martedì 10 agosto 2010

ONTOLOGIA DEL SOCIALISMO /2


Il mondo è scosso da guerre, deportazioni, eccidi, pulizie etniche, terrorismi. Il capitalismo, l'ultima frontiera del comunità umana sta implodendo in violenze e ingiustizie che a narrarle viene da piangere.
Nell'ontologia del socialismo non può non esserci l'etica della nonviolenza. Non come valore assoluto, certo (la Resistenza dove la mettiamo? In certe fasi storiche, certe scelte sono obbligate), ma come elemento fondamentale della politica di chi non ci sta a dirimere le controversie nel consorzio degli esseri umani con mezzi barbari, con la prevaricazione. In nessun altro ambito il fine coincide esattamente con i mezzi per ottenerlo.
Ciò non significa porgere l'altra guancia, o peggio: negare i conflitti, che esistono perché la società è divisa in classi, etnie, corporazioni, ceti, nazioni, ecc.
Ciò significa gestire i conflitti per trovare soluzioni comuni, mettere sempre al centro il dialogo, che è l'elemento più alto e positivo di ogni conflitto, l'elemento dirimente, che risolve realmente le contese, perché basato sul reciproco riconoscimento dei rispettivi e diversi punti di vista.
Essere socialisti significa aborrire i punti oscuri della grande vicenda umana che è la storia. La shoa, i gulag, gli orrori della sopraffazione, del totalitarismo, della pena di morte, della tortura.
Il socialismo, il comunismo come movimento che abolisce lo stato delle sfruttamento e le ineguaglianze, possono solo essere concepiti come esperienze e manifestazioni di una visione libertaria e laica del mondo nuovo per il quale si lotta.
E' un'ontologia che sancisce l'indissolubile legame identitario con la democrazia, con i diritti umani, civili e politici.
Credo che la cesura con gli emergenzialismi totalitari di un comunismo di guerra, di "rivoluzioni culturali" a tappe forzate, con tutta l'esperienza di un comunismo otto e novecentesco sia tutta qui.
Ogni identità ha un lato oscuro e uno illuminato. La storia dei movimenti operai e socialisti, del movimento comunista e delle lotte di liberazioni antimperialistiche ha degli stupendi tratti di luce, nonostante il socialismo reale, i khmer rossi, la Cina di oggi, l'avvitamento di Cuba a un socialismo sclerotico.
Molte cose dovevano essere fatte, molte esperienze dovevano essere compiute. Ne siamo figli, ne siamo il prodotto storico e politico. Ma oggi la storia dei comunisti può essere altro e andare oltre l'epoca delle cortine di ferro, dei muri, dei gulag.
Questo grazie soprattutto agli eretici, che hanno subito il peso e le ritorsioni delle ortodossie ufficiali. Il pensiero carsico ma di lungo percorso di chi ha saputo rivolgere contro le tragedie e i fallimenti, la vivificante riflessione critica, la dialettica della teoria e prassi nei nuovi movimenti della seconda metà del secolo scorso.
Questo meglio va tratto e ripensato, riportato nelle mutate condizioni attuali.
Una luce che si intravedeva anche nelle pieghe dello stalinismo stesso, nella lotta e nel sacrificio, nella strategia politica unificante dei comunisti nella guerra di liberazione dal nazifascismo. basta solo andare a rivedere gli atti e i documenti, gli articoli e e i documenti di partito di quel terribile biennio.
Non dobbiamo avere paura della nostra storia. Dipingerci di viola quando abbiamo un rosso vivo nel nostro essere più profondo e autentico. Un rosso fatto col sangue degli oppressi e dei milioni di militanti che hanno dato la vita per la più nobile causa che il mondo moderno e contemporaneo abbiano conosciuto negli ultimi 150 anni.
Ecco, se vogliamo definire l'ontologia del socialismo, sono questi gli aspetti che emergono al di là degli stereotipi. Non è poco.

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