martedì 29 marzo 2011

NON SARA' PIU' COME PRIMA.


Provate a immaginarvi solo per un istante un paese in preda alle contaminazioni radioattive. Non una sola zona, perché le radiazioni vanno ovunque. Tumori nei dcenni a venire, l'incertezza su ogni cosa che si fa, su ogni cibo che si mangia, bevanda che si beve.

Una possibilità su un milione. Ma il Giappone, posto che questo calcolo sia vero e non lo è, quella possibilità l'ha beccata. Da uno tsunami per quanto potente possa essere ti puoi rialzare. Ma da un apocalisse strisciante che riduce Tokyo a una città terrorizzata, che ferma un'economia, che sposta il centro della politica, del commercio a Osaka, che sconvolge la vita di milioni di persone, riportare la situazione alla normalità sarà difficile se non impossibile.

E' questo il futuro che vogliamo? E' con questa incognita che vogliamo vivere il presente? I sostenitori del nucleare dicono che questo è il costo che le società più avanzate devono pagare per avere i loro tenori di vita, che le energie alternative sono insufficienti.
Posto che sia vero quello che dicono sull'energie solare ed eolica, e non lo è, se pensiamo che l'energia necessaria a far funzionare un sistema sociale può essere il mix di più procedure, non eslcuse il geotermico, le biomasse, l'idroelettrico insieme al solare e all'eolico, la questione è un'altra: può l'essere umano continuare a ritenersi il padrone del mondo in cui vive, un padrone dissennato e latore di una civiltà che di civile e naturale non ha più nulla? E' possibile in altre parole, continuare con questo modello economico-sociale? La risposta è no. E a chi dice che la politica è l'arte del possibile, rispondo cha la politica deve creare il possibile, un modo di vivere in questo pianeta possibile. Basta con l'alibi delle riforme sì, ma dopodomani.

La domanda a cui dare una risposta è questa. E in concreto nasce un'altra questione: è possibile e di vitale importanza realizzare un modello economico-sociale basato sull'eco-sostenibilità, passando dallo spreco al riuso, dalla crescita produttiva a una produzione-riproduzione, ritrasformazione delle risorse, delle materie?
La risposta è sì. E diventerà sempre più urgente andare verso questa direzione, prima che sia troppo tardi.

Primo punto su cui ragionare.
Ecosostenibile è una parola molto in voga. Ma ha un vero senso se TUTTO, se tutto il ciclo produzione e consumo diviene ecosostenibile. Altrimenti è solo un atteggiamento promozionale di qualche azienda e o pubblica amministrazione, una moda che non aiuta nulla e nessuno. La frase mortale è "iniziamo noi dal nostro piccolo". Non è vero nulla. Iniziamo noi, sì, ma imponiamolo a tutti coloro, multinazionali, paesi, sistemi sociali che sono di fatto nemici mortali della vita su questo pianeta.
Il primo punto è che la lotta contro la civiltà del nucleare e dell'idrocarburo, della rapina dell'acqua e dei beni della collettività è una lotta politica. E' una lotta rivoluzionaria, perché qui non si parla più di semplici e timide riforme, ma di una distruzione sistematica di ordine economico-sociale: quello in cui ci impongono di "vivere" e morire come topi in trappola. Ogni secondo di vita di un'azienda privata come la TEPCO è un insulto e un crimine contro l'umanità.

E qui veniamo al secondo punto.
Rivolto soprattutto a una sinistra vecchia, che ragiona ancora sullo sviluppo delle forze produttive, dei piani quinquennali. Molti plaudono alla Cina e agli elementi di socialismo di cui si fa portatrice. Cazzate.
Una certa sinistra radicale e gli eredi del PCI oggi nel PD, su questo hanno dei punti in comune. I primi con una visione obsoleta del socialismo, gli altri con un'accettazione del modello liberale e capitalistico. In pratica lo sviluppo del PIL come cartina di tornasole del benessere di una comunità. Appunto, cazzate.
Mai come oggi, la necessità di un processo rivoluzionario economico-sociale si è posto all'ordine del giorno. Neppure nel momento storico in cui Marx parlava di inconciliabilità tra classi e di comunismo come possibilità oltre il sistema capitalistico.
Ora l'inconciliabilità non è più solo tra classi, ma tra sistema sociale dominante, il capitalismo nella sua fase più matura e decadente e natura, ecosistema.
La visione di un'inevitabile passaggio al socialismo e al comunismo, poteva essere col senno di poi una forzatura nelle società del diciannovesimo e ventesimo secolo. Ma nel terzo millennio questo passaggio epocale è molto più radicale e profondo, perché tocca la categoria stessa di forze produttive in rapporto alla natura. Un aspetto che Marx non poteva prefigurare al suo tempo.
Dunque il secondo punto è il processo rivoluzionario che deve investire tutta la comunità umana mondiale nel suo insieme.

Il socialismo, ossia una società in cui la governance dei rapporti di produzione e del loro rapporto con le forze produttive e la natura in quanto madre terra, ambiente, ecosistema, è una gestione statale di default, così come di default è il diritto alla vita e il diritto di cittadinanza in ogni società civile, segna il futuro superamento delle attuali barbarie. Il politico, la democrazia stessa in quanto sistema regolatore degli interessi possibili entro questa governance che però è intangibile, non può, non deve toccare questo default.

Questo è il passaggio che si prefigura, Inevitabilmente rivoluzionario, perché pertiene l'abbattimento di un sistema di potere, quello capitalistico, l'annullamento di interessi economici ostili alla sfera stessa, ontologica, della vita umana e del pianeta. E' la nuova linea dell'inconciliabilità, non più di soli interessi economico-sociali, per dirla alla Marx, ma ben di più: inconciliabilità dell'esistenza della comunità umana per come si sta ponendo economicamente e socialmente ora e si è posta sin'ora, con la vita stessa del pianeta.

Fine del capitalismo può anche non significare necessariamente fine delle società mercantili. Ma comunque fine di un'appropriazione di lavoro altrui, di beni e risorse comuni a fine di profitto, questo sì. Perché la dominante del profitto è precisamente la premessa costante e perdurante di ogni rischio per la vita umana e per il pianeta, oltre a essere moralmente produttore di ingiustizia sociale. Il profitto crea inquinamento, guerre, è la potente leva e ragione di un'economia che si alimenta di fame per tre quarti della popolazione mondiale, di guerre, di spreco, di distruzione dell'ambiente.
Si può pensare a un ritorno a un'economia reale e non fittizia, monetarista, a soggetti economici locali, la cui attività è regolata dagli interessi generali della collettività, dal default.

Dopo Fukushima nulla può più essere come prima. Anche il mondo ecologista e antinucleare, anche la sinistra anticapitalista stessa deve avviare una fase di riflessione profonda e riformulare un progetto di trasformazione radicale di questa società, che non sarà certo rose e fiori.



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