venerdì 9 ottobre 2009

LA QUESTIONE ITALIANA


A rivedere la parte finale de "Il Caimano" vengono i brividi. L'attualità del film di Moretti è sconvolgente, ma in realtà è da anni che nel nostro paese assistiamo a un attacco alla democrazia. Nulla di nuovo, tanto di annunciato. Concentrazione delle principali reti televisive (Fort Alamo Rai 3 esclusa... ma assaltata di continuo) nelle mani del premier, snaturamento delle funzioni del Parlamento con decreti leggi e votazioni blindate con la fiducia, stravolgimento del principio "la legge è uguale per tutti" con leggi ad personam, attacco ai poteri di parti importanti dello Stato, vedi Corte Costituzionale e magistratura, ingresso dei capitali sporchi delle mafie e dei bancarottieri d'ogni risma nel contesto economico legale con lo scudo fiscale, che significa legittimazione di un sistema basato sulla concorrenza sleale, la corruzione, la criminalità a più livelli. Un attacco alla nozione stessa di democrazia, per come l'Occidente l'ha concepita. In discussione c'è il paradigma liberal-democratico da parte di un liberismo criminale, sfascista e fascista che rende l'Italia un'anomalia nel quadro internazionale, associando il nostro paese più a una dittatura pseudo-democratica del terzo mondo che a un sistema democratico moderno. In tutto questo vediamo un'opposizione che non è opposizione, che fa finta che ci sia un rapporto d'alternanza tra forze politiche che si riconoscono parti di un sistema bipolare. Non è così. L'anomalia italiana è tutta e solo italiana, in un contesto internazionale dove neppure gli USA hanno più quel ruolo di regia occulta che hanno contrassegnato i decenni di potere democristiano. Il nostro è un totalitarismo squisitamente autoctono.
Mai come oggi la lotta per affermare principi democratici e regole costituzionali, sempre più sulla carta e meno nel paese reale, coincide con la questione sociale. Tre milioni di persone in Italia fanno la fame, un milione e mezzo di famiglie, il 4% della popolazione. Non è poco. Negli anni '60 e '70, una parte importante della sinistra, quella extra-parlamentare e anticapitalistica, disdegnava gli elementi fondativi della Costituzione, bollava lo Stato come "stato borghese", abbandonando completamente il terreno dei principi che avevano dato vita alla nostra democrazia nella Resistenza partigiana. Forze massimaliste che si crogiolavano nell'incontrovertibile postulato marxiano che definiva l'ontologia sovrastrutturale borghese delle società capitalistiche. Una tattica suicida che non trova alcun riscontro nel quadro della lotta politica odierna. Al tragico vuoto lasciato da un ex-PCI (oggi in parte PD) giunto al suo approdo pragmatico aderente al pensiero unico del liberismo molto più simile alla visione di un Tony Blair, fa da contraltare l'assenza politica della sinistra anticapitalistica, che avrebbe molto da dire e da fare in un contesto legalitario, oggi.
E' in questo scenario che la debolezza di un regime sfascista come quello berlusconiano, privo di riferimenti oltreoceano, ma con agganci con la mafia e i poteri criminali, diviene forza. Nell'ignavia demenziale di una sinistra che in entrambe le sue varianti: liberista e anticapitalista, si è suicidata.

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