mercoledì 23 settembre 2009

RIFORME O RIVOLUZIONE?


Oggi la questione è mal posta. In primo luogo tutti parlano di riforme. La riforma è diventato un luogo comune buono per tutte politiche. Anche la legge sui respingimenti è definita "riforma". E la rivoluzione ha una carica utopica che non pertiene più il luogo della politica. Come tema interno alla sinistra, alla sua politica e alla sua storia, riforme e rivoluzione rappresentavano le due opzioni che dividevano il movimento internazionale del socialismo, sin dall'Ottocento. E poi l'Internazionale comunista da quella socialista. Riformismo era diventato successivamente un campo del tutto interno ai sistemi capitalistici, all'interno delle democrazie rappresentative. In Italia, con il PCI, da Togliatti e dal dopoguerra in poi, si è sviluppato in varie visioni di sviluppo progressivo al socialismo. Una rivoluzione fatta di riforme progressive verso il socialismo. Il riformismo si è poi staticizzato in una supina accettazione di un punto di vista borghese dominante. Gli esiti del percorso progressivo del PCI sono sotto gli occhi di tutti.

Di contro, i rivoluzionari del dogma leninista, dal maoismo al trotzkismo, contrapponevano la rivoluzione alle riforme. Che fosse "culturale" cinese o "permanente" quartinternazionalista. La rivoluzione ha attraversato anche i gruppi e le organizzazione della sinistra rivoluzionaria delle due grandi ondate: '68 e anni '70. Con una progettualità incapace di fare politica seriamente, di costruire, proporre, contrapporre, in relazione dialettica con la realtà storica di quei periodi tragici e straordinari. Potere Operaio- Autop, Lotta Continua, ecc.

In questa nuova fase storica, la questione posta in questi termini, a mio modo di vedere, non ha più senso. Una politica di riforme forte, va a scalzare gli attuali assetti politici, economici e sociali. Sposta i rapporti di forza. E' quindi rivoluzionaria. Battere i poteri forti e aprire a una stagione di riforme politiche ed economiche, significa trasformare dei contropoteri che vivono nella società sulle contraddizioni del capitalismo, in poteri costituenti di una nuova società. In questo senso è rivoluzione. Ma in un contesto fortemente partecipativo, nell'ambito del nostro assetto democratico è riforma. Per troppo tempo la sinistra si è nascosta dietro concetti sterili, ossificati. Validi nel momento storico in cui furono teorizzati e praticati. Ma tutti da verificare poi. Nelle costituzioni, nelle carte che fondano le democrazie occidentali, dalla Rivoluzione Francese in poi, passando per il suffragio universale, esistono tutti gli elementi per costruire una società pluralista, democratica, ma al tempo stesso rivoluzionaria e socialista. Potrà sembrare la mia un'eresia. Ma pur dando tutto il valore che ricopre ancora oggi la Rivoluzione d'Ottobre, il primato di rivoluzione epocale va a quella francese. Anche da un punto di vista di classe. Rivoluzione di diritti, di libertà economiche e sociali, che possono essere viste da una pluralità di punti di vista. Forse è nell'assolutizzazione dell'Ottobre che vive nelle pieghe del movimento comunista il mostro del totalitarismo.

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