domenica 22 novembre 2009

IL FASCISMO IN PUBBLICITA'

Vorrei inaugurare in questa sede una sorta di rubrica sulla comunicazione. E inizio con la pubblicità. Il titolo può sembrare forte, e in effetti è un po’ una forzatura, perché il fascismo è un fenomeno storico ben definito epocalemente e per le sue caratteristiche ideologico-politiche.

Parlerò quindi di fascismo inteso come estensione culturale in senso lato, per valori e per estetica del “ventennio”. In una fase della vita politica del nostro paese, in cui si vanno affermando più che valori, disvalori, in tempi di sdoganamento dell’esperienza fascista, di equiparazione per esempio tra Repubblica Sociale Italiana e Resistenza, il ruolo degli operatori della comunicazione non è esente da queste influenze culturali di fondo. Purtroppo, devo dirlo, la pubblicità è un insieme di pratiche che agisce nell’immaginario collettivo riducendo questioni profonde a linguaggi e messaggi di superficie. Registra le tendenze etico-morali, gli stili, i comportamenti sociali utili per la persuasione e la vendita e li amplifica acriticamente.

Detto questo, vorrei prendere due spot in particolare, che stanno andando in Tv in queste ultime settimane: TIM della Leo Burnett con De Sica e la Belen Rodriguez e lo spot Campari di D’Adda, Lorenzini, Vigorelli, Bbdo.




Il primo, quello della TIM, è portatore di una carica violenta  e discriminatoria: Cristian De Sica che fa il butta fuori, fa passare gli accreditati in gessato e scaraventa via un “diverso”, migherlino con camicietta a fiori stile anni ‘70 (notare come sia importante il contrasto tra i look differenti), intento a ballare alla “Provaci ancora Sam” di Woody Allen. La meta-narrazione è descrittiva di una scontatezza comportamentale nelle discoteche e nei party, che dividono con arroganza un mondo di eletti dalla massa. Non solo: tutto quello che non è image correct deve restare fuori da un contesto socio-culturale normato. Più estensivamente questa è la logica “a gironi” che pervade la società italiana odierna. Con binomi idiosincratici affermati costantemente dai media: immigrato/italiano, etero/omosessuale, vip/nullità e così via. Questa rappresentazione del mondo ha una forte carica fascista perché basata sull’esclusione violenta delle diversità. È uno degli aspetti costitutivi della gestione dei conflitti sociali e interpersonali. La gravità dell’operazione in questo tipo di pubblicità risiede nel fatto che la pubblicità stessa ha una duplice funzione sociale: confermativa di valori ed emulativa nei comportamenti.


Il secondo, lo spot Campari, rappresenta un’operazione squisitamente estetica sul “ventennio” attraverso la ripresa di uno stilema musicale in voga in quegli anni, che è inequivocabile. Poco conta il fatto che Campari abbia uno storico che attraversa più epoche, anche come fatto culturale, e quindi anche l’epoca fascista. La rievocazione è forte e voluta, soprattutto notando il contrasto con il contesto scenografico, di piena contemporaneità.


Tutte queste non sono operazioni che nascono per caso. I pubblicitari “fiutano l’aria” e si adeguano. Ovviamente, lungi da me l’associare l’identità politica dei creatori di queste adv dai loro prodotti. C’è da scommeterci che se, ragionando per paradosso, avremo in Italia un nuovo ’68, De Sica un po’ fricchettone porterà Belen a un rave pieno di figli dei fiori. Del resto la pubblicità ha sempre legato il somaro dove vuole il “padrone”, ossia: i valori dominanti del momento.


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