martedì 15 dicembre 2009

IL DIRITTO ALL'ODIO


Il gesto di uno squilibrato, tal Tartaglia Massimo, contro Berlusconi è stato preso al balzo da tutta la canea mediatica filo-governativa per cianciare  di clima d'odio creato ad arte, di mandanti morali, di legame politico tra l'atto contro Berlusconi e certi ambienti dell'opposizione. Colpevoli? Un nome a caso: Di Pietro. L'obiettivo è chiaro: giustificare la prossime misure censorie su internet, nelle piazze, che limiteranno ancora di più il diritto e la libertà di esprimersi e manifestare. E' un piano lucido e, fatti estemporanei ed occasionali come il souvenir milanese al premier, vengono subito usati con calcolo e metodo. C'è un legame tra le prossime misure e la discrezionalità data al governo di decidere quali giornali saranno finanziati e quali no. Tutto corrisponde, tutto fila liscio per questa compagine di regime. Con una capacità di ribaltare la questione: sarebbe la sinistra a creare un clima d'odio, quando approva l'operato della magistratura, quando denuncia collusioni tra Berlusconi e la mafia, quando sottolinea l'inadattezza a governare di un premier che va con le minorenni e con le puttane, (che le scopi poi, è un'altra questione...) oltretutto nelle stessi sedi deputate alla rappresentanza istituzionale. Non è Brunetta con i suoi "devono morire", i fucili padani di Bossi, gli insulti di Berlusconi ("coglioni") a quella parte di italiani che non lo votano. Questo, no, non sono istigazioni all'odio, non avvelenano il clima. Sono orazioni da frati in convento.
Tutto viene coperto. Anche le responsabilità riguardo la sicurezza tuttabuchi. Responsabilità che è di Berlusconi. E' colpa sua, quella della sua sicurezza, che fa acqua da tutte le parti. Negli altri paesi, quelli civili, non quelli dove il re si fa scarrozzare in portantina e sventolare palme dal popolo suddito, sono i capi scorta che decidono dove può andare e cosa può fare il Presidente degli USA Obama, quello francese Sarkozy, quello tedesco Angela Merkel. Non i tiramenti di culo di un istrione a cui piace pavoneggiarsi tra le folle dei suoi fans, organizzate ad arte, ma non fino al punto di evitare appunto la presenza di pazzoidi con istinti omicidi.
Per cui, mi frega 'na sega se qualcuno ha tirato un souvenir a Berlusconi. Hanno ragione la Bindi e Di Pietro: se l'è cercata. Nel merito: il clima velenoso di attacchi ai giornalisti non asserviti, all'opposizione, ai magistrati, persino al Capo dello Stato. E nel metodo: la corte dei miracoli che si stringe attorno a lui, nel teatrino patrizio e plebeo del redivivo Caligola. Un cavallo pazzo, purtroppo, è inevitabile.
Io non odio nessuno, ma lascio alle persone il diritto ad esprimere i propri sentimenti. Perché tutti devono amare, o non odiare qualcuno? Perché tutti devono amare o non odiare questo governo, le sue personalità politiche? Credo che chiunque abbia il diritto di dire: io odio qualcun altro. I sentimenti non si possono orientare. ma conrollare sì. E questo è un dovere per per tutti. Il sentimento deve restare alle parole. Se diventa violenza, questo è sbagliato. La violenza va condannata e perseguita sempre. E scendere su questo terreno non ha giustificazioni di sorta.
Allora, se la questione è questa, dovremmo dire che c'è un odio giusto e odio sbagliato. L'odio leghista per Roma ladrona è giusto. L'odio nei confronti dell'ennesimo imprenditore truffatore, da parte del lavoratore dell'Eutelia che perde il posto, è sbagliato. Il primo è utile a mantenere lo status quo. Il secondo lo mette in discussione.
E poi, i sentimenti sono una cosa, la politica è un'altra. Berlusconi, politicamente è latore di interessi molto discutibili. Legalmente è stato inquisito e come tutti i cittadini italiani deve rispondere alla giustizia di questo paese dei reati a lui ascritti. Mi spiace per il suo viso da "bel fieu" (come ama definirsi). Ma va sconfitto politicamente, con gli strumenti della democrazia e va processato (visto che è inquisito), con gli strumenti della giustizia.
L'azione politica in generale non deve essere mossa dall'odio, dai sentimenti, ma da una visione di ciò che è giusto o ingiusto fare, dalla giustezza degli obietti prefissati. Se di violenza si tratta, e sappiamo che in certe circostanze storiche come la Resistenza al nazi-fascismo nel '43-45 ci sta ed è giusta, deve rientrare in questa visione, nel campo della politica. Von Clausevitz diceva che la guerra è la prosecuzione della politica con mezzi violenti. Il suo, ritengo fosse un giudizio anche morale. Perché altrimenti è la barbarie sanguinaria tra un sovrano che vuole essere amato e sopprime con odio chi presume che lo odi e un popolo che manifesta in atrocità liberatorie i propri sentimenti e risentimenti contro l'oppressore. Destra e sinistra, oppressori e oppressi, hanno al proprio interno questa tendenza pericolosissima.
Apprezzo Von Clausevitz sul piano metodologico e morale, ma come uomo di pace, pongo i confini tra azione di critica civile e violenza politica in situazioni del tutto straordinarie come fu la lotta partigiana nel '43. Dove il totalitarismo non lascia altre strade per l'affermazione di una società democratica e pluralista.


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