venerdì 23 ottobre 2009

SULLE ELEZIONI DEL SEGRETARIO DEL PD




Alla vigilia di queste elezioni del segretario PD, che poco o nulla sposteranno nello scenario politico italiano, è inevitabile fare alcune riflessioni. Se mi ci tirassero per le palle e fossi obbligato con un fucile puntato a fare una scelta, beh, voterei Marino. Bersani è uomo d'apparato e ha come compagni di viaggio personaggi come D'Alema e Bassolino (è notizia di ieri che il bell'Antonio è stato ancora inquisito dalla magistratura): un autentico campione delle liberalizzazioni. Franceschini non è da meno. Al di là della simpatia epidermica che può sprigionare, rappresenta la continuità del Veltronismo, quella "vocazione maggioritaria" che ha reso minoritaria la sinistra in Italia, che ha disperso un capitale politico, che ha segnato l'approdo della politica dell'ex-PCI ai salotti di Bruno Vespa. Marino se non altro, pur essendo un esimio esponente di quei ceti baronali che campano sul servizio sanitario nazionale, rappresenta un elemento di discontinuità con la nomenklatura di derivazione pci e dc. E' più attento alla sua sinistra in una futura politica di alleanze.
Ma al di là di tutto questo, non ci vuole molta analisi per vedere che le primarie sono una farsa, che tutto è già deciso nelle stanze giuste, che la base non conta nulla e che la scollimazione tra dirigenti infilati nella pubblica amministrazione e a Palazzo e società civile resta e resterà. Se poi vogliamo vedere l'aspetto metodologico, non penso che le primarie, anche funzionassero, siano un segno di democrazia. Rappresentano l'affermazione dell'agrippismo più becero. Io Menenio Agrippa tengo in considerazione la plebe... ma la politica la fanno i patrizi. Qui addirittura la cosa è della serie: vi ascoltiamo e poi facciamo quello che ci pare, variante meno fascista, ma non per questo meno "nobiliare" di "io so' io e voi nun siete un cazzo". Fingo dei mandati dal corpo elettorale, ma poi la politica "quella vera" la faccio io, servendomi di quadri intermedi zelanti. Anche la democrazia rappresentativa, elettorale, quella delle nostre democrazie occidentali diventa un vuoto simulacro liturgico di fronte a questa "politica", ossia senza partecipazione alla politica della gente, tradotto a sinistra: della classe. La rivoluzione democratica che il paese si attende, ha bisogno di ben altro. Ha bisogno di una massa critica organizzata che rompa tutti questi argini che vogliono separare il popolo dai luoghi deputati alle decisioni, dalle stanze del potere di partito. Da queste organizzazioni "leggere", che di massa non hanno più nulla e che hanno la precisa funzione di disattivare ogni azione politica che provenga "dal basso". Questo meccanismo lo avevamo già visto negli anni '70, con un PCI che di fronte all'acutizzarsi dello scontro sociale, preferì schierarsi con il potere democristiano, evitando ogni dialettica, ogni confronto politico con quella parte di sinistra e di società che poneva questioni non certo lontane da una visione di costruzione del socialismo e del comunismo. Lo storico inglese Anderson, ha ben delineato (cito un articolo di Ida Dominijanni sul Manifesto) la tara di fondo del PCI, sin da allora e ancor prima, risiedeva in "una prassi dominata dalla ricerca del consenso più che dall'esercizio del conflitto".
Democrazia di partito è un lavoro politico finalizzato a dare valenza politica a ogni istanza di lotta sociale che parta da un giusto punto vista politico, è favorire la partecipazione politica stabile e organica al partito stesso delle realtà critiche che si formano nella società. Gli attivisti di partito non devono essere capi bastone con le mani in pasta ovunque, ma autentici servitori dell'azione politica di massa, dell'autorganizzazione. Questo è il senso dell'avanguardia politica. Le primarie si esercitano nei contesti specifici dello scontro sociale e non hanno bisogno di contratti formali. Così come laddove il capitalismo distrugge e imputridisce le risorse e i mezzi stessi della sua riproduzione, deve affermarsi l'autogestione delle classi subalterne. Lo si è visto da sempre. Le forze partigiane durante la Resistenza avevano anche il compito, non certo secondario, di salvare le fabbriche, gli impianti industriali.
Altro che partecipazione alla politica di partito! Oggi, con un PD che è composto da veri e propri comitati d'affari locali, con le sue entrature negli apparati della burocrazia di Stato, nei consigli di amministrazione del potere finanziario, con la sua prassi di amministrare la res publica con pura logica di mercato, le primarie rappresentano una presa in giro per centinaia di migliaia di cittadini, donne, lavoratori, pensionati, giovani. Chi andrà a votare alle primarie, andrà semplicemente a scegliere quale segretario dovrà in primo luogo conciliare le ambizioni e gli appetiti degli uomini di apparato. Hanno bisogno dell'imprimatur nostro per fare loro quello che gli pare.
Le primarie del PD non sono il segno di una partecipazione popolare, sono solo una loro inutile caricatura.

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