domenica 19 settembre 2010

CENTRALITA' OPERAIA


La fabbrica, il punto di concentrazione maggiore della forza lavoro, il luogo dove avviene gran parte del ciclo produttivo nella sua compiutezza, dove il capitalismo investe capitale fisso e non disperso, frantumato o finanziarizzato, dove occorrono i margini reali, immediati, di profitto, dove il funzionamento del processo produttivo deve raggiungere il massimo controllo per massimizzare le plusvalenze e contenere i costi, ancora una volta è il luogo centrale dell’attacco padronale e dello scontro in atto.

Lo si è visto con Pomigliano, con i tre licenziati di Melfi e con la rottura del contratto dei metalmeccanici. Ancora una volta la Fiat si pone all'avanguardia dell'attacco padronale ai diritti, alle condizioni di lavoro. Episodi che non restano circoscritti alla sola Fiat e al mondo della fabbrica, ma che vanno a ripercuotersi su tutta l'organizzazione del lavoro, che ridisegnano contratti, statuti, patti sociali.

Così, mentre il PD, pur con diverse sfumature, prende le distanze dalle componenti del sindacato in lotta (CGIL FIOM in primis), pone la questione operaia come del tutto secondaria in una questione più generica e fumosa del lavoro, arrivando ad anteporre a questa le ragioni dell'impresa, assistiamo a una frammentazione della sinistra nel suo complesso. Che non comprende questa centralità. Tutt'al più richiama alla lotta operaia con mera vis retorica, disperdendosi però nel dedalo di rivendicazioni e lotte di carattere sociale vario, commettendo il medesimo errore del PD, anche se in chiave classista.

Chiarisco: non che la questione della difesa della Costituzione e della democrazia, oggi al centro dello scontro politico, non sia appunto centrale. Non che battaglie sociali come l'acqua, il nucleare, la TAV, ecc. non vadano caombattute, anzi.


Ma occorre che la sinistra di classe e in primo luogo le forze comuniste riconoscano nella questione operaia, l'aspetto primario e dirimente per lo sviluppo di un'alternativa politico-sociale seria e credibile.

La questione operaia è la punta di diamente della questione del lavoro, il punto di comparazione di questioni come l'occupazione, il processo di precarizzazione del lavoro, la disoccupazione, le condizioni di lavoro, i contratti, la democrazia economica nel suo complesso.


La difesa dei diritti in fabbrica, la lotta sui contratti che la FIOM e la CGIL, che le rappresentanze di base portano avanti è doverosa. ma qui si pone una vecchia questione leniniana, ancora oggi attuale. Che le lotte economiche sono lotte politiche sotto le mentite spoglie del rivendicazionismo. E che quindi come tali vanno disvelatei, vanno coniugate come lotta politica dell'avanguardia sociale. Classe operaia come avanguardia sociale, come fulcro dell'autonomia di classe, ancora oggi, in era di ecologismi e di giuste analisi sulla problematica epocale dell'eco-sistema. Anche nel momento in cui affiorano spunti teorici da prendere in considerazione come come la decrescita.


Perché la classe operaia in sé, fulcro della produzione materiale del capitale e quindi della riproduzione sociale dei rapporti capitalistici, è elemento sociale, è la cellula del potere di classe, del contropotere che dir si voglia. Lo è a maggior ragione oggi, nel momento in cui il capitalismo, morto il modello del socialismo reale, rivela tutti sui limiti nel suo implodere in crisi disastrose, la sua incapacità di essere modello economico e sociale che garantisca la sopravvivenza dell'umanità e del pianeta (figuriamoci del loro progresso sociale e dei diritti!).


Se i comunisti e la sinistra tutta assume questa comprensione di fondo, riuscirà a porre le basi per una sua rinascita politica, e per costruire un'autentica alternativa sociale all'attuale sistema capitalistico.

Oltre le singole "parrocchie", le singole facce da governatore, le misere posizioni di rendita di qualche capetto che campa sui vecchi allori.

E' proprio oggi, che si rende di vitale importanza il lavoro politico delle avanguardie comuniste. Una classe reietta, che sali sui carriponte e fa lo sciopero della fame per un misero piatto di lenticchie, deve riprendere coscienza della sua forza materiale nello scontro sociale, deve riappropriarsi dei luoghi di lavoro. E' la linea del Piave per tutti gli strati sociali che oggi subiscono il peso dello sfruttamento selvaggio e della crisi: è la classe che deve orientare la sua rigidità oggettiva in uno scontro senza quartiere contro le condizioni, i ritmi, l'alienazione da ogni attività umana autonoma che il capitale con i suoi parametri spacciati per oggettivi impone.

Che deve sparare sugli orologi del tempo capitalistico, sui tubi catodici che normano la giornata di milioni di persone. Altrimenti le attività liberate, le isole del km zero, di nuove forme di produzione e consumo, non avranno mai luogo. Se ne rendano conto anche gli aedi della nuova imprenditorialità, della green economy. La questione operaia riguarda anche loro.

Nessun commento:

Posta un commento