mercoledì 29 settembre 2010

ATTINGERE DALLA STORIA DEL MOVIMENTO COMUNISTA.


Nel mio post precedente, nutrivo seri dubbi sulla possibilità di arrivare a un vero cambio nel paese. Che di questi tempi non può che essere una trasformazione rivoluzionaria della società. Il riformismo infatti non basta. Non basta il miglioramento di quel che c'è. Occorre distruggere per costruire. Distruggere poteri, privilegi, posizioni di rendita, sistemi di accumulo di risorse e danari nelle mani dei soliti, di gestione della cosa pubblica fatta da pochi organismi interessati a rapinare e depredare, a trarre il massimo profitto e vantaggio.

Probabilmente non una rivoluzione come la intendevamo nel Novecento e nel secolo precedente. Ma che cos'è il ribaltamento dei poteri in una società, se non un processo rivoluzionario che porta una moltitudine organizzata a "essere stato" e a gestire l'economia e la società nel suo complesso? L'avvento di una democrazia reale, di popolo, anche con le leggi di questa stessa Costituzione che abbiamo, è di per sé una rivoluzione.

Ma il problema non è solo che chi ha oggi il potere, governante o oppositore di facciata che sia, comunque forza di casta politica o cricca finanziaria o corporativa, non è disposto a lasciarlo spontaneamente e che, quindi, si prefigura uno scontro aspro dai contorni non ancora definibili.
Il problema è che anche chi sta spingendo dalla base sociale per il cambiamento, ha le idee confuse. Ha programmi belli e suggestivi come quello del Movimento 5 Stelle, o come il Popolo Viola. Ma poi non è in grado di costruire un progetto politico e un'organizzazione di massa che sia in grado di portare la rottura politica stessa, il conflitto sociale a forme di rappresentanza e di potere costituente adeguato alla situazione e con modalità realmente democratiche.
Tutti questi personaggi, anche i più puri, che si affacciano alla politica all'interno di questi movimenti, dovrebbero rileggersi la Comune di Parigi di Marx, ancora molto attuale.

So di sembrare un vetero, ma la questione fondamentale è quella di una forza di avanguardia che sappia assumere la direzione politica del conflitto. Non il classico partito rivoluzionario leniniano. Quello, in una forma rinnovata, senza burocrazie e cricche interne, dovrebbe essere parte di questa avanguardia, che è molto più eterogenea e variegata, perché deve comprendere più anime, culture, provenienze.
Una forza politica comunista, che sia più specificamente il partito della classe operaia e degli strati sociali definibili "proletariato", occorre. E questo è il cuore di un altro problema, quelle delle dinamiche tra linee interne, tra forze comuniste.
Guardando invece a questa avanguardia di settori sociali in movimento, lo vedrei più come un fronte organizzato che trova la sua sintesi politica nella dialettica tra le parti, che un partito.
Altrimenti torniamo al leaderismo, Grillo for president...

Occorrono regole condivise, perché già fin da adesso queste esperienze perdono pezzi, la democrazia interna fa acqua da tutte le parti. Va bene la rete, per trovarsi, per organizzarsi. Ma poi occorre la fisicità delle facce che si incontrano e si parlano, la materialità di un auditorium, una sede fisica di confronto e decisione. Non bastano i concertoni e le iscrizioni in rete. Non basta ed è dannoso che qualcuno si arroghi il diritto di parlare e decidere per qualcun altro, organizzando manifestazioni, creando casino, come è successo nel Popolo Viola, in rapporto alla manifestazione sindacale del 16 ottobre.

Occorre quindi, un soggetto comunista che sappia agire in questo contesto, con intelligenza e capacità politica e organizzativa. Questi movimenti, checché ne dica Grillo, sono parte della sinistra, anzi: attualmente sono la parte migliore della sinistra. Per questo poche palle: BISOGNA ESSERCI.

Il patrimonio politico del movimento comunista non è solo il fallimento di esperienze illiberali nel pantano di altre caste burocratiche di triste e recente memoria. E' anche capacità di creare organizzazione politica nei movimenti di massa, di elevare la coscienza della classe e dei settori sociali in conflitto con la borghesia dominante, di agevolare la crescita di un potere costituente. Una volta si parlava di potere operaio. Oggi la questione è più complessa e vasta. Ma la sostanza non cambia.

Una vittoria elettorale, una presenza politica forte nei punti vitali del paese, una sorta di contropotere nei gangli della vita economica e sociale, un'egemonia culturale che costituisca un blocco storico, per dirla alla Gramsci, non è impossibile neppure in questo sistema di potere mediatico. La rete, i legami che si creano quando cadono le routine, la vita usuale imposta da questo sistema di relazioni vigenti, sono molto potenti, perché si alimentano del conflitto e alimentano il conflitto stesso.

Ecco il nostro patrimonio di comunisti. Siamo il paese di Gramsci. Inforchiamo questi formidabili occhialini rotondi della storia!

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