domenica 14 marzo 2010

QUIRI... ANALE: CON IL NOSTRO. CONTRO IL PARTITISMO, AUTONOMIA DI CRITICA E DI ORGANIZZAZIONE POLITICA.

Ma chi l'ha detto che non si può criticare il capo dello Stato? Chi è: Dio? Il PDL che definisce l'opinione di Di Pietro come un atto eversivo. Il PD che sostiene che chi attacca Napolitano è fuori dalla coalizione. La prima posizione è criminalizzazione pura dell'avversario politico e si iscrive nel piano di annichilimento di ogni voce di dissenso. La seconda posizione le fa da contraltare, ha il compito di spianare la strada ai carri armati mediatici della criminalizzazione. La questione vera è che Napolitano rappresenta un disegno politico bipartisan, riconosciuto da PDL e PD: la spartizione partitocratica bipolare del potere. Non c'è dubbio che il PD sia di per sé una forza democratica, ma sta sbagliando tutto. Per convenienza miope ci sta svendendo al piduismo di regime. Per cui penso che sostenere le coalizioni di centrosinistra con la scusa di battere a tutti i costi la destra, sia altrettanto miope.

Personalmente ho creduto a SEL, perché c'è bisogno di una forza di sinistra, laica, che sintetizzi e comprenda in un percorso comune e in un programma condiviso, il meglio delle tradizioni politiche democratiche del comunismo, del socialismo e dell'ecologismo. Ma oggi, vedo che SEL appoggia De Luca in Campania, si coalizza con il PD a prescindere, non ha una politica autonoma seria e reale. Si poggia sul personalismo dei suoi dirigenti. Sfocia nella genericità sloganistica. Non vedo molta differenza tra "la politica del fare" berlusconiana e "la buona politica" di Vendola. Basta con questa politica.

La nascita di movimenti d'opposizione dal basso ci indica quale sia la vera strada. Con il popolo viola però, si è persa l'occasione di essere qualcosa di diverso da questo politicantismo autoreferenziale. Ancora una volta "pompieri" e strumentalizzatori si sono mossi per fagocitare e depontenziare questo movimento, il quale ha ragione d'essere solo se autonomo da ogni simulacro della vecchia politica e dai partiti.
Oggi sta passando un assioma molto pericoloso: o sei nel contesto dei partiti o sei un eversivo. Su questo postulato ci marciano tutti. E i contenuti spariscono. Esempio: mi piacerebbe chiedere alla Bonino se è ancora liberista sulla questione economica. Perché ancora una volta quella che passa è la centralità del "buon mercato".

Intendiamoci: non mi fa schifo un'alleanza di centro-sinistra, anzi, la auspico. Il problema vero è che manca seriamente una forza di sinistra di classe che unisca la questione democratica a quella del lavoro. La vera autonomia politica nasce da qui. Invece, ad esempio, vedo in Rifondazione Comunista una forza che pone la questione del lavoro in modo economicistico. La vedo in battaglie di retroguardia. I movimenti stessi pongono sul tappeto la centralità della lotta politica. Il popolo viola la sviluppa sull'affermazione della democrazia reale nel paese, a partire da quella "formale" della Costituzione. Le lotte operaie hanno in sé, potenzialmente, nella questione del lavoro una forte valenza politica, di trasformazione dell'organizzazione del lavoro, della sua divisione, del comando d'impresa. C'è un piano politico forte su cui si sono innescati i grandi movimenti e fasi di cambiamento radicale della società: la questione del potere nel processo produttivo, nella produzione e nella riproduzione dei rapporti sociali. Nei rapporti di forza tra classi nel conflitto sociale. Piano politico che Rifondazione Comunista non coglie.

Paradossalmente movimento viola e lotte operaie che occupano le fabbriche, scendono per strada salgono sui tetti sono molto più leninisti di chi si crede depositario di quella tradizione. Certo, è un leninismo di sola prassi, spontaneista, un leninismo autorganizzato. Ma io credo che la migliore tradizione leninista sia proprio quella che pone al centro l'autonomia di classe anche nei confronti delle ossificazioni burocratiche di partito. Un leninismo per certi aspetti "negriano", che l'autonomia operaia degli anni '70 seppe esprimere nei momenti più alti di quel conflitto. Che non furono espressi dall'avanguardismo armato, dalle sue degenerazioni lottarmatiste, bensì dalle espressioni politiche di massa che emergevano nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università, nei quartieri ghetto delle metropoli. Da quelle espressioni che esercitavano la forma politica più alta che la classe possa esprimere: la riappropriazione di ricchezza sociale, il controllo del processo produttivo, il rifiuto di vivere la riproduzione sociale in modo alienato e secondo la mera logica di profitto.
Quei movimenti furono autenticamente messianici, poiché oggi sappiamo a cosa ha condotto la centralità del profitto e del mercato. Tutte le politiche "di sinistra", che hanno subordinato il bene comune al mercato, che hanno accettato il pensiero unico del liberismo, la falsa neutralità dei provvedimenti per il bene del paese, i governi dei tecnici (come il governo del fare berlusconiano...) sono crollate, eppure ci sono ancora i D'Alema che le sostengono e le spendono in uno spazio bipartisan con la destra. Il tatcherismo e il blairismo ce li abbiamo ancora in casa.

Oggi il concetto di produzione sociale di ricchezza, di beni e di cultura, le risorse, vengono definite "bene comune". Oggi dovremmo sapere che dopo la sconfitta della sinistra extraparlamentare e dei movimenti degli anni '60 e '70, finiti quei cicli di lotte, passata l'epoca storica del mondo diviso tra "comunismo" e capitalismo, possiamo e dobbiamo cogliere i valori forti della democrazia italiana, creata dai padri.
Mi aspettavo per questo un'autocritica forte su questo terreno da parte di chi vuole cogliere il meglio dell'esperienza del movimento rivoluzionario di trent'anni fa. Nisba.
Per come la penso io, dobbiamo essere i più strenui difensori dello stato di diritto e partire da qui per estendere la democrazia reale nel paese, lottare per il governo della società su basi economiche, amministrative e sociali autogestite dalle classi popolari da sempre espropriate della facoltà di decidere del bene comune. L'art. 41 della Costituzione parla chiaro. C'è spazio nella Costituzione formale per ripartire dall'attualità del collettivismo come elemento regolatore del mercato stesso, nell'ottica del suo superamento, nel rispetto delle identità economiche e sociali di tutti.
So che è un discorso forte. Ma è l'unico oggi su cui ricostruire un soggetto politico comunista in grado di lavorare a una forza politica più ampia e che comprenda sul piano della dialettica progettuale le altre anime del socialismo e dell'ambientalismo.

Non c'è tempo. Le scosse che le bolle speculative e la centralità del liberismo e della finanziarizzazione dell'economia, la distruzione delle risorse e dell'eco-sistema di questo pianeta impongono scelte urgenti. Va ricostruita un'intelligenza collettiva a partire dal nostro stesso territorio, su questioni fondamentali come la vivibilità nelle città, l'uso collettivo delle risorse che sono di tutti, l'acqua in primis, l'autogestione come in Argentina delle fabbriche, la riconversione della produzione verso processi produttivi virtuosi e prodotti eco-sostenibili, la denuclearizzazione vera dei territori, la valiorizzazione delle economie di prossimità e degli scambi di comunità, la socializzazione del sapere, l'orizzontalità dei mezzi di comunicazione favorita dalle nuove tecnologie di rete, la ridefinizione delle aree urbane, oltre i ghetti e la terziarizzazione dei centri storici, con la creazione e l'estensione di spazi per i bambini, gli anziani e tutta la cittadinanza, il reddito minimo garantito e la casa per tutti.
Utopie? Non credo proprio. Vivere bene senza tumori, decidere democraticamente della cosa pubblica, vivere dignitosamente con o senza lavoro devono, senza guerre, deve diventare realtà per ogni cittadino di questo mondo.

Quindi, tornando a palla a Napolitano: perché risponde a due cittadini e non al movimento viola, che è espressione di parte della società civile di cui Napolitano stesso ciancia tanto?
Il "presidente di tutti gli italiani", ha il dovere di render conto non solo ai partiti (anima candida... si pone il problema che il maggior partito italiano non partecipa alle elezioni a Roma...), ma a tutte le forze della cittadinanza che si esprimono nella società. Napolitano non lo fa. Ecco perché è soltanto il mero presidente dei partiti e della partitocrazia.


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