lunedì 14 febbraio 2011

DEMOCRAZIA E LIBERTA'


Sono i temi dominanti in ogni paese: dalle democrazie liberali ai regimi totalitari come Cine e Iran. Lo vediamo in questi mesi in Italia, devastata da una vera criminocrazia, lo stiamo vedendo anche nei paesi del nord africa, arabi e del Medio Oriente. Dopo Tunisia ed Egitto, Algeria, Yemen e Iran. La questione fondamentale è la libertà, senza la quale non c'è democrazia. Può sembrare un discorso qualunquistico, d'una genericità invisa ai teorici del socialismo filocinese per esempio. Ma non lo è. E' un fatto storico, materiale, vitale per ogni persona. L'essere cittadini e non sudditi, e non compagni tutti uguali ma nella miseria e nella mancanza di libera espressione, è la questione dirimente per ogni forza di sinistra che voglia andare oltre le pastoie di un comunismo novecentesco che ha volgarizzato, direi di più: brutalizzato Marx e il materialismo storico e dialettico.

E' la superiorità transepocale della rivoluzione francese. Anche una visione di classe e la sua conseguente lotta sociale e politica non può prescindere dal pluralismo e dalla libertà. Altrimenti non è. Altrimenti è un'altra cosa: è burocrazia che perpetra se stessa nel nome del popolo. Quindi, non scarterei a priori il pensiero liberalsocialista dai fratelli Rosselli in poi.
Coniugare il meglio della visione liberale con il sociallismo è l'unica positività che posso vedere nel tentativo occhettiano di ricostruire una sinistra in Italia, affrancata dalle miserie liberticide del socialismo reale e dalle sue macerie. Ma lì si buttò l'acqua sporca col bambino. E il resto è storia: pragmatismo cinico e dalemiano verso un visione di popolo indistinto. Altro che socialdemocrazia.

In questa fase c'è la sensazione che questo inizio del 2011 sia l'incipit di un periodo che varrà forse secoli. Dobbiamo attrezzarci, ascoltare e imparare dalle rivolte di piazza civili e democratiche di un mondo che si credeva colonizzato dall'Islam più integralista, o da un nazionalismo panarabo totalitario per costituzione.

Se vogliamo riprendere il filo rosso di una rivoluzione sociale comunista, dobbiamo capire che la democrazia reale è il passaggio obbligato. Di più è il valore fondante di una rivoluzione culturale vera e non quella imposta da manipoli di guardie rosse. C'è del libertario nel pensiero comunista eretico, ma è rimasto sin'ora solo rivolta velleitaria.

E' ora che le nostre utopie, le nostre menti, i nostri vissuti si fondano con la realtà concreta in fermento, che si contaminino dei linguaggi, dei corpi, delle culture che emergono dal magma sociale di un conflitto epocale.
Non c'è un verbo da imporre. C'è un'intelligenza collettiva da costruire, forse più situazionista che sovraordinata a tavolino.

Per questo non mi piace chi fa l'orfano perenne e cerca di difendere l'indifendibile, dicendo che se la Cina non è imperialista, allora è socialista. Queste visioni manichee sono veleno per il movimento che abolisce lo stato di cose presente, che non lo difende né qui, né altrove. Io voglio parlare a chi ieri era in piazza anche nella mia città. Ho tanto da dire. Tanto da non poter essere espresso in un megafono o in un volantino velleitario. Ho da parlare con gli operai, ma anche con i commercianti, con le donne, ma anche con i volontari del terzo settore, con gli immigrati e con i giovani che ancora oggi credono che l'evento più brutale di terrorismo sia stato il rapimento di Moro.

Essere comunisti è questo, non è ricerca di eterne verità per uniformare la visione della realtà a queste. E' ricerca di un percorso di liberazione dallo sfruttamento e dalla tirannia qualunque veste assumano.

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