domenica 28 febbraio 2010

QUINTO STATO: DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE CONTRO L'EVERSIONE PIDUISTA.

Proseguo la riflessione sul quinto stato. In particolare, ho letto con interesse “la scomparsa dei fatti” di Travaglio. Scomparendo dallo scenario mediatico, i fatti scompaiono anche dalla realtà sociale, dalla vita sociale del paese. O subiscono un ordine gerarchico per importanza, secondo il punto di vista di chi li riordina, secondo ciò a cui il manovratore vuole dare più importanza. Ma il manovratore in realtà esiste nella complessità in cui si determina il potere dei media e, ancor prima, il potere finanziario. Non c’è un grande fratello o, per lo meno, lo identificherei in un’agenda setting che prosegue di default, con aggiustamenti in corso d’opera a seconda dei Minzolini di turno.

È un sistema ben oliato, un punto di vista di classe che si è spalmato su tutta la società. Detto questo però, i fatti non “scompaiono” solo sul piano mediatico. Ancor prima sono scomparsi nell’ambito strutturale delle relazioni sociali, nell’ambito contemporaneo della polis. Per fatti, badate bene, intendo la totalità degli avvenimenti che fanno storia, che riproducono la vita di una comunità. Nell’immaginario vige una società fatta di relazioni sociali mediate dallo stato, con strumenti di garanzia e di democrazia tali per cui, sulla carta esiste la libera iniziativa e non i cartelli, i monopoli di pochi, esistono i diritti e non la mobilità selvaggia del lavoro e sacche di indigenza anche negli strati sociali post-borghesi.

I fatti che viviamo sono completamente diversi e ci parlano di una società assoggettata agli interessi di pochi gruppi finanziari industriali, dove la burocrazia e i suoi costi spropositati, determinati anche da un debito pubblico mostruoso, impediscono e minano quotidianamente la libera iniziativa, a partire dalle piccole imprese, una vita semplice dei cittadini, le tutele del lavoro dipendente, una dinamica riallocazione dei soggetti privi di lavoro e protezione sociale. È un liberismo a metà, che funziona solo per poche entità finanziarie e industriali, ma che dall’altra parte vampirizza il resto del paese. È un falso liberismo, in realtà una dittatura di poche famiglie che hanno appalti, concessioni, incentivi, agevolazioni estratti dalle risorse pubbliche, ossia da tutti noi. Per non parlare della grande truffa del signoraggio.

Questa è la realtà dei fatti. Da qui parte ogni narrazione, falsa, della società nel suo divenire. I fatti reali, sono invece corpi, menti, aggregati micro-sociali, siamo più sul piano dell’ontologia umana, dell’antropologia, che su quello fenomenologico della sociologia. L’uomo lukacksiano: ontologicamente democratico, non esiste. In risposta al grande disagio alienante, alla paura della dissoluzione nella massa, nella burocrazia dei carrozzoni pazzi di uno stato avulso da ogni realtà quotidiana, si formano correnti e micro-aggregazioni di pensiero. Che può essere pensiero prevenuto, per prendere in prestito dalla psicologia un concetto ben attinente a ciò che intendo dire, ossia la Lega, l’irrazionale paura del diverso, la genesi del razzismo del tutto importato da un contesto fortemente competitivo, che genera terrori post-moderni. Oppure può essere ricostruzione di una narrazione vera, che diviene resistenza umana in sé. Nel mio “umana” non c’è l’assolutismo Schmittiano dei Calderoli verso colori della pelle differenti, o religioni differenti. La mia non è una visione totalitaria, quella del noi siamo umani, gli altri no. È la totalità delle espressioni culturali, sociali, micro-economiche che nascono come risposta a questa involuzione reazionaria. Il quinto stato è questo.

I fatti scomparsi riappaiono dal virtuale della rete alla materialità di una ritrovata autonomia dalla polis corrotta. Non autonomia del politico, ma autonomia dal politico. Nel concetto “biopolitica” si esprimono i milioni di corpi e di menti ricomposte in una critica globale all’esistente che il grande default ci impone.

È la nuova autonomia di classe. Un discorso antico e nuovo al tempo stesso. Non più la rivoluzione politico-militare del fucile, ma l’onda d’urto di una soggettività che disvela con la non-violenza della ragione, quella che è la realtà per quella che è. Si sono ribaltati i termini della questione: lo stato siamo noi. Il quinto. Che difende la democrazia e con essa la carta che l’ha fondata. Quella dei nostri padri.

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