martedì 6 ottobre 2009

LA CLASSE

Mi torna in mente una bellissima spiegazione sulla centralità operaia nelle società pre-capitalistica e capitalistica, nel processo rivoluzionario. Una spiegazione che diede un partigiano comunista, il commissario politico di una Brigata Garibaldi a un suo compagno. Prese l'esempio dei contadini. I contadini una volta fatta la rivoluzione, espropriano le terre ai latifondisti. Ma tendenzialmente cosa fanno? Se le dividono: ognuno il suo pezzo di terra. E gli operai, cosa si dividono? Uno un tornio, l'altro una pressa? La classe operaia è per sua natura la classe che ha l'interesse materiale, per la sua posizione nel processo produttivo e di riproduzione dei rapporti di produzione capitalistici, a portare la società verso il socialismo, verso la socializzazione dei mezzi di produzione. Questo era vero nelle società pre-borghesi ed è stato vero per tutto il Novecento nelle società a capitalismo avanzato, nel taylorismo. Sino ad oggi. Ma con una differenza (parlo delle società a capitalismo avanzato): che la riproduzione capitalistica e la divisione del lavoro, la parcellizzazione dei momenti della produzione si sono estese anche fuori dalla fabbrica, nei processi di riproduzione economica come il terziario e il commercio, e sociale come le istituzioni e il territorio. Ciò significa che la centralità della classe operaia è condivisa con altri soggetti che non potrebbero appropriarsi di alcun momento od oggetto della riproduzione materiale della società, se non a livello collettivo. Ciò descrive bene l'attualità del socialismo/comunimo, come politica volta alla collettivizzazione della riproduzione sociale, superando l'alienazione del bene comune e delle risorse, della proprietà dei mezzi portanti del funzionamento della società, oggi nelle mani di una classe ristretta, imprenditoriale e finanziaria, nella disponibilità amministrativa di consorterie, lobbies, della casta politica dell'inciucio.
La rivolta della società civile allo scempio del bene comune, alla dittatura mediatica che descrive l'odierna società italiana come una nuova forma di totalitarismo da programma televisivo, deve far riflettere la sinistra. Una sinistra radicale che è rimasta a un'analisi della composizione di classe su vecchie categorie: la visione fordista di separatezza tra operaio massa e tutto ciò che è esterno al processo di produzione e la visione operaistica che è stata in grado di leggere solo mutamenti temporanei: il decentramento produttivo sul finire del secolo scorso. Occorre quindi ridefinire una morfologia della classe. La produzione vera, oggi, è la riproduzione sociale nella sua interezza, ciò che la classe non può scomporre e che va dalla produzione di beni fino alla produzione di senso e consenso. Ma è ciò che anche conferisce una nuova centralità diffusa ai nuovi soggetti alienati (ossia: allontanati dalla ricchezza sociale, dal potere, dall'amministrazione, dai luoghi di produzione della cultura dominante): dalle scorie post-borghesi che sopravvivono nelle metropoli ai lavoratori salariati, dai migranti clandestini ai disoccupati e ai precari, in un melange sociale che spesso non è facilmente connotabile.
Si è detto in molte sedi come in Italia (e non solo) si stia creando un forte divario tra ricchezza e povertà, con interi strati della piccola e media borghesia ridotti all'indigenza. Ma a nessuno viene in mente che la classe che in una società come l'attuale, dove non c'è più nulla da dividere nel processo produttivo, è, anzi sono esattamente quelle categorie sociali che hanno l'interesse materiale (anche se non ancora consapevole) a collettivizzare attraverso un processo di riappropriazione dei mezzi di produzione e riproduzione sociale. I soggetti da grande fabbrica, hanno solo una cifra in più, ma che non dà loro alcun primato: l'organizzazione del lavoro, la sua divisione che porta storicamente e anche oggi a legami sociali e interpersonali e a forme di organizzazione che altri strati sociali non hanno. E' una maggiore facilità alla presa di coscienza e all'organizzazione di base, dal basso. In questo la classe operaia deve tornare a essere trainante. I fatti della INNSE e dei mille rivoli di lotta operaia lo dimostrano. Ma non è una centralità di classe, bensì NELLA CLASSE. Un processo che non può funzionare se non fa da collante all'intera classe sociale estremamente diversificata e parcellizzata, che deve e può prendere coscienza di sé. Ciò che è difficile a farsi è la pars costruens: la classe per sé. La classe in sé esiste già da decenni nelle società mature, nelle periferie metropolitane, nei grandi flussi di migranti. La lotta per i diritti e per la democrazia, è parte integrante di questo percorso. Oggi anche gli strati ex-borghesi decaduti, delle sciure maria alle mense della Caritas, degli immigrati preda delle micro-criminalità, delle famiglie che non arrivano alla terza settimana, posseggono OGGETTIVAMENTE l' interesse alla riappropriazione di ricchezza sociale e di mezzi di riproduzione, che coincidono con la questione democratica, il demos-popolo che esercita cratia-potere. La pars construens è la pars costituens in questa società. Esattamente come i movimenti operai si facevano stato. Deve divenire potere costituente. Chi non capisce questo, continuerà a fare, sindacalismo fine a se stesso, una difesa di bandiera di una composizione di classe che è profondamente mutata, rincorrendo i fantasmi del proprio passato.

Nessun commento:

Posta un commento