martedì 1 novembre 2011

APPUNTI SULL'AUTONOMIA DI CLASSE


Se la politica delle oligarchie finanziarie e i flussi automatici della speculazione dio borsa in rete (mi piace il raginamento di Bifo su questo aspetto), stanno portando a una innarrestabile caduta delle condizioni di vita, dei patti sociali, alla morte delle aristocrazie operaie e a una riduzione quantitativa delle classi medie, la società stessa ha in germe la via d'uscita. Non penso a un conflitto sociale espresso e praticato dai marxismi per tutto il Novecento. Le guerre civili tanto per capirci. Su questo terreno il monopolio della forza bellica, che in primis è tecnologica, ce l'hanno gli stati. Saremmo destinati a sconfitta certa. Piuttosto la questione riguarda punti nodali dell'esistenza stessa del sistema capitalistico, come la produzione, il consumo, ossia tutti meccanismi della riproduzione sociale. Disobbedienza civile, boicottaggio, occupazione del territorio, fabbriche, quartieri, luoghi dove si esercita il potere e il comando d'impresa e statale, sarà quella somma di pratiche antagonistiche, che sempre più diffuse faranno "saltare il banco". Il capitalismo per riprodursi, fare profitto ha bisogno di noi. Se i nuovi schiavi si ribellano all'interno dello stesso corpo dell'impero, sono i germi che lo corroderanno dall'interno stesso.

Ci siamo mai chiesti perché quando una massa di cittadini va a chiudere i suoi conti in una banca chiamano subito la polizia? Se contrapponiamo la guerra alla guerra facciamo un favore all'avversario. Ma se lo attacchiamo sui profitti, sui meccanismi del consumo e della rendita, se ci appropriamo di ricchezza sociale, se autoriduciamo bollette e cartelle, se occupiamo fabbriche decotte come in Argentina e le facciamo funzionare con i nostri tempi e la nostra organizzazione del lavoro, allora vedi come si cagano in mano! L'Automia Operaia aveva idee rivoluzionarie, perché la questione del controllo operaio nelle fabbriche e proletario nel territorio era la questione del potere. Il rifiuto del lavoro esprime la tendenza generale della diminuzione di capitale variabile in rapporto al capitale costante, del lavoro umano in rapporto al lavoro delle macchine nel ciclo produttivo, come la sovraproduzione generale di capitali e merci esprime. Nell'attualità di questa fase storica il rifiuto del lavoro è principalmente strumento di lotta per rivendicare reddito di cittadinanza, salario sociale. E'ancora difficile farlo capire a chi lotta per il lavoro perché lòo vede come unica fonte di reddito. Ma se il lavoro tende a contrarsi, che facciamo accettiamo la logica del capitale che ci vuole solo salariati e poi non ci dà il lavoro e si arroga questo diritto? Il diritto vero è quello di cittadinanza, il diritto al benessere in tutti i suoi lati, salute, casa, istruzione, cultura. Questo non ci spetta più a fronte di una giornata lavorativa. CI SPETTA E BASTA! Affermare questo diritto ci porta dritti a una società svincolata dal profitto, a un'attività umana che si pone sul piano di "Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". Ilo lavoro dell'avanguardia è quello di capire questa tendenza storico materiale e farla vivere con intelligenza nel corpo sociale alienato ed estromesso dall'opulenza di classe.

Certo, non pagare i debiti. Le risorse di un paese, la ricchezza sociale devono andare al popolo, ai cittadini, a partire dai bisogni primari di chi sta subendo il peso di questa crisi. Far crescere questo movimento, secondo me, significa delegittimare il loro giochino di rapina sistematica della ricchezza sociale dei paesi. Questo però deve legarsi a un'alternativa sociale forte. Finalmente, se la crisi proseguirà il suo corso, non potrà che porsi la questione del potere reale concreto, che è la questione della democrazia, quella vera, partecipata. Questa è la condizione per il cambio sociale. In Islanda sono andati sul soft, hanno ripensato a una società di mercato, ma a partire dagli interessi della collettività islandese. Sono però in 300 mila. Qui si andrà sul pesante.

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