sabato 27 marzo 2010

MONICELLI E LA PAROLA IMPRONUNCIABILE.


Durante Raiperunanotte, l'intervista a Mario Monicelli, uno dei più grandi registi italiani, è stata illuminante. Lo ha detto apertamente: a questo punto in Italia, l'unico modo per cambiare le cose è una rivoluzione. Subito il Pdalemiano Floris, ha voluto distanziarsi, distinguere. Ormai gli exPci hanno gli anticorpi di default: qualsiasi cosa recuperi antiche categorie della lotta politica dei comunisti e dei rivoluzionari di sinistra in genere, viene scartata a priori.
La raffigurazione che fanno della società italiana, del teatrino dei pupi e dei pupari, dei gattopardi occulti e benevoli, è molto simile a Paperopoli. Come se ci fosse una destra democratica e costituzionale al governo da una parte e un'opposizione di conseguenza collaborativa su ciò che va bene e critica su ciò che va male dall'altra.
I fatti e dove sta andando il paese sotto le picconate alle istituzioni e a parti dello stato nel governo Berlusconi, ci dice il contrario. Ci dice che davanti a una destra eversiva che sta occupando lo stato e rapinando il bene comune con protervia, cancellando le regole costituzionali e le leggi, occorra ben altra opposizione.
Non siamo più negli anni sessanta e settanta, dove un'estrema sinistra dottrinaria e dogmatica, consegnava inerme la critica politica e l'opposizione rivoluzionaria alle fauci di una repressione di regime democristiana, legittimata dalla violenza politica e dalla lotta armata.
Monicelli lo sa e con la sua parola disvelatoria: rivoluzione, lo ha bene espresso. Qui siamo di fronte a una società civile, democratica, che non ci sta e che comprende che va avviato al più presto un cambiamento radicale del sistema politico italiano, prima di ritrovarci alla stregua di un regime alla Bokassa, nella sua variante telefascista.
Rivoluzione oggi non è "dittatura del proletariato", un evento teorizzato da schemi analitici consegnati ormai ai musei di storia. Rivoluzione oggi è difesa e affermazione della Costituzione e dei diritti dei cittadini. Perché elementi di socialismo, ossia di collettivizzazione del bene pubblico e delle risorse strategiche, di protezione sociale delle fasce più deboli, di forma di salario sociale nell'ottica di un reingresso nella piena occupazione di precari e disoccupati, di ripristino dei diritti civili e politici riconosciuti da tutte le carte più autorevoli in ambito ONU, di controllo dal basso dei mezzi di informazione a cominciare dal servizio pubblico televisivo e così via, sono possibili e costituzionali. Di più: sono urgenti e non più rinviabili.
Certo, per il paese che siamo, si tratta di una rivoluzione bell'e buona. Monicelli sostiene che per cambiare si dovrà passare attraverso la sofferenza, delle scelte dolorose. In altre parole un conflitto aspro, di cui non oso neppure immaginare i contorni. Ma la conditio sine qua non, è che tutti, destra e pseudosinistra, se ne vadano a casa. E non lo faranno facilmente e di loro spontanea volontà, di fronte a un ciclo di lotte sociali vaste.
Forse dentro il PD si metterà in moto un meccanismo di riciclo. Ma la destra piduista, con il suo armamentario di servizi deviati, bombe nelle piazze, squadrismo fascista o mafioso, quinte colonne nelle forze di polizia, non si lascerà scalzare secondo lo schema populistico dell'acclamazione o al contrario del ludibrio di massa. Berlusconi si sta preparando a governare ancora e poi ancora, come presidente della repubblica con ruoli mutati, con i poteri concentrati su di sé. Il suo delirio, nato con i soldi della mafia e della finanza italiana eversiva sin dai tempi di Sindona, proseguirà se non viene fermato prima da una forte mobilitazione sociale e dalla riorganizzazione politica di una sinistra larga e diffusa, che possa sintetizzare il mandato di massa nell'azione politica in Parlamento e nelle istituzioni.
Il PD non può assumersi questo compito. E' intriso di pensiero debole, nicchia sulla fase (magari lo sa ma fa finta di non sapere e attenua la sua politica di critica al governo) ed il suo gruppo dirigente è compromesso con alcuni poteri forti della finanza e del capitale italiano. E poi non è da una santa alleanza centrista, che includa il neodemocratico Fini e i clericodemocristiani alla Casini, che può nascere il nuovo. Solo gestione dell'esistente.
Monicelli è stato chiaro e il suo pensiero deve essere ascoltato e raccolto da una sinistra che deve tornare a essere sinistra militante, espressione del disagio sociale, sintesi politica delle lotte di fabbrica e per il lavoro, mobilitatrice di strati sociali che ritrovano un'identità collettiva in lotte come quella per l'acqua come bene pubblico, o contro la devastazione del territorio e l'inquinamento (vedi la TAV e le discariche campane). Deve tornare a tessere il filo rosso del conflitto sociale, sulla nuova cultura politica che sta nascendo: quella degli onesti, quella che dà valore supremo alle istituzioni repubblicane nate dalla Resistenza. Dall'estremismo siamo stati vaccinati. E' ora che le nuove generazioni prendano su loro stesse la responsabilità di guidare il paese fuori dal delirio di una classe dirigente corrotta, che ogni cosa che fa la fa per il suo esclusivo interesse.
Questa è la rivoluzione: stravolgere i "giri", abbattere le clientele, i nepotismi, far pagare le tasse a chi non le hai mai pagate o pagate poco. Riequilibrare i poteri a favore dei cittadini, sottraendolo alle banche e alla finanza. Portare il Vaticano a una sua funzione esclusivamente religiosa. Non politica. Salvando la laicità dello Stato. Sanzionare pesantemente quegli imprenditori che portano le loro produzioni fuori dal paese, lasciando a casa i lavoratori.
Tante cose devono cambiare. Tante. Monicelli con una sola parola ce le ha indicate.

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