sabato 16 ottobre 2010

ALLOSANFALCE E MARTELLO.



A chi sosteneva con teorie tipo “società dei due terzi”, la fine dei movimenti operai come movimenti antisistemici, la fine del socialismo come formazione economico-sociale oltre la società di mercato e il capitalismo, dovrebbe ricredersi.

La crisi di sistema in cui è entrato il capitalismo come sistema-mondo, riporta al protagonismo politico le forze sociali del salario, i lavoratori e quello che può essere definito proletariato anche nel centro dell’imperialismo, nelle società a capitalismo avanzato. E’ una crisi profonda che come una forbice divarica le differenze sociali, annienta la piccola e media borghesia nella sua composizione sociale, che riempie le mense della Caritas, che precarizza senza proletarizzare (salarizzare, ossia gli strati sociali medi non entrano nel processo produttivo, nel mondo del lavoro).


In poche parole, l’immane trasferimento finanziario nelle poche mani di abili broker, che rende alla stregua di normali imprese private soggette a fallimento interi stati (vedi il caso della Grecia), non ha fatto altro che accelerare le contraddizioni fisiologiche del capitalismo stesso, a partire dalla caduta tendenziale del saggio di profitto e della riduzione del capitale variabile.

Aperto un inciso: attenzione a non ricadere nelle visioni meccanicistiche del bordighismo. Abbiamo capito come la soprastruttura capitalistica sia in grado di mettere in opera contromisure, come una sorta di anticorpi. Nel concetto gramsciano di egemonia culturale e blocco storico c’è tutto il necessaire per comprendere ed operare. Chiuso l’inciso.


Le imprenditorie forti trasferiscono le produzioni nelle aree del mondo meno o per nulla sindacalizzate e depauperano gli stessi mercati in cui operano, quelli occidentali, statunitense ed europeo in primo luogo, dove i forti debiti pubblici fanno saltare sempre di più i meccanismi di protezione sociale dei welfare. La fine del keyneismo.

Quindi, fine dei pipponi alla Darendhorf.


In questo scenario, abbiamo visto forze sociali del lavoro e giovanili, in Grecia, contrastare le misure draconiane imposte dal FMI per “salvare” il paese. Una prima avvisaglia positiva, ma inevitabile date le condizioni economiche disperate elleniche.

Ma assistiamo anche a lotte forti e vaste del mondo del lavoro, dall’industria al terziario, a quelle giovanili e studentesche, in un paese come la Francia, non ascrivibile nell’area PIIGS in Europa. Una risposta tuttavia poderosa alla “riforma pensionistica” del governo Sarkozy, che ci fa delineare un nuovo corso in tutto l’antico continente.


Più della Grecia, più della Spagna, la Francia fa da apripista al nuovo ciclo di lotte sociali che si va prefigurando e che investe anche le aree di capitalismo avanzato e i poli economici più evoluti e a maggiore concentrazione di attività industriali e terziarie.

La questione si pone a più livelli, paese per paese: da classi sociali indisponibili a perdere la qualità della vita garantita dai precedenti dettami previdenziali (Francia), a classi sociali che hanno ormai poco o nulla da perdere e se la giocano con la forza della disperazione (Grecia). La saldatura transeuropea è solo questione di mesi, perché comunque il comune denominatore nelle società occidentali, la crisi economica e l'attacco ai diritti del lavoro, la desertificazione di interi poli economici, l'indigenza diffusa, pervadono anche le ricche metropoli del centro-nord Europa.


In questo scenario, emergono tutti i limiti delle politiche messe in opera dalle socialdemocrazie quando queste sono al governo. Papandreu, Zapatero in primis, stanno a dimostrare, che al dunque, i costi delle emergenze vengono presentati alle fasce sociali più deboli, a vantaggio del capitale finanziario, i cd “investitori”, il nulla significante del “far quadrare bilanci”.


Diviene dunque possibile concretizzare una rinnovata unità di classe internazionale europea, tra ceti popolari e del mondo del lavoro che inevitabilmente produrrà contraddizioni anche nel campo del socialismo istituzionale e delle socialdemocrazie. Avere chiaro questo, significa orientare il lavoro politico della sinistra anticapitalista alla ricostruzione di fronti di lotta vasti, tra forze politiche. Già la crisi e le lotte sociali in Spagna hanno fatto perdere le primarie del PSOE a Zapatero. Per cui è possibile prefigurare nuovi schieramenti a sinistra, dove però i comunisti devono fare da espressione diretta della parti più mature politicamente dei movimenti operai e sociali e al tempo stesso da collante, da pontieri riguardo le sinistre delle socialdemocrazie.


La manifestazione di oggi a Roma la dice lunga su come il PD non abbia alcuna iniziativa politica sul tema e proceda in ordine sparso. I tempi per un nuovo soggetto politico, di un moderno principe che sposti avanti il conflitto sociale, la critica culturale e l'azione politica sono maturi. Molto Maturi.



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