martedì 14 giugno 2011

LA DEMOCRAZIA DIRETTA SPOSTA GLI EQUILIBRI POLITICI.


E' una vittoria della società civile, della democrazia di base. Che riporta i cittadini alla politica in un modo in cui la partecipazione popolare può esprimersi liberamente, direttamente: il referendum. Già nella grande manifestazione delle donne avevamo avuto una avvisaglia. Già nella nascita di comitati popolari e di espressioni politiche, “sindacali” di base si andava inverando una nuova storia, un nuovo racconto di questo paese. E questo andava di pari passo con la crisi del sistema berlusconiano, che tra scandali e inchieste della magistratura, per reggersi, doveva comprare onorevoli puttane, ricorrere ad atti arbitrari come lo spostamento dei referendum a data diversa da quella delle amministrative, come il tentativo di scippare quello sul nucleare agli italiani con falsi correttivi sulla legge che reintroceva le centrali nucleari alla faccia della pregressa espresione referedaria dei cittadini.
Dopo Fukushima, il nucleare diveniva un incubo per Berlusconi e per le lobbies che avevano lavorato a questo progetto.

Anche il Pd, che come si sa ha al suo interno nuclearisti e privatizzatori di varia specie, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco e cogliere l'opportunità di indebolire il governo, annusando l'aria della slavina imminente. Ha cercato di cavalcare un movimento che ha scosso il paese dalle sue fondamenta e che ci dice in realtà che i comitati popolari, le associazioni della società civile, attraverso forme essenziali di esercizio di democrazia dal basso, possono modificare i rapporti di forza nella società, possono influenzare le stanze asfittiche della partitocrazia. Che attraverso la democrazia di base e solo attraverso essa i cittadini tornano alla politica.

Per questo, il 13 giugno resterà una data importante nella storia del nostro paese, un secondo 25 aprile, la liberazione delle coscienze rimaste inerti per decenni davanti alle narrazioni dominanti del berlusconismo, l'assunzione di una consapevolezza collettiva di poter mutare lo scenario politico, di poter influire sui destini del paese, di non essere più muti spettatori di scelte fatte da elite politiche ed economiche che non ci rappresentano.

Ma non solo. Questo voto così vasto, profondo è cosciente, non può essere liquidato come un “voto emotivo” davanti al dramma nucleare giapponese. Fukishima è stata la scintilla che ha dato fuoco alla prateria, ma gli eventi che si sono succeduti negli ultimi mesi, le elezioni e il referendum come epilogo di un processo in incubazione e che è emerso, danno la lettura di un paese reale ben diverso dai racconti di regime. Un paese fatto di giovani senza speranze, di dannati dell'imprenditoria piccola, familiare, che non ce la fanno, di ceti medi devastati dai debiti, di un mondo del lavoro precarizzato selvaggiamente, di espulsi dal lavoro in via definitiva, di cittadini che vedono il territorio e le risorse comuni messi in vendita come al mercato delle vacche, nel degrado e nell'inquinamento più selvaggio come in Campania.
Questa è l'altra faccia dell'Italia, quella vera, quella più vasta. Che ora sta prendendo coscienza di sé, del suo potenziale, del suo potere.

Così come ora la campana suona per Berlusconi, arrivato al capolinea. Certo, non si vende la pelle prima della sua fine, prima della fine concreta di governo in carica, ma le possibilità che questo governo superi il 2011 sono ormai esigue. La principale è emersa dalle urne di due appuntamenti elettorali, chiari, inequivocabili. Ma la seconda, non meno importante, è che questo governo ora è osteggiato da parti consistenti del capitalismo e della finanza italiane. Di fatto, dopo questo esito referendario, non può più garantire le plusvalenze derivanti da acqua e nucleare a realtà strategiche nel panorama economico del paese. Di fatto, la governance fin qui condotta, ha dato “il meglio” di sé nel risolvere i problemi di giustizia del presidente del consiglio, nel gioco osceno del salvare il re, fatto di bassezze di colpi di mano palesemente anticostituzionali, ha portato alla impresentabilità nel paese e nel mondo di Berlusconi. E con questa menomazione istituzionale, questa mancanza di credibilità politica, non si può governare.
Ma non è vero che il governo non ha fatto. Ha fatto eccome. Ma male e contro le aspettative di tutte le fasce sociali e categorie del lavoro e dell'imprenditoria. Iniquità, lobbismo, tagli lineari senza politiche intelligenti di sviluppo di alcuni ambiti primari del sistema Italia. Questo ragionamento serve per capire le forze politiche che si sono messe in moto con le manovre terzopoliste, ma anche l'altra faccia del voto alle amministrative e al referendum, che ci parla di parti sociali di cultura conservatrice che si sono staccate da quello che fino a ieri era il loro riferimento naturale.

Nella seconda ragione c'è un altro aspetto. Forse quello più decisivo: senza il placet del mondo cattolico in Italia non si governa. E in questo caso, per mondo cattolico intendiamo anche il Vaticano. La CEI in questi mesi si è espressa a più riprese sfavorevomente a Berlusconi, contrariata dalla condotta morale del premier. E anche su altri aspetti più politici: non era mai accaduto che alla vigilia di una consultazione elettorale, il Vaticano si esprimesse così apertamente contro le scelte del governo. L'appello di Ratzinger contro la scelta nucleare ha una valenza politica devastante per i giochi politici della coalizione givernativa.

La scelta di Berlusconi di ancorare gli esiti elettorali a un plebiscito sulla sua persona, di associare il governo di centrodestra alla sua persona, salvo poi fare una plateale marcia indietro ai primi risultati, hanno accelerato un processo di opposizione sociale trasversale e generalizzata.
A questo punto che succede? Che è solo questione di tempo, probabilmente poco. La Lega, in un remake della crisi di governo già vissuta ai tempi di Forza Italia, aprirà le danze. Questa alleanza con Berlusconi l'ha fatta perdere troppo nei suoi feudi del nord, dove ha perso città, dove c'èstata un'affluenza bulgara ai referendum. Il “basta prendere sberle” riassume tutto ciò che accadrà nelle prossime settimane.
Il PdL sta andando verso la dissoluzione. Non appena il governo cadrà, ci sarà la resa dei conti. Del resto la resa dei conti per spartirsi le spoglie tra i vari sudditi del del sovrano, di un'eredità politica sempre più pesante è già iniziata. A un certo punto diventerà una corsa col tempo, perché il terzo polo sta già affiorando, nonostante i suoi magri successi elettorali e il suo non protagonismo in quest'ultimo frangente politico. Raccoglierà le scorie della dissoluzione nell'ottica di una ricomposizione del centro-destra. Vivaddio di un polo conservatore di principi ispiratori costituzionali e democratici.

Questo processo va visto con favore, ovviamente. Ma non va sostenuto o addirittura visto dentro a un quadro di alleanze politiche come nel disegno di D'Alema emerso a Macerata. Il PD ha la pessima abitudine di raccogliere i favori elettorali di una sinistra di popolo, che poi va a consegnare alle forze e alle politcihe peggiori, neoliberiste, del capitale italiano. Fini, Montezemolo, Casini e soci, questo rappresentano.
E' quindi importante vedere questo successo della democrazia di base come un punto di partenza irriducibile alle strumentalizzazioni di palazzo. Anche quelle di “sinistra”. La forza maturata con i referendum su aspetti basilari come la salvaguardia del bene comune dagli appetiti dei pescecani di sempre, e un modello energetico alternativo, deve svilupparsi in più mature e incisive iniziative sociali, che mettano in discussione seriamente il “modello di sviluppo” imposto da un'oligarchia industriale e finanziaria che ha aderenti in tutto il quadro partitico istituzionale, almeno fino al PD.

Si è aperta una nuova fase politica nel paese, in cui diviene possibile cambiare aspetti strutturali della vita economica e sociale. E per questo, sarà bene non smobilitare, anzi, vigilare e proseguire nell'azione politica dal basso. Soprattutto perché ora, i pericoli più grandi per un'alternativa politico-sociale ed economica a questo modello di sviluppo, sono l'inerzia, il rilassamento dopo la vittoria da una parte, e dall'altra i tentativi di un'uscita dal berlusconismo in chiave neocapitalistica. Un asse terzo polo-PD che si va a impadronire della scena politica, a causa di un ceto dirigente democratico più attento alle voci dei comitati d'affari che a quelli popolari. Non dimentichiamoci che se siamo arrivati a questo punto è perché a dominare le scelte dei più diversi governi, tra inciuci ed alternanze a copia carbone, è stato un capitalismo che ha finanziarizzato l'economia, seguendo il mainstream monetaristico delle potenze economiche occidentali, con l'aggravante tutta italiana del parassitismo, del campare sui soldi pubblici e sul costruire fortune sulla ricchezza sociale e le risorse pubbliche del paese.

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