sabato 2 aprile 2011

BOMBARDAMENTI VOLONTEROSI: "AVETE UCCISO 15 DEI NOSTRI"...


Sembrerò cattivo, ma ai rivoltosi libici dico: vi sta bene, così imparate a reclamare gli aiuti armati delle potenze occidentali, a sventolare bandiere francesi nelle vostre piazze. I veri rivoluzionari sono sempre antimperialisti.

Detto questo, la vera natura dei processi rivoluzionari popolari e democratici nei paesi arabi si sta manifestando anche nell'internazionalizzazione delle lotte. Ma non per l'intervento dell'Occidente, bensì per tutto il nord Africa in fiamme: per esempio sono molti gli egiziani che arrivano in Libia per sostenere il fronte anti-Gheddafi.

Ma questa non è solo una lotta locale. Il conflitto sociale arabo si raccorda con le lotte operaie e di classe dell'Europa, dalla Grecia alla Francia, alla stessa Italia. Sarkozy ha dispensato violenza e repressione verso i casseurs, la comunità nordafricana nelle banlieu parigine e di tutte le metropoli francesi. E oggi è in prima fila nel condurre un'iniziativa di guerra che meglio rappresenta la politica delle potenze imperialiste dell'area. Della democrazia in Egitto, Tunisia e Libia non gliene frega nulla. Sostengono le forze sociali arabi, il proletariato nordafricano per controllarli politicamente e militarmente. Se queste fallissero, tornerebbero a sostenere i vecchi dittatori o altri despoti sanguinari. Tutto va bene per controllare le risorse energetiche, la forza lavoro dell'area, i flussi migratori.
In gioco c'è l'organizzazione del lavoro dal Mediteraneo al nord Europa. Petrolio per posti del lavoro, per ricchezza sociale e salari più alti per il proletariato arabo? Giammai! Ecco perché si sono levati in volo gli aerei.

Di contro, le classi popolari maghrebine, egiziane, tunisine, rivendicano insieme al benessere e al lavoro, libertà e democrazia. Queste ultime, che ultime non sono, non possono fermarsi alla sola riformulazione di un sistema politico nazionale, ma che devono significare sgretolamento degli ultimi muri, quelli mai caduti dopo quello di Berlino: quelli che dividono il nord avanzato dal sud del mondo indigente, affamato, rapinato, oppresso.

Ecco perché c'è oggettivamente un filo rosso tra le lotte nei bacini di manodopera a basso costo per l'occidente e le lotte sociali ed economiche del proletariato industriale e postfordista, frantumato, precario e polverizzato nel territorio, delle metropoli europee, da Atene a Parigi, da Madrid a Napoli.
Un'oggettività che delle avanguardie sganciate da qualsiasi opzione socialdemocratica basata sulla concertazione economica di sempre, devono riproporre sulla costruzione di un soggetto internazionale.

Di un nuovo internazionalismo proletario sto parlando. Con la consapevolezza che ormai da oltre 120 anni, dall'integrazione della seconda internazionale nelle politiche borghesi agli inizi del '900, esiste nella sinistra europea (e non solo), la tendenza a sostenere nel nome di non meglio precisati "interessi nazionali", i sistemi economico-sociali capitalistici, dal fordismo al migliorismo keynesiano. Ed esiste una tendenza all'entrismo, all'assimilazione di forze comuniste, della sinistra radicale dentro questo ventre molle del socialismo democratico. Lo si è visto con il PCI-PDS-DS-PD, ma lo si vede anche con il protagonismo a parole, ma in realtà di servizio alle opzioni di centrosinistra più antipopolari e di sostegno ai poteri forti, casta politica in primis, dei nuovi soloni alla Vendola.

La svolta di una politica di classe, comunista e rivoluzionaria è un'esigenza improcrastinabile. Occorre essere interni alla classe e alle sue istanze, e non essere sodali di alleanze oscene con la scusa dell'antiberlusconismo.

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