domenica 20 febbraio 2011

VECCHIONI DA BRUCIARE E VECCHIONI DA AMARE


Vecchioni da bruciare... come un fine anno eterno, siamo attorniati da una vecchia politica gattopardesca, con un grande vecchio cavaliere che non se ne vuole andare, nonostante i processi a suo carico per reati gravissimi,
nonostante la caduta verticale di credibilità a livello internazionale per il nostro paese e, quel che peggio, nonostante la crisi strutturale amplificata dall'inerzia del governo.

Vecchioni da amare... i segni del nuovo ci sono tutti. Anche a vedere gli esiti di San Remo. Può sembrare una banalità, ma non è così. Dopo la manifestazione della scorsa domenica, a San Remo viene consacrato un vecchio della canzone, Vecchioni, che vecchio non è (perdonatemi il bisticcio di parole), perché ha saputo rappresentare proprio questo nuovo, con una canzone che è poesia allo stato puro. Una canzone che è l'immagine di questo paese: l'operaio che perde il lavoro, il poeta che non può esprimersi, i giovani senza futuro, gli studenti che difendono la cultura vera. E quel senso collettivo dell'agire, un concetto del tutto ovvio e naturale e che i mestieranti della politica cercano sempre di occultare: solo noi possiamo tutti insieme cambiare.

Canzone tempista come il film di Antonio Albanese, quindi foriera di successo prossimo e incassi imminenti. Buon pro gli faccia al nostro Roberto milanese. Ma non è questo che va sottolineato. Al di là delle logiche commerciali e degli accordi e liti tra discografici, resta il dato che l'Italia sta cambiando. Ancor più velocemente della sua classe politica. E i primi a sentirlo sono gli artisti, i poeti, chi non ha buttato il cervello all'ammasso come gran parte dei ceti culturali e degli opinionisti che affollano i salotti televisi. O forse anche tra questi, abituati ad annusare gli odori che il vento porta dall'angolo della via (si accontentano di questo), c'è un nuovo sentire. Foss'anche una valigia pronta per un trasloco opportuno od opportunista.

Resta il fatto che della vittoria di Vecchioni all'evento nazionalpopolare per eccellenza era nell'aria già dalla seconda sera. Quello che interessa sono i voti della gente. E quanti voti gli sono arrivati. Certo, non si fanno bilanci e analisi politiche da vicende di attualità come San Remo, ma i segnali però vanno colti.
Sono segnali di una domanda forte di cambiamento, che ormai pervade il paese. E allora cerchiamo di inquadrarli, anche se ancora non è possibile farlo.

In giro c'è una domanda di giustizia sociale e di un futuro da costruire da vivere per noi e i nostri figli. Non ci vuolo molto a capirlo. Perché non se ne può più delle soperchierie e delle furbizie di chi ha occupato le istituzioni, le pubbliche amministrazioni, i gangli vitali dell'economia. Sbaglia però chi pensa a rivoluzioni socialiste imminenti, come chi pensa "che ci vogliono solide basi" come sostiene Bersani, che inizia già a giustificare il "realismo del non cambiar nulla", il gattopardismo con qualche contentino. Anche questa opposizione melensa, ambigua, ci ha rotto i coglioni. Ha ragione Padellaro: basterebbe che l'opposizione tutta desse le dimissioni per rimettere tutto nelle mani del Capo dello Stato. Ma non lo fa. Non lo fanno il PD, l'Italia dei Valori. Figuriamoci Casini. Sono tutti lì, nella melma dell'inedia, a parlare di dimissioni altrui, a denunciare, ma senza fare nulla di concreto.

La società civile è già oltre. E' già altro. Oltre gli scambi di palazzo, oltre il putridume della corruzione dilagante, della prostituzione come barbaro commercio dei corpi. Chiamami ancora amore.

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