martedì 2 febbraio 2010

CLASSE OPERAIA CAPUT MUNDI


Dicevano che gli operai erano una specie in vie di estinzione. Dinosauri di altre epoche, dispersi come residui socioculturali nei reticoli digitali di una società postmoderna multiforme. Ora eccoli qua, sui tetti, nelle piazze, sui binari delle ferrovie e sui raccordi autostradali, con la loro rabbia e impotenza.

Ma nessuno raccoglie la loro causa. Da “centro-sinistra” solo generici richiami a risolvere la questione del lavoro, ambigui perché nel concetto “lavoro” oggi ci sta di tutto e il contrario di tutto.


E allora chiariamo bene una questione di fondo che è sfuggita a tutti, o quasi. In questa società il diritto è dalla parte dei più forti, non solo come meccanismo reale dirimente i conflitti e le situazioni, ma come centralità della proprietà privata sul bene comune, sul diritto di una colletività e dei soggetti a una vita dignitosa e gioiosa.

Invece di scalare banche e trasformare le cooperative in capitale finanziario e  in consorterie di speculatori, la classe dirigente che proviene dal PCI farebbe bene a ripensare alla propria presenza politica nel paese. Se così facesse e lo facesse correttamente, l’unica conclusione a cui giungerebbe, sarebbe quella di andarsene a casa una volta per tutte.


Perché nella questione operaia ("quelli lì", come li chiama Bersani) c’è LA QUESTIONE. La questione della civiltà nelle società a capitalismo avanzato, nel terzo millennio. Siamo alla resa dei conti. Il pianeta, e con esso i suoi abitanti, è stato colonizzato, brutalizzato, messo in serio pericolo da una classe tentacolare di pescecani, banche, multinazionali, boiardi di stato, con la licenza di porre nel diritto e nella ragione, prima di ogni altra cosa, la proprietà privata, ossia l’alienazione dal bene comune di tutto ciò che può essere appropriabile: cioè esattamente tutto.

Così troviamo naturale, per esempio, elargire soldi alla Fiat sotto forma di incentivi, per consentirle di “fare dividendi” e di fare acquisti all’estero (vedi la Chrisler). Sono soldi dello stato, quindi nostri, dati senza contropartite, poiché si lascia che la Fiat stessa smantelli linee di produzione, licenzi, faccia i cazzi suoi in base ai suoi esclusivi interessi. Ed è di conseguenza naturale, tornare a dare incentivi, non perché questi provvedimenti vengano revocati, ma rimandati. Lo stesso stato che lascia un esercito di speculatori, le compagnie, prendere per il collo i cittadini che, come la Fiat, hanno preso soldi a prestito ma non possono ridarli indietro. Un peso e due misure, tra sfratti, pignoramenti, ufficiali giudiziari...


Per legittimare le ragioni del grande capitale industriale una volta si parlava di crisi. Oggi neanche più a questa. A un gruppo come la OMSA di Faenza, non si dice e non si fa nulla, se decide di lasciare a casa centinaia di lavoratrici per aprire uno stabilimento in Romania. Delle ricadute sociali sul territorio, sulla collettività, non si fa cenno. Le politiche industriali come queste creano costi alla collettività: cassa integrazione, servizi sociali di vario tipo, ma nessuno chiede conto a questi signori. Non certo lo stato che, anzi, continua a elargire. La storia del capitalismo italiano, cara Marcegaglia, non è storia di ricerca, innovazione, capitani d'impresa coraggiosi, ma storia di parassitismo, prebende, signoraggio, concessioni, come le autostrade a Benetton e pochi altri (e averle poi di merda). I cittadini italiani pagano i profitti del capitale industriale italiano e parano il culo agli apprendisti stregoni come Colaninno e Tronchetti Provera.

Ecco in pratica come si oggettiva il diritto della proprietà privata. Regalie, come la legge che obbliga a privatizzare l'acqua, così tanto caldeggiata anche da Bersani. È una ius primae noctis sul bene comune, sui proventi del fisco, sulla risorse collettive di un paese e di un pianeta.

La questione operaia non è cosa da poco. Diamo allora una rispolverata ai cervelli all’ammasso o pieni di accordicchi dei nostri Bersani, Fassino e D’Alema.


Gli operai, a differenza di altre categorie sociali come la borghesia depauperizzata dalla crisi e dai tassi d’interesse, dal credito al consumo e dai tagli alle spese sociali varie, hanno un ruolo nella produzione di beni. Così come il lavoro intellettuale (operai intellettuali) ha un ruolo nella produzione di cultura, di conoscenze scientifiche e di infomazione. Sono elemento della produzione sociale. Quest'ultima, che è di proprietà delle solite poche famiglie e delle società per azioni, deve divenire proprietà collettiva, se vogliamo salvare il salvabile. Gli operai devono farsi stato, attori decisionali di un bene così importante come la produzione. Nulla di nuovo, del resto. Tutto questo era un’ovvietà, non solo per Marx, ma per lo stesso Gramsci. Quelle che tre decenni fa potevano sembrare frasi fatte e dottrinarie di qualche gruppo marxista-leninista, con le dovute differenze analitiche da elaborare, oggi stanno diventando un doveroso programma di trasformazione sociale. Pena la distruzione della vita umana e del pianeta come li conosciamo, ad opera di ceti che hanno perso persino l'istinto di conservazione della specie.


Ora, per la disperazione, gli operai salgono sui tetti. Dovrebbero salire inveci sugli uffici alti della gestione industriale, prendere a pacche le think tank, gli ing., i dott., i cav. e farli lavorare a calci in culo per il bene comune e sotto la loro stretta direzione. Dovrebbero imparare da queste teste di cazzo quello che ancora non sanno fare, e buttarli in discarica come bambole rotte, o meglio operaizzarli: giù in officina, iniziando quella rotazione doverosa che è alla base di qualsiasi forma seria di socialismo.

Compresi i Bersani, i Fassino e i D’Alema.


Perché? Perché gli operai riscattando loro stessi, riscattano l’intera società in un’azione collettiva di riappropriazione del bene comune. Che non è solo l’acqua o l’eco-sistema, ma i mezzi che servono per riprodurre la società. Solo questa spinta collettiva socializzatrice può salvare il pianeta dalla distruzione. Affrancando dallo sfruttamento e dall’alienazione tutte le altre componenti sociali in pieno stato confusionale. Gli operai possono dare identità a chi non ce l’ha: sono il metro di misura, di definizione delle cose e dei rapporti. Sono il superamento dei tempi della produzione dedicata ai profitti e al funzionamento di un sistema contorto e suicida. Sono liberazione dell’individuo in quanto tale, attraverso la liberazione del lavoro dalle sue forme normate e nere di sfruttamento e di produzione di nocività fisca e psichica, soggettiva e ambientale. Un lavoro che diviene, così,  attività umana subordinata al piacere, al godimento, alla felicità, alla vita.

Gli operai: possono essere solo loro alla direzione di questo processo. Ora finalmente vediamo quanti sono, ma soprattutto vediamo la cifra, la qualità del loro essere sociale. Alle soglie della crisi di un'epoca, in cui le bolle speculative sono solo effetti scatenanti, riaffiorano i soggetti reali della trasformazione. Dopo un pugno d'anni di ubriacatura "post".


In stato embrionale, queste prime reazioni sono prove di conflittualità a cui va data una visione e un’autonomia di classe come agire conflittuale e creativo al tempo stesso.

Politico ed economico si ricompongono in una sola prassi, in una sola forza confliggente.

Oltre le liturgie della politica che celebra e riproduce se stessa come ceto parassita, oltre i riti dell’economia che si riduce a insulse azioni e progetti imbrigliati nei numeri di bilanci falsamente “oggettivi”.

Riaffiora la soggettività che ricompone una nuova metanarrazione sociale dalle mille narrazioni localistiche, parcellizzate e parziali. La classe operaia è soggetto sociale centrale.

Non "operaio massa", non "operaio sociale", non "forza lavoro manuale", non "forza lavoro intellettuale", ma tutto questo insieme, ricomposto nel nomadismo delle migrazioni e della precarizzazione. Delocalizzazione, precarizzazione, straniamento sociale e culturale, sono il brodo di cultura delle soggettività ricomponenti, il denominatore comune di un soggetto che diviene totalizzante nel suo essere sfaccettato, poliedrico.

Laddove il decentramento produttivo aveva generato scomposizione di classe, oggi, saltato questo modello, la frammentazione che genera alienazione e non più aristocrazia operaia, ceto produttivo, diviene il filo conduttore di un ritrovarsi sul territorio, nei villaggi del nord est come nei fortini delle fabbriche occupate, dei presidi permanenti, degli esodi collettivi rionali verso l'occupazione di spazi vitali dopo gli sfratti. Un'alienazione che genera identità.


Ma quali risposte a un sistema che va avanti da solo, al di là dei governi, come un applicativo programmato a rispondere solo in un modo?

Alle nuove soggettività non può e non deve fregare di meno del prodotto interno lordo, dei tassi d’interesse, del debito pubblico. I conti, i dare egli avere, sono solo simboli immateriali che esprimono solo il punto di vista di chi deve gestire i flussi di cassa, di danaro verso i titolari del signoraggio, gli attori della proprietà privata-alienante comprovata da titoli, future, bond, derivati, fondi e merda varia, puramente simbolica, ma tristemente reale nelle sue ricadute sociali.

Questa giungla di insensatezza monetaria è la tirannia dei “tecnici”, il falso pecunia non olet che ci porta al delirio, alla distruzione di esseri, culture, contesti ambientali.


I dare e gli avere che contano sono quelli che restituiscono il pianeta, le risorse, la ricchezza sociale, i mezzi per produrla e il modo di produrla all’intera comunità mondiale umana liberata. Questi sì che sono fisici, reali e concreti. Sono il vero diritto poiché rappresentano il punto di vista della sopravvivenza dell’eco-sitema e della vita in quanto tale. Non solo. Proprio per questo, sono etica allo stato puro. Questo passaggio rappresenta l’anello mancante alle "democrazie moderne". Il diritto alla vita è inconciliabile con la sua alienazione in favore di un diritto privato. Questo è il limite della democrazia vigente, o borghese. Se questo passaggio non verrà fatto, la civiltà umana tornerà indietro di millenni.

Non sappiamo se sarà vera la profezia di Einstein, che disse che la prossima guerra mondiale verrà combattuta con le pietre e i bastoni. O se avremo conflitti devastanti a macchie di leopardo, nuovi fascismi, fortilizi a difesa interna ed esterna di poche aree privilegiate, o disastri climatici e ambientali. Di sicuro c'è che qualcosa sta scricchiolando. Ed è un qualcosa che si chiama sistema-mondo, modo di produzione e riproduzione di relazioni sociali, con tutti i suoi gironi danteschi.


Ecco perché gli operai non possono lottare solo per un piatto di minestra. Il vaso di pandora si è aperto (il riferimento a Avatar è solo casuale...). La materialità della loro posizione nella società impone loro inevitabilmente di essere direzione sociale di nuove relazioni e modi di essere e rapportarsi con la natura. A loro attendono ben altre responsabilità storiche e sociali. Lo stanno imparando sulla loro pelle. Ma l’opera delle avanguardie, una volta resa chiara dagli scopi epocali, deve essere paziente, molto paziente.


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