domenica 5 giugno 2011

PER UNA POLITICA DEI COMUNISTI. LA TATTICA NEL NUOVO QUADRO POLITICO-SOCIALE


Io mi chiedo perché i comunisti non fanno i comunisti. Finiscono sempre per dividersi. C'è chi fa conventicole settarie nella migliore tradizione dell'estremismo o comunismo "di sinistra". O chi si burocratizza in politiche di palazzo, senza palazzo.

Vediamo allora quale sarebbe il da farsi.
Innanzi tutto, l'esempio più calzante, anche se apparentemente lontano, ma molto eloquente sul piano metodologico è il lavoro politico del PCI durante la Resistenza. Con tutti i vantaggi di un'azione politica alla luce del sole e nel pieno riconoscimento e adesione del contesto democratico vigente.

Quello che interessa è come sempre il rapporto tra avanguardia politica e classe, tra partito e masse, più in specifico tra soggettività comunista e movimenti.
Anche presupponendo una disunione tra forze comuniste, diviene vincente la costituzione di comitati popolari su tematiche specifiche e la partecipazione a quello già esistenti, dal lavoro all'istruzione, dai rifiuti all'acqua bene pubblico, dal pacifismo alle diversità di sesso.

Come riuscirono i comunisti a coordinare e sviluppare le lotte in fabbrica, ad arrivare agli scioperi del '43 nei poli industriali del nord Italia? Le condizioni oggettive ossia l'occupazione e la repressione nazifascista, unite alla miseria e alla fame alimentavano le condizioni soggettive sociali della lotta antifascista che si andava così diffondendo tra la popolazione come attitudine all'azione.

Così anche oggi, la crisi che sta dilagando e che non ha ancora toccato il picco "greco" in Italia, presuppone un lavoro di organizzazione politica di massa all'interno della realtà in cui vive, lavora e agisce "istintivamente", su tematiche specifiche la classe.

Lo scopo è estendere l'organizzazione dal basso delle avanguardie più coscienti è stringere allenaze con settori colpitio anch'essi dalla crisi (tenere presente dell'allargamento delle condizioni di immiserimento della classe media), in previsione della cr3scita di un movmento d'opposizione più vasto e della sua stabilizzazione. lavorare per questo per arrivare a degli stati generali ancora più maturi delle attuali lotte in Spagna. Essere i portatori attivi dell'esercizio della democrazia diretta, elemento imprescindibile per ridare corpo sociale a una democrazia corrotta e devastata dalla partitocrazia, dai comitati d'affari, dall'influenza trasversale del potere capitalistico sulla politica italiana.

Tra tutte le forze politiche comuniste oggi presenti nel paese, non ve ne è una che abbia questa cognizione lenin-gramsciana della lotta politica. Ma l'unica che può avere una forza d'impatto più incisiva è Rifondazione Comunista. Nonostante la perdita numerica e di autorevolezza, le scissioni, la non presenza in ambiti istituzionali a partire dal Parlamento.
Questo tracollo va vissuto come dei colpi subiti dalla repressione. Quanti partiti comunisti hanno poi avuto la forza di correggere gli errori tattici e politici e di fare tesoro dall'esperienza pregressa!

Comitati popolari, presenza nei movimenti, allargamento delle alleanze a settori che probabilemente non abbiamo mai sentito come affini, ma che probabilmente sul terreno della finanziarizzazione e del monetarismo imperante, di devastazione e impoverimento sociale possono svolgere un ruolo attivo di opposizione.

L'opzione vendoliana non ha gambe e crollerà sotto il peso delle contraddizioni politiche con il PD, non appena lo sviluppo poderoso di un ciclo di lotte sociali scombinerà le carte in tavola.
Il centro-sinistra può servire oggi per allargare spazi di democrazia sociale, ma non ha alcuna portata strategica nella politica italiana da un punto di vista di classe, di affermazione degli interessi sociali delle classi popolari.

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