli imperialisti e geoeconomico in conflitto tra loro.
L'Europa in particolare rappresenta uno sbocco di mercato vitale per la Cina, così come le plusvalenze da speculazione ottenute con la guerra finanziaria all'Europa, sostengono il dollaro e il debito americano, di cui la Cina è forte creditrice.

Per cui, a maggior ragione, le rivoluzioni socialiste e comuniste del futuro prossimo, non hanno sostenitori esterni, se non la cosiddette forze strategiche di riserva costituite dalle forze politiche d'opposizione popolare di altri paesi. Un po' come l'effetto Viet Nam.
È finito il periodo dell'URSS, con tutti i suoi carichi di ambiguità e convenienze nel nome e per conto del capitalismo di stato (gli interessi politici ed economici sovietici).

Una considerazione tattica. Guerre civili come quelle libica e siriana, non vanno prese come argomenti per pensare a processi rivoluzionari analoghi in Occidente. L'imperialismo collasserà come il socialismo reale, di fronte a lotte popolari e al loro potere costituente, di fronte alla riappropriazione dei processi sociali, alla loro autogestione da parte degli organismi di massa del contropotere. Nel passaggio da una fase di lotta rivoluzionaria generalizzata, a una fase insurrezionale in cui si afferma il potere costituente della classe.
Noi non abbiamo denaro per corrompere i militari. Ma, per esempio, i militari e le forze di polizia, vivono esattamente dove vivono tutti, hanno delle famiglie, degli amici, vivono nella società come tutti. Vivono le stesse contraddizioni sociali e soggettive dei cittadini. E i corpi d'élite non bastano se collassa l'intera macchina dello stato. Perché, e soprattutto, la forza del popolo organizzato può bloccare la società e farla collassare con forme di lotta come il boicottaggio, lo sciopero, il sabotaggio, l'occupazione, la disobbedienza.

A questo punto, si tratta di sfatare l'indiscutibile postulato marxista-leninista che vuole lo sviluppo di un processo rivoluzionario nelle forme della guerra rivoluzionaria, nelle sue opzioni prettamente militari. Le contraddizioni sociali che si agitano nel ventre della società capitalistica in questa fase di crisi strutturale irreversibile porteranno a situazioni, ondate potremmo dire, di instabilità politica e di scontro sociale aspro.
E' evidente che sul piano militare, se volessimo fare un ragionamento per assurdo, lo stato capitalista possiede armi sofisticate, che rendono impensabile sul piano tecnico e militare un confronto armato tra opposizione sociale organizzata ed esercito controrivoluzionario statale.
Ma la forza rivoluzionaria materiale non sta su questo terreno.
I marxisti rivoluzionari delle varie scuole e appartenenze, per tutto il periodo che va dal dopoguerra a fine secolo, sono rimasti suggestionati dalle esperienze rivoluzionarie avvenute dall'Ottobre '17 in poi (Cina, Cuba, Viet Nam, Nicaragua, e il fallimento elettoralista cileno di Unidad Popular ecc.), pensando di poter replicare queste esperienze in casa propria, nelle metropoli, nella forma della guerra proletaria centrifuga (si pensi a teorici come Giovanni Frignano e Jean Fallot). Questo è stato un atteggiamento peculiare dei comunisti rivoluzionari nei paesi dell'Occidente capitalistico, in quanto l'intera fase espansiva del capitale, non prefigurava rivoluzioni socialiste imminenti e la scolastica ha surrogato la mancanza di un terreno di lotta politica delle avanguardie di classe che avesse uno sbocco rivoluzionario. Paradossalmente le lunghe lotte operaie del ciclo fordista e poi post-fordista, nei mutamenti della composizione produttiva e sociale di classe nello sviluppo delle nuove figure di operaio sociale, benché con picchi acuti, di grande forza di massa d'impatto conflittuale, non potevano arrivare ad esprimere tutto il potenziale rivoluzionario di un composizione sociale interna a una crisi devastante di capitale come quella attuale.

La rivoluzione pertanto è figlia della madre gravida e dolente dell'attuale crisi sistemica globale, che è irreversibile per l'accumulazione capitalistica e la valorizzazione. Le avanguardie di classe potranno lungo questa crisi sperimentare sul campo la forza materiale che nasce dalle viscere della classe, nei luoghi di lavoro, nelle sinapsi del potere capitalistico diffuso (accettiamo la definizione di capitale cognitivo, di rete biopolitica del sapere al servizio dei centri finanziari del capitale). L'insurrezione è la forma finale, poiché una rottura del quadro politico e dei rapporti di potere a un dato momento dovrà prodursi.
Ma non come pensa qualcuno nel guardare nostalgiche visioni di cancelli sfondati del Palazzo d'Inverno.
I movimenti che si autoconvocano, le forme di democrazia diretta e dal basso, autogestioni e di cooperazione sociale tra soggettività costituenti, sono i movimenti riappropriativi del comune, della riproduzione sociale. Sono le talpe che scavano facendo franare le strutture politiche pseudo-rappresentative, che creeranno disfunzioni nella macchina della valorizzazione del capitale e funzionalità nella cooperazione sociale e nell'appropriazione di luoghi, mezzi, servizi, privati e pubblici, delle municipalità. Questa è la vera forma micidiale della guerra rivoluzionaria di classe comunista.
Certo, il potere capitalistico risponderà con forza e, se lo scontro sociale di contropotere, di collassamento insurrezionale accadrà in solo paese, le possibilità di successo, a causa di interventi esterni, saranno labili. E qui arriviamo a un aspetto molto importante: l'internazionalizzazione dell'insurrezione.
Attualmente è pensabile l'area sud del polo imperialista europeo: Grecia, Italia, Spagna e Portogallo. Man mano che i movimenti si faranno organizzazione politica di massa, riappropriativa e autogestionale dei processi di riproduzione sociale, trovando pratiche di lotta comuni e coordinate da paese a paese, sarà meno possibile l'intervento di forze militari esterne, di un paese alleato verso l'altro, in funzione controinsurrezionale.

Non è un caso che ciò sta divenendo possibile proprio quando le costituzioni materiali, basate sulla centralità del lavoro, vengono disattivate dai poteri forti della finanza mondiale e del capitale multinazionale.

Le costituenti che vanno emergendo oggi, espresse dalla prima spontaneità delle lotte sociali, sono basate sul passaggio dal lavoro come valore centrale delle società, al reddito di cittadinanza e a un'attività comune che supera la valorizzazione del capitale e il profitto.
Questo è il valore attuale che le società civili possono esprimere e affermare, di fronte alla dittatura della finanza, alle logiche del debito, della pauperizzazione di gran parte della società in questa fase di crisi sistemica e di lotta per i profitti tra centri finanziari e del grande capitale.
Finché la sinistra di classe italiana resterà vincolata alla tradizione politica del socialismo, ossia della valorizzazione del capitale di stato attraverso lo sfruttamento salariato pianificato gestito dal partito, non si andrà molto in là.
Il risultato è una battaglia di retroguardia che si limita ai soli diritti sindacali, alla difesa del tenore di vita e del lavoro delle masse popolari: di un costituito che non esiste più, di un welfare che è in via di smantellamento. La migliore difesa è l'attacco, è il progetto costituente. Difendersi è il “minimo sindacale” ma non basta.
Il welfare va riaffermato nel processo rivoluzionario che incide sui rapporti di forza, che toglie potere e risorse, mezzi di produzione e lavoro vivo al capitale finanziario dominante, per affermare e attivare nuovi modi di riprodurre, di fare attività, di cooperare, dove centrale è il sociale, il soggetto cittadino, non il profitto.

Su questo terreno ci possono essere consonanze anche con forze di tradizione post-comunista e del sindacalismo tradizionale, se realmente conflittuale (es. FIOM). Ma la necessità di una forza politica autonoma che ponga l'accento sulla riappropriazione del comune e dei mezzi di produzione, sul cambio della loro "destinazione d'uso" e delle modalità di produzione, sulla fine della centralità del lavoro, sull'affermazione del reddito a tutti a garanzia inalienabile di una qualità della vita apprezzabile per diritto di cittadinanza universale, è una questione vitale per tutti i movimenti di massa attuali e a venire.

Le parole d'ordine che possono coagulare e rendere stabili (almeno al livello di permanenza conflittuale organizzata e di sentire comune come il Movimento No Tav), sono la richiesta di un audit sul debito e l'insolvenza da una parte (con tutte le rivendicazioni di impignorabilità della prima casa, di restituzione di quanto estorto alle comunità e pignorato e rubato attraverso il diritto arbitrario del capitale ai lavoratori, in beni e danari, ecc.), la nazionalizzazione delle banche e la rivendicazione di un reddito universale di cittadinanza come nuova soglia che definisce una società civile, oltre la barbarie del neoliberismo e della giungla selvaggia del capitalismo, che condanna alla miseria miliardi di persone, poiché l'unico criterio guida delle sue politiche è il profitto.

Sui flussi di ricchezza sociale e sul loro controllo (che poi è controllo, inevitabilmente, dei mezzi e dei beni, nonché del modo per realizzarli e gestirli), si gioca la partita della storia in quest'era di capitalismo morente, che prova con la guerra esterna ai popoli e agli stati scomodi e con la guerra interna contro le classi sociali, proletariato e masse popolari fino a gran parte dei ceti medi, a mantenere livelli di profitto accettabili, ad aumentare la concentrazione di capitali in un delirio politico che sta mandando l'ecosistema alla distruzione, alla dissoluzione delle risorse fossili e dell'acqua e alla devastazione sociale aree sempre più vaste del pianeta, paesi, sistemi sociali sinora retti da un minimo di welfare.

Un processo rivoluzionario che non sarà né rapido, né lineare. Che vedrà le forze della rivoluzione comunista a dover aggregarsi in alleanze politiche e sociali con quegli spezzoni di ceti sociali eterogenei estromessi dalla ripartizione della ricchezza sociale e dei profitti e per questo soggetti in campo soprattutto sul debito.
Questo occorre saperlo e metterlo in conto, se si desidera rafforzare un fronte proletario e comunista nel conflitto sociale, superando inutili e controproducenti ideologismi e riunificando l'opposizione sociale alla dittatura dei centri di potere finanziario e delle loro forze succubi, contro il vecchio costituito, contro le forme di rappresentanza ormai rotte e inutili.
Queste ultime vanno utilizzate se esprimono conflitto contro la finanza e il capitale, ma come la corda tiene l'impiccato. In ogni caso è la democrazia diretta, dal basso, autogestionale, il consiliarismo a dover avanzare quale nuovo complesso di forme unitarie di potere costituente popolare.

Attualmente il quadro politico italiano ci mostra una maggioranza di governo che sostiene Monti, che è il principale avversario politico dell'antagonismo politico-sociale e dei movimenti riappropriativi.
è questo fronte di forze reazionarie di varia provenienza: neoliberiste, pseudolaburiste-socialiste, e loro alleati post-comunisti o vetero-comunisti, polemici a parole, ma unitaristi col Pd nei fatti (mi riferisco a SEL, PdCI, e frequentatori vari del palazzone), su cui va concentrata la battaglia politica dell'autonomia di classe, scardinando le forme rappresentative politiche e sindacali che ingabbiano parte di movimenti sociali.
E va fatto sulla scorta delle parole d'ordine prima espresse, sul potenziale dell'autonomia operaia e di classe dell'autoconvocazione, dell'occupy, dell'accampata, dell'occupazione, dell'attacco politico e concreto di massa ai santuari della speculazione edilizia e finanziaria, dello sfruttamento e della precarizzazione.

Ricomporre sul piano dell'autonomia di classe un vasto fronte di forze del sindacalismo di base e di movimenti di cittadinanza e di sostegno del bene pubblico, oggi non solo è possibile, ma necessario e doveroso.
Gli esempi che giungono anche in questi giorni dalla Spagna sono più che eloquenti. Ma qui da noi, senza organizzazione e coordinamento politico, senza parole d'ordine unificanti e obiettivi politici immediati che stabilizzino il fronte antagonista attestandolo in forme organizzate acquisite, o solo con obiettivi spontanei immediati, ma senza un progetto strategico, di largo respiro, che vada ad aggredire il cuore del sistema capitalistico, senza un'iniziativa politica di massa che ne individui i punti deboli, rovesciando contro tutta la forza materiale di classe, ovvero: finché si va avanti in ordine sparso senza valorizzare in un progetto e in un'azione comune le proprie differenze (più che legittime), non si andrà tanto in là.
E intanto le condizioni maturano.

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